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Domenica 30 Dicembre 2007 00:06

5. Sacerdozio ministeriale (Marino Qualizza)

6. Sacerdozio battesimale
e ministeriale
di Marino Qualizza

5. Sacerdozio ministeriale

Di solito quando si parla di sacerdozio ministeriale, si cercano indicazioni nella lettera agli Ebrei. A stretto rigore di termini, lì si parla solo del sommo sacerdote in riferimento a Cristo che ne ha portato a compimento il servizio in modo unico ed irripetibile, per tutte le motivazioni che vengono addotte nella lettera stessa. E si parla pure di un sacerdozio che ha esaurito la sua funzione, sostituito da Cristo, che ha inaugurato la nuova epoca, quella della grazia, oltre le cerimonie ed i sacrifici. Indirettamente si possono ricavare delle indicazioni sul sacerdozio ministeriale; è preferibile allora l’accesso ad altri testi e soprattutto a quanto i Vangeli sinottici ci dicono sull’attività dei discepoli e poi su quanto Paolo ha scritto occasionalmente sul suo ministero e su quello dei collaboratori. Abbiamo poi i testi preziosi delle lettere pastorali a Timoteo e Tito, dove si parla di episcopi, presbiteri e diaconi, pur senza specificare nei minimi particolari i loro compiti. Altra fonte importante sono gli Atti degli Apostoli, dove si racconta di come Paolo e Barnaba, nel primo viaggio missionario, abbiano costituito le prime comunità cristiane e vi abbiano preposto dei responsabili, perché le guidassero nella fede appena ricevuta ed accolta. <

<Per loro costituirono nelle singole chiese degli anziani, e dopo aver pregato e digiunato li raccomandarono al Signore nel quale avevano creduto>

> (At 14, 23).

Originalità e novità dei ministeri nel NT

Nelle lettere pastorali i testi sono più diffusi e costituiscono una base importante per la comprensione ed anche l’organizzazione del ministero ordinato nella Chiesa, nel triplice grado di episcopi, presbiteri e diaconi. I testi sono distribuiti in 1Tim3, 1-13; 5, 17-18; Tito 1, 5-9: <<Per questo ti ho lasciato
a Creta, allo scopo cioè di mettere in ordine quanto rimaneva da completare e per stabilire presbiteri in ogni città secondo le istruzioni da me ricevute. Ognuno di loro sia irreprensibile, sia marito di una sola moglie, abbia figli credenti che non siano accusati di vita dissoluta né siano insubordinati. Bisogna infatti che l’episcopo, in quanto amministratore di Dio, sia irreprensibile, non arrogante, non collerico, non dedito al vino, non violento, non avido di vile guadagno; al contrario sia ospitale, amante del bene, saggio, giusto, pio, padrone di sé, attaccato alla parola sicura, secondo la dottrina trasmessa, per essere capace sia di esortare nella sana dottrina, sia di confutare coloro che vi si oppongono>

>.

Il carisma dello Spirito

I testi ci fanno capire che la guida delle chiese locali era basata su istruzioni e prassi per sé note e quindi non riprodotte nei testi. In essi,come nel presente, si insiste soprattutto sulle doti morali e sul comportamento da avere e da seguire. Ma in 2Tim 1, 6 troviamo un’altra indicazione di grande rilievo che ci da capire che la guida della Chiesa non è questione burocratica o di doti solo umane. << Per questo motivo, ti esorto a ravvivare il carisma di Dio, che è in te per l’imposizione delle mani>

>. Qui c’è l’indicazione originale del ministero ordinato: si tratta di un carisma, di un dono che viene dall’alto, ed è invocato da Dio con l’imposizione delle mani. Si entra così in una prospettiva carismatica, non ereditaria, del conferimento di un ministero. La sua natura dunque, andrà letta e interpretata alla luce del dono di Dio.

San Paolo fonderà in modo teologicamente perfetto il carattere di questo ministero e la sua portata, in 2Cor 5, 18-20: <<E tutto ciò è da Dio, il quale ci ha riconciliati con sé mediante Cristo, ed ha affidato a noi il ministero della riconciliazione; è stato Dio, infatti, a riconciliare con sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. Noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo, ed è come se Dio esortasse per mezzo nostro>>. Questa è il fondamento teologico del ministero ordinato, inteso nel suo significato generale. È una partecipazione all’opera di riconciliazione compiuta da Cristo e resa presente dal ministero di coloro che fungono da ambasciatori per Cristo, mediante l’imposizione delle mani.

Lo sviluppo di questi e altri temi verrà ripreso in altro contesto.


Bibliografia essenziale

S. DIANICH – S. NOCETI, Trattato sulla Chiesa, Queriniana, Brescia 2002

M. KEHL, La Chiesa, trattato sistematico di ecclesiologia cattolica, San Paolo, Cinisello Balsamo 1995

E. CASTELUCCI, Il ministero ordinato, Queriniana, Brescia 2002

M. QUALIZZA (a cura), Il ministero ordinato, nodi teologici e prassi ecclesiali, San Paolo, Cinisello Balsamo 2004

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C’è un filo rosso che si snoda lungo tutti o quasi i documenti del concilio: il richiamo costante ai tre uffici o compiti che ricevono i credenti in Cristo, in virtù del dono del battesimo.

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Nella costituzione dogmatica sulla Chiesa, ma non solo, il concilio ha dedicato una attenzione particolare al sacerdozio comune o battesimale dei fedeli. Essa si spiega con la ripresa della riflessione sulla natura e sull’identità della Chiesa, iniziata in modo originale subito dopo la prima guerra mondiale, e dunque negli anni ’20 del XX secolo.

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6. Sacerdozio battesimale
e ministeriale
di Marino Qualizza

2. Cristo unico sacerdote della Nuova Alleanza

Per i cristiani parlare di Cristo come unico sacerdote del NT è una cosa non tanto ovvia, in quanto hanno dinanzi a sé l’immagine di tanti sacerdoti e vescovi, cosicché per loro è chiaro piuttosto il contrario. I sacerdoti sono tanti, perché il popolo di Dio è numeroso e diffuso in tutto il mondo. Eppure questa non è la verità, perché nel NT c’è un unico sacerdote, in quanto è l’unico che abbia potuto compiere ciò che si richiede al sacerdote: stabilire il rapporto fra Dio e gli uomini. L’unicità del sacerdozio di Cristo è fondata sulla identità personale di Cristo, sul suo essere il Verbo di Dio fatto uomo. In questo senso dobbiamo dire che Cristo non è solo l’unico sacerdote del NT, ma di ogni possibile sacerdozio, perché in nessuna religione è possibile stabilire il rapporto con Dio. Al massimo si può esprimere un desiderio, una preghiera, ma la realtà è più alta e più ardua. Il desiderio perenne dell’umanità di raggiungere Dio e il suo mondo è stato realizzato in modo inaudito e fantastico nella persona di Gesù il Cristo. Proprio perché egli è il Figlio di Dio e proprio perché è diventato uno di noi, ha realizzato nella sua persona e poi nell’opera che ha compiuto sulla terra quanto l’umanità intera da sempre ha sognato.


2. a. Originalità della lettera agli Ebrei

Non sono molti i testi che si occupano del sacerdozio di Cristo; in realtà uno solo, la lettera agli Ebrei, come è già stato ricordato. <<La legge infatti non condusse nulla a perfezione. Invece è stata fatta entrare nel mondo una speranza superiore, per la quale ci avviciniamo a Dio…E quelli sono divenuti sacerdoti in molti, perché la morte impediva loro di rimanere. Questi invece, per il fatto che rimane in eterno, ha un sacerdozio non trasmissibile. Onde può anche salvare per sempre quelli che, mediante lui, si avvicinano a Dio, essendo sempre vivente per intercedere in loro favore>> (7, 19.23-25).

Intanto una affermazione di grande rilievo e di fortissimo impatto: la legge non condusse nulla a perfezione. Se essa fu incapace di portare alla perfezione, pur essendo un dono divino, è chiaro che ancora meno potevano le altre istituzioni religiose dell’umanità; salva la loro buona volontà. Ritroviamo qui un pensiero familiare a san Paolo sul tema della giustificazione: questa non viene dalla legge. Ma poi il discorso continua e coinvolge anche i sacerdoti dell’AT. In altre parole, risulta chiaro quanto da sempre afferma la teologia della grazia, sulla base di un semplice ragionamento: la creatura non può mai raggiungere il Creatore, se questi non le si dona in modo gratuito e libero. Il primato della grazia non è un dogma così arduo, perché il semplice buon senso lo fa capire e accettare.

 

2. b. Unicità e originalità del sacerdozio di Cristo

Nel caso specifico del sacerdozio della Nuova Legge, il discorso del testo agli Ebrei si rifà ad una constatazione che è sotto gli occhi di tutti: ‘la morte impediva loro di rimanere’. La funzione di un sacerdote, secondo la logica biblica, è quello di intercedere per sempre. Dunque l’intercessione è quanto individua e specifica il compito di un sacerdote. Finché esiste questo mondo di essa si avrà sempre bisogno. Ma chi può garantire una intercessione perenne, se non chi ha in sé la vita imperitura? La tesi del testo biblico è del tutto coerente e logica: nel NT non ci possono essere altri sacerdoti, se non il Cristo Signore, perché in forza della sua vita immortale rende superfluo il compito di altri sacerdoti. E la tesi è ribadita con un nuovo argomento, quando si dice: <<(Cristo) dopo aver offerto un unico sacrifico per i peccati, si è assiso per sempre alla destra di Dio, aspettando che i suoi nemici siano posti sgabello ai suoi piedi. Infatti con unica oblazione ha reso per sempre perfetti quelli che vengono santificati>> (10, 12-14).

Intercede in nostro favore assiso alla destra di Dio. Chi può vantare un tale titolo ed una tale intercessione? Ci sono due concetti che si inseguono: l’intercessione perenne e la santificazione perfetta. Sembrerebbe, a prima vista, che la santificazione perfetta rendesse inutile l’intercessione, ed invece restano assieme l’una e l’altra, perché ciò che è reso perfetto una volta per sempre, ha bisogno di essere distribuito nel tempo della storia. C’è da fare una ulteriore osservazione a questo proposito. Il testo citato Eb 7,24 nella versione delle Edizioni Paoline, parla di un sacerdozio ‘non trasmissibile’, quella della CEI invece parla di un sacerdozio ‘che non tramonta’. Il traduttore S. Zedda gioca abilmente sul termine greco, che in senso traslato può essere espresso anche come ‘non trasmissibile’. Si dice infatti che è ‘aparàbaton’. I cultori del greco potranno approfondire le cose.

 

2. c. Sacerdozio unico e partecipato

Ma per quel che ci riguarda, la cosa non è senza importanti significati. Se si tratta di sacerdozio unico, è evidente che non è trasmissibile, perché altrimenti perderebbe la sua unicità. Qui però potrebbe insinuarsi un dubbio di non lieve entità: dunque quelli che noi chiamiamo sacerdoti cristiani oggi, in realtà non lo sono, anzi appaiono addirittura degli usurpatori. È noto che questa è stata una interpretazione di alcuni Riformatori del XVI secolo. Non è detto che si debba leggere così. Infatti se il sacerdozio unico di Cristo non può essere trasmesso, può essere partecipato, nella linea sacramentale. Infatti è questa che da una parte congiunge con Cristo e dall’altra relativizza o ridimensiona il ruolo dei ministri del NT. Non si tratta di una identificazione fisica con Cristo, nel senso di una formula che si presta ad equivochi: ‘sacerdos alter Christus’, ma di una comunione nella linea sacramentale appunto, che dice partecipazione e differenziazione. La linea sacramentale è quella che impedisce ogni esagerazione ed ogni negazione. Non sostituiamo Cristo, né siamo soltanto dei portavoce, ma siamo veramente uniti a lui, mediante lo Spirito, rendendolo presente nel nostro tempo, in forza di ciò che i sacramenti significano e realizzano. Se non siamo il Cristo, lo rendiamo presente nella storia di oggi nella forza dello Spirito Santo. Dunque, è sempre lui che salva e redime e santifica, secondo la splendida teologia di sant’Agostino: Pietro battezza? Giuda battezza? È sempre Cristo che battezza.

 

2. d. Compiuto nel santuario di Dio

E l’ultima attestazione del sacerdozio unico di Cristo è dato da Eb 9, 11-12.15 :<<Cristo, però, apparso come sommo sacerdote dei beni futuri, per una tenda più grande e perfetta, non manufatta, cioè non di questa creazione, né mediante sangue di capri e di vitelli, ma in virtù del proprio sangue è entrato nel santuario una volta per tutte, perché ha trovato un riscatto eterno…Perciò egli è il mediatore dell’alleanza nuova, affinché, essendo intervenuta una morte in redenzione delle trasgressioni commesse sotto la prima alleanza, i chiamati ricevessero la promessa dell’eterna eredità>>.

Il sommo sacerdote entrava una volta nel santuario del tempio per chiedere il perdono dei peccati di tutto il popolo. Cristo è entrato in un altro santuario, quello del cielo; dunque la sua mediazione, la sua opera non è simbolica, ma reale; è giunto nel santuario di Dio, presentando a lui la lista dei nostri peccati e ottenendone il perdono. Solo lui è giunto al trono di Dio, perché egli è venuto da questo trono, in quanto Figlio. Questa è dunque la novità che fonda la redenzione definitiva e la nuova alleanza. Quindi è il mediatore unico della nuova alleanza, per tutti i motivi già detti. Tuttavia, questa unicità non è la chiusura per una mediazione che perdura nel tempo, in virtù della Pasqua di Cristo,come testimonia san Paolo: <<E tutto ciò è da Dio, il quale ci ha riconciliati con sé mediante Cristo, ed ha affidato a noi il ministero della riconciliazione; è stato Dio, infatti, a riconciliare con sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. Noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo, ed è come se Dio esortasse per mezzo nostro>> (2Cor 5, 18-20).

L’opera unica di Cristo è resa presente da coloro che sono stati resi ambasciatori di Cristo Signore e dell’opera della riconciliazione.

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6. Sacerdozio battesimale
e ministeriale
di Marino Qualizza

1. Il popolo sacerdotale dell’Antica e Nuova Alleanza

È giusto parlare del popolo sacerdotale delle due Alleanze, per indicare al contempo una continuità ed un superamento. Allo stesso modo, del tutto pertinente, parliamo di una Chiesa che non sorge all’improvviso con Gesù Cristo, ma è preparata già nell’antica alleanza. Il primo riferimento biblico fondante e previo ad ogni discorso è Es 19,1-9. Lì c’è la premessa ed il punto di partenza per la teologia sul popolo sacerdotale. Ed è interessante notare, fin dall’inizio, che si parla di ‘popolo’ sacerdotale. Lo stesso avverrà anche nel NT. Tuttavia lo sviluppo successivo metterà in ombra questa verità elementare per concentrare quasi tutta l’attenzione sulla classe sacerdotale. Ha senz’altro il suo posto ed il suo ruolo, ma non deve oscurare quello più universale del popolo sacerdotale.


1.a. Un popolo sacerdotale con l’alleanza

Così leggiamo in Esodo 19, 1-9: “Il terzo mese dall’uscita dei figli d’Israele dalla terra d’Egitto, in quel giorno, arrivarono al deserto del Sinai. Partirono da Refidim e arrivarono al deserto del Sinai, dove si accamparono. Israele si accampò di fronte al monte. Mosè salì verso Dio. Il Signore lo chiamò dalla montagna, dicendo:”Così parlerai alla casa di Giacobbe e annuncerai ai figli d’Israele:’Voi avete visto quello che ho fatto all’Egitto: vi ho portato su ali di aquile e vi ho condotto da me. E ora, se ascoltate la mia voce e osservate la mia alleanza, sarete mia proprietà tra tutti i popoli, perché mia è tutta la terra. Voi sarete per me un regno di sacerdoti, una nazione santa’. Queste cose le dirai ai figli d’Israele”. Mosè andò a convocare gli anziani del popolo ed espose loro tutte quelle cose che il Signore gli aveva ordinato. Tutto il popolo, insieme, rispose dicendo:”Tutto quello che il Signore ha detto, noi lo faremo”. Mosè riportò le parole del popolo al Signore”.

La celebrazione dell’alleanza viene descritta nel capitolo 24, ma qui è già considerata un fatto compiuto e la base della scelta da parte di Dio. Ora essere ‘proprietà’ di Dio e ‘regno’ di sacerdoti e ‘nazione’ santa, dice una stessa cosa: un rapporto del tutto speciale con il Signore, dove valgono non i termini di possesso, ma di affetto. In realtà, Israele è proprietà di Dio, nel senso che egli la considera sua, in termini di affetto, come il padre dice al figlio : ‘mio figlio’. Nella stessa linea corrono le altre due espressioni, ma acquistano un significato più dinamico o missionario. Infatti questo popolo sacerdotale svolge un ruolo di mediazione con gli altri popoli, ad analogia di quanto Mosè fa all’interno del suo popolo. E così quando si parla di ‘nazione santa’ si pensa non tanto ad una qualità astratta e spiritualizzata, quando invece al compito di testimonianza che Israele è chiamato a svolgere verso i popoli vicini. È anche la convinzione che traspare dal libro di Tobia:”Celebratelo, Israeliti, davanti alle nazioni, perché egli vi ha disperso in mezzo ad esse, e qui vi ha fatto vedere la sua grandezza” (13, 3-4).

 

1.b. Riconfermato con la nuova alleanza

Sulla base di questa convinzione, continua nel NT il discorso sul popolo sacerdotale. Ci limitiamo a presentare solo alcuni testi, perché possiamo vedere la continuità in un servizio e la sua novità, costituita dall’evento di Gesù Cristo. Il primo testo solenne che la tradizione apostolica legata a Pietro, ci ha tramandato, è il brano classico di 1Pt, 2,4-10. E’ singolare il fatto che esso risulta a sua volta, di citazioni, la più importante delle quali è il testo dell’Esodo sopra citato. La lettera di Pietro può essere considerata come una omelia pasquale, in cui vengono richiamate le linee essenziali della salvezza operata da Cristo e il nuovo statuto dei battezzati, resi partecipi della giustizia di Dio. A questi il testo si rivolge richiamando la loro nuova dignità.

“Avvicinandovi a lui, la pietra vivente scartata dagli uomini ma scelta da Dio e di valore, siete costruiti anche voi come pietre viventi in edificio spirituale per formare un organismo sacerdotale santo, che offra sacrifici spirituali bene accetti a Dio per mezzo di Gesù Cristo. Per questo si trova nella Scrittura: Ecco, pongo in Sion una pietra scelta, angolare, di valore, e chi crede in essa non rimarrà confuso. Il valore è per voi che credete; per coloro che non credono, la pietra scartata dai costruttori è diventata la pietra angolare, sasso d’inciampo e pietra di scandalo. Essi inciampano disobbedendo alla parola e a questo inciampo sono destinati. Ma voi siete una stirpe scelta, un organismo sacerdotale, regale, un popolo santo, un popolo destinato ad essere posseduto da Dio, così da annunziare pubblicamente le opere degne di colui che dalle tenebre vi chiamò alla sua luce meravigliosa, voi che un tempo eravate non-popolo, ora invece siete popolo di Dio, eravate non beneficati dalla bontà divina, ora invece siete beneficati”.

 

1.c. Lo statuto del nuovo popolo

Possiamo dire che qui abbiamo una specie di statuto generale dell’essere e dell’agire del nuovo popolo di Dio. L’essere è descritto da ciò che i battezzati sono divenuti per mezzo di Cristo, appunto il popolo sacerdotale. Questo evento non è un fatto pacifico, perché è il risultato della passione di Cristo, del suo rifiuto, della sua morte. Il richiamo al dramma della pasqua è esplicito e forte, per dire che l’inserimento in Cristo non è una cosa scontata, ma frutto di lotta e di fatica. I cristiani non possono dimenticare la loro origine dalla pasqua di Cristo. Del resto anche la nascita del primo popolo sacerdotale era avvenuta nel travaglio dell’Esodo e delle peripezie conseguenti. Ma poi ciò che resta ed è decisivo è la nuova dignità acquisita.

Questo nuovo popolo ha due compiti ben precisi e distinti. Il primo consiste nell’offrire sacrifici spirituali, a Dio bene accetti. Non si precisa in che cosa consistano, forse si dà per noto ai lettori che cosa ciò significhi. Comunque c’è un aggettivo importante che può orientare in modo sicuro: si tratta di sacrifici ‘spirituali’, celebrati cioè nello Spirito Santo. Non è difficile vedere in questo termine il superamento dell’apparato sacrificale del tempio antico e la designazione del nuovo sacrificio di Cristo, comprensibile solo nello Spirito di Dio. Tutto l’argomento viene ripreso ed analizzato in modo esauriente nella lettera agli Ebrei.

 

 

1.d. Identità e missione

Il secondo compito è l’annuncio al mondo di quanto Dio ha fatto con il suo popolo: il passaggio dalle tenebre alla luce, il passaggio dalla morte alla vita. E’ in breve l’annuncio del Vangelo nel segno della nuova vita ricevuta in dono. Quanto sia superata la sola ed univoca dimensione cerimoniale della liturgia cristiana è del tutto perspicuo nel nostro testo, ed è altresì annotata la necessità per il nuovo popolo sacerdotale di non limitarsi ad una fede che non conosca annuncio, nel fatto stesso che è vissuta dinanzi al mondo e a beneficio del mondo.

Nel libro dell’Apocalisse abbiamo altri due passaggi significativi sul nostro tema. Gesù Cristo “ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre” (1,6). Tu o Cristo, “Acquistasti per Dio con il tuo sangue uomini di ogni tribù e lingua e popolo e nazione, ne facesti per il nostro Dio un regno di sacerdoti e regneranno sulla terra!” (5,9-10). Qui è evidenziato in modo molto più forte che nel testo precedente l’opera di Gesù Cristo, anche in considerazione dell’impostazione dell’Apocalisse. Ma è del tutto chiaro che in ogni testo del NT quando si parla di qualcosa in riferimento alla nuova condizione dei redenti, l’accentuazione dell’opera di Cristo è particolarmente forte, perché da esso e su di essa tutto consiste e sta.

 

1.e. Riscoprire l’identità del popolo di Dio oggi

Da questa sintetica presentazione possiamo fare due brevi considerazioni conclusive. La prima è che nel corso dei secoli si è persa la prospettiva di questo popolo sacerdotale, a vantaggio di una impostazione più clericale, che ha raggiunto il suo vertice all’inizio del secondo millennio. Questa sfasatura ha arrecato i suoi danni, che sono all’origine neanche tanto nascosta anche della contestazione luterana del modello ecclesiale del suo tempo. La seconda consiste nel ricuperare il senso di questo popolo sacerdotale, composto dai battezzati, in vista di una rinnovata coscienza dell’essere Chiesa e della sua missione nel mondo.

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