Formazione Religiosa

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Martedì, 19 Febbraio 2008 23:46

La vera Torah

La vera Torah




Rabbi Shimon insegna: Guai all’uomo che pretende affermare che la Torah è venuta a donarci soltanto delle cronache e delle parole destinate al popolo. Se fosse così, infatti, anche nel nostro tempo, saremmo in grado di fabbricare una Torah con parole di questo tipo. Saremmo persino capaci di farne di più valide. Se si trattasse di puri racconti, anche nelle cronache che vanno in giro, vi sono termini più scelti…

Quando la Torah è discesa in questo mondo, questo mondo non sarebbe stato capace di sopportarla se non si fosse rivestita degli abiti di questo mondo. Perciò il racconto della Torah è il suo vestito. Chi pensa che il vestito è davvero la Torah e non un’altra cosa, il suo spirito sia scacciato via e non abbia parte nel mondo futuro. Per questo Davide esclamava: “Apri i miei occhi e io contempli le meraviglie della Torah” (Ps 119,18), cioè quel che sta sotto al vestito.

Vieni e vedi: c’è un vestito che è manifesto per tutti, e gli sciocchi, quando vedono un uomo con un abito che sembra loro bello, non riflettono più di tanto. Ma il valore del vestito sta nel corpo e il valore del corpo sta in quello dell’anima.

Zohar II, 152 a

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Lo Zohar.

L’opera maggiore della Cabbala, considerata come il terzo pilastro del giudaismo dopo la Bibbia e il Talmud, il Sefer ha-Zohar, o Libro dello Splendore, cominciò a circolare in Castiglia nel 1293. Presentato sotto la forma di una discussione fra Shimon bar Yohai, un rabbino del II secolo che ne sarebbe l’autore, e i suoi discepoli, lo Zohar fu in seguito attribuito a Mosheh de León (1240-1305)

(da Le monde des religions 18, p.63)
Pubblicato in Mondo Ebraico
Il dialogo con gli Ebrei
"nostri fratelli maggiori"

Catechesi di papa Giovanni Paolo II del 28 aprile 1999


"Il ricordo dei fatti tristi e tragici del passato può aprire la via ad un rinnovato senso di fraternità, frutto della grazia di Dio, e dell'impegno perché i semi infetti dell'antigiudaismo e dell'antisemitismo non mettano mai più radice nel cuore dell'uomo".

1. Il dialogo interreligioso che la Lettera Apostolica Tertio Millennio Adveniente
incoraggia come aspetto qualificante di questo anno particolarmente dedicato a Dio Padre (cfr nn. 52-53), riguarda innanzitutto gli ebrei, i "nostri fratelli maggiori", come li ho chiamati in occasione del memorando incontro con la comunità ebraica della città di Roma il 13 aprile 1986. Riflettendo sul patrimonio spirituale che ci accomuna, il Concilio Vaticano II, specie nella Dichiarazione Nostra Aetate
, ha dato un nuovo orientamento ai nostri rapporti con la religione ebraica. Occorre approfondire sempre di più quell'insegnamento e il Giubileo del Duemila potrà rappresentare una magnifica occasione di incontro, possibilmente, in luoghi significativi per le grandi religioni monoteistiche (cfr TMA, 53). È noto che purtroppo il rapporto con i fratelli ebrei è stato difficile, a partire dai primi tempi della Chiesa fino al nostro secolo. Ma in questa lunga e tormentata storia non sono mancati momenti di dialogo sereno e costruttivo. Va ricordato in proposito che la prima opera teologica con il titolo "Dialogo " è significativamente dedicata dal filosofo e martire Giustino nel secondo secolo al suo confronto con l'ebreo Trifone. Così pure va segnalata la dimensione dialogica fortemente presente nella letteratura contemporanea neoebraica, la quale ha profondamente influenzato il pensiero filosofico-teologico del ventesimo secolo.

C'è un lungo tratto della storia della salvezza a cui cristiani ed ebrei guardano assieme

2. Questo atteggiamento dialogico tra cristiani ed ebrei non esprime solo il valore generale del dialogo tra le religioni, ma anche la condivisione del lungo cammino che porta dalI' Antico al Nuovo Testamento. C'è un lungo tratto della storia della salvezza a cui cristiani , ed ebrei guardano assieme.
"A differenza delle altre religioni non cristiane - infatti - la fede ebraica è già risposta alla Rivelazione di Dio nella Antica Alleanza". Questa storia è illuminata da una immensa schiera di persone sante, la cui vita testimonia il possesso, nella fede, delle cose sperate. La Lettera agli Ebrei mette appunto in risalto questa risposta di fede lungo il corso della storia della salvezza (cfr Eb ll). La testimonianza coraggiosa della fede dovrebbe anche oggi segnare la collaborazione di cristiani ed ebrei nel proclamare e attuare il disegno salvifico di Dio a favore dell'intera umanità. Se questo disegno è poi diversamente interpretato rispetto all'accoglienza di Cristo, ciò comporta ovviamente una divaricazione decisiva, che è all'origine del cristianesimo stesso, ma non toglie che molti elementi restino comuni.
Soprattutto rimane il dovere di collaborare per promuovere una condizione umana più conforme al disegno di Dio. Il grande Giubileo, che si richiama proprio alla tradizione ebraica degli anni giubilari, addita l'urgenza di tale impegno comune per ripristinare la pace e la giustizia sociale. Riconoscendo la signoria di Dio su tutto il creato e in particolare sulla terra (cfr Lv 25), tutti i credenti sono chiamati a tradurre la loro fede in impegno concreto per proteggere la sacralità della vita umana in ogni sua forma e difendere la dignità di ogni fratello e sorella.

3. Meditando sul mistero di lsraele e sulla sua "vocazione irrevocabile", i cristiani esplorano anche il mistero delle loro radici. Nelle sorgenti bibliche condivise con i fratelli ebrei, trovano elementi indispensabili per vivere e approfondire la loro stessa fede. Lo si vede, ad esempio, nella Liturgia. Come Gesù, che ci viene presentato da Luca mentre nella sinagoga di Nazaret apre il libro del profeta Isaia (cfr Lc 4,16ss), così la Chiesa attinge dalla ricchezza liturgica del popolo ebraico. Essa ordina la liturgia delle ore, la liturgia della parola e perfino la struttura delle preghiere eucaristiche secondo i modelli della tradizione ebraica. Alcune grandi feste come la Pasqua e la Pentecoste evocano l'anno liturgico ebraico, e rappresentano eccellenti occasioni per ricordare nella preghiera il popolo che Dio ha scelto ed ama (cfr Rm 11,2).
Oggi il dialogo implica che i cristiani siano più consapevoli di questi elementi che ci avvicinano. Come si prende atto della "alleanza mai revocata", così si deve considerare il valore intrinseco dell'Antico Testamento (cfr Dei Verbum, 3), anche se esso acquista il suo senso pieno alla luce del Nuovo Testamento e contiene promesse che si adempiono in Gesù. Non fu forse la lettura attualizzata della Sacra Scrittura ebraica fatta da Gesù ad accendere "il cuore nel petto"(Lc 24,32) ai discepoli di Emmaus, permettendo loro di riconoscere il Risorto mentre spezzava il pane ?

4. Non solo la comune storia di cristiani ed ebrei, ma particolarmente il loro dialogo deve mirare all'avvenire, diventando, per così dire, "memoria del futuro". Il ricordo dei fatti tristi e tragici del passato può aprire la via ad un rinnovato senso di fraternità, frutto della grazia di Dio, e all'impegno perché i semi infetti dell'antigiudaismo e dell'antisemitismo non mettano mai più radice nel cuore dell'uomo. Israele, popolo che edifica la sua fede sulla promessa fatta da Dio ad Abramo: "sarai padre di una moltitudine di popoli" (Gn 17,4; Rm 4,17), addita al mondo Gerusalemme quale luogo simbolico del pellegrinaggio escatologico dei popoli, uniti nella lode dell'Altissimo. Auspico che agli albori del terzo millennio il dialogo sincero tra cristiani ed ebrei contribuisca a creare una nuova civiltà, fondata sull'unico Dio santo e misericordioso, e promotrice di una umanità riconciliata nell'amore. "

Meditando sul mistero di Israele e sulla sua "vocazione irrevocabile" i cristiani esplorano anche il mistero delle loro radici.

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Inizialmente era un contratto, nel quale la donna veniva trasferita dalla potestà del padre a quella del marito, ma entrambi i coniugi avevano quello che oggi si chiamerebbe «il diritto di recesso». In seguito, la donna ha acquisito una maggiore libertà (anche nella scelta del marito) e, col tempo, sempre più diritti e garanzie. Ma qualche problema resta anche oggi.

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Appollaiata sulle alture della Galilea, Safed (Tsfat) città santa del giudaismo, accoglie ogni anno decine di migliaia di pellegrini che si stringono sulle tombe dei saggi e dei grandi maestri della mistica ebraica.

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Giustizia e Carità. Affrontare le sfide del futuro:
i rapporti ebraico-cattolici nel 21° secolo
Dichiarazione congiunta

18a Riunione del Comitato Internazionale di Raccordo tra Cattolici ed Ebrei

Buenos Aires 5-8 luglio 2004. Incontro dell’ International Catholic-Jewish Liaison Committee (ILC) sul tema: “Giustizia e Carità. Affrontare le sfide del futuro: i rapporti ebraico-cattolici nel 21° secolo”.

I rapporti tra la Chiesa cattolica ed il popolo ebraico hanno sperimentato grandi cambiamenti dalla Dichiarazione del Concilio Vaticano II Nostra Aetate (1965), che ha sottolineato le radici ebraiche del Cristianesimo e il ricco patrimonio spirituale condiviso da Ebrei e Cristiani. Nell’ultimo quarto di secolo, il Papa Giovanni Paolo II ha approfittato di tutte le occasioni che si sono presentate per promuovere il dialogo tra le due comunità di fede, che considera inerente alle nostre identità. Questo dialogo ha generato un’intesa e un rispetto reciproci. Speriamo di continuare ad arrivare a circoli sempre più ampi e di toccare le menti ed i cuori di Cattolici ed Ebrei e dell’intera comunità.

La 18ª Riunione del Comitato internazionale di raccordo tra Cattolici ed Ebrei ha avuto luogo a Buenos Aires dal 5 all’8 luglio 2004. Questo incontro, celebrato per la prima volta in America Latina, ha avuto come tema centrale Tzedek and Tzedakah (Giustizia e Carità) nei loro aspetti teorici e nelle loro applicazioni pratiche. Le nostre decisioni sono state ispirate dal comandamento divino “Amerai il prossimo tuo come te stesso” (Lev 19,18; Mt 22,39). Dalle nostre diverse prospettive, abbiamo rinnovato il nostro impegno nei confronti della difesa e della promozione della dignità umana in base all’affermazione biblica per la quale ogni essere umano è stato creato ad immagine e somiglianza di Dio (Gen 1,26). Ricordiamo la difesa dei diritti umani di Papa Giovanni XXIII per tutti i figli di Dio enunciata nella sua enciclica Pacem in Terris (1963) e le rendiamo un tributo speciale per aver iniziato questo scambio fondamentale nei rapporti ebraico-cattolici.

Il nostro impegno reciproco nei confronti della giustizia ha una profonda radice in entrambi i Credo religiosi. Ricordiamo la tradizione di aiutare la vedova, l’orfano, il povero e lo straniero derivanti dal comandamento di Dio (Es 22,20-22; Mt 25,31-46). I Maestri di Israele hanno sviluppato un’ampia dottrina di giustizia e carità per tutti, basata su una profonda comprensione del concetto di Tzedek. Costruendo sulla tradizione della Chiesa, il Papa Giovanni Paolo II, nella sua prima enciclica, Redemptor Hominis (1979), ricordava ai Cristiani che un vero rapporto con Dio richiede un forte impegno nel servizio nei confronti del nostro prossimo.

Anche se Dio ha creato l’essere umano nella diversità, lo ha dotato della stessa dignità. Condividiamo la convinzione per cui ogni persona ha diritto ad essere trattata con giustizia ed equità. Questo diritto include il fatto di condividere la grazia e i doni di Dio (hesed).

Vista la diffusione della povertà, dell’ingiustizia e della discriminazione, abbiamo il dovere religioso di preoccuparci per i poveri e per coloro che sono stati privati dei propri diritti politici, sociali e culturali. Gesù, radicandosi profondamente nella tradizione ebraica dei suoi tempi, ha fatto dell’impegno nei confronti dei poveri una priorità del Suo ministero. Il Talmud afferma che il Santo, sia Benedetto, ha sempre cura dei bisognosi. Attualmente questa preoccupazione deve comprendere ampi gruppi in tutti i continenti: gli affamati, gli orfani, le vittime dell’AIDS, tutti coloro che non ricevono cure mediche adeguate e quelli che non sperano in un futuro migliore. Nella tradizione ebraica, la forma superiore di carità consiste nell’abbattere le barriere che impediscono ai poveri di uscire dalla loro condizione di povertà. Negli ultimi anni la Chiesa ha sottolineato la propria scelta preferenziale per i poveri. Gli Ebrei e i Cristiani hanno lo stesso dovere di lavorare per la giustizia con carità (Tzedakah), arrivando così alla pace (Shalom) per tutta l’umanità. Fedeli alle nostre rispettive tradizioni religiose, vediamo questo impegno comune nei confronti della giustizia e della carità come la cooperazione dell’uomo con il piano divino per costruire un mondo migliore.

Alla luce di questo impegno comune, riconosciamo la necessità di trovare una soluzione per queste grandi sfide: la crescente disparità economica tra i popoli, la grande devastazione ecologica, gli aspetti negativi della globalizzazione e il bisogno urgente di lavorare per la pace e la riconciliazione.

Sono quindi benvenute le iniziative congiunte delle organizzazioni internazionali cattoliche ed ebraiche che hanno iniziato a lavorare per risolvere i problemi dei poveri, degli affamati e degli ammalati, dei giovani, di coloro che non hanno accesso all’educazione e degli anziani. Sulla base di queste azioni di giustizia sociale ci vogliamo impegnare a raddoppiare i nostri sforzi per soddisfare i bisogni più pressanti di tutti attraverso il nostro impegno comune nei confronti della giustizia e della carità.

Man mano che ci avviciniamo al 40° anniversario della Nostra Aetate, la dichiarazione del Concilio Vaticano II che ha ripudiato l’accusa di deicidio contro gli Ebrei, ha riaffermato le radici ebraiche del Cristianesimo e ha condannato l’antisemitismo, prendiamo nota dei molti cambiamenti positivi che la Chiesa cattolica ha operato nei suoi rapporti con il popolo ebraico. Questi ultimi 40 anni di dialogo fraterno contrastano in maniera sostanziale con quasi duemila anni di “insegnamento del disprezzo”, con tutte le sue dolorose conseguenze. Prendiamo energia dai frutti degli sforzi collettivi, che includono il riconoscimento del rapporto unico e continuo tra Dio e il popolo ebraico e il rifiuto totale dell’antisemitismo in tutte le sue manifestazioni, incluso l’antisionismo come espressione più recente dell’antisemitismo.

Da parte sua, la comunità ebraica ha evidenziato un desiderio crescente di portare a termine un dialogo interreligioso ed azioni congiunte su questioni religiose, sociali e comunitarie a livello locale, nazionale e internazionale, come illustra il nuovo dialogo diretto tra il Gran Rabbinato di Israele e la Santa Sede. La comunità ebraica, inoltre, ha compiuto numerosi passi a livello di programmi educativi sul Cristianesimo, sull’eliminazione dei pregiudizi e sull’importanza del dialogo ebraico-cristiano. La comunità ebraica ha poi preso coscienza, deplorandolo, del fenomeno dell’anticattolicesimo in tutte le forme in cui si manifesta nella società.

Nel 60° anniversario della liberazione dei campi di concentramento nazisti, dichiariamo la nostra decisione di impedire la rinascita dell’antisemitismo che ha condotto al genocidio e alla Shoah. Su questo punto siamo uniti e seguiamo gli indirizzi delle principali conferenze internazionali su questo problema che sono state realizzate recentemente a Berlino e presso le Nazioni Unite a New York. Ricordiamo le parole del Papa Giovanni Paolo II, che ha affermato che l’antisemitismo è un peccato contro Dio e contro l’umanità.

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Il 27 giugno 2005 Troyes ha reso omaggio solenne a Rashi, figlio del paese. Col suo irraggiamento fu il professore di quasi tutti i sapienti dell'Europa del Nord, ebrei e cristiani, e i suoi lavori hanno rinnovato profondamente il modo di interpretare i testi fondamentali.

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I Sette Sentieri della Torah

di Rabbi Avraham Abulafia

Agli occhi di ogni uomo è chiaro che la Torah, che porta il nome di Libro del Giusto (2 Sam. 1.18), è un: "albero di vita, è per chi si aggrappa a lei, e chi la stringe è fortunato" (Prov. 3.18). È' risaputo per tradizione, in base al Libro di Razi'el, che il valore numerico della parola me'usar (fortunato)corrisponde a quella di Yisra'el "Israele"; da questo scaturisce la conoscenza di tutti i fenomeni delle vie dei segreti dei precetti e a lui andranno uniti desideri, delizie, insegnamenti, pensieri dotati di fede, speranze.

Perciò è opportuno far conoscere ai rettori delle accademie d'ogni dove tutto ciò che concerne le lettere ed i termini che istruiscono sulle varie realtà, maschili e femminili, singolari maschili e singolari femminili, plurali maschili e plurali femminili, per separare sottilmente in essi fra ciò che è bene e ciò che è male, e fra pensieri giusti e pensieri fallaci. Tutto questo si svela tramite i sette sentieri, in cui sono contenute tutte le sapienze, per ogni lingua e nazione.

Riassumerò dunque tali questioni in questa lettera, affinché sia per voi d'ammonimento.

I sette sentieri della Torà sono i seguenti:

1) Il primo sentiero racchiude la comprensione letterale della Torà "poiché l'interpretazione di un versetto non deve allontanarsi dal senso letterale". Questa è la via che si addice al popolo, uomini, donne e pargoli; anche se è noto che ogni essere umano, all'inizio della sua esistenza - fra infanzia e giovinezza - fa parte di questo gruppo. In seguito, ci sono persone che studiano e altre che rimangono del tutto senza istruzione sulla via della conoscenza delle lettere, ma d'ogni uomo è detto: Può divenire saggio pure l'uomo che è nato simile ad un giovane onagro selvatico (Giobbe. 11,12). È pertanto indispensabile che, a colui che è totalmente illetterato, si trasmettano alcuni elementi della tradizione, sì che diventi credente per fede ricevuta, resti nel proprio ambito e si mantenga entro la sfera del senso letterale. Sembrerà così che abbia studiato, e si atterrà a ciò che ha acquisito come vi si attiene chi ha appreso i significati letterali della Torà: in tal modo verrà sottomesso a questo primo sentiero.

2) Il secondo sentiero racchiude la comprensione del testo secondo molteplici commenti: ciò che li accomuna è il ruotare intorno alla sfera del senso letterale, che essi circondano da ogni parte. Così fanno la Mishnah ed il Talmud, che espongono il senso letterale della Torà. Si veda la questione della "circoncisione del cuore": la Torà prescrive di circonciderlo, come è detto: Circoncidete il prepuzio del vostro cuore (Deut. 10.16). Preso in senso letterale, questo precetto è assolutamente irrealizzabile: perciò esso richiede un'interpretazione, offerta dal versetto: Il Signore, tuo D-o, circonciderà il tuo cuore (Deut. 30.6), che segue l'affermazione: E tornerai al Signore tuo D-o (Deut. 30.2). Dunque, la circoncisione del cuore è propriamente l'imbocco della via del ritorno al Signore, sia Egli benedetto; la circoncisione dell'ottavo giorno, invece, è un'altra cosa, perché è impossibile interpretarla nel senso di un pentimento, come l'hanno intesa gli incirconcisi di cuore e gli incirconcisi di prepuzio. Dunque la circoncisione del neonato va necessariamente intesa in senso letterale, ed è di gran giovamento, come già ci è stato rivelato da alcuni, lode a D-o.

3) Il terzo sentiero racchiude la comprensione del testo sotto il profilo omiletico e narrativo, e comprende entrambi i metodi menzionati in precedenza; un esempio è offerto dall'affermazione dei nostri Maestri di benedetta memoria: "Perché nel secondo giorno non è detto che era buono?
Perché non era stata completata l'opera delle acque", e via di seguito. Questo metodo è denominato darashaggadah o haggadah ("racconto"), che ha in primo luogo la funzione di attrarre (tale è infatti il targum, che sa attirare i cuori verso la giusta via), e in secondo luogo quella di raccontare cose gradevoli che incantano chi ascolta. ("omelia", "ricerca"), a indicare che con esso si può indagare, inquisire e poi esporre in pubblico, di fronte a tutti; parimenti, è stato chiamato

4) Il quarto sentiero racchiude le parabole e le allegorie, che sono presenti in tutti i libri. È qui che certuni cominciano a separarsi dalla massa del popolo: la massa infatti comprenderà queste cose secondo uno dei tre metodi di cui s'è parlato. Alcuni le prenderanno in senso letterale, altri le commenteranno, altri ancora le intenderanno per via omiletica. Certuni invece arriveranno a capire che sono parabole e le sonderanno. Qui si troveranno ad affrontare le questioni degli omonimi che la Guida dei Perplessi (del Maimonide) ha già chiarito.

5) Il quinto sentiero è il solo che racchiude le vie cabalistiche degli insegnamenti biblici. I quattro metodi che vengono prima di questo sono accessibili a tutte le nazioni: alle masse i primi tre, ai sapienti il quarto, con o senza gli altri. Invece, questo quinto sentiero è l'esordio degli stadi della sapienza cabalistica, che è solo di Israele: è qui che noi ci separiamo dalle masse del mondo, dai sapienti delle nazioni del mondo e dagli stessi Rabbi sapienti d'Israele, che restano nella sfera dei tre metodi sopra ricordati e delle parabole.

Si coglie, ad esempio, lungo questo percorso, l'indicazione dell'insegnamento che la Torà ci impartisce con la sua prima lettera, che è la Beit di Be-re'shit, "In principio" (Gen. 1.1), che deve essere di dimensioni maggiori delle altre, così come devono esserlo le ventidue lettere che si trovano in ognuno dei ventiquattro libri; o ancora con la forma della lettera Cheit di we-charah (e si accenderà); o con le due Nun capovolte nel passo relativo al versetto: Quando l'arca si muoveva (Num. 10.35).

Molte di queste cose ci sono state trasmesse per tradizione interna ed esterna: grafie piene e grafie difettive, lettera avvinte e lettere storte e via di seguito: i casi sono molti. Nulla della loro veridicità è mai stato rivelato ad alcun popolo, se non alla nostra santa nazione: coloro che percorrono la via degli altri certo se ne befferanno, pensando che queste grafie siano insignificanti. Costoro sono tratti in inganno, e si sbagliano di grosso, mentre chi sa la veridicità di questi sentieri, ne riconosce la superiorità e chiarisce i misteri, che sono santi. Questo metodo costituisce l'esordio della sapienza generale della combinazione delle lettere, e non è consigliato se non a coloro che temono Iddio, e rispettano il Suo Nome.

6) Il sesto sentiero è profondissimo: chi lo troverà? Di questa via è detto: È più lunga della terra la loro dimensione, è più alta del mare (Giobbe. 11.9). Essa si addice a coloro di cui si è detto poco sopra, i quali si isolano nella propria volontà di accostarsi al Santo Nome, cosicché la Sua Opera, sia Egli benedetto, sia in loro stessi riconoscibile. Sono coloro che, nel loro agire, pervengono ad assomigliare all'azione dell'Intelletto agente. Dunque il nome di questo sentiero racchiude il segreto delle "settanta lingue" (shiv'im lesonot), espressione che equivale, numericamente a "combinazione delle lettere" (seruf ha-otiyyot). Tale percorso segna il loro ritorno verso la Materia prima, tramite l'evocazione e la meditazione che si articola nelle dieci sephirot senza determinazione, il cui segreto è santo. Ogni cosa che appartiene alla santità è in numero di dieci: non è forse Mosè asceso dieci volte, e la Shekhinà discesa altrettante?

Con dieci Detti non fu forse creato il mondo, e con dieci Comandamenti non fu data la Torà? E molte altre decine illustrano questo concetto. A questo metodo appartengono laghematria, il notariqon, le permutazioni, le sostituzioni, le permutazioni delle permutazioni, e le permutazioni delle permutazioni delle permutazioni. A causa della pochezza dell'umano pensare, le permutazioni si limitano a dieci, benché, in verità, esse siano illimitate, giacche sono paragonabili alle particolarità delle creature, che sono infinite: sebbene la loro materia sia unica, le loro forme mutano, e si manifestano in successivi segreti.

Con questo metodo si confuta l'opinione che Rabbi Avraham Ibn 'Ezra, di benedetta memoria aveva formulato nel commento alla Torà, a proposito del nome Eli'ezer e del suo valore numerico, che ammonta a 318 (trecentodiciotto). A proposito di lui è detto: Armò i trecentodiciotto suoi uomini addestrati, i nati della sua casa (Gen. 14.14): in realtà sta scritto: Il suo uomo addestrato, che corrisponde a Eli'ezer. Sebbene Ibn 'Ezra abbia affermato che la Torà non si esprime attraverso la ghematria - poiché se così fosse ognuno potrebbe mutare il male in bene, ed il bene in male - io non credo che egli fosse all'oscuro della cosa; probabilmente intendeva occultare il segreto, ed aveva ragione, proprio per quel che abbiamo detto a proposito delle prime tre vie, visto che tutto il suo libro è stato scritto per la massa. Fanno eccezione alcuni passi che egli segnala dicendo: "Questo è un mistero, e chi è dotato d'intelletto lo esaminerà e lo comprenderà, qualora ne sia degno".

(Il sesto sentiero) è quel glorioso e terribile sentiero tramite il quale si rivela un poco della conoscenza del Nome Ineffabile, al quale s'accenna nel Libro della Formazione al secondo capitolo, dove si trova detto che le ventidue lettere fondamentali sono tre madri, sette doppie e dodici semplici: "le incise, le intagliò, le soppesò, le permutò, le combinò e con esse formò l'anima di tutto il creato e l'anima di tutto ciò che è formato".

7) Il settimo sentiero è un sentiero particolare, che racchiude tutti i sentieri, esso è il Santo dei Santi, è riservato ai Profeti, è la ruota che tutto circonda. Chi lo comprende, comprende la parola che dall'Intelletto agente promana sulla facoltà verbale. Si tratta infatti dell'influsso che si propaga dal Nome, sia benedetto, alla facoltà verbale, tramite appunto l'intelletto agente, come ha detto il maestro (il Maimonide), di benedetta memoria, nella Guida dei Perplessi, libro secondo, al capitolo trentasei. Esso è il sentiero della veridicità della profezia e della sua essenza, della conoscenza dell'essenza del Nome Unico; solo un Profeta ne ha comprensione: giacche esso rappresenta il principio che ha creato il discorso Divino sulla sua bocca.

Non è opportuno descrivere le modalità di questo sentiero, che è chiamato sentiero Santo e santificato, in un libro, né è possibile trasmettere, riguardo a Esso, alcuna tradizione, neppure per sommi capi, a meno che, chi desidera conoscerlo, non apprenda prima, a viva voce, la nozione del Nome di quarantadue lettere e di quello di settantadue.


(tratto da Sheva' netivot ha-Torah)

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Martedì, 11 Settembre 2007 00:17

Il “volto ebraico” di Gesù (Giuseppe Laras)

Il “volto ebraico” di Gesù

di Giuseppe Laras

A distanza di sessant'anni dall'emanazione delle norme anti-ebraiche del regime mussoliniano, a chi mi chiede un commento, un'impressione o un ricordo che riassuma l'impatto che quella normativa scellerata ebbe sugli ebrei italiani, che dall'oggi al domani scoprirono di non essere più uomini e donne normali, ma una sorta di "paria" emarginati ed estromessi dalla vita, che fino a poco tempo prima, bene o male, riuscivano a condurre insieme agli altri cittadini, io rispondo con una parola: incredulità.

Al di là, infatti, del dolore, delle preoccupazioni e della disperazione che un tale stato di cose induceva in tutte le famiglie degli ebrei d'Italia, lo stupore per un'iniziativa tanto criminale quanto ingiusta, in me (allora ero piccolissimo) e nei miei era prevalente su altri sentimenti, anche se in realtà chi avesse tenuto d'occhio i segnali sempre più intolleranti che emergevano dalla politica del regime già da diversi anni, si sarebbe accorto che qualcosa di efferato stava maturando contro gli ebrei.

Oggi, con riferimento a quei giorni, sono più portato a chiedermi come sia potuto accadere che la popolazione, cioè la gente comune, i colleghi, i conoscenti dei quarantamila ebrei italiani, nella loro stragrande maggioranza, non abbiano reagito, non abbiano mosso un dito, non abbiano detto una parola magari solo di solidarietà e di condivisione nei confronti delle vittime, fino a pochi giorni prima persone libere e normali come loro.

A pensare e scrivere queste cose mi induce una lettera di Luigi Giussani pubblicata su la Repubblica del 2 gennaio [1999] (...), intitolata «Noi siamo degli ebrei». Don Giussani si riferisce al rifiuto di Pio XI di dare un avallo alle leggi razziali, come gli veniva richiesto, rifiuto formulato più o meno con le parole «Noi siamo spiritualmente degli ebrei».

È certo che questa frase torna ad onore del Papa di allora, ma, a un tempo, fa emergere in maniera drammaticamente evidente come quei nobili e religiosi sentimenti non fossero di fatto condivisi e testimoniati dalla stragrande maggioranza dei cittadini italiani di allora, tutti di fede cattolica. E viene, in particolare, da chiedersi - stimolati dalle parole elevate di don Giussani - quale concezione dell'uomo sia stata insegnata e trasmessa a quella generazione, se si è potuto abbandonare alla persecuzione e alla morte - senza dire o fare pressoché nulla - uomini, donne e bambini che, ancorché colpevoli di essere ebrei, erano pur tuttavia portatori, assieme a tutti gli altri uomini, del marchio divino (immagine=zélem) che conferisce una sorta di sacralità da non conculcare e da non profanare mai.

Debbo riconoscere che da quei tempi lontani a oggi, è stato percorso un lungo tratto di strada che ha consentito al popolo cristiano (almeno in una sua parte che non sono in grado di quantificare, ma che è comunque qualitativamente rilevante) di vedere con altri occhi e con altro cuore gli ebrei, riscoprendo nella loro lunga e misteriosa storia spirituale taluni elementi comuni che spiegano e giustificano alcuni tratti dell'identità religiosa dello stesso popolo cristiano.

La storia di Israele

Sono gli effetti del cosiddetto "dialogo" che, sia pur faticosamente, sta plasmando un nuovo tipo di approccio da parte di cristiani ed ebrei nei confronti gli uni degli altri.

Io oso pensare - anche in questo particolare contesto ci si sente troppo inadeguati e fragili per esprimere giudizi e previsioni - che da parte della Chiesa si dovrebbe insistere di più (anche se già qualcosa si sta facendo in tale direzione) per una maggior conoscenza della storia e della spiritualità di Israele, al fine di riuscire a restituire un "volto ebraico" a Gesù.

Che cosa significa "un volto ebraico"? Significa che fino a pochissimo tempo fa il volto, la figura, la vita, i pensieri, la lingua di Gesù non avevano alcunché che ricordasse l'Ebraismo e l'ebraicità. Eppure Gesù era ebreo e, fino alla sua morte, si muove e opera all'interno di un'ottica, religiosa e comportamentale, assolutamente ebraica.

Una tale operazione di estraneazione di Gesù dal popolo d'Israele - che risponde evidentemente a motivi politici, apologetici e quant'altro in cui, peraltro, non sono legittimato a entrare - ha, secondo me, posto le premesse e acuito un antisemitismo divenuto sempre più virulento e aggressivo.

Il recupero della figura di Gesù all'interno di un contesto ambientale dominato da idee, concezioni e usi appartenenti alla tradizione d'Israele, potrebbe - col tempo, con perseveranza, con pazienza, con l'ottimismo che nasce dalla fede in un futuro pacificato e affratellato, giusta la concezione messianica - rivelarsi la carta vincente risolutiva della partita contro l'antisemitismo cristiano.

Ritrovamento e riconciliazione
Occorre che cristiani ed ebrei vadano avanti in questo cammino di ritrovamento e di riconciliazione, ciascuno con la sua fede e le sue certezze, nella consapevolezza che un superiore e misterioso disegno provvidenziale entrambi ci coinvolge e ci guida fino al momento, quando Dio vorrà, del suo disvelamento.

Come scrive don Giussani, penso anch'io che la fedeltà nell'attesa di Dio sia faticosa e possa talvolta tradursi in uno stato doloroso del credente. Aggiungerò solo che la certezza di un domani che sarà migliore di oggi (è questa la quintessenza della dottrina messianica d'Israele), unita a un senso di umiltà, che dobbiamo ritrovare in vista di un appuntamento così promettente e grandioso, potrà forse liberarci dalle angosce e dalle ingiustizie del presente.

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Abbiamo tutti bisogno di Berakhà. E’ una parola importante, ma nasconde un contenuto difficile, di difficile attuazione. Molti hanno parlato, parlano e parleranno di benedizione, ma forse sono stati e sono lontani dalla benedizione. C’è la benedizione che rivolge l’uomo a un altro uomo, c’è la benedizione che rivolge l’uomo a Dio, e c’è la benedizione che rivolge Dio all’uomo, al mondo. Sono tutte benedizioni, ma sono benedizioni diverse, perché sicuramente la benedizione autentica, sicuramente vera, è la benedizione di Dio.

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Sulle tracce di Bob Dylan, Abraham Ifrah ha trovato sulla sua strada alcuni discepoli di rabbi Nahman. Il rav Ifrah è oggi uno dei maestri più apprezzati del chassidismo.

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