Venerdì, 01 Dicembre 2023
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La contraddizione
tra guerra e Cristianesimo
di Primo Mazzolari

Il cristiano che non si scopre in contraddizione col Vangelo di pace, o non si è mai guardato in Colui che — essendo “segno di contraddizione” — svela i pensieri degli uomini, oppure ama ingannare se stesso. La misura della nostra elevazione spirituale viene fornita dalla maggiore o minore consapevolezza delle nostre contraddizioni, la quale ci distoglie dal sentirci soddisfatti e dal legare lo Spirito al nostro corto passo e ai nostri brevi traguardi.

Non è forse una contraddizione

che dopo venti secoli di Vangelo gli anni di guerra siano più frequenti degli anni di pace?

che sia tuttora valida la regola pagana: “ si vis pacem, para bellum”?

che l'omicida comune sia al bando come assassino, mentre chi, guerreggiando, stermina genti e città sia in onore come un eroe?

che nel figlio dell'uomo, riscattato a caro prezzo dal Figlio di Dio, si scorga unicamente e si colpisca senza pietà il concetto di nemico per motivi di nazione, di razza, di religione, di classe?

che l'orrore cristiano del sangue fraterno si fermi davanti a una legittima dichiarazione di guerra da parte di una legittima autorità?

che una guerra possa portare il nome di “ giusta ” o di “ santa ”, e che tale nome convenga alla stessa guerra combattuta dall'un campo o dall'altro per opposte ragioni?

che si invochi il nome di Dio per conseguire una vittoria pagata con la vita di milioni di figli di Dio?

che venga bollato come disertore e punito come traditore chi, ripugnandogli in coscienza il mestiere delle armi, che è mestiere dell'uccidere, si rifiuta al “ dovere ” ?

che sia fatto tacere colui, che per sé soltanto, senza la pretesa di coniare una regola per gli altri, dichiara di sentire come peccato anche l'uccidere in guerra?

che si dica di volere la pace, e poi non ci si accordi sul modo, appena sopraggiunge il dubbio che ne scapiti la potenza, l'orgoglio, l'onore, gli interessi della nazione?

che si predichi di porre la vita eterna al disopra di ogni cosa, e poi ci si dimentichi che il cristiano è l'uomo che non ha bisogno di riuscire quaggiù?

Crediamo che questi pochi accenni bastino per dar rilievo alla nostra sostanziale contraddizione, per metterci in vergogna davanti a noi stessi, e per sentirci meno sicuri in un argomento ove la nostra troppa sicurezza potrebbe degenerare in temerarietà o in un delittuoso conformismo alle opinioni dominanti.

(tratto da Primo Mazzolari, Tu non uccidere, Vicenza, 1955)

Pubblicato in Dossier Pace
Martedì 08 Novembre 2005 00:22

La salvezza è la pace (Enrico Peyretti)

La salvezza è la pace
di Enrico Peyretti




«Non è dal modo in cui un uomo parla di Dio ma da come parla delle cose terrestri, che si vede se la sua anima ha soggiornato in Dio», dice Simone Weil, citata dal teologo torinese Oreste Aime nel (...) convegno sulla salvezza nell’Ortodossia e nel Cristianesimo occidentale, indetto dal Centro di studi religiosi comparati Edoardo Agnelli. Sembra per lo più che i teologi ortodossi volino nei cieli, senza toccare terra. Sembra di ascoltare una spiritualità così unicamente concentrata in Dio da non vedere più il mondo amato da Dio. Ora, noi siamo in terra, e aspettiamo la Gerusalemme celeste che, nelle figure del libro dell’Apocalisse, scenderà sulla terra, e non saremo noi a salire dalla terra al cielo.

La salvezza che speriamo e attendiamo è oggetto di una speranza tutta formale, oppure comincia realmente e si può intravedere in parzialità e contraddizioni, ma in realtà incoativa, già in questo tempo? Soltanto la mistica e la liturgia sono profezia del mondo risanato, o non anche la vita quotidiana nell’amore per il prossimo, che certamente è parte essenziale del cristianesimo orientale?

Dio ci salva dal peccato. E il peccato in definitiva è ogni offesa al prossimo, ogni violazione della relazione umana, ogni atto di dominio e disprezzo, che oscurano il senso dell’esistenza e creano dolore e paura, cioè morte, non-vita. Il nostro stare col prossimo è la misura del nostro stare davanti a Dio. Il prossimo è il primo sacramento di Dio, che dunque è onorato oppure offeso in esso, e di esso Dio si fa difensore e vindice.

Non c’è storia della salvezza senza salvezza della storia, diceva Ellacuria. E per Sobrino non è solo nella vita dopo la morte, ma nelle opere del Gesù storico che si attua il regno di Dio. La salvezza si realizza e si fa conoscere nel mondo delle relazioni, ha detto nel convegno Yannaras: nelle buone relazioni. Se il peccato è inimicizia, offesa e violenza nella nostra relazione con l’altro, Cristo è l’uomo senza inimicizia, è l’uomo nuovo, nonviolento nell’umanità violenta, è lui la pace vissuta, che abbatte le divisioni, è l’uomo-per-gli-altri, è il Salvatore.

Salvezza nella storia, cammino fuori dal peccato, è ogni riduzione della violenza (in tutte le sue forme, dirette, strutturali, culturali, esterne ed interne), ogni passo di pace. La parte di pace che riusciamo a costruire, come «figli di Dio», con la sua azione in noi, che lo sappiamo o no, è la profezia nella storia della piena salvezza finale.

Poiché l’amore del prossimo è l’elemento comune e la misura di fedeltà in tutte le vive religioni umane, la pace è la salvezza che Dio (comunque lo conosciamo) costruisce in noi e con noi, su tutte le vie religiose e umane autentiche. Quando Aldo Capitini esprime il pensiero che la vita senza morte (la salvezza) comincia col non uccidere, dice questo. Per Panikkar la pace è il nuovo mito emergente (mito in senso positivo), è la nuova etica universale, quasi una religione comune, nel rispetto delle differenze (la pace è pluralismo, insiste Panikkar); la pace è un valore che giudica oggi tutte le etiche, filosofie, politiche e religioni. Ci sarà il compimento della vita umana, non ci saranno molte salvezze come molte sono le teorie della salvezza. La pace è il contrario del dominio, è la carità concreta, è rispettare e amare il valore dell’altro.

Bisogna che anche la salvezza cristiana impari ad esprimersi così. Ciò non toglie nulla a Dio. Non ci si salva senza Dio, ma neppure senza il mondo, e desiderarlo non è bene. Ci si salva nella pace, la quale va all’infinito, cominciando dai passi qui difficili ma possibili, passi profetici da riconoscere con venerazione.

La salvezza è la pace. E ciò non va capito come riduzione della salvezza a qualche buona e giusta azione politica umana, come se non ci fosse Dio nell’uomo che pratica la giustizia. Va inteso nel senso che la vita buona, fragile e preziosa, nostro compito quotidiano nel piccolo e nel grande, è segno nei nostri giorni della salvezza che, nonostante la forza del male, viene, verrà, e sarà pace piena.


(da
Il foglio, n. 294, settembre 2002)
Pubblicato in Dossier Pace
Domenica 19 Giugno 2005 20:23

Lettera per la pace (Ernesto Sábato)

Lettera per la pace
di Ernesto Sábato


 



Cari bambini:

Vi siete già resi conto di come il potere vince, di come gli uomini uccidono per il potere.
Vi siete già resi conto, l'avete visto in televisione, delle atrocità dei bombardamenti, dei massacri, della miseria, dell'orrore che la guerra reca a chi la subisce.
Sapete anche che altri bambini come voi vedranno morire di dolore i loro genitori, i loro fratellini. Ma questo al potere non interessa.
Sapete anche che milioni e milioni di uomini e donne hanno manifestato per le strade di tutto il mondo il loro desiderio di pace, la loro opposizione a questa guerra. E anche questo sembra non interessare al potere.

Allora, davanti alla gravità della situazione in cui viviamo, il messaggio che voglio comunicarvi è il seguente: dobbiamo rimanere saldi nella convinzione di non accettare e di non rassegnarci alla guerra.
Dobbiamo mantenere accesa nell'anima, cari bambini, la fiammella di questo dolore dell'umanità, ed esservi fedeli.
Se sapremo tener ferma questa determinazione, sarà incrollabile.
Potranno fare la guerra, ma dovranno sapere che sono assassini, che così li chiameranno i bambini di tutto il mondo.

L'amaro presente col quale ci dobbiamo confrontare esige che le nostre parole, i nostri gesti, la nostra opera si consacrino, come autentico compimento della nostra più alta vocazione, a manifestare l'angoscia, il pericolo, l'orrore, ma anche la speranza, il coraggio e la solidarietà degli uomini.
In questa terribile situazione, ogni uomo e ogni donna, ma anche voi, bambini, siete chiamati a farvi portavoce del grido di dolore di migliaia di persone, le cui vite stanno per essere ridotte al silenzio attraverso la violenza delle armi.

E' ormai evidente che coloro che detengono il potere prendono decisioni diverse dal sentire dell'umanità, scatenando guerre atroci - con macabra ironia definite umanitarie - contro popoli abbandonati a se stessi.
Davanti a questi fatti, davanti alla violenza e alla morte dei nostri fratelli, dobbiamo resistere per proteggere quella dimensione assoluta in cui la vita e i valori sono elementi insostituibili, l'unica che dà la misura della grandezza umana.

In tutte le lingue, 'pace' è una parola suprema e sacra, espressione del desiderio di Dio per gli uomini. Il desiderio di un regno di pace e giustizia; pace e giustizia che siamo qui a chiedere e testimoniare.


Testo letto il 25 marzo 2003 da Ernesto Sábato davanti a 2000 bambini delle scuole pubbliche di Buenos Aires, riuniti nello Stadio de Obras Sanitarias per manifestare a favore della pace.

Traduzione dallo spagnolo a cura di Luciana Barcina/Andrea Grechi (Traduttori per la pace)

Pubblicato in Dossier Pace

Giustizia, pace e salvaguardia del creato
don Tonino Bello



Il Discorso pronunciato all'Arena di Verona, il 30 aprile 1989, alla Vigilia dell'Assemblea Ecumenica di Basilea.


Carissimi amici,
radunati in nome della pace, della giustizia e della salvaguardia del creato, in questa splendida Arena dove si visibilizza per qualche ora il popolo sterminato dei costruttori di pace!
Io vi porgo lo stesso saluto che oggi, giorno del Signore e signore dei giorni, risuona nelle nostre Chiese, dove, radunato nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito, si visibilizza il popolo santo dì Dio.
La pace di Gesù Risorto sia con tutti voi!
Un popolo che sta in piedi.
E vorrei tanto che da questo catino, divenuto icona del popolo invisibile dei costruttori di pace, partisse un grande saluto verso quella "moltitudine immensa, che nessuno può contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua", che la pace la costruisce nel silenzio della storia o nell'esilio della geografia. Nei bagni di folla o nella solitudine dei deserti. Nelle foreste dell'Amazzonia o nel vortice disumano delle metropoli. Sul letto di un ospedale o nel nascondimento di un chiostro. Nell'operosità di una scuola materna che si apre ai valori della mondialità o nel travaglio provocato da uno stile di accoglienza nei confronti dei fratelli di colore.
E' un popolo sterminato che sta in piedi. Perché il popolo della pace non è un popolo di rassegnati.
E' un popolo pasquale, che sta in piedi, come quello dell'Apocalisse: "tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all'Agnello".
Davanti al "trono" di Dio. Non davanti alle poltrone dei tiranni, o davanti agli idoli di metallo.
E davanti all'"Agnello". Simbolo di tutti gli oppressi dai poteri mondani. Di tutte le vittime della terra.
Di tutti i discriminati dal razzismo.
Di tutti i violentati nei più elementari diritti umani.
A questo popolo invisibile della pace, dall'Arena di Verona, giunga la nostra solidarietà.
Ma anche il nostro incoraggiamento: con le parole delle beatitudini, secondo la traduzione che Sostituisce il termine "beati" con l'espressione "in piedi".
"In piedi, costruttori di pace. Sarete chiamati figli di Dio".


1. Dal monoteismo assoluto al monoteismo trinitario di Dio

La prima cosa che desidero dirvi è questa: l'evoluzione del concetto di pace ha subito lo stesso arricchimento che, nella rivelazione cristiana, ha avuto il concetto di Dio.
Nell'economia del Vecchio Testamento, il monoteismo assoluto di Jahweh era il cardine portante di tutta la storia della salvezza.
Poi, "quando venne la pienezza dei tempi", Gesù ci ha rivelato che Dio è pluralità di persone: Padre, Figlio e Spirito.
Esse vivono così profondamente la convivialità delle differenze, esistono cioè così unicamente l'una per l'altra, che formano un solo Dio.
Uno per uno per uno fa sempre uno. Un solo Dio in tre Persone: è la formula con cui noi cristiani esprimiamo il mistero principale della nostra fede.
Si è passati, così, dal monoteismo assoluto al monoteismo trinitario di Dio.
Per la pace è avvenuta la stessa cosa.
Siamo giunti alla pienezza dei tempi, ed è balenata alle nostre coscienze la convinzione che la pace oggi si declina inesorabilmente con la giustizia e con la salvaguardia del creato. Siamo passati, per così dire, dal monoteismo assoluto al monoteismo trinitario della pace.
Dal monoteismo assoluto
al monoteismo trinitario della pace...
Tutto questo crea scandalo.
Così come ha creato scandalo Gesù, quando ha proclamato di essere figlio di Dio. Al punto tale, che l'hanno ucciso. Finché per secoli e secoli nelle nostre chiese abbiamo parlato di pace, nessuno ha contestato.
Quando, sulla scorta della Parola di Dio, si è scoperta la stretta parentela della pace con la giustizia, si sono scatenate le censure dei potenti.
Si è detto che il profeta vuole prevaricare sul re. Così come durante il processo di Pilato, la folla ha accusato Gesù di voler prevaricare su Cesare.
Si è asserito che collegare il discorso sulla pace, e quindi il discorso sulla guerra, con i discorsi sull'economia perversa che domina il mondo, sul profitto, sulla massimizzazione del profitto, sui debiti del Terzo Mondo, sulla crescente divaricazione tra Nord e Sud, sulla violazione pertinace dei diritti umani... significa fare la parte degli utili idioti.
Sicché, la giustizia, collocata da Dio stesso accanto alla pace quale sua partner naturale, continua a destare, purtroppo, più sospetto di quanto non susciti scandalo quando viene collocata, sia pure come aggettivo, accanto alla guerra. Tant'è che si parla ancora di "guerra giusta".
Questa sì che è convivenza contro natura!
…nella pienezza dei tempi
Carissimi amici, anche per quanto riguarda la pace è giunta la pienezza dei tempi.
E come nella pienezza dei tempi Gesù, nostra Pace, ci ha rivelato la Paternità di Dio, nostra Giustizia, e ci ha rivelato anche lo Spirito che è Signore e dà la vita a ogni creatura, così oggi abbiamo il privilegio di capire che l'annuncio della Pace si completa, oltre che con la lotta per la giustizia, anche con l'impegno per la salvaguardia del creato.
Quello della tutela dell'ambiente non è l'ultimo ritrovato della nostra furbizia brontolona o delle nostre strategie del consenso. Non è ammiccamento alle mode correnti. Ma è un compito primordiale che ci sovrasta come partner dello Spirito Santo, affinché la terra passi dal "Kàos", cioè dallo sbadiglio di noia e di morte, al "Kòsmos", cioè alla situazione di trasparenza e di grazia.
Tra otto giorni celebreremo la festa di Pentecoste e noi ripeteremo l'invocazione "Manda il tuo Spirito, Signore: tutto sarà ricreato, e rinnoverai la faccia della terra".
La faccia della terra.
La crosta della terra.
La pelle di questa nostra terra, deturpata dagli inquinamenti, invecchiata dalle nostre manipolazioni, violentata dalle nostre ingordigie.
Ebbene, questa pelle diventerà fresca come la pelle di un adolescente. E si realizzerà la splendida intuizione dì Isaia che, addirittura invertendone l'ordine, aveva collegato insieme salvaguardia del creato, giustizia e pace: "In noi sarà infuso uno Spirito dall'alto. Allora il deserto diventerà un giardino.. e la giustizia regnerà nel giardino.. e frutto della giustizia sarà la pace". (Is 32,15-17). Il deserto, quindi, diventerà un giardino. Nel giardino crescerà l'albero della giustizia. Frutto di quest'albero sarà la pace!
C'è da chiedersi: è mai possibile che questa visione trinitaria della pace, così saldamente fondata sui plinti della Sacra Scrittura, abbia tanto stentato a diffondersi perfino nelle nostre Chiese?
La risposta è semplice: se solo ora dal monoteismo assoluto della pace siamo passati al monoteismo trinitario, è perché siamo giunti davvero alla pienezza dei tempi.
Il che non significa che ormai il discorso sia acquisito. Tutt'altro.
Come per il discorso trinitario su Dio, nei primi dieci secoli del cristianesimo, si sono sostenute tante lotte, sono scoppiate tante dispute, e sono celebrati tanti Concili; così sarà per il discorso trinitario sulla pace.
Nicea... Costantinopoli... Efeso!
Assisi... Basilea... Seoul!
Vogliamo salutare, in questo momento, dall'Arena di Verona, i delegati delle Chiese italiane che dal 16 al 21 maggio saranno a Basilea.
E proprio perché siamo consapevoli dell'importanza che questo avvenimento racchiude, vogliamo salutarli con lo stesso entusiasmo con cui i fedeli delle prime comunità cristiane salutavano i loro vescovi che partivano per i grandi concili ecumenici.


2. Il Dio dei filosofi e il Dio di Gesù Cristo

La seconda cosa che voglio dirvi, strettamente collegata con la prima, è questa: il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, il Dio dei profeti, il Dio che in Gesù ha manifestato il suo volto trinitario, non è il Dio di Socrate, di Platone, di Aristotele, delle accademie, dei filosofi insomma.
Il Dio dei filosofi è l'ultima conclusione della nostra attività raziocinante.
E' la soglia suprema messa in cima a tutta l'impalcatura degli umani sillogismi.
E' la casa che svetta sui basamenti della nostra logica organica.
La sua tenuta dipende dalla saldezza dì questi basamenti. Se un solo passaggio razionale cede sotto l'urto di un ragionamento opposto, ruzzola anche Dio che ci sta sopra.
Il Dio dei filosofi, insomma, è un Dio che regge solo se è garantito dalla sicurezza dei nostri argomenti.
E poi non scalda. Non coinvolge. Non ti riempie di passione.
Accettare questo Dio è come sposare una donna di cui hai preso tutte le misure, di cui ti sei fatto consegnare tutti i certificati di garanzia, e contro i cui rischi di abbandono ti sei premunito con mille polizze di assicurazione.
Il Dio di Gesù Cristo è diverso.
Non viene dal basso. Ci è stato rivelato dall'alto. Non è frutto della carne e del sangue della nostra sapienza terrena. E' un Dio garantito solo dalla nudità della nostra fede.
Non è un Dio a cui ci si aggrappa con i funambolismi della mente. Ma un Dio a cui ci si abbandona con la fiducia del cuore, dietro un richiamo che inesorabilmente ti precede.
Attenzione! Non è che si voglia disprezzare la fatica della ricerca umana o che si intenda svilire l'importanza di un Dio trovato dagli sforzi del nostro pensiero. No! Quella della ricerca razionale di Dio è una fatica benedetta, che ogni cristiano deve compiere con tutti gli altri uomini che lo cercano con cuore sincero. Diciamo solo che questo Dio, dopo che l'abbiamo trovato, non ci appaga. Anzi, non ci si può chiamare neppure credenti per il semplice fatto di averlo raggiunto attraverso gli impervi sentieri del pensiero.
Il Dio vero, quello di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, quello rivelatoci da Gesù, è totalmente Altro ed è totalmente Oltre.
E noi credenti, dopo aver condiviso la fatica del pensiero con tutti i ricercatori onesti, dobbiamo essere l'indice puntato verso questo totalmente Altro e totalmente Oltre.
La pace del mondo e la pace di Gesù Cristo
Ed eccoci al momento cruciale di questa seconda riflessione.
Per la pace vale lo stesso discorso che si è fatto per Dio.
C'è una pace dei filosofi. E c'è una pace di Cristo.
La prima è quella prodotta dai nostri sforzi diplomatici, costruita dai dosaggi delle cancellerie, frutto degli equilibri messi in atto dalle potenze terrene. Al punto che, se una sola condizione va in crisi, si rompe il giocattolo e ruzzola tutto intero il castello.
La pace di Cristo, invece, è quella che non esige garanzie, che scavalca le coperture prudenziali, e che resiste anche quando crollano i puntelli del bilanciamento fondato sul calcolo.
Questo è il senso profondo dell'espressione evangelica che proprio oggi è risuonata nella Messa: "vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come ve la dà il mondo, io la do a voi" (Gv 14,27)
Questo è il salto di qualità a cui ci provoca la frase divenuta ormai celebre di D. Bonhoeffer: "Osare la pace per fede".
Ci riempie di commozione un testo che questo grande testimone del Risorto scrisse nel 1934, e che è divenuto un monito per noi: "Una via alla pace che passi per la sicurezza non c'è. La pace infatti deve essere osata. E' un grande rischio, e non si lascia mai e poi mai garantire. La pace è il contrario della garanzia. Esigere garanzie significa diffidare, e questa diffidenza genera di nuovo guerre. Cercare sicurezze significa volersi mettere al riparo. Pace significa affidarsi interamente al comandamento di Dio, non volere alcuna garanzia, ma porre nelle mani di Dio Onnipotente, in un atto di fede e di obbedienza, la storia dei popoli... Chi rivolgerà l'appello alla pace così che il mondo oda, che sia costretto a udire?... Solo la Santa Chiesa di Cristo può parlare in modo che il mondo, digrignando i denti, debba udire la parola della pace, e i popoli si rallegreranno perché questa Chiesa di Cristo toglie, nel nome di Cristo, le armi dalla mano dei suoi figli e vieta loro di fare La guerra e invoca la pace di Cristo sul mondo delirante".
Carissimi amici, come per la ricerca di Dio abbiamo detto che non intendiamo svilire lo sforzo della fatica razionale, anzi la incoraggiamo e la sosteniamo, ma sentiamo anche il dovere di indicare il totalmente Oltre e il totalmente Altro di Dio, sulla base di ciò che Cristo ci ha rivelato di Lui, così per quanto riguarda il mistero della pace, col più grande rispetto per lo sforzo che il mondo laico sta compiendo, e con la gioia più grande nel vederci accomunati come credenti accanto a tanti camminatori di ogni fede, sentiamo il dovere di dare il nostro contributo specifico, originale, coraggioso!
E il nostro contributo è quello di essere segno dell'inquietudine, richiamo del "non ancora", stimolo dell'ulteriorità. Spina dell'inappagamento, insomma, conficcata nel fianco del mondo.
Per un a Chiesa coraggiosa e profetica
Riconosciamolo. Come Chiesa accusiamo ancora pesanti deficit di "parresia". Siamo ancora fermi alla pace dei "filosofi", e non ci decidiamo ad annunciare finalmente la pace dei "profeti".
Dovremmo essere indice puntato verso il totalmente "altro", e verso il totalmente "oltre" gli isolotti raggiunti dalle minuscole asfittiche paci terrene, e invece siamo spesso prigionieri del calcolo, vestali del buon senso, guardiani della prudenza, sacerdoti dell'equilibrio.
E' vero, sì, che i "profeti" debbono tenere conto delle lentezze con cui i "re" elaborano le mediazioni e le fanno camminare nella prassi quotidiana. E' vero anche che devono accettare di vedersi sempre tra le mani eccedenze di annunci che non verranno mai canalizzare in scelte storiche concrete. Ma non tocca ai profeti operare riduzioni in scala. E sarebbe ben triste che a provocare cadute di tensione, per quel che riguarda l'annuncio della pace, dovessero essere proprio loro.
In certe comunità si densifica sistematicamente il sospetto. Si paventano strumentalizzazioni anche nelle scelte più generose a favore degli ultimi.
Ogni occasione è buona per opporre, allo spirito delle intuizioni evangeliche di pace, il rigore della lettera che uccide. Si spiano annidamenti di "discordanze" col magistero ufficiale, a ogni svolta di frase.
Talvolta, per frenare la valanga inarrestabile della profezia, si fa uso maldestro e ingeneroso perfino di estemporanee espressioni del Papa, resecate dal loro contesto e scorniciate dal genere letterario confidenziale e bonario con cui sono state pronunciate. E non si tiene conto, invece, di tutto il magistero audace e non ancora dissepolto di questo Pontefice, che ormai in ogni suo discorso ci sprona ad "affrontare la tremenda sfida dell'ultima decade del secondo millennio", con l'imperativo etico della solidarietà, e va denunciando in tutto il mondo, come nessun altro, le "strutture di peccato" che opprimono i poveri!
Siamo arrivati al punto che, come cristiani, ci troviamo oggi nella necessità di dover recuperare i forti distacchi in tema di pace, che una moltitudine di non credenti ha inflitto a noi, titolari delle inesauribili riserve utopiche del Vangelo!
La paura dell'olocausto nucleare ha fatto fare a loro più strada di quanta non ne abbiano fatta fare a noi la fede, la speranza, e l'amore.


3. Ceri pasquali e non lucignoli fumiganti

In piedi, allora, costruttori di pace.
Non abbiate paura! Non lasciatevi sgomentare dalle dissertazioni che squalificano come fondamentalismo l'anelito di voler cogliere nel "qui" e nell'"oggi" della Storia i primi frutti del Regno.
Sono interni alla nostra fede i discorsi sul disarmo, sulla smilitarizzazione del territorio, sulla lotta per il cambiamento dei modelli di sviluppo che provocano dipendenza, fame e miseria nei Sud del mondo, e distruzione dell'ambiente naturale.
Fin dai tempi dell'Esodo, non sono più estranee alla Parola del Signore le "fatiche di liberazione degli oppressi dal giogo dei moderni faraoni.
Coraggio! Non dobbiamo tacere, braccati dal timore che venga chiamata "orizzontalismo" la nostra ribellione contro le iniquità che schiacciano i poveri. Gesù Cristo, che scruta i cuori e che non ci stanchiamo di implorare, sa che il nostro amore per gli ultimi coincide con l'amore per lui.
Se non abbiamo la forza di dire che le armi non solo non si devono vendere ma neppure costruire, che la politica dei blocchi è iniqua, che la remissione dei debiti del Terzo Mondo è appena un acconto sulla restituzione del nostro debito ai due terzi del mondo, che la logica del disarmo unilaterale non è poi così disomogenea con quella del vangelo, che la nonviolenza attiva è criterio di prassi cristiana, che certe forme di obiezione sono segno di un amore più grande per la città terrena… se non abbiamo la forza di dire tutto questo, rimarremo lucignoli fumiganti invece che essere ceri pasquali.
Ce lo auguriamo con le parole di Bonhoeffer a Basilea, "vogliamo parlare a questo mondo, e dirgli non una mezza parola, ma una parola intera. Dobbiamo pregare perché questa parola ci sia data". E noi pregheremo.
Anzi, è proprio dall'Arena di Verona, in questo splendido vespro di primavera, che vogliamo cominciare il grande settenario, in preparazione alla Pentecoste che celebreremo domenica.
E invocheremo lo Spirito Santo. Non solo perché rinnovi il volto della terra. Ma anche perché faccia un rogo di tutte le nostre paure.
Pubblicato in Dossier Pace
Giovedì 03 Marzo 2005 00:37

Una storia per la pace (Enrico Peyretti)

Una storia per la pace
di Enrico Peyretti

"La storia sarebbe una gran bella cosa, se solo fosse vera" (detto attribuito a Lev Tolstoj)

"La storia è una bugia su cui ci si è messi tutti d'accordo" (Napoleone)

Intendo che il compito dato a questo intervento sia la ricerca di un modo di concepire e raccontare la storia, tale da contribuire alla possibilità della pace. Perciò non darò qui bibliografie sulle ricerche storiche di pace, che possono essere trovate altrove (1).

Proverò invece a rispondere a tre domande: quale concezione della storia per una cultura di pace?; quale sentimento di fronte alla storia e quale ricerca storica contribuiscono alla pace?

Il presupposto, che mi pare ovvio, è che la storia non si impone a noi come un oggetto dato, ma noi la vediamo, la raccontiamo, la leggiamo, la orientiamo, la pratichiamo in una direzione o nell’altra, nella logica della violenza o della costruzione pacifica, secondo lo spirito con cui la viviamo e la osserviamo. La scelta preliminare della pace positiva dà luce su un certo profilo della storia, sia come pensiero interpretativo dei fatti passati, sia come azione presente nel mondo.

NOTE

    1. Una bibliografia da me curata, più volte pubblicata in edizioni successivamente crescenti e pur sempre incomplete, può essere richiesta a Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo. . Una sua sintesi è stata pubblicata in Effe, n. 9, estate 1998, rivista bibliografica delle Librerie Feltrinelli e, nell'aggiornamento a quella data, nell'Annuario di pace, Italia/maggio 2000-giugno 2001, Trieste, Asterios, 2001, pp. 339-352.



    1. Quale concezione della storia?

    La storia può essere pensata almeno secondo tre principali concezioni, ognuna delle quali può prevalere senza necessariamente escludere del tutto le altre:

    1. storia determinata o guidata principalmente da una dinamica di forze materiali: economiche, militari, organizzative, quantitative;

    2. oppure storia mossa da energie e risorse dello spirito umano, cioè come possibile progresso umano, possibile evoluzione umanizzatrice, civilizzatrice;

    3. storia composta da forze non solo umane ma umane e divine in libera sinergia, per l'affermazione del bene sul male (la salvezza), come nelle visioni religiose (dette di solito provvidenzialiste, termine che non deve essere inteso nel senso di fatalistiche e necessarie), specialmente nelle religioni storico-profetiche, del ceppo di Abramo, meglio che in quelle cosmiche, del ceppo indù (2).

    La prima di queste immagini della storia è quella che più facilmente si impone. Per esempio, i fatti del 1989 nell'Europa dell'Est, sono stati interpretati come la vittoria militare ed economica dell'Occidente nella terza guerra mondiale non combattuta, ma pur sempre decisa dalla forza militare, negando importanza decisiva, pur insieme ad altri fattori, alle rivoluzioni popolari nonviolente (3).

    Molte generazioni, ancora alcuni di noi, hanno imparato a scuola che la storia è mossa e promossa in definitiva dalle guerre, perché la storiografia è stata per lo più opera degli scribi delle corti e dei governi, occupati nelle guerre, o degli intellettuali delle classi dominanti. Poi è venuta l'attenzione degli storici alla vita dei popoli, fino alla microstoria del quotidiano, ben più seria, reale, interessante e istruttiva. Se la storia è questa, se è la storia della vita, allora essa comprende la guerra e la pace, l'amore e l'odio, la distruzione e la costruzione.

    La seconda visione della storia come fatta dallo spirito umano è propria non solo delle filosofie idealiste, ma anche delle filosofie etiche.

    Gandhi, quando gli viene contestato che la nonviolenza è fuori dalla storia, scrive: "La storia in realtà è una registrazione di ogni interruzione della costante azione della forza dell'amore o dell'anima [...], è una registrazione di un'interruzione del corso della natura. La forza dell'anima, essendo naturale, non viene registrata dalla storia". La storia è dunque, per Gandhi, un sismografo, che non scrive nulla quando la terra vive tranquilla e non trema, e si sveglia solo per registrare distruzione e morte. Gandhi dice pure che "il fatto che vi sono ancora tanti uomini vivi nel mondo dimostra che questo non è fondato sulla forza delle armi ma sulla forza della verità e dell'amore" (4).

    Cioè, questo fatto dimostra per Gandhi che la storia reale dell'umanità non è quella delle guerre. La vera storia è il tessuto continuo della vita, nel quale prevale, pur con mille limiti, la cooperazione; nel quale procedono le cose umane, pur con i problemi che la vita sa risolvere più o meno bene. In questo tessuto, violenza e guerre ne sono soltanto gli strappi. Le guerre e la violenza, anziché essere la storia, sarebbero proprio la non-storia, l'arresto e i vuoti della storia umana.

    Aldo Capitini ha questa idea della storia: "La storia vivente ha dimensioni molto più vaste di quella scritta. La storia non ha soltanto aperto questa strada, costruito questo argine, spostate queste pietre dal monte alla piazza architettonica; la storia ha dato moltissimo a me direttamente e interiormente, mediante l'umanità scesa in me dai miei, e abitudini, tendenze, linguaggio, mentalità, che provengono dalla storia e continuano in essa. Anche riguardo a cose elementari la storia mi ha mutato; e certamente non guardo l'alba, il monte, il mare, con lo stesso animo con cui avrei guardato quegli eventi così semplici tremila anni fa. Ormai non posso e non debbo disfarmi dell'attestazione interiore dei valori, perché mi parrebbe di spiantare la ragione d'essere e di svilupparsi di qualsiasi coscienza umana" (5). La sostanza della storia degli uomini è ciò che altrove Capitini chiama la "costruzione corale dei valori", che avviene nell'intimo, nel silenzio, nel continuo delle esistenze, nelle loro dimensioni di incontro e non di scontro eliminatorio.

    Per Levinas la ragione totalitaria, linea di fondo della filosofia occidentale, eleva la storia universale a giudizio inappellabile dell'operato dei singoli, considera la guerra come strumento risolutivo del confronto politico, e infine giustifica tutti i regimi totalitari (6).

    Ma col termine "infinito" opposto a "totalità", egli indica ciò che rompe la totalità, ed è la relazione etica, che sorge dall'appello veniente dal volto bisognoso ed indifeso dell'altro uomo. Questo atto etico non ha bisogno di alcun riconoscimento da parte del giudizio storico per essere sensato, e neppure ha bisogno della promessa religiosa (7), perché è esso stesso significazione di senso. L'atto etico è dunque la vera vicenda umana, che realizza l'umano, e non dipende dal cosiddetto successo storico (8).

    La storia registrata e celebrata, dunque, non è tutta la realtà. Uno dei "convincimenti etici fondamentali" che "molta parte, la parte migliore dell'umanità, ha posto a base del suo vivere in società, ha espresso in una straordinaria varietà di culture popolari tra loro non isolate e ha trasmesso, soprattutto attraverso la sapienza della donna, sino al momento presente", uno di questi convincimenti è "la tranquillità e la pace che vengono dalla certezza di una giustizia non affidata alla storia" (9).

    Anche Gianni Vattimo, rifacendosi a Marcuse, ha espresso l'idea che la storia abbia come senso la riduzione della violenza (salvo poi vedere senz'altro la modernizzazione come effettiva riduzione di violenza, che è giudizio ben discutibile) (10). E dunque, quando avanza la violenza, la storia umana si arresta o arretra, e viceversa.

    Tutti questi modi di interpretare il cammino attraverso vicende che hanno come protagonista eminente lo spirito umano, vedono la storia come consistente soprattutto nelle opere di pace.

    Nella terza delle concezioni indicate, la visione religiosa o teologica della storia come storia della salvezza, attraverso i liberi e fallibili atti umani Dio vive insieme all'uomo la liberazione dal male e la crescita nel bene. Nessuna necessità divina sostituisce l'uomo, ma l'alleanza di Dio lo accompagna. La storia non è garantita dal rischio di fallire (la fedeltà infedele del popolo d'Israele nella Bibbia ebraica, poi, nella Bibbia cristiana, l'immagine mitica dell'inferno e della dannazione, o della distruzione apocalittica, significano questa possibilità di fallimento personale e collettivo), ma è sostenuta dalla speranza attiva. In particolare, nel cristianesimo, Dio si è abbassato (kenosis di cui parla la lettera di Paolo ai Filippesi 2,5-l1) nella condizione umana per condividere con l'umanità tutta l'esperienza del male e dell'ingiustizia più assurdi, per spezzarne l'assolutezza del potere con la forza dell'amore totale e infinitamente vitale. Questa storia di Dio con l'uomo si svolge non nei momenti isolati del rito religioso, ma nel tempo comune, dentro la storia umana, laica, quotidiana, fermentandola senza forzarla. Attraverso la libera fede e la risposta attiva e pratica, nella vita vissuta come amore, si compie la promessa e la profezia di salvezza, come disse Gesù nella sinagoga di Nazareth: "oggi questa parola si realizza tra voi" (11).

    Questo genere di vita nell’amore generoso e sovrabbondante, non può essere altro che costruzione di una storia di pace. In questa visione, la storia vera e salvifica è in corso, è il cuore di tutta la vicenda umana, ed è storia di pace attiva, nella lotta interiore contro il male, nella resistenza forte opposta alla violenza, ma nel perdono e nella mitezza anche verso il violento, per riguadagnarlo all'umanità.

    NOTE

      2. Per questa distinzione, che non va forzata, vedi. H. Küng , Cristianesimo e religioni universali, Milano, Mondadori, 1986, pp. 327-329; A. Rizzi, Il senso e il sacro. Lineamenti di filosofia della religione, Torino, Editrice Elle Di Ci, 1995, pp. 61-70. Raimon Panikkar, filosofo e teologo interculturale, euro-indiano, propone la visione della storia cosmo-teandrica, composta da energie naturali, divine, umane.

      3. Mi scriveva Norberto Bobbio, in una lettera del 10 settembre 1994: "La ragione principale per cui sono capi quei regimi, a cominciare da quelli della Germania Orientale, e della Russia stessa, è la sconfitta in una guerra (la guerra fredda), non combattuta, ma vinta, se non con l'esercizio diretto della violenza, con la minaccia d'una violenza, che si è manifestata alla fine di per sé stessa efficace. La pratica della nonviolenza non c'entra". G. Salio, in Il potere della nonviolenza, Torino, Gruppo Abele 1995, esamina una dozzina di diverse interpretazioni di quegli eventi, scegliendo poi quella di Johan Galtung, che riconosce tra i fattori decisivi l'azione popolare nonviolenta.

      4. M. GANDHI, Teoria e pratica della non violenza, Torino, Einaudi, 1996, pp. 64-65.

      5. A. CAPITINI, La vita religiosa, 2ª edizione, Bologna, Cappelli, 1985, p. 24, citato anche in G. ZANGA, Aldo Capitini. La sua vita, il suo pensiero, Torino, Bresci editore, 1988, p. 78.

      6. E. LEVINAS, Totalità e Infinito. Saggio sull'esteriorità, Milano, Jaka Book, 1990, pp 19 20.

      7. ID., Etica e infinito. Dialoghi con Philippe Nemo, Roma, Città Nuova, 1984, p. 124

      8. Cfr. G. FERRETTI, La filosofia di Levinas. Alterità e trascendenza, Torino, Rosenberg & Sellier, 1996, pp. 102-103, 156-162,262-263.

      9. P.C. BORI, Per un consenso etico tra culture, 2ª edizione, Genova, Marietti, 1995, p. 108.

      10. N. BOBBIO, G. BOSETTI, G. VATTIMO, La sinistra nell'età del karaoke, I libri di Reset Roma, Donzelli 1994. p. 54,

      11. Cfr vangelo di Luca 4,21. Questa lettura del cristianesimo non anzitutto come dottrina, nè morale, né culto rituale, ma come storia profetica, storia santa in atto, lettura che era più chiara nella teologia biblica del primo millennio cristiano, è richiamata oggi efficacemente, per esempio, da un grande monaco, scomparso nel novembre del 2000, Benedetto Calati, i cui saggi principali si possono vedere nella raccolta Sapienza Monastica, Roma, Studia Anselnilana, 1994. Nell'Introduzione a questo volume, Innocenzo Gargano scrive: "La profezia è insomma il mistero che si dispiega progressivamente nelle manifestazioni della bellezza cosmica, nella storia dei popoli, nel mistero nascosto in ogni uomo e donna e nella crescita di ciascun individuo", op. cit., pp. 55-56. Una più rapida e colloquiale esposizione del pensiero di Calati si trova nell'intervista-testamento raccolta da R. LUISE in La visione di un monaco, Assisi, Cittadella, 2000.



      2. Quale sentimento della storia?

      Questa seconda domanda vuole individuare gli atteggiamenti profondi ed esistenziali, prima che elaborati ed interpretativi, con cui gli umani si pongono davanti agli avvenimenti e ai movimenti della storia umana: atteggiamenti e sentimenti di rassegnazione e adattamento a ciò che avviene? Oppure volontà di cambiamento verso un maggior valore, verso un senso migliore, discernendo bene e male, giusto e ingiusto, positivo e negativo? E quale sarà il criterio distintivo tra questi opposti?

      Se ci si pone davanti alla storia avvenuta e alla storia in atto in modo attivo e positivo, il passato sarà osservato per trarne esperienza, ma non sarà proiettato sul presente e sul futuro come una legge fatale, ed il futuro potrà essere progettato e voluto con caratteri migliori di tante situazioni ed eventi del passato.

      Qui entra in gioco davvero l'opzione profonda tra violenza e nonviolenza, tra la legge della forza e della sopraffazione da un lato e, dall'altro lato, la legge dell'equivalenza, cioè dell'uguale valore tra gli esseri umani e del necessario reciproco rispetto assoluto. La "regola d'oro" presente in tutte le culture umane, detta in decine di modi diversi ma analoghi (ne ho raccolti circa venticinque), esprime e comanda questa equivalenza e questo rispetto: non fare agli altri quel che non vorresti fosse fatto a te (in negativo); fai agli altri quel che desideri che gli altri facciano a te (in positivo).

      L'opzione è dunque essenzialmente morale, ed avviene nell'intimo dell'animo umano, nella libera (relativamente ma realmente libera) decisione fondamentale. Come opzione fondamentale, essa può essere contraddetta da singoli atti della persona, ma vale ancora se rimane l'orientamento di fondo di quella persona.

      Di fronte al male pesantemente presente nella storia e nel presente, la persona che ha scelto di agire secondo la regola d'oro, impegnandosi a superare la violenza della storia anzitutto a cominciare da sè (12), imparerà a indignarsi senza odiare (13), ad impegnarsi, sentendosi presa-in-pegno dal valore degli altri, sentendo che il confine buoni-cattivi, bene-male non passa tra due campi o categorie, ma tra due comportamenti, due spiriti e atteggiamenti tra i quali ognuno ha da scegliere e decidersi, dentro di sé.

      NOTE

        12. Cfr. E. HILLESUM: "È proprio l'unica possibilità che abbiamo, Klaas, non vedo altre alternative, ognuno di noi deve raccogliersi e distruggere in sé stesso ciò per cui ritiene di dover distruggere gli altri" (Diario 1941-1943, Milano, Adelphi, 1985, p. 212).

        13. N. NERI, autrice di Un'estrema compassione. Etty Hillesum testimone e vittima del lager, Milano, Bruno Mondadori, 1999, nel quale mostra come nessuna vittima, nel Novecento, era riuscita come lei a "trasformare il dolore in forza", evidenzia la centralità in Etty Hillesum dell'indignarsi senza "odiare", in un intervento torinese del maggio 2000, ora leggibile nell’opuscolo Il pensiero di un 'estrema compassione, Coop. Studi, via Ormea 69, 10125 Torino, tel 011-650.31.58, Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo. , p- 35.




        3. Quale ricerca storica?

        La ricerca, in generale, dipende da ciò che già si preconosce in parte e per ciò si desidera conoscere, proprio perché non si conosce del tutto: Eros, per Platone, è figlio di ricchezza e povertà: ha e non ha ciò che cerca; è filosofo chi non è sapiente come gli dei, né ignorante come gli animali bruti, ma ha un po' di sapienza e ne desidera altra, come gli esseri umani; Agostino intuisce che Dio dice a chi lo cerca: "Non mi cercheresti se non mi avessi già trovato".

        Che cosa si cerca nella storia? La scelta degli oggetti, degli ambiti, dei profili che andiamo a cercare nel mare immenso della realtà storica dipende dai sentimenti con cui alla storia guardiamo. E questi derivano dalla prime esperienze dell'esistenza personale, dalla cultura in cui si viene educati, e infine dalle scelte morali con cui personalmente si reagisce alle influenze ricevute e alla realtà incontrata.

        In conseguenza di ciò che ognuno cerca e va a vedere nella storia, si forma la propria concezione della storia. La quale è quell'immagine del cammino umano nel tempo che una data tradizione, un dato insegnamento, una data ricerca e un dato orientamento personale ci danno. Una certa selezione dei fatti storici, da un certo punto di vista, forma quella certa filosofia della storia, che poi determina l'ottica con cui torniamo a cercare fatti e significati nella storia conoscibile. La ricerca storica dipende dal sentimento con cui guardiamo la storia e plasma l'idea della storia, che continuerà a guidare la nostra ricerca. Se abbiamo visto solo guerre e non abbiamo reagito con una indignazione attiva e impegnata a vedere di più, continueremo a vedere solo guerre, a cercare solo guerre nel passato, e a non aspettarci altro che inevitabili guerre nel futuro.

        Per esempio, nei fatti del 1989, Johan Galtung vede la combinazione di tre fattori: il primato della politica, la politica di pace, il potere popolare dei due tipi di movimenti di base, per la pace all'ovest, del dissenso all'est, perché, in quanto cercatore di pace, ha la vista preparata a riconoscere le condizioni che rendono possibili grandi rivolgimenti politici senza uso di violenza. Altri, i più, anche Bobbio, hanno visto soltanto la maggiore minaccia militare e la più forte pressione economica come causa della vittoria occidentale nella guerra non combattuta, ma rimasta minaccia effettiva, la Guerra Fredda. Così la guerra, le armi, la sopraffazione sono riconosciute regine inamovibili della storia (14).

        Un altro esempio: la Resistenza italiana al nazifascismo è stata per lungo tempo interpretata unicamente in termini militari. Anna Bravo ha ricordato che nel dopoguerra l'apposita commissione del Ministero della Difesa riconosceva la qualifica di partigiano soltanto a chi aveva partecipato a tre azioni armate (15).

        Ma Anna Maria Bruzzone affermava: "Nel nostro libro (16) abbiamo dato lo stesso valore a chi ha sparato e a chi ha nascosto in casa gli ebrei" (17).

        Nel lavoro citato alla nota 15, La Resistenza civile nelle ricerche storiche, ho cercato di seguire e dimostrare l'evoluzione, fino al 1995, della storiografia della Resistenza nello scoprire e riconoscere la realtà della resistenza civile. Claudio Pavone, che, nel suo saggio maggiore del 1991 (18) era rimasto insensibile alla ricerca della resistenza civile, non armata, nel 1995 riconosceva chiaramente, grazie al lavoro di Bravo e Bruzzone, il "valore euristico" del concetto di resistenza civile, che è "qualcosa di più ampio della cosiddetta resistenza passiva (19)

        Jacques Semelin, il maggiore storico europeo della resistenza civile, ha scritto nella sua opera principale: "Non è stata la sola curiosità storica a motivare questa ricerca: essa è nata da un interrogativo più profondo, di natura etica e strategica, sulle capacità delle società di resistere senz'armi ad una aggressione (o occupazione militare o potere totalitario)" (20).

        Dunque, sono il bisogno e il desiderio di vedere che permettono allo storico serio di vedere, non di sognare, ciò che senza quel desiderio non saprebbe vedere. Il bisogno e la scelta della pace permettono di vedere la pace anche nella storia e non solo nell'utopia. Il pensiero desiderante, spesso disprezzato dai realisti duri, aiuta, guida, illumina la conoscenza della realtà effettiva.

        Per superare la guerra, metterla fuori dalla storia, liberare l'umanità da questo flagello, bisogna inventare e valorizzare le alternative. In questo modo bisogna vedere anche la storia, evidenziando non tanto le paci imposte dai vincitori ai vinti, che sono l'atto di guerra culminante e lo scopo delle guerre stesse, non le paci-intervallo tra le guerre, ma le paci-invece-delle-guerre, cioè i conflitti condotti a soluzioni non distruttive e non omicide.

        Così pure, è da fare anche una storia controfattuale. Non è vero che la storia non si fa con i "se". È invece importante studiare le alternative di pace lasciate cadere, o non viste per incapacità immaginativa, o soffocate per volontà contraria, e ipotizzare le differenti condizioni ed opportunità che ne sarebbero seguite. Non è vero che la storia si fa unicamente con i fatti pesantemente avvenuti. Anche le occasioni perse sono realtà storica da meditare, per fare oggi e domani una storia di qualità umana migliore.

        Questa è ricerca storica per la pace. La ricerca delle alternative alla guerra è particolarmente convincente quando è possibile rintracciare, nella storia fattuale, casi reali (pochi o tanti) di difesa dei giusti diritti, di liberazione da un'oppressione, di lotte condotte senza riprodurre la violenza omicida che si vuole respingere. Quel che è fatto è possibile, anche se appare difficile. La dominante cultura di guerra ha di fatto ignorato queste forme di resistenza e di liberazione, facendole apparire impossibili. A questa scoperta un ramo della cultura della pace sta lavorando in questi anni.

        A conclusione della presente relazione, segnalo il libro di due intrepidi ricercatori per la pace dell'Università di Granada (21), che imposta precisamente il lavoro per una Storia della Pace. Da questa opera traduco alcune righe, a pag. 29, nelle quali si può vedere una profonda consonanza col brano di Gandhi da me citato all'inizio:

        Vorremmo cominciare formulando questa asserzione: le esperienze pacifiche, di scambio, cooperazione, solidarietà, diplomazia, sono state dominanti nella Storia. E, tuttavia, questa è una storia che, forse perché la sua quotidianità e naturalezza non lasciano tracce visibili e dimostrabili, e perché nemmeno fa rumore, non ha avuto bisogno di essere fatta risaltare. Nei paragrafi seguenti proponiamo alcune linee sulle quali costruire una storia della pace: la pace silenziosa; la storia della socializzazione umana, della solidarietà e cooperazione; la storia e le esperienze della "bassa entropia"; la negoziazione come articolazione positiva di realtà in conflitto. Evidentemente, non saranno le uniche linee possibili per la costruzione della Storia della Pace (Peace History), ma con buona probabilità serviranno per alimentare il dibattito a questo riguardo". (In nota, è indicata la rivista Peace and Change come lo spazio nel quale si sono concentrati molteplici sforzi in tal senso).

        Alberto L'Abate ha studiato le precedenti esperienze di interventi alternativi alla guerra in zone di acuti conflitti (22) e ne ha realizzati egli stesso (23). Anche per questo aspetto di prima importanza del suo lavoro lo ringraziamo e lo festeggiamo oggi (24).

        NOTE

          14. Cfr. E. HILLESUM: "È proprio l'unica possibilità che abbiamo, Klaas, non vedo altre alternative, ognuno di noi deve raccogliersi e distruggere in sé stesso ciò per cui ritiene di dover distruggere gli altri" (Diario 1941-1943, Milano, Adelphi, 1985, p. 212).

          15. N. NERI, autrice di Un'estrema compassione. Etty Hillesum testimone e vittima del lager, Milano, Bruno Mondadori, 1999, nel quale mostra come nessuna vittima, nel Novecento, era riuscita come lei a "trasformare il dolore in forza", evidenzia la centralità in Etty Hillesum dell'indignarsi senza "odiare", in un intervento torinese del maggio 2000, ora leggibile nell’opuscolo Il pensiero di un 'estrema compassione, Coop. Studi, via Ormea 69, 10125 Torino, tel 011-650.31.58, Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo. , p- 35.

          16. Cfr. la lettera di Bobbio e il libro di G. SALIO, Il potere della nonviolenza, citati alla nota 3.

          17. Anna Bravo citata da E. PEYREITI in La Resistenza civile nelle ricerche storiche, in Fascismo, Resistenza, Letteratura. Percorsi storico-letterari del Novecento italiano, I Quaderni del Museo Nazionale del Risorgimento Italiano, n. 2, febbraio 1997, pp. 61-87. La citazione è a p. 67.

          18. A. BRAVO, A.M. BRUZZONE, In guerra senza armi. Storie di donne 1943-1945, Bari, Laterza, 1995.

          19. Cfr. La Resistenza civile..., cit. alla nota 15, p. 67.

          20. C. PAVONE, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, Torino, Bollati Boringhieri, 1991.

          21. Id., I percorsi di questo speciale, articolo introduttivo al fascicolo de Il Ponte, n. 1/1995, dedicato a Resistenza. Gli attori, le identità, i bilanci storiografici, p. 13.

          22. J. SEMELIN, Senz'armi di fronte a Hitler, Torino, Sonda, 1993. p. 13.

          23. Historia de la Paz. Tiempos,, espacios y actores, a cura di F.A. Munoz, M. Lòpez Martìnez, Colleccion Eirene, n. 12, Instituto de la Paz y los Conflictos, Granada, Universidad de Granada, 2000.

          24. A. L'ABATE, Forze nonarmate e nonviolente di pace. I precedenti storici, in volontari di pace in Medio Oriente, a cura di Alberto L'Abate e Silvano Tartarini. I Quaderni della D.P.N.,. n. 21, Molfetta, Edizioni La Meridiana, 1993, pp. 17-35.

          25. Si veda, per esempio, il fascicolo citato nella nota precedente e, di A. L’ABATE, Kossovo: una guerra annunciata. Attività e proposte della diplomazia non ufficiale per prevenire la destabilizzazione nei Balcani, Molfetta, Edizioni La Meridiana, 1999. In questo libro L'Abate riassume l'attività che ha svolto per due anni nella "Ambasciata di pace" a Pristina.

          26. Il saggio qui pubblicato è una rielaborazione della relazione tenuta nel convegno in onore di Alberto L'Abate, per i suoi settant'anni: "La nonviolenza nella ricerca, nell'educazione, nell'azione", Torino, 12.02.2001.

          (Tratto da Quaderni Satygraha n. 4 – dicembre 2003 – pag. 105)

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