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Sabato, 19 Giugno 2004 02:11

Antico Testamento?

APPENDICE
La chiesa delle origini


Lettura ebraica e cristiana
dell’Antico Testamento
di Don Filippo Morlacchi


Antico Testamento?



  • Come denominare quella parte della Bibbia che precede il "Nuovo Testamento"? Escludiamo l’espressione "Vecchio Testamento" (come se fosse una cosa obsoleta e da buttare); accettiamo "Antico testamento", cogliendo un sfumatura di venerazione per la sua anzianità, in quanto è l’espressione più diffusa; preferiamo "Primo Testamento" o "Prima Alleanza", perché esprime al meglio la continuità dell’unica storia della salvezza. Ma per tanti studiosi oggi è solo la "Bibbia Ebraica". (A dire il vero, non è del tutto corretto, perché nel canone cattolico sono inseriti dei libri che non sono inseriti nel Canone Ebraico: sono i 7 libri di Tb, Gdt, 1 e 2Mac Sap, Sir, Bar, nonché alcune sezioni di Est e Dan. Alcuni di questi scritti inoltre ci sono pervenuti solo in greco o aramaico).


  • "La santa madre Chiesa, per fede apostolica, ritiene sacri e canonici tutti interi i libri sia del Vecchio che del Nuovo Testamento, con tutte le loro parti, perché scritti per ispirazione dello Spirito Santo (cfr. Gv 20,31; 2Tm 3,16)" [Dei Verbum 11]. Contro l’eresia di Marcione (II sec.), l’AT è essenziale alla vita della Chiesa: "I cristiani venerano l’Antico Testamento come vera Parola di Dio. La Chiesa ha sempre energicamente respinto l’idea di rifiutare l’Antico Testamento con il pretesto che il Nuovo l’avrebbe reso sorpassato (Marcionismo)" (CCC 123).


  • "L’AT è il fondamento comune, la radice teologia e storica del giudaismo e del cristianesimo. […] La problematica della teologia cristiana dell’ebraismo si acuisce poi, allorché si comincia a intuire che il giudaismo prolunga e vive realmente – benché in maniera diversa dal cristianesimo – l’AT e il modo in cui lo fa. Israele non è riconducibile a un’entità biblica passata" (C. Thoma, Teologia cristiana del giudaismo, Marietti 1983, p. 17). Dunque c’è un valore permanente non solo dell’AT, ma anche dell’interpretazione che ne danno gli ebrei.


  • L’AT è parola di Dio; rivela dunque il mistero di Cristo; è "antico" in relazione al "nuovo". Ma ha anche una sua consistenza in sé: gli ebrei infatti considerano sacre ed ispirate le loro scritture, indipendentemente da qualunque riferimento alla persona di Gesù di Nazareth. L’ermeneutica [cioè "arte dell’interpretazione"] cristiana dell’AT/Bibbia ebraica è dunque diversa o addirittura incompatibile con quella ebraica?
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Sabato, 19 Giugno 2004 02:10

A Roma Paolo annuncia il Vangelo (28,16-30)

Da Gerusalemme a Roma
di Don Filippo Morlacchi


A Roma Paolo annuncia il Vangelo (28,16-30)


Gli Atti si concludono con l’annuncio del vangelo a Roma. Paolo è in custodia militaris molto mite, e annuncia il Vangelo con grande libertà. Ma prima vuol chiarire la faccenda con la comunità giudaica (in fondo è per accuse giudaiche che lui è a Roma): anche a loro annuncia il vangelo. La conclusione è che alcuno credono e altri no: questa è LA scissione nell’ebraismo, tra coloro che credono in Gesù Messia e coloro che non ci credono, e la conseguente apertura ai pagani.

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Sabato, 19 Giugno 2004 02:10

A Malta e poi Roma (28,1-15)

Da Gerusalemme a Roma
di Don Filippo Morlacchi


A Malta e poi Roma (28,1-15)


Ricevono una buona accoglienza (Paolo avrà fatto da interprete con la sua conoscenza dell’aramaico). L’episodio del serpente che non fa del male a Paolo ha richiami evangelici (Mc 16,18), come pure la capacità di imporre le mani e guarire il padre di Publio, che ospitò la comitiva per tre giorni. Ancora d’inverno (primi di febbraio 61 d.C.) salpano per Siracusa; poi Reggio; poi Pozzuoli, dove abbandonano la nave.

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Da Gerusalemme a Roma
di Don Filippo Morlacchi


Partenza per Roma, viaggio e naufragio (27,1-44)


Il discorso riprende con il "noi". Luca è stato probabilmente spesso da Paolo nei due anni di prigionia a Cesarea; ora lo accompagna nel viaggio. È in assoluto uno dei documenti di navigazione antica tra i più importanti per le scienze nautiche.


Era ormai estate inoltrata; bisognava partire presto per Roma, perché il mare Mediterraneo era considerato "chiuso" da novembre a marzo, a causa delle possibili tempeste. Settembre era già tardi… Salpano su una nave della Misia (esattamente di Adramitto, poco a sud di Troade) che tornava a casa, per fare un primo tratto di viaggio. Paolo è accompagnato da Luca e Aristarco, ma è consegnato al centurione Giulio, responsabile del suo arrivo a Roma. Breve tappa a Sidone, poi Cipro, poi in Licia (Turchia del sud). Cambio di nave, arrivo a Creta, località Buoni Porti. Paolo suggerisce di non proseguire, temendo la forza del mare (era passata la festa di Yom Kippur – giorno dell’espiazione – ai primi di ottobre). Vogliono raggiungere Fenice, un porto migliore dell’altra parte dell’isola, ove svernare; ma anche nella navigazione costiera li sorprende una tempesta.


Paolo è avvisato da un angelo che tutti si salveranno. Dopo 14 giorni di deriva nell’"Adria" (Mare Adriatico) si avvicina una costa, pur senza vederla. Lo scandaglio rivela 20 braccia (37 m.); poi 15 braccia (28 m.): rischio di incagliarsi contro scogli. La nave viene ancorata. Un tentativo di egoistico salvataggio da parte della ciurma è stroncato dalle guardie su indicazione di Paolo. L’indomani la nave si avvicina alla costa, ma si insabbia; le guardie vogliono uccidere i prigionieri per evitare che possano fuggire, ma il centurione lo impedisce. Pian piano tutti scendono a terra.

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Da Gerusalemme a Roma
di Don Filippo Morlacchi


Il giudizio di Agrippa e Berenice e il discorso di Paolo (25,13-26,32)


Agrippa II, figlio di Erode Agrippa I (quello che aveva fatto uccidere Giacomo: At 12) e pronipote di Erode il grande, era amante incestuoso di sua sorella Berenice (quest’ultima, tra l’altro, amante anche di Tito: una donna molto chiacchierata). Due spregevoli figure. Si presentano a Cesarea per salutare il nuovo procuratore. Festo parla loro di Paolo; Agrippa vuol fare l’esperto e chiede di parlarci.


Paolo si racconta; leggiamo la terza narrazione lucana dell’episodio di Damasco. I pagani sono stati l’ultimo obiettivo della sua missione ("infine": 26,20) e lui fino alla fine è fedele a Mosè e ai profeti. Festo lo prende per matto, Agrippa sembra quasi convinto (o forse si fa beffe di Paolo: "ti basterebbe poco per farmi convertire, eh?…"). Il tutto finisce con la faciloneria di una corte orientale.

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Da Gerusalemme a Roma
di Don Filippo Morlacchi


Il nuovo prefetto Festo e l’appello a Cesare (25,1-12)


Porcio Festo inizia il suo incarico, svolto con zelo, nel 60 d.C. A Gerusalemme per la presa di possesso, gli vien chiesto di far salire Paolo e poterlo giudicare (in realtà volendo ucciderlo prima dell’arrivo – chissà se i 40 stavano ancora digiunando). Festo invita a fare il contrario, cioè riscendere a Cesarea. Arrivano i giudei, e si tiene il processo; Festo, per ingraziarsi i nuovo sudditi, chiede se Paolo accetta di andare a Gerusalemme. Forse temendo il peggio, egli si appella a Cesare, sfuggendo agli accusatori e ottenendo un viaggio gratis a Roma, secondo i suoi desideri (19,21).

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Da Gerusalemme a Roma
di Don Filippo Morlacchi


Primo processo romano: davanti a Felice (24,1-27)


Per accusare Paolo vengono convocati da Gerusalemme Anania, alcuni anziani e l’avvocato Tertullo. Questi esordisce con un captatio benevolentiae e accusa Paolo di essere a capo della setta dei nazorei. Paolo risponde con un’apologia: si dichiara ebreo in tutto e per tutto, spiega di essere venuto per portare il frutto della colletta ai giudeocristiani e per il culto di shavuot; riferisce che tutto è nato dai giudei di Asia e riferisce l’esito del processo presso il sinedrio. Felice non prende decisioni e vuole sentire personalmente il tribuno Lisia. Paolo rimane custodia militaris (c’erano tre livelli di restrizione carceraria: custodia pubblica, ossia il carecere; custodia militaris, ossia rimanere incatenati ad un militare, ma liberi di muoversi o incontrare persone; custodia libera, ossia arresti domiciliari presso uno che si faceva garante).


Quel debosciato di Felice tenne così per due anni Paolo; lo presentò alla moglie Drusilla (della famiglia di Erode, donna immorale e approfittatrice, sorella di Agrippa II e Berenice) che volle sentirlo, e poi lo tenne in custodia sperando di estorcergli dei soldi: invano. Sarà stato umiliante per Paolo essere chiamato da quella coppia molle e decadente a parlare della fede solo per far passare il tempo e discutere superficialmente… (succede anche oggi in certe catechesi…).

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Sabato, 19 Giugno 2004 02:08

Complotto e trasferimento a Cesarea (23,12-35)

Da Gerusalemme a Roma
di Don Filippo Morlacchi


Complotto e trasferimento a Cesarea (23,12-35)


Una quarantina di esaltati fa voto di sciopero della fame fino all’uccisione di Paolo, chiedono al sinedrio di richiamare Paolo, e loro lo avrebbero eliminato prima dell’ingresso nell’aula. Ma il nipote di Paolo viene a saperlo, e informa Paolo. Il tribuno, furbo, sceglie di togliersi dall’impiccio spedendo Paolo all’autorità superiore: il procuratore Felice. Fa preparare una numerosa scorta e ordina il trasferimento notturno. Il prigioniero viene accompagnato dall’elogium, la lettera di presentazione in cui il magistrato inferiore si affida alla competenza del magistrato superiore a riassume gli estremi del caso come gli sono noti (in realtà egli modifica un po’ i fatti, a suo favore ed omettendo di averlo trattato non da cittadino romano). Di notte la carovana scende ad Antipatride e l’indomani a Cesarea; Paolo viene incarcerato nel palazzo fatto costruire da Erode il Grande, poi adibito a sede abituale del procuratore. Antonio Felice fu uomo ignobile ("esercitò il suo potere con animo da schiavo, ricorrendo a sevizie e libidine", scrisse Tacito).

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Da Gerusalemme a Roma
di Don Filippo Morlacchi


Processo ebraico davanti al sinedrio (22,30-23,11)


Per scrupolo Cludio Lisia fa giudicare Paolo dal sinedrio. Dopo un scaramuccia con il sommo sacerdote Anania (uomo duro e violento, assassinato dai sicari nel 66 d.C.), escogita un trucco: approfittare delle divisioni interne al sinedrio tra farisei e sadducei. Il tribuno deve intervenire per riportare l’ordine e salvare di nuovo Paolo.

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Da Gerusalemme a Roma
di Don Filippo Morlacchi


Prigioniero nella Fortezza Antonia, si dichiara romano (22,22-29)


Il tribuno non aveva capito nulla, e ancora meno quando la folla si riscatena! Lo fa portare dentro per un interrogatorio con flagellazione. Ora che i giudei non sentono si proclama civis romanus davanti al centurione, che riferisce al tribuno. Questi (che per avere la cittadinanza romana aveva dovuto pagare: infatti il nome greco affiancato a quello romano rivela la sua origine: era infatti l’imperatore Claudio che aveva dato questa possibilità, che nei primi tempi era offerta a caro prezzo) si spaventa, per aver contravvenuto – pur senza saperlo – alla legge Porzia (come era successo a Filippi: At 17,37-39).

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