A 40 anni dall’Unitatis Redintegratio
Un cammino tra ombre e luci
di Brunetto Salvarani
Quale sarà il futuro del movimento ecumenico? Il card. Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani, nel tracciare un bilancio del cammino ecumenico a 40 anni dal decreto conciliare Unitatis Redintegratio (= UR) promulgato da Paolo VI il 21 Novembre 1964 dalla quasi unanimità dei padri conciliari, ha mostrato una grande fiducia nel futuro. L’occasione per la valutazione è stata costituita da una Conferenza internazionale tenuta a Rocca di Papa (Roma) dall’organismo vaticano non solo per celebrare adeguatamente l’anniversario, ma anche per interrogarsi sulle nuove prospettive del dialogo tra le confessioni cristiane, oggi. Durante quell’incontro è stato confermato il carattere di caso serio da assegnare all’ecumenismo, nella consapevolezza – come ha rilevato Kasper – "che la divisione dei cristiani è uno degli ostacoli più gravi per l’evangelizzazione alla quale siamo chiamati".
A dire la propria, a Rocca di Papa, c’erano anche, opportunamente, le voci degli altri, dal metropolita di Pergamo, Johannis Zizioulas, del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, al professor Geoffrey Wainwryght, del Consiglio Metodista Mondiale, per le Chiese della Riforma. Il pastore e teologo Paolo Ricca nel confermare una valutazione largamente positiva ha posto alcuni interrogativi a partire da esso: "L’UR ha avuto la grande intuizione di proporre la Trinità come modello dell’unità, fornendo di quest’ultima un’immagine dinamica e non uniformante. Le diversità delle chiese possono essere definite il segno della ricchezza dello Spirito, carismi affidati a ciascuna di esse? Molto si è parlato dei peccati contro l’unità, ma allo stesso modo andrebbero esaminati quelli contro la diversità".
Significato di ecumenismo
Qual è il significato della parola ecumenismo? Per i geografi greci dell’antichità ecumeneoichumène = abitata, sottinteso ghè = terra). Dietro ad esso c’è in ogni caso il riferimento all’oikos, nel senso di casa, abitazione. Nel medesimo ambito semantico si colloca la parola "ecumenismo", che il Vaticani II descrive così: "Per movimento ecumenico si intendono le attività e le iniziative che, a seconda delle varie necessità della chiesa e l’opportunità dei tempi sono suscitate e ordinate a promuovere l’unità dei cristiani…" (UR 4). Giuseppe Chiaretti, arcivescovo di Perugina e, all’epoca, Presidente del Segretariato per l’Ecumenismo e il Dialogo della CEI, evidenziava che "la parola ecumenismo vuol dire ricerca insieme della casa comune". designava la parte abitata della terra (dal participio
Ma non dobbiamo stancarci a domandarci in quale direzione si sta movendo, oggi, l’ecumenismo, anche se rispondere è davvero difficile. Contro coloro che affermano che l’ecumenismo è paralizzato, Kasper dice che preferisce parlare di uno stadio di maturazione e di un necessario chiarimento.
L’ecumenismo, oggi, lo si potrebbe paragonare al movimento del pendolo il cui moto ondulatorio rimanda ad un percorso permeato di ombre, ma anche di luci. Un clima inasprito, negli ultimi anni, del cupo risorgere di piccole patrie ed etnocentrismi, chiusure identitarie che rilanciano sul presunto scontro di civiltà, conflitti interreligiosi,fondamentalismi e integralismi di ogni risma oscurano il dialogo. È, però, innegabile come il secolo appena concluso ha fatto registrare indubbi passi avanti.
Situazioni apertamente critiche
Rinunciando a stilare un elenco di situazioni apertamente critiche ci limitiamo a riandare ad un caso emblematico quanto spinoso: le relazioni cattolico-ortodosse in Russia. Nel febbraio dell’anno scorso il cardinal Kasper si è recato a Mosca, dopo un periodo di fortissime tensioni, culminato con l’elevazione, da parte cattolica dello status di diocesi delle quattro amministrazioni apostoliche già erette in quel paese. [Le accuse di parte ortodossa sono di tenere un atteggiamento uniatista in Ucraina e quella di svolgere un’azione di proselitismo nel territorio canonico dell’Ortodossia]. Secondo il resoconto del cardinale l’esito della visita è stato positivo ed effettivamente ha segnato la ripresa del dialogo. Al Patriarca Alessio II egli ha comunicato la volontà di voltare pagine perché: "… l’Europa, il mondo non hanno bisogno delle nostre divisioni, ma della nostra unità". Di ritorno, Kasper ha ammesso che "vi è certamente una responsabilità preminente della chiesa cattolica in campo ecumenico. Non solo perché siamo la chiesa più grande (…), ma per la concezione ecclesiologica che abbiamo maturato".
Unità nella diversità
Per una valutazione equilibrata della situazione va ribadito che il cammino ecumenico non consiste in un viaggio verso l’ignoto, non vuol causare né un assorbimento reciproco, né una fusione; non dovrebbe produrre uniformità, ma unità nella diversità e diversità nell’unità.La via dell’incontro ecumenico è giovane e non deve essere frettolosa. Solo con l’UR al n. 7 nella Chiesa cattolica si delineano i tratti primari di un atteggiamento autenticamente ecumenico: "conversione interiore, rinnovamento nello Spirito, rinuncia a se stessi, sincera abnegazione, umiltà di servizio, generosità fraterna".
Accanto all’UR una serie di altri eventi hanno caratterizzato il cammino:
Un ecumenismo di stile
Fra gli indizi che lasciano ben sperare c’è la novità delle chiese locali, centri studi e comunità a ribadire che le parole d’ordine dell’incontro tra le fedi cristiane saranno meno squisitamente teologiche e più spirituali.
Un autentico specialista, don Piero Coda, così si esprime in merito: "non vorrei venissero moltiplicate le commissioni, le strutture. Prima di tutto penso a uno stile. Lo stile tocca la sostanza: uno stile ecclesiale di ascolto, di partecipazione, di corresponsabilità, diventa di per sé unvito allo scambio, all’apertura, e produce luoghi do formazione adeguata".
Lo evidenziava lo stesso Giovanni Paolo II nella Ut Unum sint:"Il movimento a favore dell’unità dei cristiani non è soltanto una qualche appendice, che si aggiunge alla tradizionale attività della Chiesa. Al contrario, esso appartiene organicamente alla sua vita e alla sua azione" (n. 20).
B. Salvarani, Un cammino tra ombre e luci. A quarant’anni dall’Unitatis Redintegratio, in "Testimoni", 1 (2005), pp. 7-10. Riduzione di Cesare Filippini.
Ucraina
Per il patriarcato
di L. Pr.
Un ecumenismo da vivere
di Giacomo Ruggeri
4. Luterani ed altri cristiani
Ortodossi
Dal 26 al 31 gennaio 2004 una delegazione luterana si è recata a Costantinopoli per esaminare con dei rappresentanti del Patriarcato Ecumenico la possibilità di approfondire il partenariato tra le chiese luterane ed ortodosse.
Sia il Segretariato della Federazione Luterana Mondiale che il Patriarca Ecumenico hanno affermato la necessità di rinforzare la collaborazione tra le due famiglie confessionali perchè ciò aiuterà i loro sforzi nel fare fronte alle grandi sfide del mondo contemporaneo.
Anglicani
In occasione della sua riunione dal 21 al 23 febbraio 2004 il Comitato esecutivo della Federazione Luterana Mondiale ha approvato la creazione di una nuova commissione internazionale di dialogo con l’Alleanza Riformata Mondiale.
Il Comitato ha approvato che la nuova commissione si occupi della realizzazione del rapporto finale: “Chiamati alla comunione ed alla comune testimonianza”.
Altro compito della commissione sarà quello di iniziare due nuovi studi:
- Esame dei rapporti tra le “strutture” di Chiesa e la comunione
- Ricerca sulla storia delle Chiese luterane e riformate con un particolare riguardo alle evoluzioni che possono avere influenzato in modo positivo o negativo relazioni tra le due famiglie confessionali.
5. Riformati ed altri cristiani
Precalcedoniani
Una delegazione della Chiesa presbiteriana degli Stati Uniti si è recata nel febbraio 2004 ad Antelias in Libano presso Sua Santità Aram I catholicos Armeno di Cilicia.
Scopo della visita era quello di approfondire i rapporti tra le Chiese degli USA e quelle del Medio Oriente.
Il Catholicos Aram I ha accolto con gioia la proposta ed ha sottolineato l’importanza dell’unità come testimonianza vivente data al Vangelo di Gesù Cristo.
6. C.C.E.
Alla vigilia della fine del suo mandato, il 31 dicembre 2003, il segretario generale uscente del Consiglio Ecumenico delle Chiese, ha concesso un’intervista all’agenzia stampa: “Ecumenical News International”. Nell’intervista ha chiesto alle Chiese di accettare la sfida ecumenica di rivedere le loro idee di cristianesimo in un mondo di pluralismo religioso.
Nell’epoca della mondializzazione che vede tutto, uomini e cose, come dei prodotti commercializzabili ed il mondo come un grande mercato, si è fatta strada la tendenza a salvare le identità singole.
Il CCE, ha aggiunto, deve avere un duplice obiettivo, l’unità della Chiesa e dell’umanità.
Il pastore Sam Kobia, delle Chiese metodiste del Kenya, è stato ufficialmente istallato il 18 febbraio 2004 come segretario generale del CCE.
7. Tra Cristiani
KEK-CCEE
Il Comitato misto del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee (CCEE) e della Conferenza delle Chiese Europee (KEK) si è riunito a Slaski in Polonia dal 29 gennaio all’1 febbraio 2004 ospite dell’Arcivescovo di Opale. L’ordine del giorno ha subito portato ad un dibattito sulla situazione ecumenica che esiste in questo momento in Europa. Infatti le Chiese si trovano a dover far fronte alle sfide derivanti da un contesto multireligioso e dal processo di unificazione europea.
“Un’Europa politicamente unita con delle Chiese divise costituirebbe una situazione intollerabile” ha detto il Vescovo di Coira Monsignor H. Grab.
È dunque necessario, ha aggiunto, intensificare sia il dialogo che la collaborazione. Il progresso del cammino della riconciliazione sarà, in ogni caso, più vero e visibile nella misura in cui le Chiese vivranno il vangelo.
Il Metropolita Daniel di Moldavia e Bucovina, membro del presidium del KEK, ha continuato la riflessione mettendo in evidenza i tre maggiori ostacoli attuali contro l’ecumenismo: secolarizzazione, fondamentalismo religioso, proselitismo aggressivo da parte delle “sette”.
È necessario, ha aggiunto, superare le controversie con un dialogo corresponsabile profondo e vivendo una spiritualità autentica.
Ed ha concluso dicendo: “Creati da un Dio che è comunione di persone, non possiamo che esistere nella comunione”.
Il Comitato ha poi proposto un cammino triennale: 2005-2006-2007 che guidi le Chiese in una riflessione su “Cristo luce dell’avvenire”.
Questo cammino offrirà alle Chiese l’occasione di riflettere, incontrarsi con riferimento alle radici cristiane dell’Europa.
CETA
Il pastore Mvune Dandala, segretario generale della Conferenza delle Chiese di tutta l’Africa (CETA) si è rivolto ai responsabili delle Chiese invitandoli ad essere in prima linea nella difesa dei diritti umani, soprattutto in Africa dove esistono delle crisi persistenti legate ai conflitti ed all’insicurezza.
Relazione introduttiva del presidente
La spiritualità ecumenica
Card. Walter Kasper
La spiritualità ecumenica. Relazione introduttiva del presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani card. Walter Kasper, in "Il regno-documenti", 21 (2003), pp. 653-658; riduzione del testo a cura di Cesare Filippini.
I princìpi
Il Pontificio consiglio non fa ecumenismo a suo gradimento, né cerca di imporlo come gli aggrada, ma compie la missione che Gesù ha affidato ai suoi discepoli alla vigilia della sua morte (Gv 17,21) e agisce per mandato della Chiesa che ha scelto il cammino ecumenico inaugurato dal Concilio Vaticano II. L’ecumenismo non è una semplice appendice alla missione pastorale della Chiesa, ma appartiene organicamente alla sua vita e alla sua azione (Unitatis redintegratio, n. 1), ed esso è una delle priorità pastorali dell’attuale pontificato (Ut unum sint, n. 99).
La promozione dell’unità dei cristiani è compito dell’ecumenismo ad extra, cioè ell’ecumenismo del dialogo; dell’ecumenismo ad intra, cioè la promozione e divulgazione dello spirito e dell’azione ecumenici nella stessa Chiesa cattolica. Questi due ecumenismi devono avvenire nella verità e nella carità. Il suo scopo dichiarato è l’unità visibile della Chiesa nella fede, nei sacramenti, soprattutto nella comune celebrazione dell’eucaristia e nel ministero gerarchico.
La situazione ecumenica: luci e ombre
1. Siamo testimoni di un’incoraggiante crescita alla base della consapevolezza ecumenica. L’ecumenismo è una realtà scontata, solidamente radicata nella vita della Chiesa. Esso non ha assunto soltanto la forma di un’attività esteriore, ma abbiamo un gran numero di testimonianze toccanti di una spiritualità ecumenica vissuta. Nell’insieme, si può affermare che il compito affidato al Pontificio consiglio corrisponde alle attese e alle aspirazioni di numerosi cristiani, "che tutti siano una cosa sola".
È ancora attuale quanto Giovanni Paolo II ha sottolineato nell’enciclica Ut unum sint riferendosi ai frutti del dialogo (n. 41; EV 14/2741). Il Santo Padre afferma che il vero frutto è la fraternità ritrovata.
L’unità della Chiesa è, al tempo stesso, segno e strumento dell’unità del genere umano (LG n. 1). Per questo motivo, la solidarietà dei cristiani tra di loro è un servizio reso a tutta l’umanità. In questo senso è stato commovente e significativo rilevare lo scorso anno, la sintonia non concertata delle Chiese e comunità ecclesiali, che si sono prnunciate a favore della pace e contro la guerra. Nella giornata di preghiera per la pace (2002 ad Assisi) hanno affermato insieme che Dio è una parola di pace, e che egli non può dunque, in alcun modo, essere invocato per giustificare la guerra.
2. Inversamente, esistono purtroppo tendenze d’orientamento opposto che suscitano tensioni e, a volte, anche divisioni in seno alle Chiese. Se, da una parte, si perviene a vincere gli antichi contrasti, dall’altra insorgono nuove divergenze, per la maggior parte in materia etica: aborto, divorzio, eutanasia, omosessualità; analogamente i problemi etnici, sociali e politici hanno spesso l’effetto di causare divisioni. Le tensioni tra le Chiese ortodosse autocefale, nell’ambito della Comunione anglicana e delle comunità di tradizione della Riforma, come anche a volte nella Chiesa cattolica, nuocciono al dialogo.
In tale contesto il Consiglio si chiede chi sono i suoi partner in una situazione in cui si constata la paralisi di alcune famiglie confessionali mondiali provocata dai loro conflitti interni. In linea di principio il Pontificio consiglio intrattiene un dialogo teologico con l’insieme delle Chiese ortodosse e con le famiglie confessionali mondiali.
Un altro problema sorge dal fatto che la consapevolezza ecumenica e la pratica dell’ecumenismo sono spesso superficiali. Il pensiero pluralista e relativista moderno e postmoderno, che si discosta dalla questione della verità, vuole negligere le differenze attuali in materia di fede e si impone una tolleranza mal compresa, non basata sul rispetto dell’opinione altrui, ma su un atteggiamento indifferente nei confronti delle proprie convinzioni di fede e di quelle dell’altro. L’ecumenismo, allora, non è la causa, ma la vittima di questo relativismo.
Di fronte a questo pericolo, in tutte le Chiese e comunità ecclesiali si notano i segni forieri di un nuovo confessionalismo. Malgrado le preoccupazioni, giustificate e non da trascurare, che affiorano in queste tendenze, non è una soluzione praticabile il ripiegarsi sulla propria identità confessionale che basta a se stessa. Il movimento ecumenico postula disponibilità al cambiamento di pensiero, alla conversione e alla riconciliazione. Quando alcuni comportamenti sconfinano nel fondamentalismo fanatico, essi possono condurre, anche oggi, a forme d’ostilità confessionale e perfino a manifestazioni violente.
3. Quest’ultimo fenomeno si riscontra in modo particolare nelle sette, antiche e nuove, e in numerosi movimenti neo-religiosi. Il problema è estremamente complesso e le sue cause sono molteplici. Il concetto stesso di setta è molto difficile da definire e fino a ora teologi e sociologi della religione non sono pervenuti a intendersi sull’argomento. Abbiamo a che fare con una vasta gamma di fenomeni che non sono affatto uniformi tra loro e che emergono nelle diverse regioni del mondo con caratteristiche diverse.
Sullo sfondo di questo movimento si intravedono diversi motivi ed elementi: delle autentiche preoccupazioni spirituali, elementi eclettici, sincretisti, ovvero ideologici di una nuova gnosi, motivi politici ed economici, smania del miracoloso, vanagloria, manifestazioni demoniache.
Il dialogo rimane molto difficile, se non spesso impossibile, con le sette che affermano in modo aggressivo un esclusivismo fanatico della salvezza. Nella pratica, tuttavia, molte sfumature sono possibili. Constatiamo ciò soprattutto con i movimenti carismatici e pentecostali.
Il dialogo con le Chiese orientali
1. Il dialogo con le Chiese orientali è stato una delle più accentuate priorità dell’attività del Consiglio durante gli ultimi due anni. Siamo molto vicini a queste Chiese nella fede, nei sacramenti e nel ministero episcopale e siamo legati ad esse in una "comunione della fede e della carità". Esse conservano una ricchezza spirituale che è patrimonio della Chiesa universale. Nei nostri contatti le difficoltà sono causate da fattori non teologici, dalla diversità di storia, di cultura e di mentalità. Tuttavia siamo lieti di poter affermare che i vincoli di communio fraterna con molte singole Chiese ortodosse si sono rafforzati in modo impensabile fino a poco tempo fa. A tali progressi ecumenici hanno ampiamente contribuito i viaggi del papa. Il Pontificio consiglio ha potuto anch’esso stabilire nuovi contatti e annodare nuove amicizie in occasione di una serie di visite.
Un’ulteriore e incoraggiante esperienza di dialogo è stata realizzata con le antiche Chiese dell’Oriente.
2. Le relazioni con la Chiesa ortodossa russa, nell’insieme buone fino alla svolta politica del 1989-1990, hanno assunto una configurazione delicata. A partire da quegli anni (’89-’90) vi sono state lamentele al riguardo del cosiddetto uniatismo (relativamente alla Chiesa greco-cattolica in Ucraina occidentale) e del proselitismo, lamentele che si sono riaccese nel febbraio 2002 con l’erezione di circoscrizioni ecclesiastiche nella federazione russa e, più recentemente, nel Kazakistan. A queste difficoltà si aggiungono i problemi teologici circa la comprensione della Chiesa (autocefalia, territorio canonico, comprensione del termine Chiesa sorella).
Tuttavia il dialogo non si è mai completamente interrotto: una serie di contatti informali hanno avuto luogo negli ultimi due anni e, più di recente, sono emersi segni della volontà di un netto, anche se lento, miglioramento delle relazioni. Sarebbe auspicabile stabilire una sorta di codice di comportamento tra il Patriarcato di Mosca e la Conferenza episcopale cattolica di Russia (ovvero la Santa sede).
3. Il problema principale nelle nostre relazioni con le Chiese orientali è costituito dall’impasse in cui si dibatte il dialogo teologico internazionale avviato nel 1980 con le Chiese ortodosse nel loro insieme. Difficoltà interne tra alcune Chiese ortodosse hanno impedito una nuova convocazione della Commissione, anche se si manifesta da parte di tutti il desiderio di continuare il dialogo.
Nel maggio scorso, il Pontificio consiglio ha convocato un simposio accademico cattolico-ortodosso sul ministero petrino. La riunione è stata caratterizzata da interventi ad alto livello scientifico e si è svolta in un’atmosfera molto positiva. Il problema teologico centrale è quello della koinonia/communio, quello cioè che riguarda l’autocefalia. In prospettiva futura bisogna elaborare il concetto concreto e la prassi di una comunione universale nel pieno rispetto delle ricche e antiche tradizioni liturgiche, teologiche, spirituali e canoniche delle Chiese orientali.
I rapporti della Chiesa cattolica con singole Chiese orientali seguono un cammino positivo e pieno di promesse.
Il dialogo con le comunità ecclesiali occidentali
1. Le differenze non soltanto storiche e culturali, ma anche di carattere dottrinale, con le comunità ecclesistiche occidentali sono più gravi di quelle con le Chiese orientali. Quanto è stato detto sui cambiamenti della scena ecumenica e sulle luci e ombre dell’ecumenismo si applica anche ai dialoghi con le comunità ecclesiali occidentali. Tra le Chiese e comunità ecclesiali, la Chiesa cattolica è di gran lunga la Chiesa che intrattiene il maggior numero di dialoghi ecumenici. Dalle Dichiarazioni ufficiali i dialoghi avanzano lentamente, ma con serietà.
Un accenno particolare merita il dialogo con la Comunione anglicana che progrediva assai positivamente, ma che improvvisamente, a causa dei nuovi problemi etici, ha rallentato il cammino.
2. Un’analisi più approfondita di tali difficoltà permette di constatare, al di là degli umori del momento, per la maggior parte passeggeri, il problema di fondo nel dialogo con le comunità ecclesiali di tradizione della Riforma. Abbiamo a che fare con delle ecclesiologie diverse che conducono a diverse concezioni dello scopo ecumenico al quale si tende. Tali concezioni suscitano attese differenziate che, per loro natura, provocano delusioni da una parte e dall’altra proprio per il fatto che un partner non risponde a ciò che l’altro si attende da lui. Questa situazione ha portato ad una sorta di situazione di stallo che rende impossibile ogni progresso sostanziale, fino a quando cioè le questioni dell’ecclesiologia non saranno fondamentalmente risolte.
Lo scopo ecumenico, dal punto di vista cattolico, è la comunione piena e visibile nella fede, nei sacramenti e nel ministero gerarchico. Questa comunione – vedi l’esempio delle Chiese orientali – considera una ricchezza la pluralità delle forme d’espressione delle diverse Chiese locali a condizione che esse non comportino divergenze sostanziali. Da ciò si discosta il modello d’unità proposto dalla Concordia di Leuenberg (1973) diventato predominante soprattutto nel contesto del protestantesimo del continente europeo.
Secondo tale modello, le Chiese confessionali fino ad ora separate adottano una forma di comunione ecclesiale che presuppone un consenso di principio circa la comprensione del Vangelo, pur lasciando sussistere professioni di fede diverse. Dal punto di vista confessionale ed istituzionale, le Chiese restano separate, ma sono in comunione per il pulpito e la santa Cena; inoltre riconoscono reciprocamente i loro ministeri rispettivi. Tale pluralismo confessionale è considerato legittimo sulla base del N.T.
Risulta chiaro che una tale comprensione della comunione ecclesiale si distingue fondamentalmente dall’unità ecclesiale in quanto unità di communio secondo la concezione cattolica. Si comprende allora in che modo e per quale motivo le Chiese protestanti insistano attualmente sull’intercomunione ovvero sull’ospitalià eucaristica.
3. Il modello di Leuenberg non è l’unico e solo modello applicato da parte evangelica; ci sono anche i risultati del dialogo con gli anglicani, la dichiarazione della Chiesa luterana evangelica d’America, la dichiarazione della Chiesa luterana del Canada. Studiosi di Lutero, sia protestanti che cattolici, hanno dimostrato che la sua intenzione – come quella degli altri riformatori – non era di fondare una propria Chiesa confessionale, ma di riformare, a partire dal Vangelo, la Chiesa universale esistente. Un tale progetto è fallito per ragioni sia teologiche che politiche. Poiché attualmente il movimento ecumenico accoglie le richieste legittime degli uni e degli altri come uno "scambio di doni", viene a cadere per ciò stesso ogni legittimità di una separazione delle Chiese.
L’ecumenismo in un prossimo futuro
La situazione che abbiamo descritto non deve essere motivo di rassegnazione. Nel frattempo il movimento ecumenico è pervenuto ad una situazione untermedia di buon vicinato e di communio ecclesiale più profonda sebbene non ancora completa. Si tratta ora di un ecumenismo di vita; si tratta di dare forma ad una situazione intermedia e d’infondere la vita in una tale situazione. Se potessimo realizzare tutto ciò che è fattibile, e anche opportuno, senza difficoltà e senza infrangere nessuna regola ecclesiale, saremo molto più avanti nel nostro cammino.
Alla luce di quanto detto vorrei attirare particolarmente l’attenzione su un punto. Di fronte all’attuale pericolo di erosione di ciò che secondo i principi cattolici dell’ecumenismo costituisce la base di fede dell’ecumenismo – il battesimo e la fede battesimale, il Credo – è necessario rinforzare tali fondamenta. In conformità con l’ultima Assemblea plenaria il Pontificio consiglio ha iniziato questo compito chiedendo alle conferenze episcopali di pervenire ad un accordo sul reciproco riconoscimento del battesimo con i loro partner ecumenici, ovvero di verificare e approfondire gli accordi esistenti. Non si tratta soltanto del riconoscimento formale della validità del battesimo conferito con l’acqua e con la formula trinitaria, ma di un accordo sulla comprensione del battesimo e della professione di fede che di esso fa parte. Le reazioni che sono pervenute fino ad ora a queste iniziative del nostro dicastero sono incoraggianti.
Aristotele ha dimostrato che ogni comunità, stato compreso, dipende, per la sua conservazione, dall’amicizia e dalla cerchia dei suoi amici (Nic. Etica 1155; 1160a-61a). L’amicizia è un’importante categoria del N.T. ed è un termine che i primi cristiani usavano per descrivere se stessi. (Gv 15,11-15; 3 Gv 15). L’ecumenismo non progredisce principalmente con documenti e azioni, ma grazie alle amicizie che superano le barriere confessionali. In ragione dell’unico battesimo, della comune appartenenza all’unico corpo di Cristo, della vita che emana dallo Spirito Santo, queste amicizie vanno al di là di una semplice simpatia umana e creano innanzitutto quel clima di fiducia e di reciproca accettazione che permette al dialogo teologico di fare sostanziali progressi.
L’ecumenismo spirituale è l’anima e il fulcro del movimento ecumenico. Alla spiritualità ecumenica appartiene in primo luogo la preghiera, che si concentra nella settimana di preghiera per l’unità; grazie ad essa, cresce in noi la consapevolezza che l’unità non può essere frutto soltanto degli sforzi umani; l’unità è un dono dello Spirito; come esseri umani non la possiamo fare. Importante è la conversione e la santificazione personale, poiché non vi è ecumenismo vero senza conversione personale e rinnovamento istituzionale.
Ritengo che, soprattutto a partire da una comprensione purificata e chiarificata della spiritualità ecumenica, si possa pervenire a una pratica ecumenica rinnovata e approfondita, capace di imprimere un nuovo slancio alla ricerca ecumenica, e liberarla dalle difficoltà, dalle aporie e dalle crisi attuali.
Germania.
Gli Evangelici verso l'unione
Ecumenismo:
irrevocabile e irreversibile
di G. B.
Quarant'anni sono una misura biblica. Tempo adeguato per verifiche.
Il Pontificio consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani, nel quarantesimo della promulgazione del decreto conciliare Unitatis redintegratio (21 novembre 1964), ha organizzato, l'11 e il13 novembre 2004, una conferenza di bilancio del cammino ecumenico da allora compiuto (1). L'ecumenismo - ha detto il card. Kasper, presidente del Pontificio consiglio presentando l’iniziativa, il 10 novembre - non è qualcosa di secondario, non è soltanto un'appendice della missione e della pratica pastorale della Chiesa". "Esso era ed è, come lo stesso papa Giovanni Paolo II afferma nella sua enciclica ecumenica Ut unum sint, una delle priorità pastorali del suo pontificato. La scelta ecumenica di Unitatis redintegratio è - secondo la stessa enciclica - irreversibile e ha una validità permanente".
Il convegno ha avuto sostanzialmente due momenti: uno di riflessione e confronto sul cammino dottrinale; e un secondo di verifica dello sviluppo ecumenico interno alla Chiesa cattolica. A questo secondo tratto hanno dato voce le relazioni interne al Pontificio consiglio di mons. Fortino (sottosegretario) sull'azione ecumenica svolta dal Pontificio consiglio stesso in questi quarant'anni; e da mons. Farrell (segretario) sui risultati di un questionario inviato dal dicastero a tutte le conferenze episcopali.
L'indagine mostra come vi sia stata nella Chiesa cattolica una effettiva maturazione nella consapevolezza ecumenica: la ricerca dell'unità è diventata un obiettivo presente nelle Chiese locali; nella maggior parte di esse è stata creata una commissione ecumenica ed esiste un incaricato per l'ecumenismo; diffusa è oramai la partecipazione cattolica a raduni e preghiere ecumeniche e la collaborazione pastorale tra comunità cristiane; migliore il grado di conoscenza delle altre Chiese e comunità ecclesiali. Dalle Chiese locali viene anche la richiesta al dicastero romano di un maggiore incoraggiamento per la formazione teologica e il coordinamento dell'azione ecumenica. Accanto alla consapevolezza delle questioni teologiche irrisolte e ai rischi di un ecumenismo volontaristico, si sottolinea la necessità di integrare le diverse iniziative ecumeniche nell'insieme dei programmi pastorali diocesani. Le Chiese locali chiedono poi una riflessione circa le risposte da dare a un proselitismo aggressivo; evidenziano l'opportunità di associare esperti di altre confessioni alla formazione ecumenica dei sacerdoti e degli operatori pastorali. Il convegno ha risposto con il progetto di un Vademecum ecumenico per promuovere l'ecumenismo spirituale nella Chiesa cattolica.
Dai vescovi di due Chiese locali, Murphy-O'Connor (Westminster) e Koch (Basilea), sono giunte indicazioni particolari: l'uno ha insistito sull'esigenza che accanto all'ecumenismo spirituale e all'ecumenismo di verità progredisca anche l'ecumenismo di vita, cioè l'esperienza concreta di cristiani e comunità che sono in cammino con gli altri cristiani: "niente può sostituire i contatti personali"; l'altro ha sottolineato la sfida posta al cammino di unità dalla trasformazione sociale e culturale in atto, che accentua in forma indiscriminata ogni elemento di pluralizzazione. Il confronto teologico è stato affidato alle relazioni del card. Walter Kasper (presidente del Pontificio consiglio), al metropolita di Pergamo loannis (Zizioulas), del Patriarcato ecumenico e al rev. Geoffrey Wainwright, metodista, a nome delle comunità ecclesiali riformate.
Con il decreto Unitatis redintegratio siamo al centro del rinnovamento conciliare. Grazie a una nuova e più limpida comprensione della Chiesa come "popolo di Dio in cammino" il Concilio ha potuto abbracciare il movimento ecumenico, sorto al di fuori della Chiesa cattolica, attraverso la rivalorizzazione della dimensione escatologica della Chiesa. "Così compreso - ha detto Kasper - l'ecumenismo è la via della Chiesa. Non è né un'aggiunta, né un'appendice, ma è parte integrante della vita organica della Chiesa e della sua attività pastorale". Ma la dinamica escatologica e quella pneumatologica necessitavano di una chiarificazione ecclesiologica che la costituzione Lumen gentium ha fornito con la formula del "subsistit in". "Si è voluto rendere giustizia al fatto che, al di fuori della Chiesa cattolica, non vi sono soltanto singoli cristiani, ma anche "elementi di Chiesa" ed anche Chiese e comunità ecclesiali che, pur non essendo in piena comunione, appartengono di diritto all'unica Chiesa e sono per i loro membri mezzi di salvezza" (cf. Lumen gentium, nn. 8; 15; Unitatis redintegratio, n. 3; Ut unum sint, nn. 10-14 );.La Chiesa di Cristo ha nella Chiesa cattolica il suo luogo concreto, ma essa non intende più se stessa in termini di splendid isolation: "Nel formulare la sua identità, la Chiesa cattolica stabilisce un rapporto dialogico con queste Chiese e comunità ecclesiali".
Questa prospettiva escatologica e spirituale introduce una teologia della conversione, del rinnovamento e del perdono. Lo scopo dell'ecumenismo non può essere concepito come un semplice ritorno degli altri, nel seno della Chiesa cattolica. La meta della piena unità può essere raggiunta soltanto attraverso l'impegno animato dallo Spirito di Dio e la conversione di tutti all'unico capo della Chiesa, Gesù Cristo. La misura dell'unità a Cristo diviene misura dell'unità reciproca e condizione per realizzare in pienezza la cattolicità propria della Chiesa. "L'unità nel senso della piena communio non significa uniformità, ma unità nella diversità e diversità nell'unità. All'interno dell'unica Chiesa vi è posto per una diversità legittima di mentalità, di usi, di riti, di regole canoniche, di teologie di spiritualità (Lumen gentium ,n. 13; Unitatis redintegratio, nn.4; 16s). Possiamo anche dire che l'essenza dell'unità concepita come communio è la cattolicità nel suo significato originario che non è confessionale ma qualitativo; essa indica la realizzazione di tutti i doni che le Chiese particolari e confessionali possono apportare".
Per Zizioulas, l'apertura avviata dal decreto conciliare "delle frontiere della Chiesa e del riconoscimento della presenza dello Spirito al di fuori delle sue frontiere canoniche, assieme all'ammissione dl colpevolezza per la divisione della cristianità da parte degli uni e degli altri, fonda l'ecumenismo su una solida base ecclesiologica". A proposito dell’importanza del decreto per le relazioni tra la Chiesa ortodossa e la Chiesa cattolica, il metropolita ha rilevato che il testo "non esita a chiamare le Chiese ortodosse con il nome di Chiesa, nel significato pieno del termine" e a riconoscere che vi è una piena realtà e vita sacramentale in queste chiese (cf. Unitatis redintegratio, n. 15). Egli ha inoltre sottolineato che nel decreto il concilio "dichiara solennemente che le Chiese dell'Oriente, pur consapevoli della necessità dell'unità di tutta la Chiesa, hanno il potere di governarsi secondo le proprie discipline".Egli ha poi osservato che "poiché, dal punto di vista cattolico, l'unità di tutta la Chiesa è salvaguardata e mantenuta attraverso il ministero petrino, ne consegue che tale ufficio deve essere riconosciuto dalle Chiese ortodosse affinché l’unità possa essere ricomposta".
Il rev. Wainwright ha affermato che "presupposto fondamentale del l'ecumenismo è che il cristianesimo esiste in qualche forma al di là dei confini dell'istituzione alla quale l'individuo appartiene, in un mondo cristiano diviso". Così, il principale compito ecclesiologico del XX secolo è stato quello di definire e situare "l'unica Chiesa, santa, cattolica, e apostolica, alla quale tutti i cristiani appartengono realmente o idealmente".
Wainwright ha anche esaminato le questioni riguardanti il mistero petrino, sollevate dall’enciclica Ut unum sint. ln tale contesto egli ha avanzato un suggerimento personale, chiedendo che "il vescovo di Roma inviti quelle comunità cristiane che egli ritiene essere in una comunione reale sebbene imperfetta, con la Chiesa cattolica romana, a nominare rappresentanti affinché collaborino con lui e con i suoi incaricati alla formulazione di una dichiarazione che possa esprimere il Vangelo da predicare al mondo oggi. In tal modo il dialogo fraterno voluto da Giovanni Paolo II passerebbe dalla teoria dell’ ufficio pastorale e dottrinale alla sostanza di ciò che si crede e che si predica. E lo stesso esercizio dell'elaborazione di una dichiarazione di fede... mette in luce la questione di "un ministero che presieda nella verità e nell'amore"".
(1) A Rocca di Papa, dove si è svolta la "Conferenza sul XL anniversario della promulgazione del decreto conciliare Unitatis redintegratio", erano presenti 260 delegati e invitati: rappresentanti delle conferenze episcopali di tutto il mondo, delegati fraterni delle Chiese ortodosse, delle Chiese orientali ortodosse, delle Chiese e delle comunità ecclesiali derivanti dalla Riforma e protestanti; i co-presidenti delle Commissioni miste internazionali incaricate dei dialoghi ecumenici; rappresentanti dei dicasteri della Santa Sede. Il giorno 13, il papa ha ricevuto in San Pietro per i vespri i partecipanti al convegno.
Anglicani.
Incontro con l'arcivescovo di Canterbury
"Non accade niente
di interessante nella Chiesa
se non per opera di Gesù"
di Gianni Valente
Quando non aveva ancora due anni, Rowan Williams prese la meningite e fu sul punto di morire. I dottori dissero che quel bambino fragile per sopravvivere avrebbe dovuto trascorrere per quanto possibile una vita tranquilla. Niente a che vedere col duro lavoro che gli è toccato in sorte, da quando nel 2002 è stato eletto centoquattresimo arcivescovo di Canterbury e primate di una Comunione anglicana attraversata come non mai da dissidi dottrinali e da presagi di declino. Eppure il 54enne gallese, che 30giorni ha intervistato durante il convegno su Thomas Merton organizzato dalla Comunità di Bose dall'8 al 10 ottobre, non ha l’aria della persona angosciata. Oggi che anche tanti ecclesiastici si agitano per riaffermare e difendere il peso e lo spazio dei valori religiosi nella società postmoderna, lui ha ben presente che camminare con Gesù "comporta il rischio di non avere da dire niente che il potere possa ascoltare, il rischio di diventare una nullità nello schema di qualcuno". E cita i primi cristiani, i quali sapevano bene che "appartenere al Dio di Gesù è altra cosa rispetto ad essere un cittadino, qualcuno con chiari diritti e uno status pubblicamente riconosciuti".
Lei è diventato arcivescovo di Canterbury da quasi due anni, e sono stati anni turbolenti all'interno della Comunione anglicana. Sono noti i suoi studi sul cristianesimo del IV secolo e sulla crisi ariana. L'hanno aiutata a valutare la condizione presente del cristianesimo nel mondo?
ROWAN WILLIAMS: Qualche volta forse abbiamo costruito un'immagine troppo abbellita delle epoche passate, come se tutto andasse bene nella vita della Chiesa. Invece se si studia la storia, ti accorgi che a volte per interi decenni la Chiesa era profondamente divisa. Ma questo non vuol dire che anche in quei periodi non ci fossero verità da scoprire. Lo studio del IV secolo che ho condotto per tanti anni mi ha aiutato a vedere che le persone possono rimanere sante pur in mezzo al vortice degli eventi in tempi tribolati. E che non puoi pensare di dedurre da che parte sta la verità contando le teste. Perché in quella crisi sant'Atanasio era rimasto quasi solo a custodire la vera fede davanti all'arianesimo. In alcune situazioni occorre aspettare con pazienza. Atanasio era molto vicino alla vita monastica dei suoi tempi. E questo per me è un indizio che coloro che affidano la propria vita alla vocazione monastica hanno spesso la vista più lunga.
Anche dei primi vescovi in terra britannica lei ha esaltato la virtù della pazienza...
WILLIAMS: Il vescovo Restitutus nel 314 aveva preso parte al Concilio di Arles. Negli ultimi anni doveva essere fiducioso nel futuro della sua Chiesa, perché le cose parevano andare bene. La persecuzione era finita, l'imperatore era amico. Se fosse vissuto cento anni dopo, avrebbe visto la fine di quella iniziale civilizzazione cristiana, quando i pirati barbari travolsero tutto. Quando arrivò Mellitus, inviato da Gregorio Magno, non sembra che ci fossero più tracce di presenza cristiana. Dovette rimanere parecchio tempo in Francia, in attesa di tempi migliori, che permettessero di ricominciare. Per questo ho detto che i vescovi di Londra hanno sempre dovuto essere tenaci e pazienti...
Il nostro appare come un tempo di prova per il cristianesimo. Eppure sembra un tempo religioso e spirituale. Come spiega questo paradosso?
WILLIAMS. Uno dei tratti salienti della nostra cultura è che siamo individualisti e con un'attitudine consumistica nei confronti delle cose. Anche nella religione non si cerca quello che è vero, che è reale, ma ciò che mi offre benessere, che si può usare per sentirsi a posto. Un sentimento spirituale che tranquillizzi il resto della propria vita. Non un annuncio che irrompa nella vita come una novità, cambiando le cose. In vaste parti dell'Occidente, poi, le persone hanno il rigetto verso l'appartenenza a organizzazioni collettive. Se la Chiesa ha una crisi della propria membershtp, i partiti politici stanno anche peggio...
Il cristianesimo appare come un passato che non riguarda la vita, o addirittura come un peso. Le Chiese reagiscono cercando di riaffermare il proprio peso nella società. E moltiplicano gli interventi pubblici. Su ogni argomento.
WILLIAMS. Quando ascolto domande come questa, mi sento subito imputato. Dall'arcivescovo tutti si aspettano che parli in pubblico su tante cose. È una cosa che adesso mi tocca fare, e non è facile. Quando mi capita di incontrare dei giovani, si vede bene che quello che può attirarli alla fede non sono certo i pronunciamenti dei capi della Chiesa. Quando ero vescovo in Galles mi davo molto da fare per i giovani della diocesi, e per molti anni abbiamo avuto un eccellente ministero pastorale rivolto a loro, che consisteva principalmente nell'intrattenerli e farli divertire. Poi è arrivato un nuovo cappellano, ha organizzato subito un ritiro di preghiera con i giovani della diocesi per la Settimana santa. E in quell'occasione un ragazzo che era venuto da agnostico alla fine ha chiesto di essere battezzato. Da quel semplice fatto ho intuito che vedere gli occhi di altri che guardano al Signore è la sola cosa che fa prendere sul serio la Chiesa. Se la Chiesa qualche volta ha cose utili da dire sulla cultura e la politica beh, si può fare, e va bene. Ma la storia non finisce lì...
Cosa è la Chiesa per lei?
WILIIAMS: Ho scritto di recente sulla cristianità degli inizi, e ciò che secondo me descrive la Chiesa nei primi secoli è che è una comunità che vive seguendo un altro Re. A pensarci bene, nei tempi moderni diamo molto peso alle convinzioni teoriche delle persone, a quello che hanno nella loro testa, ma non pensiamo mai all'appartenenza reale a Cristo, dentro una comunità. La Chiesa non esiste per decisione mia o di un qualsiasi numero di persone, ma per l'azione di Dio. Noi, le nostre opinioni, le nostre prospettive, non dettiamo legge su ciò che la Chiesa è al presente. L'esperienza di tale assenza di controllo è in sé stessa salutare. Mentre a volte le Chiese sembrano agitate per questo, per l'incontrollabilità, di Gesù Cristo, per il fatto che Lui non è prigioniero dei nostri pensieri. Adesso c'è bisogno di questo riconoscimento, più che in altri momenti. Il riconoscere che siamo nella Chiesa come degli invitati, perché siamo stati chiamati. Altrimenti la Chiesa sarebbe soltanto una Litigiosa società umana.
E i litigi di certo non mancano.
WILLIAMS: Il fatto è che la Chiesa non è la comunità di persone che vanno d'accordo con noi e condividono le stesse idee. Sono persone che non scegliamo noi. Che magari non ci piacciono. Ma che sono scelte e cambiate da Gesù stesso. Non accade niente di interessante nella Chiesa se non per opera di Lui, che può redimere i nostri disastri umani. Che ha promesso di rimanere coi suoi ogni giorno, fino alla fine del mondo. E ha detto di guardare e chiedere aiuto ai piccoli, ai poveri, ai bambini.
Mi ha colpito la frase di un suo discorso, in cui lei ha detto che "l'ortodossia fluisce, sgorga dalla gratitudine, e non il contrario". Cosa intendeva dire?
WILLIAMS: Il pensiero dei primi cristiani, anche a livello teologico dottrinale, sorse dal fatto che loro vedevano di essere condotti da Gesù in una nuova vita. Le prime parole del cristianesimo sono state quelle usate per rendere gloria a Dio. La dottrina teologica è sorta riflettendo su questo. Se manca questa iniziale gratitudine e riconoscenza per il semplice fatto di Gesù, non si risolvono certo i nostri problemi solo insistendo sulla disciplina.
D'altra parte, circolano anche teologie per cui l'incarnazione di Cristo garantirebbe a priori la salvezza a tutto il genere umano e a tutto il mondo, in maniera meccanica. Concorda con queste tesi?
WILLIAMS: Il disaccordo che provo nei confronti di alcune correnti della teologia americana della creazione è sul fatto che tutto è già deciso, non lasciano spazio neanche alla possibilità che l'uomo possa dire no. Non conosco il cuore degli altri ma conosco il mio, e so che sono capace di creare disastri. Il mio professore all'Università mi ripeteva sempre che nessuna teologia può stare in piedi senza tenere in conto la possibilità del fallimento.
È noto che lei si appassiona alle vite dei santi. Quali santi le sono più cari?
WILLIAMS: Amo soprattutto santa Teresa e san Giovanni della Croce. Ho sempre avuto una predilezione per la spiritualità carmelitana. Ho letto Teresa a quindici anni. Non l'ho capita, ma sentivo che mi piaceva. Poi ho letto anche Edith Stein. Riguardo alle Chiese d'Oriente, mi sono affezionato a san Serafino di Sarov. Lo scorso anno in Russia ho potuto visitare la sua tomba.
Lei cita spesso anche sant'Agostino.
WILLIAMS: Agostino ha creato la disciplina dell'autoanalisi, dell'autocomprensione, mostrando come siamo modellati dalla nostra memoria. Oggi, nell'era postmoderna, siamo indotti a passare da sensazione a sensazione, bruciamo esperienza dopo esperienza, e non c è più storia. Mentre lui ci fa vedere che è la storia che fa la persona. Anche nel rapporto con la realtà civile, Agostino ci ha insegnato che dobbiamo cercare il bene della città in cui viviamo, del luogo in cui siamo, lavorando per la giustizia, senza identificare mai il successo di tale società con il regno di Dio. Coinvolgimento, e allo stesso tempo distacco. Come ho detto prima, noi siamo di un altro Re. Insomma, a volte dico che Agostino può anche essere considerato il fondatore della psicoanalisi e della politica moderna...
É nota anche la sua passione per la liturgia.WILLIAMS: La liturgia ci ricorda sempre che andiamo verso il giudizio. Che le nostre vite sono poste dentro un nuovo contesto, dove noi entriamo come ospiti. Una liturgia che fosse solo la proiezione delle mie idee sarebbe qualcosa di effimero. Della liturgia che si celebra alla Comunità di Bose, ad esempio, mi piace che non è frettolosa, si prende il tempo che serve, è piena di riferimenti biblici, ed è semplice.
In tutta sincerità, come giudica il primato petrino?
WILLIAMS: Mi è chiaro che fin dall'inizio c'è stato uno speciale carisma, un servizio speciale esercitato dal vescovo di Roma per tutta la Chiesa. Ma dal momento in cui questo è diventato qualcosa di legale e rigidamente definito dal punto di vista teologico, come risulta nelle definizioni del Concilio Vaticano I, mi riesce difficile non avere riserve. Ad esempio, riguardo all'infallibilità come carisma spirituale individuale. Come scriveva il teologo anglicano Austin Farrer, l'infallibilità non dovrebbe essere considerata come una "licenza di stampare fatti". Da quando questo Papa nell'enciclica Ut unum sint ha invitato a discutere di questo tema, tutti noi, anglicani, cattolici e altri, abbiamo una buona occasione per valutare criticamente ciascuno la propria storia. Noi anglicani sperimentiamo come può essere difficile vivere in una Chiesa senza un centro chiaro di autorità. Io non voglio essere un papa. Ma ho presente il problema. So quanto è importante nelle Chiese avere una vera responsabilità l'uno verso l'altro. Nella Chiesa d'Occidente questa esigenza di un'autorità centrale storicamente si è focalizzata nel papato...
Ma si tratta solo di una costruzione storica? Il ruolo della Chiesa di Roma non sorge dal martirio degli apostoli Pietro e Paolo?
WILLIAMS: Quando io e mia moglie siamo venuti a Roma, scendendo alla tomba di Pietro siamo rimasti veramente commossi. La testimonianza apostolica di Pietro, riportata in tutto il Vangelo, si compie lì, nel suo martirio. E quando si parla di ministero petrino, si parla di questo, io penso che sia questo. Hans Urs von Balthasar, un teologo a cui sono affezionato, scrisse sul ministero petrino al tempo di Paolo VI, quando Paolo VI era criticato e attaccato da tutte le parti. E lui scrisse: ecco, adesso io vedo bene cosa è realmente il ministero petrino.
Nelle convulsioni del presente, in Occidente aumentano gli allarmi nei confronti dell'islam, che starebbe portando un sistematico attacco alla civiltà occidentale e alle sue radici cristiane. Come giudica queste interpretazioni dell'attuale momento storico?
WILLIAMS: Uno degli impegni che mi sono assunto come arcivescovo è stato quello di continuare il dialogo islamo-cristiano ad alto livello iniziato già dal mio predecessore. Alcune settimane fa sono andato in Egitto, e all'Università islamica di Al-Azhar ho parlato sulla dottrina della Trinità. In quel Paese, ad esempio, c'è una stretta collaborazione tra le nostre comunità e le comunità islamiche. Io non vedo come prospettiva obbligata quella dello scontro di civiltà. La civilizzazione cristiana deve qualcosa al mondo islamico, cosi come la civiltà islamica deve molto alla cristianità. Ebrei, cristiani e musulmani hanno una lunga storia comune. Più riconosciamo questa storia di convivenza, meglio è per il futuro. Non è neanche vero che tutto il Medio Oriente è islamico. Le antiche Chiese d'Oriente sono lì dai tempi della predicazione apostolica. Prima della guerra in Iraq ho fatto interventi pubblici e ho anche parlato privatamente con membri del nostro governo per segnalare il pericolo che sarebbe venuto, a causa della guerra, ai cristiani del Medio Oriente, che finiranno per pagare il risentimento crescente verso il mondo occidentale.
A pagare nel vortice di violenza che avvolge il mondo sono spesso i bambini. Lei ne ha parlato spesso...
WILLIAMS: Ritengo che uno dei peggiori nuovi mali degli ultimi due decenni, propriamente satanico, è l'attacco ai bambini. Quelli di Beslan, quelli iracheni o egiziani. Quelli palestinesi e quelli israeliani. O gli innocenti bambini soldato in Africa. È una connessione difficile da fare, ma anche la scelta dell'aborto la prendiamo così alla leggera... Non c'è più speranza e fiducia nel futuro dei bambini, e in queste vicende ciò si vede come in uno specchio.
(da 30giorni, n. 10, anno XXII - 2004)
Nelle nostre parrocchie
i semi del dialogo e dell'unità
di Olivo Bolzon