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Giovedì 07 Luglio 2011 20:05

Ritorno a se stessi (Martin Buber)

Rabbi Shneur Zalman, il Rav della Russia, era stato calunniato presso le autorità da uno dei capi dei mitnagghedim, che condannavano la sua dottrina e la sua condotta, ed era stato incarcerato a Pietroburgo.

Pubblicato in Mondo Ebraico

Letture giudaiche medievali del Libro di Isaia

La consolazione di Israele e il servo del Signore

di Mauro Perani

Al profeta Isaia nella letteratura esegetica ebraica medievale è riservato un posto di ri­lievo fra gli altri profeti, in conformità con quanto avveniva già nei testi rabbinici dei secoli precedenti. Il nucleo del suo libro considerato da diverse fonti come la punta più significativa del suo messaggio profeti­co è probabilmente la sezione nota come li­bro della consolazione. Se Geremia ha il compito scomodo di annunciare il castigo divino, a Isaia spetta quello assai più soave di consolare il popolo d'Israele e di annun­ciargli un'epoca nuova di salvezza. Nella disputa medievale fra cristiani ed ebrei, che ovviamente spesso si polarizzava sulla que­stione della messianicità di Gesù, anche i Canti del servo divengono oggetto di un di­battito serrato per stabilire se questo servo sia il Messia e se questo sia già venuto o meno.

Shelomo ben Yitzchaq, il più grande com­mentatore ebreo di tutti i tempi meglio noto con l'acronimo Rashì (Francia settentriona­le 1040-11 05), inizia il suo commento alle prime parole del libro di Isaia Visione di Isaia figlio di Amos riportando un detto di Rabbi Lewi che a sua volta menziona una tradizione trasmessa dai padri secondo cui Amoz e Amasia re di Giuda (cf 2 Re 12,22) erano fratelli. A suo avviso tuttavia, in base al principio esegetico per cui nella Bibbia non c'è un prima e un dopo ('en muqdam ume 'uchar he-seder) secondo una rigorosa successione cronologica, il primo versetto non è l'inizio del libro, come dimostra il fatto che non ne costituisce il titolo. L'inizio a suo avviso va ricercato nel capitolo sesto dove si parla della chiamata e della missio­ne del profeta.

Anche Dawid Qimchi, un esegeta di tradi­zione più legata al senso letterale e all'ana­lisi del lessico vissuto a Narbona (sec. XII-­XIII), menziona all'inizio questa tradizione: «Visione di Isaia figlio di Amos. Non sap­piamo le sue relazioni di parentela e a qua­le tribù questi appartenessero, ma ci è solo noto che i nostri maestri di beata memoria ricevettero la tradizione in base alla quale Amoz e Amasia erano fratelli». Commen­tando il versetto seguente Ascoltate o cieli, terra porgi l'orecchio, questo esegeta osser­va che Isaia «inizia il suo libro con parole di biasimo poiché i figli della sua genera­zione erano empi e, benché sia scritto a pro­posito di Ozia che egli fece ciò che è retto agli occhi del Signore e così pure riguardo a Iotam, pure è detto di Ozia che in seguito alla sua potenza il suo cuore si insuperbi fi­no a rovinarsi (2 Cr. 26,16)»

Tornando alla formula di apertura del primo annuncio profetico isaiano Ascoltate o cieli, terra porgi l'orecchio molti commentatori medievali si sono chiesti perché il profeta usi esattamente le stesse espressioni di Mo­sè, ma invertite; Isaia infatti dice in ebraico Shim'u shamayim we-ha 'azini eretz; mentre Mosè, aprendo il suo cantico in Esodo 32,1dice: Ha 'azinu ha-shamayim ... wetishma ha-aretz; scambiando i verbi usati da Isaia. Dawid Qimchi osserva al riguardo che, a differenza di Mosè, «Isaia dice Ascoltate (shim'u) o cieli poiché egli era lontano dai cieli, quindi aggiunge terra porgi l'orecchio (ha'azini) poiché egli era vicino alla terra». Anche Rashi riprende questa interpretazione tradizionale e osserva: «Perché Isaia ha cambiato l'espressione? I nostri maestri ci hanno lasciato un insegnamento su ciò, e su questo brano ci sono molte interpretazioni midrashiche». Più ampia la spiegazione del­lo Yalqui ha-Makiri, una raccolta di midra­shim compilata da Makiri Abba Mari nella Francia meridionale tra la fine del sec. XIII e il XIV. In esso leggiamo: «Disse Rabbi Aqiba: insegna ... che (Mosè) è come un uomo che parla al suo prossimo e disse Porge­te l'orecchio o cieli; vide la terra lontana e disse: Ascolta o terra. Venne Isaia e pronun­ciò la parola: Ascoltate o cieli, terra porgi l'orecchio per attribuire grandezza alle cose grandi e piccolezza alle cose piccole». Os­sia, Mosè parla dall'alto del Sinai, e si trova più vicino ai cieli, mentre Isaia parla in bas­so sulla terra a lui vicina, mentre si rivolge ai cieli come se fossero più lontani.

Veniamo ora a vedere alcune interpretazioni della famosa espressione di Isaia: Consola­te, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio. Parlate al cuore di Gerusalemme (40, Is). Una bella omelia che commenta questo capitolo di Isaia e che costituisce il brano profetico (haftarah) che accompagna la sezione della Torah letta nel primo saba­to dopo il 9 del mese di Av, ci è presentata dalla Pesiqta rabbati, una raccolta di omelie sinagogali la cui datazione è incerta ed è collocata dagli studiosi fra il V ed il IX se­colo d.C. Ecco questo bellissimo commento che parla del bisogno che ha Dio di essere consolato e pone a confronto Geremia che ferisce con Isaia che risana; lo propongo nella traduzione di M. Gallo. (1)

Altra parola. Consolate, consolate, o po­polo mio, dice il vostro Dio. Dice rabbi Barachià, il sacerdote: Consolami, conso­lami o popolo mio. Da che mondo è mondo se un uomo possiede una vigna e vengono i ladri e la tagliano, chi si deve consolare, la vigna o il padrone della vi­gna? Così pure, se un uomo possiede una casa e vengono i ladri e le appiccano il fuoco, chi si deve consolare, la casa o il padrone della casa? Ma voi siete la mia vigna: Vigna del Signore delle schiere è la casa d'Israele (Is 5,7). Ora è venuto Nabucodonosor e l'ha distrutta e vi ha tratti in esilio e ha dato fuoco alla mia ca­sa, sono io che devo essere consolato:

Consolami, consolami, o popolo mio.

Altra parola. Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio. Parlate al cuore di Gerusalemme. Tutto quello che Geremia dice per punire, Isaia viene e (lo) risana. Geremia castiga e dice: Come siede sola la città ricca di popolo! È co­me una vedova la grande fra le nazioni, la principessa tra le province è soggetta a tributo! (Lam 1,1). Isaia viene e dice: Io ho visto la vergine. Sì, non ti si dirà più abbandonata e alla tua terra non si dirà più desolata perché tu sarai chiama­ta «Il mio compiacimento è in lei», e alla tua terra si dirà «Sposata»; perché il compiacimento del Signore è in te e la tua terra sarà sposata. Sì, come il giova­ne sposa la vergine, ti sposeranno i tuoi figli, e, come gioisce lo sposo per la spo­sa, gioirà per te il tuo Dio (Is 62,4s). Ge­remia colpisce e dice: Piange amaramen­te nella notte, le sue lacrime sulle sue guance, non c'è per lei consolatore tra tutti quelli che l'amano; tutti i suoi amici l'hanno tradita, le sono divenuti nemici (Lam 1,2). Isaia viene e risana: Sì, popo­lo che sei in Sion, che abiti in Gerusa­lemme, tu non dovrai più piangere! Alla voce del tuo lamento avrà compassione di te, appena avrà udito ti risponderà! (Is 30,19). Geremia colpisce e dice: Giuda è esiliata. Oppressa dalla miseria e da grave schiavitù, dimora fra le genti, non trova riposo, tutti i suoi persecutori la raggiungono tra le angosce (Lam 1,3). Isaia viene e risana: E sarà in quel gior­no: la radice di lesse, eretta come vessil­lo dei popoli, a lei si volgeranno le genti e la sua dimora sarà gloria. E sarà in quel giorno: di nuovo il Signore stenderà la mano per riscattare il resto del suo po­polo, che sarà scampato a Assur e in Egitto, a Patros, a Cush, a Elam, a Shi­near, a Hamat e nelle isole del mare. In­nalzerà un vessillo sulle nazioni, radu­nerà i deportati d'Israele, raccoglierà i dispersi di Giuda dalle quattro estremità della terra (Is 11,10-12). Geremia colpi­sce e dice: Le vie di Sion sono in lutto (Lam 1,4). Isaia viene e risana: Una voce grida: aprite nel deserto la via del Signo­re, spianate nella steppa un sentiero per il nostro Dio (Is 40,3). Geremia colpisce e dice: I suoi nemici sono alla testa (Lam 1,5). Isaia viene e risana: A testa curva verranno a te i figli dei tuoi oppressori, prostreranno alla pianta dei tuoi piedi tutti coloro che ti disprezzavano, ti chiameranno: Città del Signore, Sion del Santo d'Israele (Is 60,14). Geremia col­pisce: È uscito dalla figlia di Sion tutto il suo splendore (Lam 1,6). E chi è questo suo splendore? È il santo, - sia benedetto -, poiché di lui sta scritto: Di gloria e splendore ti sei rivestito (Sal 104,1). Isaia viene e risana: lo l'ho visto venire. Chi è costui che viene da Edom, da Bosra, con le vesti tinte di sangue? Che è splendido nel suo manto, che incede pieno di for­za? Sono io che parlo con giustizia, che sono grande per salvare (Is 63,1). Gere­mia colpisce: Si ricorda Gerusalemme nei giorni della sua miseria, della sua vi­ta errante, di tutte le sue cose preziose, che possedeva nei giorni antichi (Lam 1,7). Isaia viene e risana: Ecco, io creo cieli nuovi e terra nuova. Non si ricorde­ranno più le cose di prima, non saliranno al cuore (Is 65,17). Geremia colpisce: Ha peccato, ha peccato Gerusalemme, per­ciò è divenuta una sozzura (Lam 1,8). Isaia viene e risana: Ho dissolto come bruma le tue colpe, come una nube i tuoi peccati. Ritorna a me, perché lo ti ho ri­scattata (Is 44,22).

Il passo procede ancora nell'intrecciare ci­tazioni dalle Lamentazioni a quelle di Isaia, in un mirabile effetto di contrappunto fra le sciagure annunciate da Geremia e le conso­lazioni pronunciate dal nostro profeta, rela­tive esattamente ad una stessa espressione ed a una stessa punizione.

Rashi a proposito del versetto Consolate, consolate il mio popolo così commenta: «Ora il profeta ritorna sulle sue profezie de­stinate ad accadere, per il fatto che da qui fi­no alla fine del libro le parole di consola­zione creano uno stacco in questa sezione fra esse e fra le punizioni: consolate, o voi miei profeti, consolate il mio popolo».

Una bella interpretazione del famoso passo isaiano del c. 55,8: Poiché i miei pensieri non sono i vostri pensieri sono riprese in di­verse interpretazioni ad esempio nello Yal­qut Shim' oni (paragrafo 482) e nello Yalqut ha-Makiri dal quale presentiamo questa suggestiva spiegazione.

«Poiché i miei pensieri sono i vostri pensieri ... A che cosa assomiglia ciò? Ad un re di carne e sangue che siede e giudica un uomo, ed il giudice gli dice: "Di' se hai ucciso o se non hai ucciso". Se dice: "ho ucciso", il giudice lo fa uccidere, ma se non lo ammette, egli non lo fa uccide­re. Ma di fronte al Santo, benedetto egli sia, non è così. Al contrario, se uno con­fessa la sua colpa, il Santo, benedetto egli sia, ha pietà di lui, come è detto: Chi nasconde le proprie colpe non avrà suc­cesso, chi confessa e le abbandona tro­verà misericordia (Prv 28,13)».

Vediamo ora alcune interpretazioni relative al servo del Signore proposte da un altro grande commentatore ebreo: Mosheh ben Nachman o Nachmanide, nato a Gerona in Catalogna nel 1194 e morto a Gerusalem­me nel 1270. Riprendiamo i suoi commenti da alcuni passaggi della famosa Disputa di Barcellona, che egli fu costretto a sostenere con i domenicani nel 1263. Uno dei suoi in­terlocutori è un ebreo convertito, il quale cerca di appoggiare la sua tesi che il Messia è già venuto su alcuni passi della letteratura rabbinica. La discussione inizia con un rife­rimento al passo di Isaia 52,13 Ecco il mio servo prospererà, citato dall'interlocutore cristiano. Vediamo il passo:

«25. Quello stesso uomo sostenne: "Vi è un passo (della Scrittura) che dice: Ecco il mio servo prospererà (Is 52,13), e trat­ta della morte del Messia, di come fu cat­turato e fu posto tra i malfattori esatta­mente come è accaduto a Gesù. Tu credi che questo passo si riferisca al Messia?".

26. Gli risposi: "Secondo il suo autentico significato esso non parla d'altro che del popolo d'Israele nel suo complesso. In­fatti molto spesso i profeti si riferiscono al popolo d'Israele con le formule Israe­le mio servo (Is 41,8) e Giacobbe mio servo (Is 44,1)".

27. Intervenne allora fray Paul: "Ma io posso provare, sulla base delle parole dei vostri sapienti che questo passo si riferi­sce al Messia".

28. Gli risposi: "È certamente vero che i nostri maestri, di venerata memoria, nei libri di Haggadot, riferiscono allegoricamente quel passo al Messia. Tuttavia non potrai mai trovare in alcun libro della let­teratura ebraica, né nel Talmud, né nel­l'Haggadah, che il Messia figlio di Davi­de sarà giustiziato né che sarà consegna­to nelle mani dei suoi nemici, né che sarà sepolto in mezzo ai malfattori: infatti, neppure il Messia che vi siete creati, (vi) fu sepolto. lo posso spiegare per voi que­sto passo, se lo volete, con un commento corretto e illuminante, (e si vedrà che) non si dice che sarà giustiziato, come in­vece accadde al vostro Messia". Essi però non vollero stare a sentire. ( ... )

49. Risposi: "No, anzi io credo e so che egli (il Messia) non è venuto. Inoltre non ci fu mai un uomo che dichiarò, o del quale fu detto, che era il Messia se non Gesù, e a me è impossibile credere nella sua Messianicità. Infatti il profeta affer­ma, a proposito del Messia: Regnerà da mare a mare e dal fiume sino ai confini della terra (Sal 72,8); ed egli non ebbe nessun regno, ma anzi nel corso della sua vita fu perseguitato e dovette nascondersi per sfuggirgli ma alla fine cadde nelle lo­ro mani e non poté salvare se stesso. Co­me avrebbe potuto salvare tutto Israele? Nemmeno dopo la sua morte ebbe un re­gno perché l'impero di Roma non deriva da lui, anzi, prima che i romani credesse­ro in lui, la città di Roma dominava sulla maggior parte del mondo, mentre dopo che adottarono la sua fede essi persero numerosi regni. E attualmente i fedeli (servitori) di Maometto hanno un regno superiore al vostro. Inoltre il profeta an­nuncia che all'epoca del Messia Non do­vranno più istruirsi a vicenda e nessuno dirà più al fratello: 'riconoscete il Signo­re', perché tutti mi conosceranno (Ger 31,34). Inoltre è scritto: La conoscenza del Signore riempirà la terra come le ac­que ricoprono il mare (/s 11,9): e inoltre: Forgeranno le loro spade in vomeri ... un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo e non si apprenderà più l'arte della guerra (Is 2,4). Ora, dai tem­pi di Gesù fino a oggi, tutto il mondo è stato ricolmo di violenza e rapina e i cri­stiani hanno sparso più sangue delle altre nazioni e inoltre intrattengono relazioni illecite. Come sarebbe difficile per te, re nostro signore [scil. l'autore si rivolge al sovrano Giacomo I d'Aragona che presenziava alla disputa], e per i tuoi cavalieri se davvero non apprendessero più l'arte della guerra. Inoltre il profeta afferma, a proposito del Messia: Egli colpirà la terra con il bastone della sua bocca (Is 11,4); questo passo è commentato nel libro di Haggadah che ha in mano fray Paul: "Si dirà al re Messia: Una provincia si è ribellata contro di te; ed egli dirà: Che le cavallette si abbattano su essa e la distruggeranno. Gli diranno: Un ducato (eparchia) si è ribellato contro di te; ed egli dirà: vengano i mosconi e la divorino" (Midrash a Salmi, 2). Niente di simile si è verificato per Gesù. Quanto a voi, vi compiacete dei cavalieri in armatura, e forse tutto ciò non significa molto per voi. Per di più io posso portarvi molte prove ricavate dalle parole dei profeti».

50. A questo punto quell'uomo (fray Paul Christiani) levò un grido e mi interruppe: «Ecco di nuovo la sua brutta abitudine di fare discorsi prolissi, ma voglio fargli io una domanda».

51. Allora il re mi disse: «Taci, perché è lui che ha diritto di fare delle domande»

52. Quegli riprese: «I loro sapienti hanno affermato a proposito del Messia che è più onorato degli angeli; non può evidentemente trattarsi di altri che di Gesù per­ché egli è di natura divina. A questo pun­to citò un passo dell'Haggadah: "Ecco (il mio servo) sarà onorato, sarà esaltato e grandemente innalzato (Is 52,13), sarà onorato più di Abramo, sarà esaltato più di Mosè, sarà innalzato al di sopra degli angeli del servizio (divino)"».

53. Gli risposi: «Questa affermazione è applicata dai nostri sapienti a tutti i giu­sti: "I giusti sono più grandi degli angeli del servizio (divino)" (Talmud babilone­se, trattato Sanhedrin 93a). Inoltre Mosè nostro maestro, disse all' angelo: "Nel luogo in cui io siedo, non ti è permesso stare" (Avot de-Rabbi Natan 12). E del­l'intero Israele i nostri sapienti hanno detto: "Israele è più amato degli angeli del servizio (divino)" (Talmud babilonese, trattato Chullin 91b). Ma l'intenzione dell'autore di questa Haggadah a propo­sito del Messia è che Abramo, su di lui sia la pace, convertì alcuni gentili e pre­dicò davanti alle nazioni la fede del San­to, sia benedetto, e si oppose a Nimrod senza averne paura. Mosè poi fece anco­ra di più perché si mantenne umile di fronte al Faraone il grande re malvagio, non gli risparmiò (lett. = ebbe il minimo riguardo per lui) a proposito delle gravi piaghe che lo afflissero e liberò Israele dal suo potere. Ora, gli angeli del servi­zio sono molto zelanti per quanto riguar­da la redenzione, come è scritto: Nessuno mi aiuta in questo se non Michele, il vo­stro principe (Dn 10,21). Inoltre è scritto: Ora tornerò a combattere con il principe di Persia (Dn 10,20). Il Messia però farà ancora di più di tutti costoro, E il suo cuore sarà forte nelle vie del Signore (1 Cr 17,6). Egli verrà e ingiungerà al papa e a tutti i re delle nazioni, in nome di Dio: Lascia andare il mio popolo perché mi possa servire (Es 8,16). Egli compirà in mezzo a loro segni e numerosi mira­coli straordinari, non avrà alcun timore di fronte a loro e si tratterrà nella loro città di Roma finché l'avrà distrutta. lo posso spiegarti tutto questo passo (di Isaia) se vuoi. Ma egli non volle». (2)

Nachmanide ritorna in esplicitazione in al­tra sede sull'interpretazione della pericope isaiana che inizia con le parole Ecco il mio servo prospererà? Egli ribadisce l'interpre­tazione ebraica che riferisce il passo del servo a Israele:

«L'interpretazione corretta di questa peri­cope è che essa si riferisce ad Israele tut­to intero. ( ... ) Tuttavia secondo l'opinione del Midrash essa si riferisce al Messia (cf Yalqut su Isaia par. 476); ora noi dobbia­mo interpretarla in base alle parole dei li­bri. Un'interpretazione diversa afferma che il Messia figlio di Davide, a cui si ri­ferisce il versetto, non sarà sconfitto né sarà ucciso per mano dei suoi nemici, e ciò è indicato chiaramente dai testi. Ecco l'interpretazione della pericope: Ecco il mio servo avrà il discernimento (yaskil) (3),poiché ai tempi della redenzione il Mes­sia capirà e sarà capace di discernere il tempo della fine e saprà che è giunta l'e­poca della sua venuta e che la fine è arri­vata; essa sarà rivelata all'assemblea di coloro che lo attendono. Il testo dice avrà discernimento in conformità a quanto è detto nel libro di Daniele: Queste parole sono nascoste e sigillate fino al tempo della fine. Molti saranno purificati, si renderanno candidi e raffinati, ma gli em­pi agiranno empiamente e nessuno di lo­ro comprenderà; invece i saggi capiranno (we-ha-maskilim yavinu) (Dn 12,9-10). Daniele afferma che fra gli empi ce ne saranno alcuni che agiranno empiamente per insultare i passi del Messia (cf Sal 89,52). Ciò a motivo del suo grande ri­tardo, e non crederanno assolutamente in lui e nessun empio discernerà la fine (dei tempi), poiché ci saranno fra di loro alcu­ni che erreranno andando dietro ad uno che erroneamente essi crederanno essere il Messia. I saggi, invece, comprenderan­no la fine vera ed attenderanno lui. E in rapporto a ciò che Isaia afferma che il Messia servo del Signore discernerà e comprenderà la fine e subito sorgerà, sarà esaltato ed elevato e il suo cuore sarà forte nelle vie del Signore (2 Cr 17,6), venendo a radunare i dispersi d'Israele (cf Is 56,8), non con la potenza né con la forza, ma con il suo spirito (cf Zc 4,6). Egli confiderà nel Signore, allo stesso modo in cui avvenne per il primo reden­tore (scil. Mosè) che venne con il suo ba­stone ed il suo sacco dal Faraone e colpì la sua terra con la verga della sua bocca (cf Is 11,4)» .

Note

1) M. GALLO (a cura di), Sete del Dio vivente. Omelie rabbiniche su Isaia, Città Nuova, Roma 1981, pp. 85­89.

2) Il passo è riportato nella prima e ad oggi sola ver­sione italiana della Disputa curata da S. Campanini, in M. IDEL e M. PERANI, Nachmanide esegeta e cab­balista. Studi e testi, La Giuntina, Firenze 1998, pp. 392-393 e 396-397.

3) Osserviamo che in ebraico si ha yaskil, verbo che significa in prima istanza «aver senno, esser saggio, aver discernimento» e secondariamente «riuscire, aver successo, prosperare» avendo agito con intelligenza.

(da Parole di Vita, 4, 1999)

Pubblicato in Mondo Ebraico
Martedì 19 Febbraio 2008 23:46

La vera Torah

La vera Torah




Rabbi Shimon insegna: Guai all’uomo che pretende affermare che la Torah è venuta a donarci soltanto delle cronache e delle parole destinate al popolo. Se fosse così, infatti, anche nel nostro tempo, saremmo in grado di fabbricare una Torah con parole di questo tipo. Saremmo persino capaci di farne di più valide. Se si trattasse di puri racconti, anche nelle cronache che vanno in giro, vi sono termini più scelti…

Quando la Torah è discesa in questo mondo, questo mondo non sarebbe stato capace di sopportarla se non si fosse rivestita degli abiti di questo mondo. Perciò il racconto della Torah è il suo vestito. Chi pensa che il vestito è davvero la Torah e non un’altra cosa, il suo spirito sia scacciato via e non abbia parte nel mondo futuro. Per questo Davide esclamava: “Apri i miei occhi e io contempli le meraviglie della Torah” (Ps 119,18), cioè quel che sta sotto al vestito.

Vieni e vedi: c’è un vestito che è manifesto per tutti, e gli sciocchi, quando vedono un uomo con un abito che sembra loro bello, non riflettono più di tanto. Ma il valore del vestito sta nel corpo e il valore del corpo sta in quello dell’anima.

Zohar II, 152 a

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Lo Zohar.

L’opera maggiore della Cabbala, considerata come il terzo pilastro del giudaismo dopo la Bibbia e il Talmud, il Sefer ha-Zohar, o Libro dello Splendore, cominciò a circolare in Castiglia nel 1293. Presentato sotto la forma di una discussione fra Shimon bar Yohai, un rabbino del II secolo che ne sarebbe l’autore, e i suoi discepoli, lo Zohar fu in seguito attribuito a Mosheh de León (1240-1305)

(da Le monde des religions 18, p.63)
Pubblicato in Mondo Ebraico
I Sette Sentieri della Torah

di Rabbi Avraham Abulafia

Agli occhi di ogni uomo è chiaro che la Torah, che porta il nome di Libro del Giusto (2 Sam. 1.18), è un: "albero di vita, è per chi si aggrappa a lei, e chi la stringe è fortunato" (Prov. 3.18). È' risaputo per tradizione, in base al Libro di Razi'el, che il valore numerico della parola me'usar (fortunato)corrisponde a quella di Yisra'el "Israele"; da questo scaturisce la conoscenza di tutti i fenomeni delle vie dei segreti dei precetti e a lui andranno uniti desideri, delizie, insegnamenti, pensieri dotati di fede, speranze.

Perciò è opportuno far conoscere ai rettori delle accademie d'ogni dove tutto ciò che concerne le lettere ed i termini che istruiscono sulle varie realtà, maschili e femminili, singolari maschili e singolari femminili, plurali maschili e plurali femminili, per separare sottilmente in essi fra ciò che è bene e ciò che è male, e fra pensieri giusti e pensieri fallaci. Tutto questo si svela tramite i sette sentieri, in cui sono contenute tutte le sapienze, per ogni lingua e nazione.

Riassumerò dunque tali questioni in questa lettera, affinché sia per voi d'ammonimento.

I sette sentieri della Torà sono i seguenti:

1) Il primo sentiero racchiude la comprensione letterale della Torà "poiché l'interpretazione di un versetto non deve allontanarsi dal senso letterale". Questa è la via che si addice al popolo, uomini, donne e pargoli; anche se è noto che ogni essere umano, all'inizio della sua esistenza - fra infanzia e giovinezza - fa parte di questo gruppo. In seguito, ci sono persone che studiano e altre che rimangono del tutto senza istruzione sulla via della conoscenza delle lettere, ma d'ogni uomo è detto: Può divenire saggio pure l'uomo che è nato simile ad un giovane onagro selvatico (Giobbe. 11,12). È pertanto indispensabile che, a colui che è totalmente illetterato, si trasmettano alcuni elementi della tradizione, sì che diventi credente per fede ricevuta, resti nel proprio ambito e si mantenga entro la sfera del senso letterale. Sembrerà così che abbia studiato, e si atterrà a ciò che ha acquisito come vi si attiene chi ha appreso i significati letterali della Torà: in tal modo verrà sottomesso a questo primo sentiero.

2) Il secondo sentiero racchiude la comprensione del testo secondo molteplici commenti: ciò che li accomuna è il ruotare intorno alla sfera del senso letterale, che essi circondano da ogni parte. Così fanno la Mishnah ed il Talmud, che espongono il senso letterale della Torà. Si veda la questione della "circoncisione del cuore": la Torà prescrive di circonciderlo, come è detto: Circoncidete il prepuzio del vostro cuore (Deut. 10.16). Preso in senso letterale, questo precetto è assolutamente irrealizzabile: perciò esso richiede un'interpretazione, offerta dal versetto: Il Signore, tuo D-o, circonciderà il tuo cuore (Deut. 30.6), che segue l'affermazione: E tornerai al Signore tuo D-o (Deut. 30.2). Dunque, la circoncisione del cuore è propriamente l'imbocco della via del ritorno al Signore, sia Egli benedetto; la circoncisione dell'ottavo giorno, invece, è un'altra cosa, perché è impossibile interpretarla nel senso di un pentimento, come l'hanno intesa gli incirconcisi di cuore e gli incirconcisi di prepuzio. Dunque la circoncisione del neonato va necessariamente intesa in senso letterale, ed è di gran giovamento, come già ci è stato rivelato da alcuni, lode a D-o.

3) Il terzo sentiero racchiude la comprensione del testo sotto il profilo omiletico e narrativo, e comprende entrambi i metodi menzionati in precedenza; un esempio è offerto dall'affermazione dei nostri Maestri di benedetta memoria: "Perché nel secondo giorno non è detto che era buono?
Perché non era stata completata l'opera delle acque", e via di seguito. Questo metodo è denominato darashaggadah o haggadah ("racconto"), che ha in primo luogo la funzione di attrarre (tale è infatti il targum, che sa attirare i cuori verso la giusta via), e in secondo luogo quella di raccontare cose gradevoli che incantano chi ascolta. ("omelia", "ricerca"), a indicare che con esso si può indagare, inquisire e poi esporre in pubblico, di fronte a tutti; parimenti, è stato chiamato

4) Il quarto sentiero racchiude le parabole e le allegorie, che sono presenti in tutti i libri. È qui che certuni cominciano a separarsi dalla massa del popolo: la massa infatti comprenderà queste cose secondo uno dei tre metodi di cui s'è parlato. Alcuni le prenderanno in senso letterale, altri le commenteranno, altri ancora le intenderanno per via omiletica. Certuni invece arriveranno a capire che sono parabole e le sonderanno. Qui si troveranno ad affrontare le questioni degli omonimi che la Guida dei Perplessi (del Maimonide) ha già chiarito.

5) Il quinto sentiero è il solo che racchiude le vie cabalistiche degli insegnamenti biblici. I quattro metodi che vengono prima di questo sono accessibili a tutte le nazioni: alle masse i primi tre, ai sapienti il quarto, con o senza gli altri. Invece, questo quinto sentiero è l'esordio degli stadi della sapienza cabalistica, che è solo di Israele: è qui che noi ci separiamo dalle masse del mondo, dai sapienti delle nazioni del mondo e dagli stessi Rabbi sapienti d'Israele, che restano nella sfera dei tre metodi sopra ricordati e delle parabole.

Si coglie, ad esempio, lungo questo percorso, l'indicazione dell'insegnamento che la Torà ci impartisce con la sua prima lettera, che è la Beit di Be-re'shit, "In principio" (Gen. 1.1), che deve essere di dimensioni maggiori delle altre, così come devono esserlo le ventidue lettere che si trovano in ognuno dei ventiquattro libri; o ancora con la forma della lettera Cheit di we-charah (e si accenderà); o con le due Nun capovolte nel passo relativo al versetto: Quando l'arca si muoveva (Num. 10.35).

Molte di queste cose ci sono state trasmesse per tradizione interna ed esterna: grafie piene e grafie difettive, lettera avvinte e lettere storte e via di seguito: i casi sono molti. Nulla della loro veridicità è mai stato rivelato ad alcun popolo, se non alla nostra santa nazione: coloro che percorrono la via degli altri certo se ne befferanno, pensando che queste grafie siano insignificanti. Costoro sono tratti in inganno, e si sbagliano di grosso, mentre chi sa la veridicità di questi sentieri, ne riconosce la superiorità e chiarisce i misteri, che sono santi. Questo metodo costituisce l'esordio della sapienza generale della combinazione delle lettere, e non è consigliato se non a coloro che temono Iddio, e rispettano il Suo Nome.

6) Il sesto sentiero è profondissimo: chi lo troverà? Di questa via è detto: È più lunga della terra la loro dimensione, è più alta del mare (Giobbe. 11.9). Essa si addice a coloro di cui si è detto poco sopra, i quali si isolano nella propria volontà di accostarsi al Santo Nome, cosicché la Sua Opera, sia Egli benedetto, sia in loro stessi riconoscibile. Sono coloro che, nel loro agire, pervengono ad assomigliare all'azione dell'Intelletto agente. Dunque il nome di questo sentiero racchiude il segreto delle "settanta lingue" (shiv'im lesonot), espressione che equivale, numericamente a "combinazione delle lettere" (seruf ha-otiyyot). Tale percorso segna il loro ritorno verso la Materia prima, tramite l'evocazione e la meditazione che si articola nelle dieci sephirot senza determinazione, il cui segreto è santo. Ogni cosa che appartiene alla santità è in numero di dieci: non è forse Mosè asceso dieci volte, e la Shekhinà discesa altrettante?

Con dieci Detti non fu forse creato il mondo, e con dieci Comandamenti non fu data la Torà? E molte altre decine illustrano questo concetto. A questo metodo appartengono laghematria, il notariqon, le permutazioni, le sostituzioni, le permutazioni delle permutazioni, e le permutazioni delle permutazioni delle permutazioni. A causa della pochezza dell'umano pensare, le permutazioni si limitano a dieci, benché, in verità, esse siano illimitate, giacche sono paragonabili alle particolarità delle creature, che sono infinite: sebbene la loro materia sia unica, le loro forme mutano, e si manifestano in successivi segreti.

Con questo metodo si confuta l'opinione che Rabbi Avraham Ibn 'Ezra, di benedetta memoria aveva formulato nel commento alla Torà, a proposito del nome Eli'ezer e del suo valore numerico, che ammonta a 318 (trecentodiciotto). A proposito di lui è detto: Armò i trecentodiciotto suoi uomini addestrati, i nati della sua casa (Gen. 14.14): in realtà sta scritto: Il suo uomo addestrato, che corrisponde a Eli'ezer. Sebbene Ibn 'Ezra abbia affermato che la Torà non si esprime attraverso la ghematria - poiché se così fosse ognuno potrebbe mutare il male in bene, ed il bene in male - io non credo che egli fosse all'oscuro della cosa; probabilmente intendeva occultare il segreto, ed aveva ragione, proprio per quel che abbiamo detto a proposito delle prime tre vie, visto che tutto il suo libro è stato scritto per la massa. Fanno eccezione alcuni passi che egli segnala dicendo: "Questo è un mistero, e chi è dotato d'intelletto lo esaminerà e lo comprenderà, qualora ne sia degno".

(Il sesto sentiero) è quel glorioso e terribile sentiero tramite il quale si rivela un poco della conoscenza del Nome Ineffabile, al quale s'accenna nel Libro della Formazione al secondo capitolo, dove si trova detto che le ventidue lettere fondamentali sono tre madri, sette doppie e dodici semplici: "le incise, le intagliò, le soppesò, le permutò, le combinò e con esse formò l'anima di tutto il creato e l'anima di tutto ciò che è formato".

7) Il settimo sentiero è un sentiero particolare, che racchiude tutti i sentieri, esso è il Santo dei Santi, è riservato ai Profeti, è la ruota che tutto circonda. Chi lo comprende, comprende la parola che dall'Intelletto agente promana sulla facoltà verbale. Si tratta infatti dell'influsso che si propaga dal Nome, sia benedetto, alla facoltà verbale, tramite appunto l'intelletto agente, come ha detto il maestro (il Maimonide), di benedetta memoria, nella Guida dei Perplessi, libro secondo, al capitolo trentasei. Esso è il sentiero della veridicità della profezia e della sua essenza, della conoscenza dell'essenza del Nome Unico; solo un Profeta ne ha comprensione: giacche esso rappresenta il principio che ha creato il discorso Divino sulla sua bocca.

Non è opportuno descrivere le modalità di questo sentiero, che è chiamato sentiero Santo e santificato, in un libro, né è possibile trasmettere, riguardo a Esso, alcuna tradizione, neppure per sommi capi, a meno che, chi desidera conoscerlo, non apprenda prima, a viva voce, la nozione del Nome di quarantadue lettere e di quello di settantadue.


(tratto da Sheva' netivot ha-Torah)

Pubblicato in Mondo Ebraico
Martedì 25 Luglio 2006 00:48

Macrocosmo e microcosmo (Maimonide Moisè)

Macrocosmo e microcosmo
di Maimonide Moisè






Mosheh ben Maimon fu 'personalità di assoluto rilievo nell'intera storia del giudaismo, uomo fuori del comune, soprattutto noto come l'autore della "Guida dei perplessi "e del "Mishnè Torab", rispetto alle quali nessun'altra opera del pensiero ebraico classico ha avuto una risonanza paragonabile. Dalle molteplici attività, tra cui quella di medico alla corte del visir al-Fadil. Maimonide fu il primo a concludere una durevole alleanza tra il giudaismo e la filosofia greco-musulmana del suo tempo, certo mirando non a svuotare le Scritture della loro sostanza, ma a soddisfare il bisogno di aprirsi una nuova strada. Quella di questo 'secondo Mosè' - come venne chiamato - fu la scelta di porre a confronto le credenze tradizionali del suo popolo con le conquiste scientifiche della sua epoca, o, anche, quella di innestare le proprie idee filosofiche sul testo della Bibbia, che è un documento rivelato. Maimonide fu ben noto alla riflessione cristiana medievale, che dialogò criticamente col suo pensiero.



( dalla Guida dei perplessi)

1 Sappi che quest’universo nel suo complesso non forma che un solo individuo; ossia: il globo dell’ultimo cielo, con tutto quello che contiene, è indubitamente un solo individuo, come Ruben e David.

2 Avviene delle sue diverse sostanze, ossia delle sostanze di questo globo con tutto ciò che contiene, come avviene, per esempio, delle diverse sostanze delle membra dell’individuo umano. Come dunque Ruben, per esempio, è un solo individuo, benché composto di diverse parti, come la carne e le ossa, e di umori e di spiriti differenti, cosí questo globo nel suo complesso abbraccia le sfere e i quattro elementi con ciò che ne è composto. Non vi è assolutamente alcun vuoto ma è un solido pieno che ha per centro il globo terrestre; la terra è circondata dall’acqua, questa dall’aria, questa dal fuoco, e quest’ultimo è circondato dal quinto corpo, il quale si compone di molte sfere, contenute le une nelle altre, tra le quali non vi è cavità, né vuoto, ma si cingono esattamente applicate le une alle altre. Esse hanno tutte un moto circolare uguale, né è in alcuna di loro precipitazione, né lentezza, ossia, che niuna di quelle sfere si muove talora lentamente, ma ciascuna per la sua celerità e la sua maniera di muoversi resta sottoposta alla sua legge naturale. Ma queste sfere si muovono alcune piú rapidamente delle altre, e quella che ha il moto piú rapido è la sfera che circonda tutto, ossia, quella che ha moto diurno e che le fa muovere tutte con lei, come la parte si muove nel tutto, poiché tutte formano delle parti in lei. Queste sfere hanno dei diversi centri; alcune hanno per centro il centro del mondo, altre hanno il loro centro fuori del centro del mondo; e altre seguono perpetuamente il loro moto particolare dall’Oriente all’Occidente ed altre si muovono dall’Occidente all’Oriente. Ogni astro in queste sfere fa parte della sfera, nella quale resta fisso al suo posto; né ha moto che gli sia particolare né si mostra mosso se non dal moto del corpo del quale è parte. La materia di tutto questo quinto corpo, che ha il moto circolare, non è simile a quella dei corpi dei quattro elementi che si trovano interiormente. Il numero di queste sfere, che circondano il mondo, non può per alcun modo essere minore di diciotto ma è tuttavia possibile che ve ne siano di piú, ed è cosa da esaminarsi. Se poi vi siano delle sfere in circolazione che non circondano il mondo, è pure cosa da esaminare.

3 Interiormente alla sfera inferiore che è la piú vicina a noi vi è una materia diversa da quella del quinto corpo e che ricevette quattro forme primitive, con le quali si formano quattro corpi (che sono) la terra, l’acqua, l’aria e il fuoco. Ciascuno di questi quattro (corpi) ha un luogo naturale che gli è particolare, né si trova in altro (luogo) sino che è lasciato nella sua natura. Sono corpi inanimati, che non hanno né vita né percezione, né si muovono da se stessi ma restano in riposo nei loro luoghi naturali. E se uno di essi fosse costretto ad uscire dal suo luogo naturale, allora, quando cessa la causa che lo costrinse, si muove per ritornare al suo luogo naturale; poiché ha in sé il principio in virtú del quale si muove, in linea retta, per tornare al suo luogo, ma non ha in sé alcun principio nel quale debba sempre restare in riposo o muoversi altrimenti che in linea retta. I moti in linea retta che fanno questi quattro elementi, quando si muovono per tornare ai loro luoghi, sono di due specie: un moto verso la circonferenza, che è proprio del fuoco e dell’aria, e un moto verso il centro, che è proprio dell’acqua e della terra; e ciascuno, dopo essere arrivato al suo luogo naturale, resta in riposo. Ma quei corpi (celesti), che hanno il moto circolare, sono viventi e hanno un’anima onde si muovono, né vi è in loro assolutamente alcun principio di riposo, né subiscono alcun cambiamento, se non nella posizione, avendo il moto circolare. In quanto poi (all’intelligenza, e cioè) se abbiano anche un’intelligenza con la quale percepiscono, questa (è cosa) che non può essere dichiarata se non con una sottile speculazione. Quando tutto il quinto corpo compie il suo moto circolare, ne nasce sempre negli elementi un moto sforzato, per il quale escono dalle loro regioni, ossia (ne nasce un moto) nel fuoco e nell’aria che sono spinti (ambedue questi elementi) verso l’acqua e tutti penetrano nel corpo della terra sino nelle sue profondità, in guisa che ne risulta una mescolanza di elementi. Poscia cominciano a muoversi per ritornare nelle loro regioni (rispettive), e quindi anche delle particelle di terra abbandonano i loro luoghi riunendosi all’acqua, all’aria, al fuoco. In tutto ciò gli elementi agiscono gli uni sugli altri, e la mescolanza subisce una trasformazione, onde ne nascono prima le diverse specie di vapori, poi le diverse specie di minerali, tutte le specie delle piante e molte specie di animali, secondo il temperamento della mescolanza.

4 Tutto ciò che nasce e perisce, non nasce che dagli elementi e ad essi ritorna quando perisce. Cosí gli elementi nascono gli uni dagli altri e si perdono gli uni negli altri, poiché tutto ha una stessa materia, e la materia non può esistere senza forma, come niuna forma fisica, di quelle che nascono e periscono, non può esistere senza materia. Dunque, la nascita e la distruzione degli elementi, come di tutto quello che nasce e che in loro si svolge perdendosi, seguono (in un certo modo) un moto circolare, simile a quello del cielo; per la qual cosa il moto di questa materia formata, mediante le forme che le sopravvengono successivamente, può compararsi al moto che fa il cielo nel luogo, ripetendosi le stesse posizioni per ciascuna delle sue parti.

(tratto da Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1966, vol. IV, pagg. 1133-1135)


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