
La preghiera di Gesù nel Vangelo di Luca (Sr. Germana Strola o.c.s.o)
Le Parole della Bibbia
La preghiera di Gesù
nel Vangelo di Luca
di Sr. Germana Strola o.c.s.o
La Lectio Divina sui testi liturgici, illuminata dalle introduzioni specifiche e dai ritiri spirituali che abitualmente vengono assicurati nei nostri monasteri, rende estremamente familiare ad ogni monaco e monaca il testo evangelico, che pur non cessa di permanere sempre inesauribile nella sua ricchezza teologica e antropologica. Ripercorrerne i temi principali offre ogni volta di nuovo l’opportunità di riscoprire o rivivere non solo momenti di grazia e di incontro vissuti nella preghiera, ma soprattutto di approfondirne le prospettive, che si rivelano costantemente nuove e vitalizzanti.
Riflessione sul trattato «Lodi alla Vergine Madre» di San Bernardo di Chiaravalle (Sr. Maria Teresa Ragusa o. cist.)
«Ha guardato l'umiltà della sua serva»
Riflessione sul trattato «Lodi alla Vergine Madre»
di San Bernardo di Chiaravalle
di Sr. Maria Teresa Ragusa o. cist.
La lettura del trattato di San Bernardo di Chiaravalle, «Lodi alla Vergine Madre», sembra prestarsi particolarmente ad accompagnare la meditazione durante questo tempo di Avvento.
Speranza, santità e parola di Dio (M. Anna Maria Cànopi, Osb)
Spiritualità benedettina e cistercense
Speranza, santità e parola di Dio
di M. Anna Maria Cànopi, Osb *
Il quadro della situazione mondiale si presenta di giorno in giorno in tinte sempre più fosche: quando sembra che si profili qualche schiarita, subito sopraggiunge un nuovo ciclone a sconvolgere l’atmosfera dell’esistenza umana su tutto il pianeta.
Il pessimismo, di conseguenza, dilaga e sotto varie forme crea in molte persone fragili stati depressivi e angosciosi. Per non soccombere, c’è chi si indurisce e vive egoisticamente la propria vita cercando di immunizzarsi dal dolore altrui e di godere all’istante e a qualsiasi costo tutto quello che può avere senza riuscire ad essere felice. Ci sono però anche quelli che, pur feriti e lasciandosi ferire dalle vicende dolorose della propria e dell’altrui esistenza, non ne rimangono sopraffatti, perché hanno scoperto il valore redentivo della sofferenza accettata con fede e offerta con amore in unione a Colui che è venuto a farsi carico di tutto il dramma dell’uomo di ogni tempo, per aprirgli davanti un radioso orizzonte di speranza: «La vostra tristezza sarà cambiata in gioia...» (cf. Gv16,20).
Non rifiutando e sfuggendo la croce, ma proprio abbracciandola nella sequela di Cristo, si fa l’esperienza della verità di questa Parola e si diventa testimoni della Risurrezione. Per giungere alla mèta della «beata speranza», si deve quindi perseguire la via della santità, la via della sequela di Cristo, della conformazione a lui crocifisso e risorto. È la scelta radicale della vita monastica: una risposta integrale alle esigenze del Vangelo, all’amore di Cristo, nulla anteponendo a Lui. Dove si dà veramente il primato alle realtà che non passano - mentre passa la scena di questo mondo - si ha una visione dell’uomo e della storia più vera, secondo il disegno di Dio. Una visione perciò anche più ottimista che lascia sempre intravedere vie nuove di ricupero e di salvezza. Non è forse questo il motivo per cui oggi tante persone frequentano assiduamente i monasteri, ossia i luoghi in cui più facilmente si possono trovare uomini o donne di speranza? «Diteci qual è il vostro segreto, il segreto della vostra serenità, della vostra pace, della vostra gioia». È una domanda che molti ci rivolgono. E, più che dalle nostre parole, lo scoprono, questo segreto, immergendosi nella nostra atmosfera di silenzio, di ascolto della Parola di Dio, di contemplazione.
Partecipando alle celebrazioni liturgiche, sperimentano la forza salvifica e rinnovatrice del mistero di Cristo. Ristorati alla sorgente della grazia, possono ritornare ai loro consueti impegni nella famiglia, nella scuola, nella società con più fiducia e spirito di servizio fino al sacrificio.
All’inizio della nostra fondazione monastica sull’isola San Giulio, pensavamo che saremmo rimaste “isolate”, quasi come in eremitaggio. Al contrario, l’Isola è diventata un centro di forte attrazione spirituale proprio perché su di essa splende come faro la preghiera, la Luce che è il Cristo stesso, viva speranza per tutti i naviganti sulle onde tempestose della storia.
I monasteri che danno ospitalità diventano sempre più luoghi di ricarica spirituale e di consolazione. Luoghi di ricarica per la fede che spesso è insidiata da tanti “venti di dottrine” di falsi profeti; luoghi di ricarica per la speranza, resa spesso umanamente impossibile dalle tragiche situazioni di violenza e di miseria morale e materiale; luoghi di ricarica per la che nel mondo tanto facilmente si propone come mascherato egoismo.
«Il sapere che voi ci siete è per noi fonte di consolazione e di speranza: siete una forza che ci sostiene nelle nostre fatiche e nelle nostre lotte per resistere al male». Queste frequenti testimonianze ci fanno sentire quanto sia necessaria la nostra presenza nella Chiesa e quanto sia grande la nostra responsabilità. Infatti, chi viene a cercare Dio presso di noi non deve restare deluso. Veniamo perciò stimolate a un sempre più serio impegno nella santità, a un sempre più umile e generoso servizio a Dio e al prossimo. E tutta l’umanità ci è “prossimo”, poiché nessuna distanza è insormontabile per chi - giorno e notte, senza tregua - stende le braccia nella preghiera.
Ci rendiamo conto, inoltre, che nel segno della comunità monastica si manifesta chiaramente che la castità, ritenuta assurda nella nostra società satura di sesso, è invece possibile, anzi bella e totalizzante per la persona. Così pure si rende visibile che sono realizzabili la comunione di vita, l’unità e la pace tra persone diverse per indole, età, cultura e nazionalità.
I nostri fratelli che vivono nel mondo possono, insomma, costatare che la santità è sempre possibile e che è un cammino di bellezza e di consolazione aperto davanti a tutti, non un privilegio di alcuni.
* del Monastero Mater Ecclesiae di Orta San Giulio
La lettura spirituale nella dottrina monastica di S. Bernardo (Sr. Maria Pia Schindele o. cist)
La lettura spirituale
nella dottrina monastica di S. Bernardo
di Sr. Maria Pia Schindele o. cist
San Benedetto nella sua Regola indica la lettura spirituale quale «strumento delle buone opere» (RB 4,55), la chiama Lectio divina e menziona come contenuto la Sacra Scrittura e i Padri della Chiesa: «C’è in fatti una pagina, anzi una parola, dell’antico o del nuovo Testamento, che non costituisca una norma esattissima per la vita umana? O esiste un’opera dei padri della Chiesa che non mostri chiaramente la via più rapida e diretta per raggiungere l’unione con il nostro Creatore? E le Conferenze, le Istituzioni e le Vite dei Padri, come anche la Regola del nostro santo padre Basilio, che altro sono per i monaci fervorosi e obbedienti se non mezzi per praticare la virtù?» (RB 73,3-6).
1) Il sapere che dona salvezza
San Bernardo valuta il sapere in relazione alla luce della salvezza. A lui preme sempre, portare l’uditore o il lettore a Dio e, di conseguenza, indica loro, la storia della salvezza, per scoprire e accogliere la possibilità della propria salvezza, questo è lo scopo dei sermoni 36, 37 e 43 del suo commento sul Cantico dei cantici.
a) Insegnamenti per ottenere il sapere
Nel sermone 36 Super cantica canticorum Bernardo specifica la differenza tra ignorantia pericolosa e non pericolosa, ossia tra l’ignoranza che ci danneggia e quella che è irrilevante. Pericolosa è la ignorantia sui ed Dei, cioè il non sapere riguardo a sé e né riguardo a Dio perché «l’una si volge contro di noi l’altra contro Dio».
«Voi sapete che oggi ci eravamo proposti di parlare dell’ignoranza, o piuttosto, delle ignoranze; poiché di due, se ben ricordate, si trattava; ignoranza di noi stessi e ignoranza di Dio; e abbiamo già avvertito che l’una o l’altra si devono evitare, perché entrambe sono degne di condanna 1»
Bernardo riferendosi agli artigiani e ai maestri delle arti liberali, spiega che invece non è pericolosa l’ignoranza nei campi che riguardano le cose e le scienze esatte, per quali non si è responsabili perché diversi sono i talenti e le professioni. Poi tira fuori l’esempio degli apostoli, che non provenivano dalle scuole di retorica e filosofia. Tuttavia il Signore compì attraverso loro sulla terra opere di salvezza, facendoli diventare, attraverso fide e lemitate – fede e bontà -, santi e maestri.
«Per esempio se ignori l’arte del fabbro, o del carpentiere, o del muratore, o altro del genere, che vengono esercitate dagli uomini ad uso della vita presente, costituisce forse questo un impedimento alla salvezza? Anche senza tutte quelle arti che si chiamano liberali, sebbene si imparino e si esercitino con studi più onorevoli e più utili, quanti uomini si sono salvati, piacendo a Dio con i costumi e con le opere: quanti ne enumera l’Apostolo nella lettera agli Ebrei, resi amati non dalla scienza delle lettere, ma dalla coscienza pura e dalla fede sincera. Tutti piacquero a Dio nella loro fede sincera. Tutti piacquero a Dio nella loro vita, e per merito della condotta, non della scienza. Non per sapienza, quasi che in essi ve ne fosse più che in tutti gli altri, come un Santo ha potuto dire di se stesso, ma nella fede e nella mansuetudine li ha fatti salvi, e anche santi, e anche maestri»2.
La pericolosa ignoranza riguardo se stesso si supera solo attraverso la vera conoscenza di sé. Succede talvolta che l’amara vista di sé rende l’uomo triste, ma lo provoca anche ad aprirsi alla conoscenza di Dio. La lettura spirituale aiuta questo processo del quale Bernardo dice: “In questa maniera la cognizione di se stesso sarà come gradino alla conoscenza di Dio”3.
Bernardo indica pure una scienza contraria alla salvezza, nella quale non si trova la conoscenza della verità, ma la vanagloria. La nomina scientia inflans - scienza gonfiata - che reprime il desiderio di salvezza ed impedisce l’accesso all’esperienza di salvezza.
«Vedete come differiscono le scienze e come una gonfi mentre l’altra rattrista. Ma vorrei che voi mi diceste quale di queste vi sembra utile o necessaria alla salvezza: quella che gonfia o quella che duole?»4 .
Si richiama inoltre alla parola dell’apostolo Paolo: «Per la grazia che mi è stata concessa io dico a ciascuno di voi: non valutatevi più di quanto è conveniente valutarsi, ma valutatevi in maniera da avere voi una giusta valutazione, ciascuno secondo la misura di fede che Dio gli ha dato». – Poi s’interroga - «Che cosa significa essere saggio con moderazione? Significa osservare con molta attenzione che cosa convenga maggiormente e in primo luogo convenga maggiormente e in primo luogo sapere. Il tempo infatti è breve. Pertanto ogni scienza di per sé è buona, purchè sia appoggiata alla verità; ma tu che, data la brevità del tempo, ti affretti con timore e tremore a operare la tua salvezza, preoccupati di conoscere maggiormente e in primo luogo le cose che avrai sentito più vicine alla salvezza» 5.
Bernardo spiega che il contenuto e il modo di fare la lettura devono essere determinati dall’ordine, dall’interesse e dallo scopo da raggiungere:
«Con quale ordine si studi prima ciò che è più urgente per la salvezza; con quali sentimenti si cerchi con più ardore ciò che spinge con più forza all’amore; con quale scopo non si cerchi la vana gloria o la curiosità, o alcunché di simile, ma solo l’edificazione propria e del prossimo6».
b) Leggere ed apprendere
Nel sermone 37° Super cantica canticorum Bernardo cita il versetto del profeta Osea: «Seminate per voi secondo giustizia e mieterete secondo bontà» (Os, 10,12) e poi aggiunge: «e solamente dopo illuminatevi con il lume della scienza». Qui egli si riferisce, al seme che cade nell’anima di chi ascolta la buona novella e manifesta la sua forza vitale con abbondanti slanci verso il bene.
«Chiunque di voi sente in sé operarsi queste cose, sa che cosa dica lo Spirito, la cui voce e la cui operazione non sono mai discordanti tra di loro. Perciò dunque comprende le cose che sente al di fuori, perché le sente al di dentro»7.
In virtù di questo «dono primordiale» dello Spirito Santo, la Sacra Scrittura viene interpretata mediante la propria esperienza donando ulteriori chiarimenti sulla vita spirituale trasmessa dalla Parola di Dio e già sperimentata dall’anima. Così s’instaura un dialogo tra Dio e il lettore, il quale sa di essere toccato dal Signore attraverso la Sacra Scrittura, ed è mosso a risponderli nella preghiera e, nello stesso tempo, si sente spinto a comunicare la sua esperienza di Dio ai confratelli, affinché trovino anche loro il proprio colloquio con Dio.
Per acquistare la vera e propria conoscenza della Sacra Scrittura, per san Bernardo è importante indagare sull’esperienza degli autori perché considera che la scienza della Scrittura aiuta la professione di fede, vero scopo della Lectio divina.
c) La filosofia di Bernardo: Gesù Cristo
Bernardo nel sermone 43 Super cantica canticorum è colpito dal versetto dell’apostolo Paolo ai Corinzi: «lo ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso» (1 Cor 2,2).Qui egli segue il modo di filosofare in uso fin dal XI secolo e che Jean Leclercq spiega, nei suoi studi sul vocabolario del medioevo, come ricerca della «vera saggezza» secondo una conoscenza della verità che il filosofo trova nella sequela di Cristo.
Con questa intenzione Bernardo raccoglie i singoli fatti della vita e della sofferenza di Cristo come un mazzetto di fiori e se lo pone sul petto, in modo da avere sempre presente l’opera di salvezza quale pienezza del sapere, per cui confessa:
«Ho chiamato sapienza meditare queste cose, in esse ho fatto consistere per me la perfezione della giustizia, in esse la pienezza della scienza, le ricchezze della salvezza, in esse l’abbondanza dei meriti»8.
In seguito su Gesù e la sua opera salvifica dice:
«Perciò io ho spesso queste cose sulla bocca, come voi sapete, e nel cuore sempre, come lo sa Dio. Queste cose sono familiari alla mia penna, come è risaputo, questa è la mia più sottile e interiore filosofia, conoscere Gesù e Gesù crocifisso (cfr 1 Cor 2,2)».9
2) Sapere e volere
Il sapere aiuta esclusivamente la salvezza, se il volere accetta quanto ha conosciuto, perché è stato «catturato» dalla conoscenza, quindi indirizza la sua azione conforme alla sua cognizione.
In un sermone per la sesta domenica dopo Pentecoste, Bernardo ci presenta il vangelo come «specchio di verità». Nel sermone 36 sul Cantico dei cantici, descrive i pericoli spirituali del sapere non digerito, considerando una conoscenza senza la conseguente azione. Il suo primo sermone per la festa di Pentecoste ha per oggetto l’azione dello Spirito Santo nell’anima dell’uomo e infine, nel trattato De consideratione, esorta ad accogliere il frutto donato da Dio.
a) Specchio della verità
Il vangelo è per l’uomo uno specchio di verità, chi lo legge si vede chiaramente tale e quale è, ma allo stesso tempo ciò lo fa diventare libero tanto dalle paure inconsistenti come dalle illusioni. Su questo Bernardo parla nel suo sermone In dominica VI post Pentecosten:
«Quanto al vangelo, è uno specchio di verità, che non lusinga nessuno né a nessuno conduce a inganno. Ci si vede in questo specchio così come si è, non si ricava alcuna ragione di timore, se non ci sono timori ad avere, né nessun argomento di rallegrarsi, se si è fatto il male» 10
E per chiarire cita il versetto della lettera di Giacomo: «Perché se uno ascolta soltanto e non mette in pratica la parola, somiglia a un uomo che osserva il proprio volto in uno specchio: appena si è osservato, se ne va, e subito dimentica com’era» (Gc 1,23-24). Di conseguenza, Bernardo, richiama i suoi monaci:
«O miei fratelli, vi esorto, che non sia così con noi, non, che ne non sia così; ma esaminiamoci attentamente in questo brano del vangelo che ci è stato letto, ed approfittiamo da esso per correggersi, se troviamo qualcosa che debba essere corretto in noi»22.
Poi egli trae le conseguenze:
«Partecipe del nome, lo sono anche dell’eredità, Sono cristiano, fratello di Cristo. Se sono veramente quello che sono detto, sono erede di Dio, coerede di Cristo»23.
Quanto dice qui sull’annuncio della fede, vale anche per la formazione della fede, mediante la lettura spirituale.
«Donde pensi sia derivata in tutta la terra una così grande e improvvisa luce di fede, se non dalla predicazione del nome di Gesù?»24.
Dagli autori ed oratori spirituali Bernardo si aspetta il nome del Signore quale nutriente alimento dell’anima:
«Se scrivi, non mi sa di niente se non leggerò ivi Gesù. Se discuti o ragioni, non mi sa di niente se non risuonerà ivi Gesù»25.
L’uomo sperimenta la forza salvifica del nome di Gesù, quando la sua conoscenza della fede si immerge nella preghiera e quando «chiama» il Signore:
«Ora intanto hai una medicina per il braccio e per il cuore. La possiedi, dico, nel nome di Gesù, con cui puoi correggere i tuoi atti cattivi, o supplire a quelli meno perfetti; così pure, sia per preservare i tuoi sentimenti, perché non siano guastati, sia per sanarli qualora fossero corrotti»25.
b) L’utilità della Sacra Scrittura
Bernardo afferma, nel sermone 22 Super cantica canticorum, che l’intelletto comprende, nello studio della Sacra Scrittura, «soltanto quanto apprende attraverso l’esperienza». Percepire le verità di fede particolarmente importanti per la vita spirituale, è per lui un ambito intimo che definisce con le parole:
«Lo Sposo sa di quali letizie lo Spirito inondi la diletta, di quali aspirazioni nutra singolarmente i suoi sensi e di quali profumi la inebri»27.
Egli anche rispetta questa intimità nei suoi fratelli come: «giardino chiuso, fontana sigillata» (Ct 4,12).
Come abate sente il suo dovere di stimolare la lettura della Sacra Scrittura nei suoi monaci e lo fa richiamandosi alle proprie esperienze:
«Del resto, di qui esse fluiscono nelle piazze pubbliche (cfr. Pr 5, 16). lo confesso di averle a portata di mano, e quindi nessuno mi sia molesto o ingrato se attingo da un luogo pubblico e le servo. E per parlare un poco di questo mio servizio, dirò che esso comporta parecchia fatica e lavoro, il dover uscire, cioè, ogni giorno, ed attingere anche dai ruscelli aperti delle Scritture, e da essi trarre quanto serve per la necessità di ciascuno, onde ognuno di voi, senza suo lavoro, abbia a disposizione le acque spirituali»28.
Questo dimostra che Bernardo vede il contenuto di salvezza della Scrittura in viva relazione con i suoi monaci e attende, nella Parola di Dio, il salutare sostegno dall’opera dello Spirito Santo.
c) L’abitazione di Dio
Nell’uso del Nuovo Testamento Bernardo preferisce il vangelo di Giovanni e le lettere dell’apostolo Paolo, perché rafforzano in lui il convincimento che nella Parola di Dio è il Signore stesso che parla. Dal momento che la Bibbia porta all’incontro con la PAROLA divina, Bernardo si aspetta dalla lettura spirituale quanto promise lo stesso Signore: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23).
Poi, nel sermone 69 Super cantica canticorum, descrive l’esperienza della presenza di Gesù, quale Sposo dell’anima:
«Se mi accorgerò che mi viene aperta l’intelligenza per comprendere le Scritture, o che un discorso sapiente quasi mi ribolle dall’intimo, o che mi si rivelano i misteri alla luce celeste infusa dall’alto, o se mi sembrerà che mi si apra come un amplissimo grembo del cielo, e discendano nell’animo abbondanti piogge di meditazioni, non dubito che lo Sposo è presente. Sono, infatti, queste ricchezze del Verbo, e queste abbiamo ricevuto dalla sua pienezza»29.
Il Padre e il Figlio comunicano all’anima lo Spirito Santo che coordina i suoi sentimenti e le sue azioni, a proposito Bernardo scrive:
«L’amore di Dio genera l’amore dell’anima, e rivolgendosi per primo verso di lei, fa si che anch’essa sia tutta intenta a lui, e la sollecitudine di lui rende sollecita anche lei»30.
Bernardo ammette che Dio subordina la sua condotta al comportamento dell’uomo nei suoi confronti. È per questo che per gli esercizi della vita spirituale, ai quali appartiene anche la lectio divina, ci da un’indicazione importante riguardo al tempo che dedichiamo ad essi:
«Pertanto, quale tu ti preparerai per Dio tale ti apparirà Dio: sarà santo con il santo, e con l’uomo integro sarà integro. Cosi, similmente, amante con chi lo ama, si tratterrà con chi si trattiene volentieri con lui, si rivolgerà a chi si rivolge a lui, sollecito con chi è sollecito per lui 31».
Note
(1) BERNARDO di CHIARAVALLE, Sermoni sul Cantico dei cantici, a cura di Domenico Turco Ed. Vivere In, Roma 1986, vol. I, 36, 1, (d’ora innanzi SC).undefined
(2) SDC, 36, 1
(3) SC, 36,6
(4) SC, 36,2
(5) SC, 36,2
(6) SC, 36,3
(7) SC, 36,3
(8) SC, 43,4
(9) SC, 43,4
(10) Domenica VI post Pentecostes, 1,1 (d’ora in poi VI p P9:
(11) VI p P, 11,
(12) SC, 36,4
(13) In die Pentecostes, 1,5 (d’ora in poi Pent)
(14) Pent, 1,5
(15) Pent, 1,5
(16) Le opere di san Bernardo, a cura du F. Gastaldelli, Scriptorum Claravallense, Fondazione di Studi Cistercensi, Milano 1984, vol. I Trattati, De consideratione, 5, 27, (d’ora in poi Csi)
(17) Csi, 5,30
(18) Csi, 5,39
(19) GUGLIELMO DI Saint-THIERRY, Vita di San Bernardo, Opere/2, a cura di Mario Spinelli, Città Nuova 1997, 4,24
(20) SC, 15,1
(21) SC, 15,2
(22) SC, 15,3
(23) SC, 15,4
(24) SC, 15,6
(25) SC, 15,6
(26) SC, 15,7
(27) SC, 22,2
(28) SC, 22,2
(29) SC, 69,6
(30) SC, 69,7
(31) SC, 69,7.
FONTI
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Parabole estratte dal “Parabolario” di Galando di Reigny (a cura di Sr. Giovanna Grazioli)
Qualche domanda
Parabole estratte dal “Parabolario”
di Galando di Reigny
a cura di Sr. Giovanna Grazioli
Alcuni fratelli si recano da un padre spirituale desiderando ciascuno ricevere da lui una risposta alle loro domande.
9 A. I denti rotti del diavolo
1. La prima domanda: «Perché il salmista dice: “Hai spezzato i denti ai peccatori”a? Come si può affermare ciò, quando i peccatori hanno tutti i loro denti, e sani, mentre molti religiosi anziani sono sdentati al punto di poter mangiare appena il loro pane b?».
L’altro rispose: «Un uomo aveva un cane dalle reazioni immediate, in altre parole mordeva gli ospiti o gli sconosciuti prima di abbaiare: il padrone gli spezzò i denti affinché, se in seguito avesse morso qualcuno, non avrebbe potuto fargli del male.
Allo stesso modo, perché il diavolo non potesse nuocerci troppo coi morsi delle sue suggestioni improvvise e nascoste, il Signore ci ha insegnato ad opporre ai morsi del desiderio carnale, l’astinenza, a quello dell’orgoglio, l’umiltà; infine ad ogni vizio la virtù corrispondente. Con questo mezzo i morsi diabolici sono stati grandemente neutralizzati.
Vedi un fratello in collera che vuol litigare? Rispondigli dolcemente, e così hai «rotto i denti» della collera.
Il tuo spirito ti porta alle stelle, ti eleva sopra degli altri? Pensa che devi morire, che sarai presto polvere, che sarai sottoposto al giudizio divino, che avrai dei debiti da scontare, che sarai giudicato con severità; cosi avrai spezzato i denti dell’orgoglio.
2. Diciamo ancora come i denti dei peccatori saranno spezzati. Capita spesso che un secolare che ha commesso colpe criminali che trapassano come tanti denti del diavolo e che è stato per lungo tempo trattenuto nelle fauci di questo cerbero furibondo, sia visitato dalla grazia di Dio che tende a strapparlo dai denti del diavolo. Ma il nemico funesto non vuole lasciarlo andare cosi facilmente: o meglio non soffre affatto di disserrare i denti che ha piantato nelle sfortunate membra, come è naturale da parte di chi ha messo in opera tanto zelo e pena per custodire la sua preda, quanto il fatto che la credeva già in suo potere e diceva in se stesso che nessuno più l’avrebbe reclamata o gliela avrebbe strappata.
Ora il Signore libera con forza e potenza il peccatore che grida verso di Lui, secondo le parole “ha fatto uscire i prigionieri con forza”c, e ancora “verrà uno più forte di lui che li vincerà” d, ecc. Così si dice del diavolo che i suoi denti sono spezzati, comparandolo ad un essere al quale non si potrebbe far mollare ciò che avesse afferrato fra i denti senza romperlo.
3. Quando ci liberiamo dai peccati più importanti e più gravi, “il Signore spezza i molari dei leoni”e; quando si tratta di colpe più lievi o di poca importanza, egli “frantuma i denti dei peccatori”. O meglio, poiché i molari sono più nascosti dei denti davanti, il Signore frantuma i molari in quanto mi purifica “dalle mie colpe nascoste” f; quando si tratta di colpe commesse apertamente, Egli rompe i denti1. Dato che i molari sono più grossi dei denti davanti è giusto dire che essi rappresentano i peccati nascosti, Il fratello che pecca si corregge spesso più velocemente da una colpa evidente che da una colpa nascosta. Anche tu, rompi i denti del peccatore quando rifiuti di ascoltare il falso fratello g che ti invita al male.
Tale suggestione è un latrato, un morso di cane, una ferita dell’anima. E come mai ogni volta che ti suggerisce questo genere di cose non ottiene nulla, non può farti alcun male, se non perché ha i denti spezzati?».
9 B. Fede, speranza e carità
1. La seconda domanda: «Perché l’Apostolo dice: “Esse sono tre, la fede, la speranza e la carità; ma più grande di tutte è la carità?”a Perché le enuncia in questo ordine e mette l’ultima al di sopra delle altre?».
Rispose il Padre spirituale: «Quando un agricoltore ha messo tutte le sue cure nel piantare una vigna e si è preoccupato a coltivarla, è certamente gioioso quando col tempo la vede fiorire nei giorni primaverili e infine è felicissimo quando in autunno la vede portare frutto.
Ora la vigna di Dio, piantata dalla fede, fiorisce con la speranza e dà i suoi frutti nella carità. Se dunque la fede è una cosa gioiosa, la speranza la supera e la carità ne è sovrana.
Piantare una vigna! Ecco che non sempre dura; la bellezza dei fiori è passeggera; ma vuoi sapere di che natura è il frutto della carità? Ascolta il Signore: «E che voi portiate frutto, dice, e che il vostro frutto rimanga” b Questa piantagione che è la fede appassisce, i fiori della speranza cadono, ma la carità non sparirà mai c.
E di fatti noi soffriamo molto nel piantare e anche durante la fioritura non riceviamo ancora niente, fino alla raccolta dei frutti dove possiamo riempire gioiosi le nostre dispense.
2 . La carità riempie il granaio del cielo, perché la fede e la speranza non salgono fin là.
La nostra carità germina qui in basso, si alza dal basso della terra del nostro cuore; ma la sua cima penetra i cieli e il suo frutto ci mette in compagnia degli angeli. Tu non puoi salire fino al cielo se non per mezzo dell’albero della carità. A meno di piantare qui la carità, non potrai cogliere i frutti lassù. Ma quando seminerai una semente di carità nel giardino del tuo cuore, guardati dall’invidia, la peggiore delle erbe cattive. È soprattutto l’invidia che distrugge il germe della carità, soffoca tutti i suoi germogli d e la sradica fino alla radice.
Nutri la carità, ordina in te la carità e in modo da amare per prima le persone della tua casa, i tuoi compagni, poi le altre persone a te più intime, in terzo luogo i tuoi vicini e le persone del vicinato, in quarto luogo ugualmente coloro che abitano più lontani ma non ti sono sconosciuti, in quinto luogo gli stranieri e le persone sconosciute, ed infine perfino i tuoi nemici.
3. D’altronde l’Apostolo ha enunciato le tre virtù in quest’ordine, sia perché se non credi non puoi sperare i beni celesti e se non speri di raggiungerli un giorno non potrai infiammarti d’amore per essi; sia perché il percorso evangelicof che dobbiamo costruire nel nostro cuore ha per fondamento la fede, si eleva ben in alto con la speranza e termina con la carità; sia perché la fede ci insegna la via da seguire, la speranza ci mostra da lontano il luogo verso il quale ci dirigiamo g la carità ci fa giungere; sia perché la fede ispira a chi è caduto di rialzarsi, la speranza lo conforta fintanto che si rialza, la carità nasconde i suoi peccati h. In breve, la fede ci fa nascere, la speranza ci fa crescere, la carità ci rende perfetti 1.
La fede ci purifica, la speranza ci rallegra, la carità ci santifica. La fede ci distingue dai miscredenti, la speranza ci eleva verso le altezze, la carità ci unisce a Dio stesso. La fede ci fa cristiani, la speranza tutto ci dona, la carità ci rende figli di Dio. La fede scaccia l’errore, la speranza bandisce la disperazione, la carità scaccia il timorei».
9 C. La correzione moderata
1. Il terzo disse: «Chi è più in errore: colui che riprende troppo duramente le persone che peccano, o colui che lo fa fiaccamente?».
L’altro rispose: «Una volta avevo due vicini; la carità li spingeva spesso ad invitarmi a pranzo, e sia l’uno che l’altro mi offrivano da bere del vino accuratamente aromatizzato con miele e a ssenzio. Tuttavia uno di loro metteva quasi sempre in questa bevanda più miele e meno a ssenzio; l’altro invece ci metteva sempre meno miele e più a ssenzio di quello che richiedeva. L’uno e l’altro mi causavano un disgusto.
Tuttavia come la bevanda troppo dolce mi era meno nauseante dell’altra troppo amara, così una correzione più dolce è preferibile ad una più dura. Certamente, è bene talvolta avere in sé il rigore del vino, ma è meglio abbondare delle dolcezze del latte, come è scritto: poiché le tue tenerezze sono meglio del vino a. Infatti se bisogna versare del vino e dell’olio b su una ferita, si mette sempre più olio che vino; se si mischiano queste due sostanze, l’olio galleggia sempre1.
E se capitasse al tuo cuoco di superare la misura nel condimento dei legumi, sopporteresti meglio più olio che troppo sale».
2. Ahl Quale abbondanza di olio metteva nei cibi che ci preparava quel buon cuoco venuto in questo mondo c non per essere servito ma per servire d !
Vedi, ti prego e osserva Colui che dispose tutte le cose con dolcezza», che corregge dolcemente gli Apostoli che si contendono il primo posto f.
Egli accoglie la peccatrice in lacrime ai suoi piedi, l’assolve, la rinvia in pace g la giustifica persino, sia davanti a Simone il lebbroso h, sia davanti a Giuda figlio di Simone, l’lscariota l, sia davanti a Marta, la sua stessa sorella jk. Libera la donna adultera che gli conducono e la mette al sicuro non condannandola
Guarda Pietro che lo rinnega l . Persino sulla croce promette il Paradiso al ladrone m, intercede presso il Padre per i giudei n, a sua madre che piange, cerca un altro figlio che prenda il suo posto o. Dopo la sua morte e la sua risurrezione, va a trovare i suoi discepoli che non lo credevano risuscitato, li saluta, li saluta ancora, mette a nudo il suo costato q, li forma di nuovo ad avere fede, invita Tommaso a toccarlo r, se ne va e ritorna più volte, esortandoli ed istruendoli spesso s. Infine li conduce fuori, li benedice, ascende al cielo t.
3. Ah! Il «buon padrone dell’albergo» che offre dei banchetti così dolci e gustosi! Vuoi gustarli anche tu? Cerca di fare esperienza di ciò che dico. Avvicinati, entra anche tu al refettorio dell’Evangelo. Vi troverai quattro tavoli guarniti di delizie così numerose e così abbondanti che non saprai cosa prendere: quello è buono, quell’altro è migliore!
Si, veramente, se in primo luogo andrai alla tavola di Matteo - per non dire di tutto il resto -,cosa vi potrai trova-re di bene, di dolce, di morale, di edificazione che non contenga il sermone del Signore sulla montagna u?.
Poi quando avrai scrutato a fondo e per ordine gli altri due tavoli e avrai visto le meraviglie che vi sono servite, penserai che niente di meglio può trovarsi sotto il cielo.
Per ultimo ti si presenterà la tavola di Giovanni. La vedrai carica di cibi divini di una nobiltà tale che tutto ciò che avevi visto in precedenza ti sembrerà poca cosa. Cosa proverai infine quando giungerai alla Cena del Signore e percorrerai con lo sguardo l’abbondanza grondante, lo scorrere abbondante delle Parole divine v? In verità potrai esclamare con Paolo: O profondità della ricchezza della saggezza e della scienza di Dio! w»
9 D. L’Ispirazione divina
1. La quarta domanda: «Perché il Signore dice nell’Evangelo che Lui e Suo Padre verranno da chi osserva i suoi comandamenti e faranno la loro dimora presso di lui a, quando comunque nessuno può osservarli a meno che Dio non venga prima a visitarlo con una ispirazione divina.
L’altro rispose: «Un ricco allevò nella sua casa, per amore di Dio, un ragazzino povero e di modeste condizioni. Quando quest’ultimo giunse all’età adulta, il ricco gli disse: “Ho deciso di darti una piccola somma di denaro affinché tu la faccia fruttare, aumentandola a tuo profitto, alle seguenti condizioni: se la farai fruttare con sagacità te ne darò un’altra più grande; altrimenti pensa che questa sarà l’ultima”.
Ora, quando il giovane ebbe gestito questo denaro con prudenza, il suo padrone di casa aggiunse un’altra somma più considerevole alla prima; e quando vide che anche questa era ugualmente ben amministrata, lo gratificò con abbondanti ricchezze.
2. Così il Signore prima ci accorda un soffio leggero della Sua grazia, e se questa prima grazia non è stata vana in noi b, ci arricchirà in seguito di una benedizione molto più abbondante: la Sua venuta e quella di Suo Padre. E se facciamo fruttare bene e diligentemente la larghezza dei suoi doni, ci accorderà ancora di più i doni della sua liberalità; tanto più noi risponderemo convenientemente e con sagacia ai suoi doni, tanto più Lui ci arricchirà di più grandi.
E se noi non cesseremo di meritare il Suo bene, Lui non cesserà mai di farci del bene, e non ci sarà mai fine al nostro progresso spirituale quotidiano né alle Sue costanti e sovrabbondanti ricompense».
9 E. La bellezza spirituale
1. La quinta domanda: «Perché una certa persona dice di lei: sono bruna, ma sono beIIa a? Se è nera, come può essere bella? e se è bella, come è nera?»
Ma l’altro rispose: «Un giorno un uomo andò a raccogliere more con un bambino. Ma le more non erano tutte mature e non avevano dunque tutte lo stesso colore; le une erano nere, le altre verdi o rosse, Il bambino, credendo e dicendo in cuor suo b che tutto ciò che è nero è spregevole e da rifiutare, non raccoglieva che le more rosse e verdi, mentre il suo compagno non raccoglieva che le nere.
2. Anche tu, non credere che tutto ciò che è nero sia mediocre e senza valore: al contrario, molte cose sono migliori tanto più sono nere! Pensa per esempio alle lettere incise in un libro: più sono nere, più sono nitide. Rossicce o giallastre sarebbero meno leggibili. L’uva in autunno, o le more in questione sopra, sono tanto più gustose da mangiare tanto più sono nere; se gli restano delle tracce di giallo o di verde, ci sembrano già meno buone.
Lo stesso vale nel campo spirituale; alcune virtù sono, in qualche modo, nere. Sembrano brutte e vergognose agli stolti, mentre i saggi le prediligono e le stimano. Tali sono la povertà volontaria, una pazienza tranquilla, l’umiltà religiosa.
Chiunque è capace di comprenderle e di riconoscerle, è adulto nell’intelletto, è perfetto nel discernimento. Ma chiunque è incapace di apprezzare tali realtà è un bambino nel giudizio c (1)e dallo spirito povero. Lascia da parte le more buone e mature per cogliere quelle verdi Ogni anima santa che per amore di Dio ha in sé quelle belle nerezze può dire con ragione: sono bruna, ma sono bella! d,»
9 F. L’uomo che grida con una voce non sua
La sesta domanda: «Perché il salmista dice: con la mia voce ho gridato al signore a? Infatti chi mai grida o parla con una voce non sua?».
L’altro rispose (A): «Vi era un vecchio al quale l’età aveva fatto perdere quasi completamente la vista. Aveva un figlio unico e molto caro, che faceva spesso delle corse di qua e di là per procurar loro il necessario. Un ragazzo che abitava nelle vicinanze spiava la sua a ssenza per andare a trovare il padre e, fingendo di essere suo figlio, gli domandava tutti i regali che voleva. Dato che possedeva una capacità d’imitazione e sapeva dare differenti timbri alla sua voce, prese la voce del figlio e ripeteva spesso il nome del padre con un tono affettuoso: così otteneva immediatamente ciò che domandava.
Lo stesso Dio cerca di ascoltare la voce di suo figlio e prova piacere nell’ascoltarlo. Una voce di figlio, dico, non di mercenario: la voce di colui che erediterà con Lui, non di colui che non dimorerà mai nella sua casa b. Ma non possiamo prenderci gioco di Dio c né ingannarlo come si è potuto abusare del vecchio. Se dunque vuoi avere una vera voce di figlio, bisogna che tu sia veramente figlio.
2. Una voce di vero figlio è una voce umile e semplice che esprime il dono di sé, voce in armonia con lo spirito (1), voce che confermi le opere. Una voce di vero figlio non cerca di vendicarsi dei suoi nemici, perchè suo padre fa piovere sui giusti e sugli ingiusti d; non domanda i beni terreni dati ai mercenari, ma attende quelli del cielo riservati ai figli. Una voce di vero figlio è una voce di operatore di pace», perché questi saranno chiamati figli di Dio f. Una voce di vero figlio parla spesso di opere di misericordia; perché il suo Padre Celeste è misericordioso g. È una voce lamentosa e gemente, come è scritto: la voce della tortora si è fatta sentire nella nostra campagna h. Allorché questa voce pronuncia il nome di Padre, l’amore del Padre occupa subito il cuore. Quando invoca il nome del Signore i, anche lo spirito porta in sé la reverenza dovuta al Signore.
Se per caso - non sia mai! - un giorno la mia malizia mi facesse essere figlio del diavolo e schiavo del peccato k qualora dicessi Padre nostro l o cantassi Signore, mio Signoro m, non griderei con la mia stessa voce; prenderei in prestito quella di un altro. Peccatore, usurperei ciò che spetta al giusto, e non impetrerei con la fiducia di essere esaudito, ma con la confusione per la mia cattiva coscienza.
3. Invece, Davide, che fu sempre buono e santo, dice giustamente: con la mia voce ho gridato al Signore, mi ha esaudito dal Suo monte Santo n. Come se dicesse: “Poiché grido al Signore con la mia solita voce, voce che Egli conosce bene, che sempre gradisce, ho fiducia di essere esaudito”.
E se dico della mia preghiera che essa grida, è perchè proferendola dal profondo della mia anima, la spando davanti a Dio in uno slancio spirituale.
Quanto al fatto che dico di essere stato esaudito (B) qualora gridassi, per così dire, dalla cima di una montagna (C), come se non dovessi essere ugualmente esaudito gridando da una valle, o come se Dio, che dimora in cielo, sente meglio coloro che gridano da una montagna piuttosto di coloro che gridano da una valle perché i primi sarebbero più vicini a Lui dei secondi, ma è vero che più tu sarai vicino a Lui, più velocemente sarai esaudito; e più sarai lontano da Lui, più ti sarà difficile ottenere ciò che domandi.
Così come la vicinanza o la lontananza si misurano in termini di luogo quando si tratta di noi, nel caso di Dio si valutano in termini di meriti perché è sicuramente per tali meriti che ci avviciniamo o o ci allontaniamo da Dio».
Note
GALANDO DE Reigny, Parabolaire, a cura di C. Friedlander, Sources Chrétiennes n.378, Les Editions du Cerf, Paris 1992.
aSal 3,8 // b Gen 3,19.
c Sal 67,7 // d Lc 11,26 // e Sal 57,7
f Sal 18,13
1 Vedi GREGORIO MAGNO: «Si designa per molari le insidie nascoste del diavolo, per denti, l’adempimento alla scoperta della colpa. Molari e denti di cui il salmista ha scritto “Ma Dio spezzerà i denti nella loro bocca, il Signore romperà i molari dei leoni”» (Mor. XIX, 26,47: PL 76,128 A).
g 2 Cor 11,26; Gal 2,4
a 1 Cor 13,13 // b Gv 15,16 // e 2 Cor 13,8.
d Gb 31,12 // e Ct 2,4// f Lc 14,28
g Eb 11,13; Gen 22.9 // h 1 Pt 4,8.
1 II tema della carità ordinata è stata legata agli autori spirituali del XII secolo dagli scritti di Origene sul Cantico: Hom. Cant. 2,8 (SC 37 bis, p. 128-130); in Cant. 3 (PG 13, 155D -160B). Le tre virtù teologali sono considerate come tre tappe dello sviluppo in noi di una stessa realtà che è la vita di Dio. Cf. GUILLAUME DE SAINT-THIERRY. La formazione dell’uomo religioso consiste nell’educazione morale; la sua via è l’amore divino. Vinto dalla fede, partorito nella speranza, questo amore riceve dalla carità, ossia dallo Spirito Santo, la sua forma e la sua vitalità» (Epist.169-170: SC 223, p. 278).
i 1 Gv 4,18.
a Ct. 1.1 // b Lc 10,34.
1 Comparare con S. Agostino: «L’olio versato nell’acqua sale al di sopra dell’acqua; l’acqua versata sull’olio scende al di sotto dell’olio: sono trattenuti dal loro peso e cercano il luogo che gli è proprio. Le cose che non sono al loro posto si agitano; ma quando trovano il loro posto restano ferme. Il mio peso, è il mio amore; in qualunque luogo io sia portato, è Lui che mi porta». (Conf. 13,9; trad. J. Trabucco, t. 2, Parigi 1937, P. 319).
c Gv 11,27; 9,39 // d Mt 20,28 II e Sap 8,1
f Cf. Lc 22,24-29 // g Lc 7,37 1 // h Cf. Mc14,3s.
i Cf. Gv 12,14s // j Cf. Lc 10,38 // k Cf. Gv 8,3s.
l Cf. Lc 22,61 // m Cf. Lc 23,43 Il n Cf. Le 23.34
o Cf. Gv 19,26 s. Il p Cf. Mc 16,14
q Cf. Gv 20,20-21 // rCf. Gv20,27; Lc 24-39
s Cf. At 1,3; Lc 24,27.44-49 // t Cf. Lc 24,50-51.
u Cf. Mt 5-7 // v ’ Cf. Gv 13-17 // w Rm 11,33.
a Gv 14,23 // b 1 Cor 15,10.
a Ct 1,4 /I b Lc 11,38
c Cor 14,20 // dCt 1,4
(1)L’espressione «bambino nel giudizio» la si ritrova nel Lib. Prov. 85 e 98. Designa per Galand l’immaturità spirituale. Ct. C. Friedlander, “Galland de Reigny e la semplicita”, Coll. Cist. 41 , 1979, p41.
a Sal 3,5 // b Gv 8,35 // c Gal 6,7
(A) Ogni parte di un coltello non taglia, ma tutte sono utili o decorative. Così ogni elemento di una parabola non è necessariamente carica di sottigliezze allegoriche; ma tutto completa o perfeziona la composizione del testo affinché la trama del racconto possa tenersi. Quando si costruisce una casa, si fanno spesso dei lavori che mirano ad abbellire l’edificio piuttosto che a rispondere ad una necessità pratica. È’ nello stesso modo che dobbiamo comprendere i dettagli di questa parabola.
(1) Cfr. RB 19,7: «Quando cominciamo a salmodiare, facciamo in modo che il nostro spirito concordi con la nostra voce».
d Mt 5,45 // e Cfr. Gc 3,17 // Mt 5,9 // g Lc 6,36
h Ct 2,12 // i Gl 2,32
j Cfr. .At 2,21 // k Gv 8,34 // l Mt 6,9// m Sal 8,2
n Sal 3,5 // o Cfr. Sal 22,6 // p Cfr. Sal 72,27
(B) Si tratta di Davide
(C) «Mi ha risposto dal Suo monte santo» (Sal 3,5).
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