Famiglia Giovani Anziani

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Venerdì, 07 Maggio 2010 00:17

Un bel sogno da realizzare

Gesù non ha promesso alla sua comunità di essere esentata dal conflitto ma le ha dato uno strumento per porvi rimedio: il perdono.

L’ellisse parrocchiale ha due fuochi: il parroco e la famiglia; servono entrambi per costruire la chiesa locale.

Il “bel sogno da realizzare” del titolo è quello di una comunità cristiana - la parrocchia - che sia segno vivo dell’Amore di Dio

Giovedì, 06 Maggio 2010 23:39

Convivenze in Italia

Sul preoccupante attuale fenomeno delle convivenze non matrimoniali ascoltiamo il pensiero di un esperto, il sociologo Francesco Belletti , direttore del Centro internazionale studi famiglia (Cisf) di Famiglia Cristiana.

Il fenomeno delle convivenze in Italia ha registrato negli ultimi anni un incremento esponenziale.

Mercoledì, 05 Maggio 2010 18:45

Sposa ingannata

 Scoprire dopo le nozze che il coniuge non può avere figli comporta la nullità del matrimonio? Per rispondere al quesito sarà utile prendere in esame e analizzare una pronuncia del tribunale ecclesiastico che può offrire lumi

Per la prima volta nella loro storia, i vescovi europei, hanno ritenuto dì preparare e pubblicare un corposo documento sulla famiglia, Una strategia familiare per l'Unione Europea. Non erano mancati in precedenti documenti riferimenti a questa realtà; ma questa volta si è avvertito il bisogno di un intervento ad hoc, diretto a richiamare l'attenzione della Comunità europea su quella che sembra essere la grande dimenticata, e cioè la famiglia.

Tutti i fedeli delle nostre diocesi sono stati invitati a leggere la Traccia di riflessione in preparazione al Convegno ecclesiale nazionale, Testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo,  e a prepararsi al Convegno di Verona. Tra questi ci sono persone a cui stanno a cuore il matrimonio e la famiglia; anch’esse si interrogano su quale sia la migliore valorizzazione di quel documento in vista di detto Convegno.

Naturalmente va osservato che si tratta solo di una traccia, essa perciò, per definizione è suscettibile di completamento e approfondimento, forse di correzioni.

La prima impressione del lettore è di trovarsi di fronte a un a impostazione che privilegia la persona, come singola, prescindendo quasi sempre dalle istituzioni, un po’ da tutte. Il matrimonio e la famiglia si trovano perciò anch’esse molto sullo sfondo: si tratterà allora di farle affiorare in modo tale che i fedeli possano esprimere, ad esempio, le loro esperienze di matrimonio e narrarle naturalmente non senza riferimento alla Parola di Dio, ai sacramenti e ancora, altro esempio, all’impegno nel sociale. Essi potranno dire anche quali situazioni presenti nell’esistenza contemporanea, interpellano maggiormente l’esperienza matrimoniale e famigliare credente perché siano vissute con speranza.

Domenica, 19 Febbraio 2006 16:19

Testimoni di Gesù risorto, speranza del mondo

Conferenza Episcopale italiana

Comitato preparatorio

del IV Convegno Ecclesiale Nazionale

 

TESTIMONI DI GESÙ RISORTO, SPERANZA DEL MONDO

Traccia di riflessione in preparazione al Convegno Ecclesiale di Verona 16 – 20 ottobre 2006

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sabato, 18 Febbraio 2006 18:10

Rispettare la vita

Messaggio del Consiglio Episcopale Permanente per la 28ª  Giornata per la vita (5 febbraio 2006)

RISPETTARE LA VITA

"In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini” (Gv 1,1.4).

Venerdì, 16 Dicembre 2005 18:35

Una saggezza antica

UNA SAGGEZZA ANTICA

Di fronte alla comparsa invadente del dolore nell'esistenza umana e al conseguente tentativo di rimuoverlo, sempre più importante appare il «chiedere aiuto» Per mettere in atto, in un accordo tra me­dico e «paziente», un progetto di guarigione.

Non c'è dubbio che il senso del malessere fisico favorisca in noi la presa di una coscienza più concreta dell'esistere. Possiamo attraversare momenti di gioia e di euforia: tutto ci appare normale e non ci viene da chiederci la provenienza di quello stato d'animo. Ma il dolore non è più normalità: è il male, e quando lo si avverte ci pone degli interrogativi che possono avere un sapore angosciante; primo fra tutti: quanto durerà? Si inizia da bambini, con la ben nota «angoscia dell'ottavo mese», momento insostituibile per il futuro equilibrio psico-fisico, per giungere, attraverso le prove che la nostra esigenza di vita relazionale ci im­pone, a fare esperienza di dolore quotidianamente. Non so in quante parti del nostro territorio si usino espressioni che riescano, con una semantica essenziale ed illuminata, a rendere bene l'idea di questo binomio dolore-esistenza. Ricordo un compagno di banco del ginnasio, proveniva dalla zona di Volterra, che quan­do aveva mal di testa si esprimeva così: «Mi sento la testa». Una volta decodifi­cato il suo modo di ragionare, sono certo che non mi avrebbe meravigliato se avesse aggiunto: «Quando non ho dolori, non mi accorgo neppure di esistere».

La ricerca di aiuto

Quante facce ha il dolore? E chi può dire se ciò che colpisce lo spirito fac­cia sanguinare più di una cruenta ferita che lacera il corpo? Il protagonista sartriano de «La nausea», Roquetin, ci offre un esempio di come si possa giun­gere a cogliere il senso dell'esistenza, attraverso il dolore. Non si tratta qui di un malessere fisico, ma di un disagio esistenziale di fronte al quale può sorge­re la tentazione all'arrendevolezza. L'esperienza del dolore è qualcosa che, prima o poi, si è fatta strada in ognuno di noi; guarire significa prendere co­scienza delle ragioni del proprio star male e impegnarsi con tutta la volontà per uscirne. Nell'immaginario comune, al concetto di salute e di malattia, con sempre maggiore frequenza, si associano attributi esterni alla persona come il delegare totalmente al farmaco il compito di preservarci dal dolore, l'affidar­si alle arti di un guaritore, il raccomandarsi alle forze soprannaturali. In realtà, questi atteggiamenti, che potrebbero suscitare una simpatia per la creatura che coltiva autentici tratti di umiltà, si mischiano sempre più spesso a gesti di abbandono o di superstizione, quando sono prodotti dalla convinzione che le normali vie verso il benessere siano state vanamente esperite e praticate. Qualche volta, poi, si verifica il rifiuto, da parte di un paziente, di praticare i normali percorsi verso la propria guarigione perché questi gli appaiono inop­portuni o improponibili per le rinunce che richiedono; altre volte, infine, si ne­ga al medico di offrire spiegazioni, per la paura di apprendere verità che si preferisce non conoscere.

Il dolore appare sempre più invadente nella vita dell'uomo moderno. Se una volta, nel romanzo della vita, la trama che comprendeva l'avventura di ogni essere umano, non sapeva disgiungere nascita, esistenza, sofferenza e morte, oggi il dolore viene quanto più possibile enucleato da questo ciclo, e relegato ad ambienti asettici o luoghi il cui ingresso è riservato agli addetti ai lavori. Il contatto con il dolore, forse perché si contrappone ad una vita dalle premesse e dalle promesse totalmente edonistiche, è rifiutato fino dalla prima presa di co­scienza. Piuttosto che soffrire, si preferisce allora aggirare il traguardo della gioia. Sociologi e antropologi ci ammoniscono che le relazioni profonde sono sempre più spesso evitate, perché, non impegnandosi in rapporti troppo coin­volgenti, si evita di soffrire in caso di eventuali fratture o fallimenti.

Ma il dolore, negato e fuggito da ogni essere vivente, per paradosso si ri­vela un compagno insostituibile. È presente nel trauma della nascita, scruta i nostri rossori nei turbamenti adolescenziali, ci fa abbassare lo sguardo nelle delusioni amorose, ci fa scoprire la sensazione di impotenza nelle aggressi­vità del climaterio, ci nega con sempre maggiore frequenza la compagnia di una mano amica nel momento dell'ultimo trapasso. Forse l'errore dell'uomo moderno è quello di immaginare una esistenza senza dolore, piuttosto che cercare un rimedio per la guarigione.

Guarire tra bisogno e volontà

A prendere in esame i vissuti del dolore, prima ancora dei medici e dei biologi, sono stati i filosofi, i quali hanno cercato di vedere in questo retaggio il lievito di un disagio dai contorni proteiformi e inesauribili. Da Parmenide a Pascal, da Erasmo da Rotterdam a Heiddegger, lo studio dell'uomo e dei suoi bisogni insoddisfatti viaggia di pari passo con quello della sua esistenza, fino ai nostri pensatori attuali, i quali hanno teorizzato che ogni essere vivente oscilli perpetuamente tra il dolore per la mancanza di ciò a cui aspira e il do­lore per il tedio e il disgusto per ciò che ha raggiunto. La conseguenza inevi­tabile è che se il rapporto con il mondo dal quale dipendono salute, benessere e felicità non può essere reso saldo e garantito da nessuna accortezza, c'è so­lo da affidarsi alla precarietà e, per molti, al primo segnale negativo, è la di­sperazione. La fragile maturità nell'affrontare la sofferenza da parte dell'uo­mo moderno è sottolineata da un recente rapporto del Censis che riporta nel numero di 6.000 i suicidi verificatisi nel nostro Paese lo scorso anno.

Se è impossibile annullare il dolore, deve essere possibile recuperare una sag­gezza che almeno ci ponga in condizioni di affrontarlo. Purtroppo, i grandi cam­biamenti che hanno modificato la nostra cultura hanno finito con l'assumere i contorni di una idolatria. Al mondo dei valori nei quali si era sempre creduto si sono sostituiti dei feticci - primi fra tutti soldi e successo - e, a questi, si è dedi­cata la nostra intera esistenza. Solo le anime grandi provano senso di angoscia per tutte le ferite con le quali viene messo a prova il nostro mondo. Gran parte delle persone si libera della propria tradizione e degli insegnamenti come ci si li­bererebbe di orpelli inutili per giungere, poi, nei momenti della prova, a racco­mandarsi ai propri defunti ai quali crede di poter attribuire poteri magici. Ma i morti non soccorrono i vivi; invocarli sull'orlo dell'abisso ci fa avvertire un si­lenzio che ha il sapore della complicità. Anche la perdita della fede, più che un fallimento personale, ha il sapore di un torto alla società perché si pone contro tutti gli stimoli che hanno fatto da culla allo sviluppo dell'uomo. L'umiltà e un certo buonsenso raccomanderebbero, allora, che la ricerca di aiuto potesse anda­re in una direzione capace di portare alla riscoperta di una saggezza antica. L'e­sempio di quanti ci hanno preceduto, il tesoro della loro esperienza, il desiderio di essere interpreti di un cambiamento, possono portarci a riscoprire le autentiche strade verso

la guarigione. La cosa importante resta la volontà di sentirsi risana­ti, facendosi carico dello sforzo necessario. Ai malati che gli chiedevano il mira­colo, Gesù chiedeva sempre: «Cosa chiedi?», quasi non sapesse quale era la loro vera preghiera. E subito dopo aggiungeva: «Lo vuoi davvero?». Perché ognuno si sentisse protagonista della propria supplica e del proprio risanamento.

Ma l'uomo di oggi ha altre mire e, nel suo incessante occuparsi a produrre beni materiali per esorcizzare il rischio di mancanze o sofferenze, arriva al punto di non riconoscere più se la sua fronte è bagnata dal sudore o dall'angoscia.

Di Giovanni Scalera

Tratto da “Famiglia Domani – marzo 2002”

Lunedì, 31 Ottobre 2005 20:28

IL SACRAMENTO RISCOPERTO NEL WEEK END

IL SACRAMENTO RISCOPERTO NEL WEEK END

 

Molte sono le iniziative e le attività proposte dalle associazioni di spiritualità familiare in Italia: i Centri di preparazione al matrimonio per la formazione dei fidanzati; i Gruppi di spiritualità familiare e i gruppi famiglia dell’Azione Cattolica, per il cammino spirituale della propria fede; l’Associazione comunità e famiglia, per creare la solidarietà tra famiglie.

 

Nate tra gli anni 50 e 60, queste associazioni hanno avuto una crescita esponenziale, e possono essere considerate come il tentativo di trasferire nella base ecclesiali le intuizioni e gli stili di vita di piccoli gruppi ristretti. Ognuna di queste ha delle caratteristiche specifiche, nella propria organizzazione, nelle attività, ma si possono trovare dei tratti che accomunano queste associazioni. Innanzitutto, si trova il chiaro riferimento al Concilio Vaticano II, che ha messo in primo piano il tema del matrimonio e della famiglia, fino a quel momento assente dalla ricerca teologica e dalla cura pastorale.

 Poi deve essere evidenziata la riscoperta del senso del matrimonio come sacramento, per la santificazione personale dei coniugi, e per il suo valore ministeriale, teso all’edificazione della Chiesa. Di conseguenza, la famiglia torna ad essere considerata come la struttura portante dell’evangelizzazione, di cui il Papa indica l’urgenza nell’attuale società occidentale.

Altro tratto comune è la riscoperta della Bibbia, del suo insegnamento sul matrimonio, e della riattualizzazione del Cantico dei cantici, con una visione positiva della corporeità e della sessualità, anche se questi temi devono ancora interagire in modo positivo e armonico con la pastorale parrocchiale di base. Questa ultima, infatti, è stata finora piuttosto chiusa  e incapace di far percepire ai fedeli la ricchezza della spiritualità familiare, identificando il matrimonio prevalentemente come via alla santità.

 

In conclusione, deve passare  con maggiore forza il messaggio, perciò la realtà delle associazioni laiche non deve costituire un’alternativa alla parrocchia ma una risorsa della pastorale ordinaria, superando così chiusure, differenze e particolarismi. Solo in questo modo la Chiesa italiana potrà accogliere in modo efficace l’invito di Giovanni Paolo II a considerare la famiglia come “via della Chiesa”nel terzo millennio.

 

Di Pietro Boffi

Tratto da “vita pastorale – maggio 2002”

Riduzione e adattamento a cura di Simona Internullo

QUELLI CHE NON ACCETTANO PIU’ LA CLANDESTINITA’

 

Tra i segnali più significativi del cambiamento culturale della società consiste nella forte richiesta di visibilità sociale da parte degli omosessuali, minoranza che ha il pieno diritto di esistere nelle società evolute, e quindi aperte alla diversità.

L’omosessualità non è una malattia né una devianza e nemmeno un problema, ma un’identità umana che si costituisce nell’affettività e nella progettualità relazionale.

 

L’omosessualità oggi non è più una vergogna: l’omosessuale moderno non si nasconde, non s’incontra più clandestinamente con gli altri, ma ha una rete di relazioni aperta. Naturalmente non tutto procede pacificamente: nei centri meno urbanizzati i gay sono bersaglio di scherno, non sono compresi, devono superare molte difficoltà nel farsi accettare dagli altri. Come afferma Marzio Barbaglio e Asher Colombo nel volume “Omosessuali moderni”, in Italia l’omosessualità ha grande spazio in tv e più in generale nei media, ma il mondo accademico non se ne interessa, lasciando ai mass media la libertà di diffondere luoghi comuni e stereotipi sui gay e sulle lesbiche.

 

Questo vale anche per gli omosessuali credenti, quelli che si riconoscono nella fede di Gesù Cristo ma che spesso fanno fatica a trovare piena accoglienza nella Chiesa. In un documento della Commissione  dell’episcopato inglese per l’assistenza sociale, già nel 1979 si leggeva che spetta alla Chiesa  la responsabilità di eliminare le ingiustizie perpetrate ai danni degli omosessuali da parte della società. Anche il Catechismo della Chiesa cattolica (1992) invita ad usare “rispetto, compassione e delicatezza” con le persone che presentano “tendenze omosessuali innate”.

Si può concludere, quindi, che le persone omosessuali fanno parte a pieno titolo della comunità cristiana.

Racconta Giovanni: “Sono nato 25 ani fa alla periferia di una città del centro Italia. Introverso e timido, ho sempre avuto problemi a legare con i miei compagni di scuola e di cortile e, se si escludono poche eccezioni, la solitudine ha caratterizzato fino allora la mia vita. La mia famiglia era molto religiosa ed attiva in parrocchia, e, di conseguenza, anch’io ho sempre frequentato quell’ambiente impegnandomi a livelli diversi. Non sentivo in contraddizione la mia sessualità e la mia fede […]. La mia sofferenza derivava dalla resistenza che avvertivo negli altri […]”

 

La società subisce la pressione di una minoranza che chiede d’essere visibile, che non vuole più vivere con paura la propria identità, che chiede ai benpensanti di andare oltre il pregiudizio e i luoghi comuni. Per questo motivo, segnaliamo due indirizzi utili. Per gli omosessuali credenti c’è il gruppo “La fonte” (via Agordat 50 – 20127 Milano); per le mamme e i papà con figli omosessuali c’è l’Agedo, Associazione genitori d’omosessuali (via Bezzecca 3 – 20135 Milano).

 

Tratto da “Vita pastorale - maggio 2002”

Riduzione e adattamento a cura di Simona Internullo