
Aquila e Priscilla. In due per il Vangelo
Aquila e Priscilla. In due per il Vangelo
Erano due sposi, presumibilmente giovani, quelli che aiutarono Paolo nel suo difficile inserimento a Corinto . Con l'apostolo condividevano il lavoro - erano come lui fabbricatori di tende - il vitto e la casa . Condividevano anche il lavoro pastorale, le preoccupazioni per la diffusione dell'Evangelo. Una evangelizzazione che prosegue anche a Roma dopo la morte di Paolo, e fatta a due a due, da due coniugi.
Al capitolo 18 degli Atti degli Apostoli si racconta che!' apostolo Paolo, durante il prolungato soggiorno nella città di Corinto, si stabilì nella casa di Aquila e Priscilla, due coniugi ebrei convertiti e allontanati da Roma per decreto dell'imperatore Claudio nell'anno 50, e di mestiere fabbricatori di tende.
Paolo: l'apostolo, il servitore di Cristo, il prigioniero del Signore, è uno skenopoios, un fabbricatore di tende. Può sembrare un titolo poco aristocratico, per niente episcopale, ma è la qualifica che lo inserisce abilmente nella trama del Regno.
La Chiesa: una tenda!
La Chiesa, una tenda! Quella universale, quella particolare, quella domestica: non sono che attendamenti per cui Dio abita tra noi.
Giovanni 1,14: E il Verbo si fece carne e piantò la sua tenda tra noi... Si allude a Mosè, che nelle soste dell' esodo nel deserto faceva erigere una grande tenda delle riunioni: il luogo in cui il popolo si incontrava con il suo Signore ed era abbagliato dalla sua gloria. La tenda a Gerusalemme fu rimpiazzata dal tempio di pietra di cui Cristo-lo Sposo - è la pietra angolare. È lui, con la sua carne donata all'umanità, la tenda in cui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità. Apocalisse 21: ...Ecco la tenda di Dio con gli uomini...
Quante tende ha costruito Paolo? Sul suo telaio nella casa di Aquila e Priscilla gli orditi per le tende ai clienti si dilungavano prodigiosi nelle carte geografiche del nuovo Regno, ovunque accorreva per piantarvi la chiesa.
La preoccupazione primaria dell' Apostolo è di impiantare una comunità di fede che invochi coralmente il Risorto e dove il cristiano diventi nuova creatura in Cristo. Una volta avviata una comunità Paolo, instancabile, continua a seguire, visitare, esortare, ingelosirsi, amare, facendosi tutto a tutti. Le sue tende hanno dei paletti, pioli, tiranti e assi dai nomi grondanti affetto, collaborazione: Aquila e Priscilla, Onesimo e Filemone, Tito e Timoteo, e tanti altri legati al suo ministero.
La tenda affonda i paletti nella continua disponibilità degli sposi
È come se attorno al suo animo, bruciato dalla passione per Cristo e per le sue comunità, si attizzassero i tepori di un focolare e i ritmi incessanti dell'amicizia coniugale. Voi siete il corpo di Cristo: a chi si ispira Paolo con questa forte immagine? Romani 16,3-5: Salutate Priscilla e Aquila, miei collaboratori in Cristo Gesù e la comunità che si raccoglie nella loro casa. In 1 Corinti 16,19 conclude con i saluti: Vi salutano Aquila e Priscilla con la comunità che si raccoglie nella loro casa.
La tenda per Dio e per l'uomo che Paolo tesse con la sua parola irruente, con la sensibilità del cuore che equilibra l'energia della sua volontà, affonda i suoi paletti di sostegno nella continua disponibilità di questi sposi a tenere sempre aperta la loro casa perché in essa l'embrione della comunità cristiana, avviata da Paolo, possa essere accolto e maturi nella fede.
Dall'anno 50 scorre un diario avvincente: arrivo di Paolo a Corinto e accoglienza nella casa di Aquila e Priscilla e comunanza nel lavoro; partono per la Siria, e Paolo lascia ad Efeso i due sposi impegnatissimi nel fare proseliti del calibro di Apollo, grande oratore; ritorno di Paolo ad Efeso, la città della magia, della dea Artemide, e battesimo di Apollo; prigionia di Paolo a Roma presso la casa di Aquila e Priscilla, rientrati nella capitale, e arresto di Paolo forse proprio nella loro casa.
Un cammino che può prevedere anche il martirio...
Le vie imperscrutabili dell'apostolato di Paolo proseguono fino al martirio. Non conosciamo, oltre i calorosi saluti in Romani 16,3 per Aquila e Priscilla, il seguito del loro cammino. Certamente, prima del loro martirio - come farebbe supporre la catacomba intitolata a Priscilla - i due sposi, mandati dal Maestro a due a due ad evangelizzare, hanno continuato a fare della loro casa quella chiesa accogliente e fraterna, luogo di catechesi e di tenerezza, delimitata dalle mura domestiche ma protesa ad impiantarsi come tenda di rifugio nella fede.
Floriano Vassalluzzo
"Anania e Saffira" (Paola Lazzarini)
Anania e Saffira
(At 5, 1-11)
Anania e Saffira vendono un terreno di loro proprietà, il ricavato è buono, probabilmente sopra le attese, e così decidono di trarre due vantaggi in una volta sola: arricchire davanti agli uomini e davanti a Dio (cfr. Lc 12,21). Dopo aver trattenuto per sé una parte del denaro vanno da Pietro a consegnargli la somma rimanente, dichiarando che è per quella cifra che hanno venduto il campo. La fine sarà orribile: uno dopo l’altro cadono morti davanti a Pietro e sono portati via e seppelliti dai giovani della Comunità.
Questo breve brano degli Atti degli Apostoli descrive con precisione e senza fronzoli il processo che porta la coppia da oasi di fecondità, ruolo attribuitele da Dio, a luogo di morte.
Alla coppia è dato tutto: l’amore di Dio si riversa sulla coppia continuamente, è un investimento illimitato del Signore che da quando la costituisce non smette mai di alimentarla e sostenerla, senza chiedere nulla in cambio.
Ma nella coppia può insidiarsi l’ombra astuta del Nemico (come già era accaduto per Adamo ed Eva) e quando il peccato entra in una coppia è ancora più difficile da scacciare, perché i due possono diventare l’uno per l’altro messaggeri di morte anziché di vita.
Il peccato di Anania e Saffira è di aver voluto rompere la logica di Dio. Dio ha donato tutto di sé gratuitamente e mette l’uomo davanti alla scelta: o entri in questa logica di gratuità e di circolo vivificante d’amore, oppure ne stai fuori e trovi il tuo posto nel mondo in cui tutto ha un prezzo.
Anania e Saffira non vogliono scegliere, o meglio, vogliono tutto. Vogliono la benedizione di Dio e vogliono le spalle coperte; dicono di credere nella Provvidenza e poi fanno l’Assicurazione sulla Vita! E questa scelta di non scegliere non può che portare alla morte.
E la morte separata dei due sposi ci svela che quando la coppia si lascia tentare dal Nemico a non fidarsi di Dio muore anch’essa: i due tornano ad essere individui separati, complici ma non più coniugi.
E le giovani generazioni non aspettano, raccolgono i cadaveri di questa coppia disfatta e senza una parola di pietà la seppelliscono e sembrano dire: "per noi sarà diverso".
Il progetto di Dio sulla coppia vuole portarla all’abbandono, non chiede i rimasugli del suo tempo e delle sue energie, chiede piuttosto di diventare la tenda nella quale la coppia dorme serena. Davanti a un Dio crocifisso non si possono fare compromessi e lo "scegliere di non scegliere" porta, come per Anania e Saffira, alla morte. Davanti a quell’Uomo appeso alla Croce dobbiamo decidere - e subito - se vogliamo seguirLo e imitarLo oppure no, dobbiamo scegliere cioè tra la Vita e la Morte.
di Paola Lazzarini
"Aquila e Priscilla" (Paola Lazzarini)
Aquila e Priscilla
(At 18,1-4 18-19)
La scena si apre su Paolo che, appena lasciata Atene si reca a Corinto. Ad Atene si era scontrato non con le sassate come ad Antiochia, né con le bastonate e il carcere come a Filippi, ma con un uditorio scaltrito e cinico, incapace di farsi coinvolgere, troppo abituato ad ascoltare discorsi e sofismi.
Neanche l’annuncio di Paolo riuscirà a toccare il cuore di quella gente e se ne andrà da quella città amareggiato. La sfida al mondo intellettuale, disincantato e agnostico, rimane aperta e come Paolo, anche noi cristiani presto rinunciamo davanti alle difficoltà di portare la Buona Notizia del Regno a chi ci oppone muri di cinismo e cultura.
Paolo arriva a Corinto ed incontra una coppia, Aquila e Priscilla, che era stata costretta a lasciare l’Italia a causa di un ordine dell’Imperatore che ingiungeva a tutti i Giudei di lasciare Roma, e si ferma ad abitare con loro. Il testo non dice molto di questi due personaggi, non dice neppure se si fossero già convertiti al cristianesimo o meno, dice solo che accolsero Paolo come un fratello e che egli lavorò con loro, tornando al suo antico mestiere, e che ogni sabato si recava nella sinagoga portando il suo annuncio a tutti, indistintamente.
Questa collaborazione e questo sostegno reciproco gettano una luce di speranza sul rapporto tra consacrati e sposi. Ed è soprattutto il verso 18 a colpirci: Aquila e Priscilla accompagnano Paolo fino ad Efeso, gli sono compagni ed alleati.
Davanti a questi pochi versi si infrangono tutte le difficoltà della collaborazione tra laici e consacrati: non ci sono rivendicazioni, non si sottolineano le diversità, perché il fatto che ci siano è naturale e necessario, ma si sceglie la strada del sostegno reciproco, e sono in particolare gli sposi, per la loro vocazione, a saper creare un contesto di accoglienza che rigenera l’apostolo e gli dà forza per proseguire il suo viaggio.
Scendendo un poco più in profondità nel discorso sui rapporti tra le diverse vocazioni bisogna innanzi tutto affermare che c’è una sostanziale incapacità di capire una vocazione diversa dalla propria. E’ un fatto col quale bisogna confrontarsi, per quanto santi e illuminati gli sposati hanno difficoltà a capire che cosa realmente sia una chiamata alla consacrazione, e allo stesso modo i consacrati non hanno modo di vedere fino nel cuore della vocazione matrimoniale, e prima accettiamo questa incomunicabilità, prima finiranno le rivendicazioni sul primato di una vocazione sull’altra, rivendicazioni sterili e inutili per la Chiesa.
Il sacramento battesimale rende tutti i cristiani "abili" all’evangelizzazione, non è necessario alcun sacramento aggiuntivo a questo scopo, per questo tutti abbiamo il dovere di prepararci responsabilmente a questa missione, ma certamente la Chiesa si nutre delle diversità che la fantasia di Dio ha creato, e la diversità delle vocazioni è una di queste. Ed è bellissima, perché nella sua multiformità svela tratti diversi del divino che vuole manifestarsi in noi.
di Paola Lazzarini
"Noemi e Rut" (Paola Lazzarini)
NOEMI E RUT
(Rut 1, 1-18)
Una coppia particolare, composta da due donne: Noemi e Rut, suocera e nuora, sa parlarci dell’alleanza coniugale all’interno della Chiesa.
Noemi, dopo essere rimasta vedova in terra straniera (a Moab), con le sue due nuore, anch’esse vedove, decide di tornare in Giudea perché ha sentito che il Signore ha visitato il suo popolo. Noemi, che è stata duramente provata dal Signore, non sente questa visita come rivolta anche a lei, ma decide ugualmente di partire sentendo che la promessa del suo popolo può diventare anche sua se ritornerà. Ugualmente Rut, moabita, si "attacca" letteralmente alla suocera, decide di non lasciarla qualunque cosa accada e di seguirla in quella terra.
Possiamo vedere nel popolo di Giuda la Chiesa, "visitata" da Dio e benedetta, alla quale ogni uomo si aggrappa, anche se sfiduciato e senza speranza, perché "ha sentito dire" che là c’è un pane che è per tutti.
E’ esperienza di tutti noi vivere dei periodi di sfiducia e anche disperazione; proprio in quei momenti la Chiesa-madre ci sostiene, perché possiamo sempre pensare che là dove la nostra fede non arriva arriverà la fede degli altri fratelli: questo ci riapre l’orizzonte permettendoci di continuare a credere. Quante volte solo guardando agli altri riusciamo a dire: "se lui/lei crede allora posso credere anch’io, magari appoggiandomi sulla sua fede nei momenti bui".
La scelta di Rut invece ci parla dell’alleanza che può stabilirsi tra due persone. Rut lascia il paese di suo padre e investe tutto ciò che ha e che è, il suo futuro, nel rapporto con Noemi. La promessa di Rut ci fa pensare alla promessa di una sposa: dove tu andrai io andrò, dove ti fermerai mi fermerò, il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio il mio Dio, dove morirai tu morirò anch’io.
Per Rut la conversione al Dio d’Israele passa attraverso la scelta esplicita di stare accanto ad un’altra persona.
Quella promessa che in principio era riservata al popolo e che Noemi fa sua a fatica, ora si allarga fino a diventare anche la promessa di Rut; anche per lei il Signore provvederà il pane e, infatti, le due donne si dirigono a Betlemme che in linguaggio popolare significava "Casa del pane". Proprio da Betlemme verrà poi il Pane della Vita.
Il matrimonio può e deve essere anche questo: il luogo della conversione quotidiana all’unico Dio che sa saziarci; amare e seguire l’altro è – nella vocazione matrimoniale – la via per amare e seguire il Signore.
Il matrimonio cristiano è anche un’alleanza esplicita come quella di Rut ed è una scelta che comprende tutto, che investe tutto e che porta una promessa individuale – quella della salvezza – a diventare una promessa di coppia e di famiglia. Tutto entro le braccia sicure della madre Chiesa che ci permette ogni giorno di ritrovare il Pane che ci dà la vita.
di Paola Lazzarini
"La sunammita" (Tony Piccin)
La Sunammita
(2 Re 4,8-37)
È impossibile calcolare i doni che abbiamo ricevuto da Dio, ma primo e sopra tutti, senza ombra di dubbio, c'è il dono della vita che ciascuno di noi ha ricevuto. Questo è il dono più bello del Signore; ce lo ha dato e non ce lo toglierà mai più in eterno perché noi, una volta nati, resteremo vivi per sempre pur se con modalità diverse come ci dice la nostra fede. E anche il servizio più grande che ci hanno fatto i nostri genitori. La coppia ha la grande responsabilità di generare, ossia di dare a Dio la possibilità di creare una nuova vita. È un bisogno quello della coppia di generare vita, ogni tipo di vita, da quella fisica a quella spirituale, ma è anche forte la tentazione di voler esserne padroni, di imprigionare "per noi" le vite che pulsano accanto a noi. La vita del partner o del figlio non è nostra, ma ci è stata messa accanto perché la custodiamo, perché la aiutiamo a svilupparsi in pienezza. La donna di Sunem ci si presenta come una persona "viva" ed attenta. Lei non ha figli ma c'è qualcun altro da accogliere: è l'uomo di Dio, il profeta. Ad Eliseo serve cibo per nutrirsi, un luogo in cui sostare: un letto, un tavolo, una sedia e una lampada" (4,10). Il profeta ha bisogno di riposare, ma anche di studiare la Torah e pregare in quella piccola stanza. Quasi come logica conseguenza della maturità interiore della Sunammita ecco il dono del figlio:
"L'anno prossimo, in questa stessa stagione, tu terrai in braccio un figlio" (4,~6). No mio Signore, uomo di Dio, non mentire con la tua serva" (4,16). Non mi illudere, non farmi promesse vuote. Infatti, quasi fosse un presentimento, il bambino che nasce, appena divenuto ragazzo improvvisamente muore.
"Essa salì a stenderlo sul letto dell'uomo di Dio; chiuse la porta e usci" (4,21). La coppia è il luogo (la situazione normale, l'ambiente naturale) dove nasce e fiorisce la vita, ma la vita è di Dio: egli l'aveva donata attraverso la preghiera di Eliseo, occorreva dunque rimettere tutto nelle sue mani.
Il profeta su quel letto non si può stendere perché è occupato da un cadavere. E poi quella donna non lo aveva pregato di non illuderla?
"Egli entrò, chiuse la porta dietro a loro due e pregò il Signore. Quindi salì, si distese sul ragazzo; pose la bocca sulla bocca di lui, gli occhi sugli occhi di lui, le mani nelle mani di lui e si curvò su di lui. Il corpo del bambino riprese calore (...) tornò a curvarsi su di lui; il ragazzo starnutì sette volte - la vita era tornata in pienezza - poi apri gli occhi" (4,33-35). L'atto di Eliseo sembra lasciarci il messaggio che "la vita genera vita" e solo l'amore è capace di compiere questo miracolo, qualsiasi tipo di amore, ma in modo tutto particolare quello che l'uomo nutre per la sua donna e la donna per il suo uomo.
Tony Piccin
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