Famiglia Giovani Anziani

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Sabato, 01 Ottobre 2005 13:58

La diversità: ostacolo o risorsa?

Seconda parte. Accogliere le diversità - La famiglia come chiave di risposta per una pastorale dell’accoglienza

 

Questo mio intervento vuole offrire una chiave di lettura teologica e pastorale sulla diversità.

La tesi di fondo che cercherò di sviluppare e, in qualche modo, di dimostrare è la seguente: le diversità non sono un limite o un problema ma sono una risorsa.

Ci può infatti capitare di considerare le diversità come problema, difficoltà, disagio, questione che ci interpella; da parte mia sono convinto che senza le diversità diventerebbe impossibile decifrare il mistero della vita dell’uomo, il suo destino e il senso stesso della Storia.

Il punto di partenza della mia relazione è la famiglia, non per un’attribuzione impropria, ma perché c’è un nesso imprescindibile tra la realtà della famiglia e la tematica della diversità, anzi sono convinto che la famiglia ci possa dare il codice di lettura di questo tema.

 

IL MISTERO DELL’UOMO

Per spiegare questa affermazione, parto da quello che è il mistero dell’origine dell’uomo così come ci è descritto nella Parola di Dio.

Sappiamo che i primi capitoli di Genesi non costituiscono una spiegazione scientifica della creazione dell’uomo e del mondo ma un’interpretazione sapienziale ispirata dalla vicenda umana.

Il primo capitolo di Genesi, di fonte sacerdotale, descrive la creazione in una prospettiva di separazione: viene separato il cielo dalla terra, poi il mare dalla terraferma, e così via: tutto è diversificazione in un orizzonte di armonia. Quanto più la diversificazione si accentua, tanto più si mettono in evidenza gli elementi che contribuiscono a creare l’armonia.

Al vertice, al cuore di questa realtà, c’è la creazione dell’uomo e della donna. Per questa creazione c’è un intervento straordinario del Dio creatore: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza”, che pone l’essere umano in una condizione completamente diversa da tutte le altre cose.

Immagine e somiglianza non significano che l’uomo è uguale a Dio, in quanto è opera delle sue mani, ma che porta in sé una partecipazione al mistero stesso di Dio.

E questa partecipazione si realizza attraverso la differenziazione “maschio e femmina”; questo essere creato ad immagine e somiglianza di Dio porta dentro di sé una differenziazione che potremmo definire radicale, irriducibile: l’essere umano non esiste se non come uomo e come donna.

Possiamo quindi concludere che Dio genera il principio della diversità e lo genera non come spaccatura, o come frattura dell’essere umano, ma come un qualcosa di armonico con il creato e con Lui stesso.

 

MASCHIO E FEMMINA

La differenziazione “maschio e femmina” in filosofia ha costituito sempre un enigma, un interrogativo.

Grandi sono stati gli sforzi, nel periodo classico, di ridurre questa differenza. Con Platone si arriva a considerare la diversità come un limite, come qualcosa di mancante, nostalgia di un’interezza che non esiste più.

Da qui nascono i diversi miti dell’androgino, dell’ermafrodito così presenti, anche se in modo diverso, nella società contemporanea, ma che sono in antitesi con il progetto di Dio.

Il secondo racconto di Genesi, più di carattere antropologico, sottolinea maggiormente questo aspetto: ci dice infatti che Dio si preoccupa della solitudine di questo essere umano, dice che “non è bene che sia solo, gli voglio fare un aiuto che gli sia simile”; il termine ebraico utilizzato sta ad indicare “gli voglio fare qualcosa che gli sia simile standogli di fronte” cioè una similitudine quasi per contrapposizione: la donna infatti costituisce, rispetto all’uomo, quella realtà che gli è simile, ma che continuamente lo riflette, lo rispecchia, lo richiama alla sua diversità.

Il modo in cui l’autore sacro cerca di tradurre visivamente questo dinamismo è affascinante, perché la donna viene tratta in un momento di torpore dalla costola dell’uomo; la costola è stata scelta, secondo una delle interpretazioni più accreditate, perché è l’elemento più vicino al cuore, quindi è qualcosa di intimo, interiore.

La donna viene a costituire la verità più profonda del sentire umano e non è qualcosa che viene generato dopo, perché preesiste quasi all’uomo stesso, è l’intimo dell’intimo dell’uomo che viene posto di fronte a lui.

Adamo allora esclama: “questa è veramente carne della mia carne”.

Questa affermazione non significa solo “mi è stato donato qualcuno che finalmente corrisponde alla mia dignità di essere intelligente”, ma soprattutto “mi è stata donata quella parte di me che mi rivela che il senso della vita è la relazionalità”.

Diversità e relazionalità al di fuori delle quali Dio stesso, che è l’orizzonte ultimo della vita, non può essere compreso: “per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola”.

 

LA POLARITÀ SESSUALE

La differenziazione “maschio e femmina” è stato motivo di imbarazzo anche in ambito ecclesiale: alcuni Padri della Chiesa hanno interpretato o cercato di interpretare la polarità sessuale come segno di una caduta dovuta al peccato, da qui è scaturita una visione negativa della sessualità che ha riverberi anche ai nostri giorni.

È vero che nella sessualità, come in tutte le altre dimensioni umane, si percepiscono gli effetti del peccato, ma la polarità sessuale è opera della creazione quindi del disegno provvidenziale di Dio: guai a noi se non abbiamo chiaro questo tipo di approccio e quindi il senso positivo della diversità!

Questi argomenti sono stati affrontati più volte dall’attuale Papa, il quale sarà ricordato in futuro, al di là di tutti i contributi che ha dato con il suo magistero alla vita e alla missione della Chiesa, anche per le sue riflessioni sull’uomo in un’epoca di crisi nell’interpretazione dell’essere umano.


IL MAGISTERO DEL PAPA

Il Papa, in piena conformità con la tradizione cristiana, ma anche con un grande sforzo di innovazione, ha sviluppato delle riflessioni che sono veramente innovative e una di queste è costituita dallo stretto legame presente tra il mistero della vita trinitaria e la realtà della famiglia.

I testi a cui faccio riferimento sono:

  • la “Mulieris Dignitatem”;
  • la “Lettera alle famiglie”,
  • la “Lettera alle donne”.

 

LA “MULIERIS DIGNITATEM”

Nel primo testo: la “Mulieris Dignitatem”, nei capitoli dal 6 all’8, il Papa fa un’affermazione molto forte che alcuni teologi fanno fatica ad accogliere, cioè che Dio, creando l’essere umano a sua immagine e somiglianza, ha dato una chiave di lettura del suo stesso mistero.

Il Papa afferma che Dio è conoscibile guardando ciò che Dio ha creato e al cui vertice c’è l’essere umano maschio e femmina; guardando la polarità, la diversità, la complementarietà, la reciprocità tra uomo e donna noi possiamo entrare nel mistero intimo di Dio, cioè nel suo essere trinitario che è unità nella permanente insondabile diversità delle persone divine.

Mai il Papa si era spinto fino a una sottolineatura così radicale della conoscibilità di Dio attraverso il mistero dell’uomo e della donna: questo è un passaggio epocale!

 

LA LETTERA ALLE FAMIGLIE

Il secondo testo, molto più immediato nella sua lettura, anche se purtroppo non sufficientemente valorizzato, è la Lettera alle Famiglie.

In questo documento c’è un’affermazione che si ripete di continuo: il “noi” del vissuto familiare è comprensibile, dice il Papa, alla luce del “noi” del mistero trinitario.

Il mistero della Trinità non si rivela e non si manifesta se non in dinamismo di comunione e il vissuto familiare, che è la realtà più significativa della comunione interumana, è il contesto in cui si rende più visibile il mistero di Dio che è Trinità.

Con il termine vissuto familiare indico sia il rapporto tra i due membri della coppia che il vissuto di fecondità che da esso scaturisce.

Già Genesi ci dice con chiarezza che Dio ha creato l’essere umano maschio e femmina e li ha benedetti perché fossero fecondi.

Non si può dissociare la reciprocità uomo-donna da questa benedizione originaria: questi termini sono così strettamente congiunti che al di fuori di un’ottica di fecondità è incomprensibile il senso della diversità.

 

LA LETTERA ALLE DONNE

Il terzo testo è la lettera del Papa alle donne scritta in occasione della Conferenza Internazionale di Pechino. Al n. 7 di questo documento il Papa dice: “la questione della differenza uomo-donna è una questione ontologica”, cioè è una questione che riguarda la natura e la conoscenza dell’essere come soggetto in sé. Il Papa ci ricorda che non potremo mai capire fino in fondo che cos’è l’essere umano se non tenendo conto e sviluppando anche la dimensione della relazionalità e reciprocità uomo-donna; questa relazionalità non è un “optional” ma un elemento costitutivo dell’essere.

Questi sono solo degli accenni che però ci permettono di individuare il nucleo centrale del problema, cioè che la diversità e la diversità per eccellenza, quella all’interno dello stesso essere umano come maschio e come femmina, è una risorsa, è un valore, è la chiave di lettura del mistero dell’uomo ma è anche l’accesso al mistero stesso di Dio.

Concludendo questo primo punto mi sembra di poter dire che allora la diversità ha il suo fascino: la diversità non è qualcosa a cui dobbiamo guardare con sospetto e con paura ma è il continuo rimando che noi abbiamo ad andare oltre, a non fermarci, a superare i limiti che inevitabilmente sono costituiti da ogni approccio soggettivo, individualista, che pone il “se stessi” al centro di tutte le cose.

La diversità è l’appello forte che noi abbiamo ad allargare il nostro orizzonte.

 

DIVERSITÀ E LIBERTÀ

Il secondo aspetto è costituito dalla presenza di un dramma all’interno dell’esperienza di diversità: questo dramma è costituito dall’interpretazione che

noi diamo della diversità: se questa è segnata dalla paura ci richiudiamo su noi stessi, in caso contrario siamo in grado di costruire rapporti sempre più grandi di amore e donazione.

Entra in gioco dunque la nostra libertà con cui il tema della diversità deve sempre misurarsi.

Pensiamo all’impatto che questo elemento ha nel rapporto uomo-donna: la creazione dell’unità di coppia impone di mettere in gioco la propria libertà, ma questo non è affatto scontato, richiede fatica e impegno.

La diversità è quindi anche una sfida alla propria libertà.

Questi due primi aspetti sono fondativi, ciò che segue non è che lo sviluppo consequenziale del discorso.

 

CRISTO PER COMPRENDERE LA DIVERSITA'

Un ruolo determinante per interpretare la vicenda della diversità ci viene da Gesù Cristo: infatti in Cristo noi abbiamo l’abbraccio supremo della diversità come ci dice Paolo nel cap. 2 della lettera ai Filippesi.

Paolo ci ricorda che Cristo, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua eguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso assumendo la condizione di servo ... fino alla morte di croce.

Gesù compie quello che teologicamente viene chiamato “kenosis”, cioè l’abbassamento, l’annientamento, l’entrata nelle tenebre causate dal peccato; in questo modo Cristo colma l’abisso della differenza, della diversità causata dal peccato e si pone come ponte in grado di riorientare ogni diversità e di ricondurla al suo senso originario.

La diversità è infatti un bene che diventa valore negativo quando, a causa del peccato, non permette più agli uomini di comprenderne il senso e diventa la fonte dei conflitti e delle rivalità.

Solo in Cristo noi possiamo ricomporre tutte le diversità, quella tra Cielo e terra come quella tra uomo e donna: è in questa chiave che dobbiamo intendere le parole di Gesù quando dice che non c’è più marito né moglie, né uomo né donna. Egli non vuol dire che questi stati della persona saranno soppressi ma che non saranno più conflittuali, in contrapposizione, e saranno ricondotti alla loro armonia e al loro senso ultimo perché non sono altro che il passaggio verso quella comunione definitiva quando vedremo Dio faccia a faccia.

 

IL MATRIMONIO CRISTIANO

L’esigenza del matrimonio è presente in tutte le culture di tutti i tempi come una dimensione fondamentale dell’uomo.

È vero, il peccato ne ha oscurato in parte il senso, ma non ha eliminato la tensione positiva che spinge l’uomo e la donna a vivere insieme.

Il cristiano non ha strumenti diversi da ogni altro essere umano quando vive autenticamente questa esperienza di amore e donazione reciproca, salvo la Grazia che gli viene da Cristo.

Tornando a Paolo, nella lettera agli Efesini egli ci ricorda anche di essere sottomessi gli uni agli altri come la Chiesa lo è a Cristo: è la sottomissione a Cristo che costituisce il presupposto per la composizione della diversità, perché si crei veramente la reciprocità.

In questo senso la Grazia del sacramento del matrimonio non annulla le diversità ma le valorizza e le innerva nella forza della Grazia stessa, permettendo di realizzare ciò per cui Dio fin dall’origine ha pensato e voluto per l’uomo e per la donna, benedicendoli nella loro fecondità.

Oggi, come società, siamo entrati in un duplice vicolo cieco: da una parte troviamo la tendenza ad omologare tutto e tutti, comprese le differenze sessuali, rendendole di fatto indistinguibili e irrilevanti, dall’altra incontriamo la tendenza alla contrapposizione, alla separazione irriducibile.

Il matrimonio cristiano tiene lontana ogni forma di omologazione dell’uno all’altro e nello stesso tempo ogni reciproca irriducibilità, proprio perché l’uo-mo è capace di costruire una comunione nel rispetto delle diversità.

 

LA FAMIGLIA

La famiglia cristiana è allora il luogo in cui per eccellenza si può valorizzare la diversità (vedi Familiaris Consortio), che si pone come primo compito la costituzione di una comunità di persone. Una grossa sfida del nostro tempo che impegna la famiglia è quella dell’integrazione delle diversità religiose.

Su questo argomento vi sono delle luci e delle ombre: le luci sono quelle che oggi ci vengono dalla ricchezza dei rapporti ecumenici tra le diverse confessioni cristiane, ad esempio con gli ortodossi ed i riformati.

La teologia del matrimonio presso gli ortodossi è molto diversa dalla nostra sia nella visione del matrimonio sacramentale, sia nella sua attuazione liturgica e nella prassi pastorale (pensiamo al caso tipico dei divorziati e risposati). Il fatto che la realtà cattolica e quella ortodossa si incontrino anche attraverso i matrimoni misti è visto come un elemento di grande arricchimento teologico ed ecclesiale.

Sul fronte dei riformati ricordo l’accordo recentemente sottoscritto tra la CEI ed i valdesi proprio sulla questione dei matrimoni. L’incontro all’interno di un vissuto familiare di un cattolico e di un riformato valdese viene ora interpretato, a fronte di conflitti radicali vissuti in passato, come una risorsa, una fonte di possibile grazia. Ciò è molto bello ed è un grande segno di come all’interno della famiglia anche le diverse esperienze di fede possono tradursi in una crescita, in un arricchimento, in uno scambio molto prezioso.

Le ombre ci vengono dai matrimoni interreligiosi, soprattutto con i musulmani. Sappiamo tutti, anche da casi apparsi sulla stampa nazionale, quanto sia difficile questa esperienza, anche quando c’è un impegno molto serio nell’affrontarla, proprio per le diverse interpretazioni che si hanno riguardo al rapporto di coppia tra mondo occidentale e mondo musulmano.

Questo è un argomento guardato con grande attenzione dalla Chiesa (lo stesso Direttorio di Pastorale familiare ne parla), su di esso non vi sono preclusioni di principio anche se oggettivamente si invita all’attenzione e alla cautela.

 

IL RUOLO DELLA CHIESA

La Chiesa si è sempre impegnata sul fronte della diversità, anche se vi sono stati momenti nella sua storia che fanno pensare diversamente e che possono essere compresi solo entrando nelle situazioni specifiche. Ma la Chiesa, per la sua natura cattolica, cioè universale, è stata sempre attenta alle diversità e questa attenzione oggi si esprime nel binomio: “evangelizzazione delle culture” e “inculturazione della fede”. La fede ha infatti sempre un duplice processo: entra dentro le esperienze positive delle culture e delle tradizioni umane e, nello stesso tempo, innerva queste realtà con l’originalità e la novità ‘ dell’annuncio evangelico.

Questo è un processo dagli equilibri molto difficili, perché da un lato c’è sempre il rischio di una evangelizzazione che snaturi e manipoli le tradizioni culturali, e dall’altro c’è il rischio che un adattamento del Vangelo alle tradizioni comporti una perdita dell’originalità del messaggio cristiano.

 

LA CHIESA E IL RAZZISMO

Come la Chiesa si pone nei confronti del razzismo? Come si pone di fronte a questa realtà che a volte si manifesta in forma eclatante e a volte in modo subdolo?

La Chiesa è e vuole essere un deterrente contro ogni forma di razzismo, per questo ha bisogno continuamente di convertirsi alla verità del suo essere, al senso più profondo della sua missione.

La sua è una missione di comunione e di riconciliazione e in quest’ottica la Chiesa è nel mondo il crocevia della riconciliazione e dell’incontro tra popoli e razze.

In Italia ciò è meno visibile, ma credo che le comunità cristiane costituiranno sempre più il punto discriminante della capacità del nostro paese di essere accogliente e capace di integrare le diversità.

Sull’argomento vi segnalo un documento della commissione “Justitia et Pax” (Educare alla legalità) che invita a passare da una cultura dell’indifferenza e della diffidenza ad una cultura della differenza e della solidarietà: differenza nel senso di saper apprezzare e valorizzare le differenze, solidarietà come raccordo tra le differenze stesse.

 

EDUCARE ALLA DIVERSITÀ

Ma anche questo è solo un passaggio verso l’obiettivo ultimo che è la nascita di una cultura della convivialità, che è qualcosa di più della solidarietà.

Solidarietà è accettare, condividere, comprendere, affiancarsi; convivialità è un termine tipicamente familiare che sta ad indicare un entrare in stretto contatto, un assumere all’interno del proprio vissuto anche questo tipo di presenze.

Un grosso contributo che la Chiesa dà su questi argomenti è quello dell’educazione. La Chiesa ha un compito che è quello di educare Ia coscienza di ogni credente, ma anche di investire le sue risorse principali nell’educazione delle nuove generazioni.

Quest’educazione deve essere fatta di ascolto, di dialogo e di condivisione: questi tre elementi costituiscono la grammatica di ogni autentico rapporto tra le diversità.

 

Don Claudio Giuliodori, responsabile dell’Ufficio per le Comunicazioni Sociali della CE

Sabato, 27 Agosto 2005 13:30

LA DIVERSITÀ OGGI: ANALISI E PROPOSTE

ACCOGLIERE LE DIVERSITA' - SECONDA PARTE

-1- LA DIVERSITÀ OGGI: ANALISI E PROPOSTE

Dalla fine dei vecchi equilibri a nuove reti di solidarietà

 

Questa relazione vuole affrontare il problema della diversità dal punto di vista sociologico calandola nella nostra esperienza di famiglie.

La caduta di alcuni vecchi equilibri su cui si basava la nostra società a cui eravamo abituati da decenni ha accelerato in questi ultimi tempi la diversità, la contrapposizione tra le diversità.

Quali equilibri sono caduti? per esempio quelli legati all’organizzazione del lavoro, alla contrapposizione Est/Ovest, al ruolo degli anziani, dei giovani e della famiglia.

L’organizzazione del lavoro

L’organizzazione del lavoro cui eravamo abituati, il modello Fordiano che si riassume nella catena di montaggio, poteva essere alienante ma creava molti posti di lavoro, si poteva sperare di lavorare fino al raggiungimento della pensione, offriva un posto a tutti, anche a coloro con bassa scolarità.

La nuova organizzazione del lavoro è centrata sulla qualità totale, sul concetto di “just-in-time” che di fatto elimina i magazzini; in questa organizzazione i lavoratori sono definiti risorse umane.

Questa è una bella parola ma che cosa vuol dire risorsa? chi è risorsa? sono risorsa solo i lavoratori che sono adattabili nel tempo, che sono fungibili, e questa impostazione, insieme all’uso estensivo di robot per eseguire lavori che prima svolgevano gli uomini, riduce il numero dei posti di lavoro.

Cambiano così anche i rapporti tra i lavoratori, il neoassunto fa paura, i più anziani vedono in lui un concorrente perché è probabilmente più adattabile, più fruibile. Chi sopravvive e non viene espulso dal sistema produttivo è solo colui che supera la paura di non essere all’altezza.

La contrapposizione Est/Ovest

Alla caduta del muro di Berlino nel 1989 tutti abbiamo applaudito: era la fine della guerra fredda, e con lei la fine della paura di una nuova guerra mondiale, della “bomba”, della morte nucleare.

Ma c’era un rovescio della medaglia che abbiamo compreso solo col tempo: la caduta del muro, dei vecchi equilibri, ha innescato le attese di una moltitudine di individui dell’Est europeo che ha cercato di riversarsi anche nel nostro paese. Questo ci fa paura perché sembra attentare al nostro benessere ma non c’è rimedio: l’Italia è un paese con indice di natalità negativo, ha bisogno di braccia, e inoltre, rispetto ad altri paesi europei, gli stranieri da noi rappresentano solo il 2% della popolazione contro una media internazionale che è del 5%.

Il ruolo degli anziani

Il primo libro sugli anziani è del ’76 e si intitola emblematicamente “L’età inutile”.

Da allora molte cose sono cambiate: la salute degli anziani è migliorata, la speranza di vita si è spostata a 75-80 anni, gli anziani oggi sono più istruiti, sono inseriti in gruppi, hanno hobbies con cui occupare il tempo, ma nonostante ciò il 25% di essi è solo, è isolato.

Questo ha dei gravi costi sociali perché l’uomo ha bisogno di comunicare con gli altri, di relazionare, colui che ne è privato è come una persona a cui sia stato tolto il cibo, il nutrimento.

Ma anche molti degli anziani che svolgono attività reputano queste attività poco significative e ciò provoca in loro frustrazione; infatti il senso della vita consiste nel fare cose che gli altri ritengono significative.

In questo caso la donna è più fortunata (ha sempre badato alla casa e, una volta raggiunta la pensione, continua a farlo), l’uomo si trova invece in una situazione più critica.

Il ruolo dei giovani

Leggiamo ogni giorno sui giornali di ragazzi che vivono situazioni di malessere, leggiamo di omicidi, di atti di violenza contro gli altri e anche contro se stessi.

Un altro indicatore di questo malessere è la cosiddetta “famiglia lunga”, famiglia dove i figli ormai adulti continuano a vivere nella casa dei genitori.

Perché la famiglia lunga? Perché manca il lavoro? Perché non é sicuro? Perché i giovani con il loro stipendio non riescono ad avere una casa comoda come quella dei genitori?

Il motivo vero è che questi giovani, maschi e femmine, sono figli della “grande mamma italiana”.

Questa mamma, nei confronti dei maschi è soprattutto protettrice, teme per i figli, e questi non hanno un padre, perché il padre c’è ma sovente è come se fosse assente.

Ai giovani maschi manca l’identificazione con il padre, lo stare al suo fianco, il lavorare insieme, e, attraverso queste esperienze, comprendere che anche il padre commette errori e così emanciparsi.

Le femmine sono più fortunate perché la madre di solito è più presente in casa e le giovani possono quindi misurarsi, confrontarsi e scontrarsi con essa.

Lo si vede anche nell’ambito universitario: le ragazze sono più forti dei maschi, studiano di più, studiano meglio.

Il ruolo della famiglia

La famiglia è cambiata molto in questi ultimi anni: solo per citare un dato, attualmente i divorzi e le separazioni interessano il 20% dei matrimoni.

Questo mutamento ha un peso molto forte sui giovani, che sono portati ad affrontare il matrimonio mettendo già in conto che, se le cose vanno male, ci si può lasciare.

Il divorzio dei genitori crea inoltre nei giovani delle difficoltà ad avere rapporti con l’altro sesso, perché fa nascere la paura di essere abbandonati.

Come genitori dobbiamo fare un esame di coscienza perché non siamo stati capaci di trasmettere tutti i valori in cui noi siamo stati educati ai nostri figli. Tra questi valori vi possono essere valori grandi, significativi, ma anche altri molto più banali come l’ordine, l’attenzione per le proprie cose, il rispetto della disciplina, la capacità di cucinare, ecc..

Non li abbiamo passati forse perché li ritenevamo poco importanti o perché non ne siamo stati capaci e ora scopriamo i nostri figli disordinati, spreconi, indisciplinati, incapaci di nutrirsi in modo corretto.

Scopriamo che anche il poco che abbiamo insegnato sovente si è perso perché il peso degli amici, del gruppo, è stato più forte di quello della famiglia.

 

COME GESTIRE LA DIVISIONE

La divisione si gestisce accettando la diversità, trasformandola in una opportunità di scambio vicendevole.

Partendo dal mondo del lavoro le associazioni (dei lavoratori, degli imprenditori p.e.) non dovrebbero limitarsi ad avanzare rivendicazioni, ma dovrebbero diventare più solidali con coloro che rappresentano.

Se marito e moglie perdono il lavoro diventano improvvisamente, da piccoli-borghesi che erano, poveri, sul lastrico.

Le associazioni, anziché limitarsi a difendere coloro che un lavoro lo hanno ancora, dovrebbero fare corsi di riqualificazione per coloro che il lavoro lo hanno perduto, in modo che possano trovare un nuovo lavoro, possano passare alla libera professione, al lavoro in cooperativa.

Passando ai pensionati, la malattia più diffusa nei primi due anni successivi all’uscita dal mondo del lavoro è la depressione.

Solo coloro che si organizzano per tempo e riescono a continuare a fare qualcosa di utile ne sono esenti; un compito delle associazioni è anche quello di favorire chi va in pensione a trovare alternative valide per occupare il proprio tempo.

Anche per i giovani il discorso è simile: le associazioni possono creare progetti per i giovani attingendo ai fondi sociali europei; i giovani stessi, aiutati dalle famiglie, possono organizzarsi in associazioni “no profit” (senza fine di lucro) per offrire servizi.

Da ultimo alcune considerazioni sugli extracomunitari: non possiamo far finta che non esistano, che sono solo delinquenti, che ci portano solo malattie. Dobbiamo aiutarli a integrarsi, a diventare cittadini, se li lasciamo nelle mani degli sfruttatori resteranno sempre come dei topi, relegati a vivere nelle cantine o nei solai dei quartieri più degradati!

 

VERSO DOVE ANDARE

Siamo stati abituati ad affrontare la diversità? Direi di no: se nelle nostre famiglie nasce un problema siamo portati a nasconderlo per paura di essere considerati diversi.

È qualcosa da superare, dobbiamo mobilitarci per creare delle reti sociali, delle reti di solidarietà, perché, è inutile illuderci, non siamo autosufficienti!

Io padre, io madre, ho bisogno, per la realizzazione dei miei figli, che altri mi aiutino come io, a mia volta, devo cercare di aiutare gli altri.

prof. Guido Lazzarini, sociologo

Giovedì, 04 Agosto 2005 16:16

ASSOCIAZIONE FAMIGLIE SEPARATE CRISTIANE

ASSOCIAZIONE FAMIGLIE SEPARATE CRISTIANE

Nasce nel 1998 a Milano e si sviluppa in varie città d’Italia e attualmente ha sezioni in Lombardia, Piemonte, Liguria, Veneto, Friuli e Venezia Giulia, Emilia Romagna, Lazio, Campania, Sicilia; cioè in molte Regioni d’Italia. L’Associazione è stata seguita sin dall’inizio da mons. Renzo Bonetti, già Responsabile della Pastorale Familiare della CEI.

         L’ Associazione fa parte del forum Nazionale delle Associazioni Familiari.

Obiettivi in sintesi sono:

  • Promuovere, senza giudicare, l’accoglienza e l’ascolto dei separati nelle diverse diocesi italiane;
  • Che in questi nostri fratelli, allontanatisi e/o allontanati dalla Chiesa, una volta fatto questo percorso, riprendano la vita comunitaria e che la stessa Comunità sia pronta ad accoglierli riservando un particolare atteggiamento: l’atteggiamento è quello di Gesù di fronte alla Samaritana;
  • Portare all’interno della Chiesa la voce, le problematiche, soprattutto la sofferenza delle famiglie separate;
  • Contribuire ad un cambiamento di cultura nella società, nel parlamento, nel paese, sulla pari importanza di entrambi i genitori nella funzione educativa verso i figli, per una nuova legge sulla separazione.

La Sezione Lazio

Nasce e inizia il suo cammino ufficialmente nel gennaio 2001, dopo il parere favorevole del Vescovo Ausiliare della Diocesi di Roma, incaricato per la Pastorale Familiare, S.E. mons. Luigi Moretti.

Dal mese di settembre 2001 al mese di giugno 2002, inizia a Roma il cammino dei primi due gruppi che nascono come: «Gruppi di ascolto del Vangelo e di Preghiera» con incontri mensili.

Vi partecipano persone che si trovano nelle più svariate situazioni: separati, divorziati, coppie in crisi; Uomini e donne con storie di sofferenza, con ferite profonde, bisognosi di essere ascoltati, di poter condividere; forse per la prima volta essi si sentono accolti, non giudicati.

Oltre gli incontri di accoglienza iniziano anche i ritiri nei tempi «forti» dell’ano liturgico: Natale e Pasqua e si organizzano momenti «conviviali» con pellegrinaggi nei luoghi francescani di Greccio e Bellegra: sono occasioni necessarie  per fraternizzare e conoscersi.

Con l’aiuto del Signore il «seme» comincia a dare «nuovi frutti» e, dall’inizio a settembre 2002, si costituiscono a Roma 11 gruppo, mentre altri iniziano il cammino a Civitavecchia e Latina. Agli incontri cominciano anche a partecipare coppie «regolari» che hanno maturato una chiamata a questo servizio pastorale: la loro presenza è segno di speranza, di accoglienza, di ricchezza spirituale.

Su richiesta degli stessi partecipanti, e per dare risposte concrete alle molteplici e diverse domande che la condizione di «separato» pone per quanto riguarda la situazione personale, le scelte di vita e la posizione all’interno della Chiesa, si sono tenuti quattro incontri su tematiche specifiche quali:

  • Cosa sta facendo la Chiesa per la «famiglia»;
  • La separazione: fallimento o inizio di un cambiamento? Come viene vissuta dall’uomo e dalla donna;
  • Figli con la valigia. Separati per la legge, genitori sempre;
  • I separati e i divorziati in parrocchia tra accoglienza e sospetto. Percorsi di Grazia nel fallimento del matrimonio.

Gli incontri sono stati guidati da Consulenti familiari, avvocati, psicoterapeuti esperti nei settori di loro competenza.

Nel mese di giugno 2003 l’Associazione è stata invitata a partecipare al convegno diocesano svoltosi a Roma sul tema: «Insieme alla famiglia costruiamo una società migliore»: un grande evento ecclesiale e la prima vera opportunità di «testimonianza» diretta della propria condizione di «separato», presente nella Chiesa spesso vivendo la fedeltà in una società in cui questo valore è sempre più dimenticato e «disprezzato».

Nel maggio 2003 e nel 2004 in data 29 e 30 maggio, si sono tenuti i due Convegni Nazionali (IV° e V°): a Roma e a Caravaggio (Bergamo) ai quali hanno partecipato tutti i gruppi presenti in Italia che fanno lo stesso cammino; il prossimo Convegno Nazionale, il VI°, è già previsto per la fine di maggio 2005, a Roma: è una grande e importante occasione di confronto, riflessione, preghiera, scambio di testimonianze, proposte future.

                              

Renato Galeri e Manuela Ciriello
Lunedì, 04 Luglio 2005 18:29

Evangelizzare la Chiesa, popolo di Dio

Evangelizzare la Chiesa, popolo di Dio

 

· I documenti del Vaticano II presentano un messaggio originale per la Chiesa: una vera e propria «nuova» evangelizzazione · Questa nuova evangelizzazione riguarda in particolare la concezione di Chiesa che dobbiamo imparare a ripensare e rileggere come «popolo di Dio» · Accogliere e vivere la novità è sempre molto importante per il cristiano: Dio, infatti, è colui che «ha fatto nuove tutte le cose» · Per metterci in questa disposizione di accoglienza del nuovo occorre ascoltare, ricordare, convertirsi.

 

Questo nostro contributo può avere senso e assumere significato solamente se si conosce la nuova strada che, illuminata dallo Spirito Santo, la Chiesa ha tracciato con i messaggi e le provocazioni contenute nei documenti del Vaticano II e che potremmo definire «nuova evangelizzazione». 

Noi possiamo solo pregare e invitare ogni essere umano, ogni membro del popolo di Dio, a leggere i documenti, meditarli e metterli in pratica nella vita della Chiesa e della società. 

Ci limitiamo ad alcune semplici riflessioni con la speranza che quanto è stato seminato in 50 anni sia coltivato e giunga il tempo del raccolto. «Uno semina e uno miete» (Gv 4,37).

Nuova strada, nuova evangelizzazione. Il termine «nuova» non deve spaventare o destare sospetto. È Dio stesso che dice: «Io faccio nuove tutte le cose». Si scoprirà che il Concilio riattualizza la parola che Dio Padre, nel Figlio Gesù (il Verbo), dice dall'origine del mondo e che lo Spirito d'amore ripete e rende comprensibile nel tempo e nei tempi dell'uomo, creatura storica: «...Ascolta, ricorda, convertiti...».

 

«Ascolta...»

Al centro di questo ascolto sta la Parola di Dio, Cristo («Cristocentrismo» - cf LG 1).

La Chiesa è sacramento visibile di Cristo se è segno dell'amore di Dio per tutta l'umanità e quindi fonte e inizio dell'intima unione di tutto il genere umano. La Chiesa avvia la realizzazione dell'unità promovendo, con l’annuncio e le opere di carità e giustizia, il disegno di Dio: «ricapitolare in Cristo tutte le cose, riappacificare gli esseri della terra e quelli del cielo» (cf Col 1,15-20).

La Chiesa è chiamata ad introdurre il Regno rimanendo in attento, fedele e ubbidiente ascolto dello Spirito che la provvede e dirige con diversi doni gerarchici e carismatici (cf LG 1-8).

Non deve insorgere alcuna disputa. Gesù insegna ai discepoli che nel Regno non si discute su chi è il primo o il più grande, ma ciascuno si fa servo di tutti (cf Mt 9,33-40).

L'amore in cui è radicato il buono, il bello e lieto annuncio non stabilisce criteri di priorità. Si ama gratuitamente e ci si lascia amare, il «respiro» dello Spirito soffia dove vuole e ogni uomo può solo coglierlo ed accoglierlo e renderlo vivo e operante nella Chiesa. nel mondo.

L'amore che la Chiesa è chiamata a vivere si diffonde non per imposizione, legge o prescrizioni, ma per mezzo della carità, giustizia, abnegazione, umiltà. In questa prospettiva d'amore la Chiesa diventa, tra l'altro, immagine di «popolo di Dio» e «famiglia di Dio». «Popolo di Dio», come da sempre si è riconosciuto il popolo dell'alleanza che è stato scelto gratuitamente da Dio, come è scritto dalla Genesi all'Apocalisse. Nel libro dei Salmi, risposta orante alla chiamata di Dio, sia nella prima che nella seconda alleanza, il riferimento a «popolo di Dio» ricorre circa cinquanta volte (e oltre duecento nella intera Bibbia).

Dio vuol santificare e salvare gli uomini non individualmente, ma costituendo un popolo (cf LG 9). In Abramo sono benedette tutte le famiglie della terra (cf Gn 12,3). Mosè si rivolge a Dio dicendo: «considera che questa gente è il tuo popolo... » (Es 33,13). Paolo proclama che in Cristo vi è un solo popolo perché «Egli… è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l'inimicizia… e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo dello croce...» (cf Ef 2,14-18): e aggiunge: «Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti» (Ef 4,6). Paolo, evidentemente, non indulge all'anarchia, all’individualismo, al soggettivismo, ma propone attenzione, accoglienza, ascolto e discernimento da parte di tutti.

Il Figlio di Dio facendosi uomo ha incarnato tutta l'umanità passata, presente, futura. Non ha escluso nessuno dalla chiamata, arrivando al punto - realtà inconcepibile per gli israeliti – di toccare i lebbrosi.

Il popolo di Dio, se vuol seguire l'esempio dell'unico Maestro, deve comportarsi nel quotidiano in modo analogo, continuare l'incarnazione nella celebrazione eucaristica, nella preghiera comunitaria e personale, e nel farsi pellegrino d'amore nel mondo, nel sociale e nel politico (cf GS 31 e 44).

Può, forse, aiutare la nostra riflessione l'immagine di «famiglia di Dio»: lo sposo, la sposa, i figli, il prossimo. Nella famiglia il buon funzionamento e il raggiungimento dello scopo finale, che è l'umanizzazione e la salvezza di ogni componente, si realizza con il reciproco ascolto, la partecipazione, la condivisione, l'autorevolezza della testimonianza. L'autoritarismo e il paternalismo non ottengono risultati, anzi provocano schizofrenie, frustrazioni, fughe o esclusioni.

 

(...e dialoga!)

Il dialogo, che accetta anche la critica, il dubbio, la contestazione e non si accontenta di una supina falsa accettazione delle regole familiari, prepara veri uomini, veri figli di Dio, disposti a sostenere le proprie buone ragioni (l'educazione è bidirezionale: genitori-figli, figli-genitori), ma anche capaci di riconoscere i propri limiti, superare le crisi, comporre i conflitti, chiedere e dare perdono per le reciproche colpe e incomprensioni. Si promuove, in tal modo, una dinamica che fa sviluppare e crescere un rapporto d'amore, partecipazione, collaborazione. (Nella comunità ecclesiale, tale dinamica è bene espressa da At 18,1-4).

Il popolo di Dio - Gerarchia e laici - deve educarsi ad un continuo confronto al suo interno. A volte, in buona fede, si crede che, per il bene di tutti, le verità e le scelte calate dall'alto evitino fratture e appartenenze parziali, ma l’unità è una conquista a cui tutti devono collaborare con i propri carismi, non può essere imposta. 

La Parola di Dio è sempre tradotta dal linguaggio umano con sensibilità e culture diverse, con possibili fraintendimenti. Non è quindi mai accessibile nella sua splendida e luminosa verità. È necessario che lo Spirito intervenga continuamente nella storia per «condurci alla verità tutta intera» (Gv 16,13). Il dono di Dio la rende sempre viva e appropriata al tempo storico in cui deve realizzarsi. È quindi necessario che tutti i membri della Chiesa, presbiteri o laici, prendano coscienza e conoscenza delle situazioni concrete e storiche dell'uomo, non per modificare e adattare la Parola, ma per renderla appropriata e sempre viva nell'oggi. 

Ascoltiamo Giovanni Paolo II: «la Bibbia esercita la sua influenza nel corso dei secoli. Un processo costante di attualizzazione adatta l'interpretazione alla mentalità e al linguaggio contemporanei... Bisogna dunque costantemente ritradurre il pensiero biblico in un linguaggio contemporaneo perché sia espresso in maniera adatta agli uditori» (...).

La Parola di Dio non è parola «congelata» da tirar fuori nelle «feste comandate», servirla, e servirsene... Deve essere parola d'amore che fa innamorare. Parola di tutto il popolo, di ogni famiglia, non solo di specialisti (cf DV 8). Certo, vi sono pericoli, accentuazioni diverse, errori di espressione ecc., ma solo accettando il rischio il popolo di Dio diventa familiare con la Parola, e la Parola può trasformarsi in annuncio, azione vivente, operante e santificante nella quotidianità. Se la Parola è solo predicata e ascoltata in modo anonimo e non entra nel contesto vitale di un popolo diventa «lingua morta».

Il rischio che tanto impensierisce chi ha responsabilità pastorali deve invece sollecitare a trasmettere questa parola con autenticità ed entusiasmo. La Chiesa educa così «realmente» il popolo in cammino, in continuo esodo.

Compiere il dovere pastorale è indispensabile, farlo con attenzione e continuo sforzo di aggiornamento è doveroso, cogliere i «segni dei tempi» è fruttuoso, ma... il Signore, Creatore e Padre, ha accettato il rischio di creare l'uomo libero e ha quindi previsto la possibilità di non essere riconosciuto ed amato. Si può avere la presunzione di fare di più e meglio?

 

«Ricorda…»

Facendo memoria («Ricorda, Israele... ») delle grandi, meravigliose, impensabili opere compiute da Dio nella storia, il popolo di Dio è fondamentalmente ottimista e fiducioso. Tutto concorre al bene finale che Dio ha posto come traguardo della creazione: senso della vita, senso della storia.

Le tappe intermedie o di transizione, come è definita quella attuale, possono presentare zone d'ombra, pericoli, sofferenze, dolore e morte, ma vi è sempre «un resto» che ricondurrà l'umanità alla casa del Padre.

Fra Dio e il suo popolo vi è una reciprocità di «ricorda…».

Dio si ricorda del suo popolo, da Noè (Gn 8,1) al canto del Magnificat: «Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia» (Lc 1,54) e nel «Benedictus»: «...si è ricordato della sua santa alleanza» (Lc 1,72).

Cristo è l'«Amen», la roccia su cui si radica il popolo di Dio, la famiglia di Dio che - quando è fedele al Suo amore e al suo modo di viverlo (dando la vita) - diventa «la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui... voi che un tempo eravate non popolo, ora invece siete il popolo di Dio» (1 Pt 2,9-10).

Dio già a Mosè si era fatto conoscere come «il sempre presente». Gesù è l'incarnazione dell'Emmanuele, «Dio con noi nella storia». La Chiesa, popolo messianico (LG 9), con il dono del «senso della fede» che procede dall'unzione dello Spirito, diventa popolo profetico che esorta con dolcezza e mansuetudine alla conversione.

 

«Convertiti…»

Tutto il popolo, dal primo all'ultimo dei fedeli, secondo il ministero di ciascuno, è corresponsabile della risposta alla vocazione, che è un continuo convertirsi all'«Amore» legge fondamentale contenuta nell'annuncio evangelico.

La nostra conversione di coppia ci impegna a:

· Vivere il coraggio di essere noi stessi, nella autenticità, coerenza, lealtà; essere al servizio della comunione e della edificazione della Chiesa (cf 1 Cor 14,4ss; Rm 12,5ss) da portare a compimento nella carità che è il vincolo della perfezione (cf LG 13).

· Vivere l'umiltà, non sovrastimarci e crederci i detentori della verità tutta intera. Accettare e praticare la correzione fraterna (cf LG 37). Porci sempre in ascolto, essere in relazione con tutti, specialmente con «i piccoli, i poveri, i semplici». Come dice Paolo, non è la sapienza che avvicina a Dio e ai fratelli, ma l'amore gratuito (cf 1 Cor 13).

· Vivere l'audacia dell'indignazione contro gli scandali, e della protesta contro gli uomini e i poteri che non perseguono la giustizia e la pari dignità di tutte le persone.

· Vivere senza la paura dell'«altro», del «diverso» che incontriamo, «sentirlo» in ricerca e in cammino come noi, per rispondere in modo personale e originale alla «chiamata» (...chi sono i «lebbrosi», qui da noi, oggi?).

· Vivere l'obbedienza e la disobbedienza per dare sempre il primato (la preferenza) alla voce di Dio che parla alla coscienza di ogni uomo libero da schiavitù e idoli. Gesù è stato obbediente perché ha «con-sentito» sempre con il Padre.

· Vivere la libertà come responsabilità reciproca e condivisa per crescere insieme. In noi vi è il seme del bene, e siamo segnati dal male, dal limite, dalla fragilità. Dobbiamo impegnarci per realizzarci sempre più come persone capaci di comprendere, valutare, discernere, scegliere. Avere una fede adulta in una comunità adulta.

· Vivere sapendo che siamo stati schiavi in Egitto, deportati in Babilonia, perseguitati dal razzismo, profughi ed emigranti nel mondo intero. Accogliere senza discriminazioni. 

· Vivere pregando. Ogni tempo è tempo di preghiera, lavoro, riposo, liturgia, divertimento; non manchi mai la lode e il ringraziamento a Dio di farci vivere in un tempo così interessante, e la richiesta di renderci capaci e desiderosi del dono della conversione. 

 

Conclusione… provvisoria

L'evangelizzazione della Chiesa come popolo di Dio si realizza quando la Parola di Dio, incarnata in Gesù, diventa tessuto vitale nel quotidiano del credente fedele, nella famiglia, nella comunità, nella società.

Tessuto vitale è l'intreccio strettissi tuo, creato e voluto, tra la verticalità del rapporto Dio-uomo e l'orizzontalità delle relazioni tra gli uomini che imparano a riconoscersi fratelli.

In un messaggio di Paolo VI si legge: «Si tratta di creare un clima nel quale le diverse voci abbiano cittadinanza per un confronto sempre, per una sintesi possibile, per una scelta se necessaria. Scelta che porta temporaneamente un sacrificio che rimane sempre illuminante e fecondo. In questo senso va intesa la collaborazione e per la collaborazione il dialogo».

Edificare la Chiesa come popolo di Dio è opera gradita a Dio, e ascende «con soave odore» come vero sacrificio, e discende «come benedizione» sulle genti perché - dice il Signore - «Io troverò la mia gioia nel far loro del bene» (Ger 32,41).

 

Tina e Michele Colella

Genova

Da “Famiglia domani” 1/2001

 

Venerdì, 01 Luglio 2005 19:34

SANTITÀ E ACCOGLIENZA

PRIMA PARTE

APRIRSI ALL’ACCOGLIENZA

-5-

Chiamati a trasformare la terra in cielo

SANTITÀ E ACCOGLIENZA

Per un’accoglienza soprattutto interiore

 

Il cammino verso la santità non è riservato ad alcune particolari persone o alcuni speciali stati di vita: è di tutti e per tutti.

Forse il problema è sapere cos’è la santità.

Per l’educazione che abbiamo ricevuto, il santo è visto spesso come una persona amabile, obbediente, semplice, serena, che di fronte alle difficoltà o ai problemi ha saputo accettarli senza ribellione e senza impazienza.

 

CHI È SANTO?

Stando a questa educazione neanche Gesù, se fosse giudicato con questo schema tradizionale di santità, non potrebbe mai essere santo perché egli si è staccato dalla tradizione del suo tempo: non è stato obbediente all’autorità religiosa e neppure a quella civile, ha predicato contro le discriminazioni e i privilegi.

Dobbiamo quindi correggere il nostro concetto di santità: santa non è la persona che ha dimenticato la terra per pensare al cielo ma quella che si è battuta per trasformare la terra in cielo. La Bibbia definisce Dio come il “Santo”, meglio come il “tre volte Santo”, il “Santissimo” per eccellenza.

Ma in che cosa consiste la santità di Dio? Se leggiamo i salmi, scopriamo che Dio è Santo perché: odia l’ingiustizia, si mette dalla parte dei deboli, solleva, incoraggia i miserabili. Dio è Santo perché sogna e agisce per fare in modo che gli uomini formino una famiglia dove ci sia: solidarietà, amore, fraternità e parità; Dio è santo perché vuole un mondo giusto, solidale.

Una delle tante strade che porta alla santità è quella dell’accoglienza e dell’ospitalità.

 

L’ACCOGLIENZA IN FAMIGLIA

La parola accoglienza non può ridursi ad un atteggiamento formale come aprire la casa per accogliere chi è in difficoltà, anche se questo atteggiamento è raccomandato dalla Bibbia e dai Vangeli. Ma la vera accoglienza non è solo fisica, è soprattutto interiore, che vuol dire saper ospitare nel cuore idee, culture, religioni diverse. La nostra casa dovrebbe essere nello stesso tempo luogo d’intimità e d’apertura.

Molte famiglie si chiudono in se stesse con l’intenzione di difendersi. Giudicano il mondo perverso e corrotto e mettono in atto una serie di difese. Ed è vero: nel mondo di oggi ci sono perversità ma è anche vero che nella cultura attuale vengono fuori tante realtà promettenti.

Allora una famiglia dovrebbe vivere l’accoglienza secondo due direttrici: il momento dell’intimità e quello dell’apertura, dell’ospitalità. Il momento dell’intimità è segnato dalla riflessione, dal dialogo di coppia, dal confronto, dall’approfondimento dei problemi. Il momento dell’ospitalità è quello dell’accoglienza e dell’ascolto: si accolgono tutte quelle cose che ti portano ricchezza, vitalità. Come una persona cresce quando si lascia abitare, provocare dagli incontri con le persone, così la famiglia rivive continuamente quando è capace di ospitare tensioni, provocazioni.

Quindi il primo tipo di accoglienza che la famiglia è chiamata a vivere riguarda l’interno della famiglia. Se lo sposo non ospita la sposa, la famiglia non è ospitale, e così pure se i genitori non ospitano i figli. È interessante riscoprire il “viversi come ospiti” perché nei riguardi dell’ospite c’è attenzione, accoglienza, rispetto. Viversi come ospiti tra coniugi, con i figli è introdurre nella famiglia sia un atteggiamento di ascolto (di fronte alla presunzione di conoscerci già.) sia di distanza (di fronte al rischio di assorbirsi o di possedersi).

Allora ospitalità nella famiglia indica l’attitudine a saper accogliere le attese, i desideri, le intuizioni del coniuge, dei figli, del genitore, vincendo il facile atteggiamento di banalizzazione o di opposizione.

Quando in una famiglia l’uomo ospita la donna, quando i genitori ospitano i figli, e quando i figli ospitano i genitori, si crea un’atmosfera così viva di stima e di ascolto che permette alle persone di sentirsi amate e stimate e quindi dî avere il coraggio di vivere questa ospitalità nei riguardi di avvenimenti, idee, differenze di cultura. Questo è un passo sicuro verso la santità.

 

padre Cesare Giulio IMC

 

Domande per la Revisione di Vita

·        Che parte ha il momento dell’intimità e quello dell’apertura, nella nostra famiglia e nella mia vita? Sono ben equilibrati per farmi/farci crescere?

·        Quanto so “ospitare” l’altro (il coniuge, il figlio, il collega, la suocera...)? Riesco a vederlo con occhi nuovi, senza preconcetti e giudizi? Oppure tendo ad assorbire, usare l’altro?

Brani per la Lectio Divina

  • Genesi 19, 1-29 (Lot ospita gli angeli);
  • Luca 10, 38-42 (Marta e Maria).

UN LABORATORIO PERMANENTE PER GLI «ITINERARI DI FEDE» IN PREPARAZIONE AL MA TRIMONIO

Premesse

A Villa Civran di Castion di Loria, ultimo angolo ovest della diocesi di Treviso che confina con le altre due diocesi di Padova e Vicenza, si tiene, una volta alI' anno, un itinerario interdiocesano per la preparazione dei fidanzati al matrimonio, e nello stesso tempo si cerca di sperimentare «in vivo» una continua ricerca su forme, modi, mezzi da utilizzare in questo delicato lavoro.

La struttura è un ex studentato dei Padri della Sacra Famiglia del Berthier.

È proprio uno di questi padri, p. Francesco Pellizzer, promuove ormai da parecchi anni questa attività in collaborazione con una decina di coppie di sposi appartenenti appunto alle diverse diocesi. (Altri fidanzati vengono seguiti «fuori programma» in piccoli gruppi di tre-quattro coppie per volta durante tutto il corso dell'anno).

Gli incontri si susseguono da gennaio a maggio con frequenza quindicinale e vi partecipano ogni anno non meno di cinquanta coppie di fidanzati.

Gli incontri hanno luogo nel pomeriggio delle domeniche dalle ore 14.30 fino alle 19.00 e la presenza dei giovani si rivela molto assidua nonostante gli impegni lavorativi e sociali. In uno di questi incontri, a metà itinerario, viene richiesta la presenza fin dal mattino, con pranzo assieme, in modo da dare spazio alla verifica ed alla maggior integrazione-conoscenza tra i fidanzati stessi e con le coppie conduttrici (meglio sarebbe dire «coppie che affiancano» i ragazzi nel loro percorso formativo).

Metodologia

Una lunga e paziente riflessione tra le coppie che collaborano e il p. Francesco ha sviluppato alcune linee metodologiche. Tenteremo sinteticamente di accennarne alcune senza la pretesa di poter sviluppare adeguatamente l'argomento. Speriamo soltanto che si riesca a coglierne lo spirito. Alcuni punti condivisi che sottendono a questa attività pastorale sono:

  • la convinzione che la Chiesa ha bisogno di camminare con due gambe per non essere zoppa. Le sue due gambe sono i due sacramenti dell'Ordine Sacro e del Matrimonio e perciò i due relativi ministeri;

  • che è specifico delle famiglie (figli compresi), proprio in funzione del loro ministero, iniziare i giovani alla bella ma difficile avventura del matrimonio. (Per inciso, in qualche occasione sono presenti anche i figli sia piccolissimi che più grandicelli, addirittura adolescenti, e succede che i fidanzati facciano delle domande in pubblico a questi ultimi, e che le loro semplici e spontanee battute risultino di grande incisività);

  • che si tratta di un cammino di fede, ossia per chi intende fare un matrimonio religioso, senza peraltro escludere nessuno. Tuttavia il tentativo è di trasmettere un messaggio strettamente agganciato alla vita, non soltanto semplici conoscenze ed alti «voli» che poco hanno a che fare con l'impatto della quotidianità;

  • si è coscienti della cultura «visiva» del nostro tempo e pertanto si è attenti ad un buon uso di materiale adatto, cartaceo e non. L'uso dei «segni» si è rivelato di importanza fondamentale per la trasmissione dei messaggi. Si tratta del modo di preparare l'ambiente, di disegni e scritte, di atteggiamenti ed esercizi, di canti e formule di preghiera, ecc.;

  •  che è di fondamentale importanza il coinvolgimento attivo dei partecipanti;

  • che infine una serie di incontri non può di certo esaurire la preparazione di una coppia e tanto meno rappresentare una vaccinazione per il lungo e complesso cammino matrimoniale. Perciò si tratta di «innamorare» gli innamorati, come qualcuno preferisce chiamarli, alla continua ricerca e ad un cammino permanente.

    Lo spazio non ci permette di considerare altre cose se pur di grande rilevanza.

    Giornata tipo

    La scansione della giornata nelle sue parti fondamentali, tralasciando particolari e contorni anche se risultano spesso di grande efficacia accogliente, si svolge come segue:

    ANNUNCIO (tenuto da persona/coppia preparata):

    biblico. Vengono presentate coppie bibliche con lettura meditata del testo e spunti di lettura del quotidiano. I brani biblici sono stati scelti in modo da affiancare il più possibile l'argomento del giorno;

    umano-cristiano. Varie argomentazioni che sviluppano il tema dell' amore a «modulo» su due proiezioni: lo sviluppo tematico e l'approfondimento.

    (Solo come sussidio d'appoggio-consultazione si usa il testo Dio ci chiama a l' amore edito da Elledici).

    LAVORO PERSONALE.

    Attraverso test, brevi tratti di vissuto, messaggi da completare... viene lasciato il tempo ad ogni singola persona per riflettere, interrogarsi, cercare risposte...

    LAVORO DI COPPIA.

    Un certo tempo viene dedicato al Confronto a due, magari proprio sui dubbi e sulle risposte, spesso divergenti, suscitate dal materiale consegnato che è stato oggetto di riflessione della persona da sola. Non è raro assistere a discussioni di una certa vivacità pur sottovoce per non esporsi troppo a sguardi indiscreti.

    STACCO.

     A questo punto è stato inserito a proposito un momento di break. È un tempo per staccare, per scambiare qualche parola con amici, per fare qualche conoscenza... per permettere a un ragazzo di dire scherzosamente ad un altro ragazzo, indicando la propria fidanzata: «Questa... non capisce niente!». «Neppure la mia!», e viceversa. Ossia è quel momento che allarga la visuale del panorama della propria vita altrimenti troppo miope e chiuso dentro un rapporto di coppia troppo ristretto e povero. A questo punto si è pronti per l’ora successiva.

    LAVORO DI GRUPPO

    Svolto secondo le buone regole classiche. Ogni coppia di sposi fa da riferimento per cinque o sei coppie di fidanzati.

    È questo il momento importantissimo della presa di coscienza, della conferma / disconferma delle proprie idee, del confronto e comunque dell'assimilazione- completamento dei messaggi.

    Nell' incontro finale viene inserita la celebrazione della santa messa animata dai ragazzi stessi in vario modo e con una paraliturgia di «Promessa di Fidanzamento». La promessa di prendersi cura dell' altro per poter camminare davvero verso il matrimonio.

    È soltanto un tentativo di ricerca di un linguaggio nuovo per poter portare a queste nuove generazioni «la buona notizia, il lieto annuncio» che dà sapore alla vita.

                                                                                               Valeria e Tony Piccin

Sabato, 21 Maggio 2005 22:21

LA LEGGE SULLA PROCREATICA

LA LEGGE SULLA PROCREATICA

Dopo un tormentato iter parlamentare e un lungo strascico di polemiche è stata approvata anche in Italia una legge sulla procreazione assistita.

Si è detto che la nuova normativa viene a porre un argine al Far West della fecondazione in provetta. Vedremo se sarà davvero così. Si è detto che questa è una "legge cattolica". Ma le prospettive e i contenuti sono in realtà lontanissimi dalla visione cristiana dell'amore uomo/donna e da ciò che per la dottrina della Chiesa significa "diventare genitori". (Si veda a questo proposito la chiara sintesi del teologo, don Paolo Mirabella, pubblicata a fianco). Tutt' al più questa legge può essere considerata come "male minore" e perciò destinata ad alimentare profonde contraddizioni.

Si parla ad esempio della necessità di tutelare anche l'embrione. E allora se quello in vitro diventa finalmente soggetto di diritti, perché quello concepito naturalmente può essere tranquillamente condannato alla soppressione dalla legge 194? Né bisogna dimenticare che le attuali tecniche di fecondazione artificiale comportano la formazione di più embrioni per "garantire" la nascita di un figlio. Gli embrioni umani che si perdono per strada sono forse di serie B? "Una volta avvenuto il concepimento, il diritto del concepito può essere soddisfatto soltanto lasciandolo nascere", diceva Norberto Bobbio, filosofo e giurista laico per eccellenza. Affermazione difficilmente confutabile che poggia non su "convinzioni cattoliche", ma su un'esigenza della Ragione.

Di Mario Costantino

Tratto da “Gruppi Famiglia – marzo 2004”

Sabato, 21 Maggio 2005 22:15

Il condominio solidale

Il condominio solidale

A Villapizzone, nei pressi di Milano, alcuni gruppi familiari conducono vita comune utilizzando una vecchia cascina recuperata: lavorano insieme, praticano l’accoglienza, si dedicano al recupero delle situazioni difficili, fanno «cassa comune», pur mantenendo ognuna un proprio spazio di privatezza. Un’esperienza difficile e al contempo significativa quella fondata da Enrica e Bruno Volpi. Abbiamo chiesto di raccontarla a due tra i protagonisti di questa avventura (l.gh.).

L'Associazione Comunità e Famiglia è nata nel 1988, dall'esperienza della Comunità di Villapizzone, a Milano. Nel 1978, la famiglia Volpi, reduce da una lunga esperienza di volontariato in Africa, incontra una comunità di padri Gesuiti, dediti al servizio della Parola, e insieme iniziano a vivere vicini, in una grande cascina alle porte di Milano.

Da subito, questo «condominio» si configura come «comunione delle diversità»: i Gesuiti vivono il loro carisma specifico, le famiglie vivono da famiglie, ogni nucleo ha uno spazio abitativo ben definito (cucina compresa). Ben presto si aggiungono altre famiglie, la comunità si radica nella parrocchia e nel quartiere, un giro molto ampio di persone partecipa ai diversi momenti della vita della comunità. Nel 1993 nasce una comunità «sorella» a Castellazzo di Basiano (Mi); poco dopo nascono altre comunità (attualmente sono una decina).

L'Associazione sviluppa filoni diversi della propria attività: comunità familiari, gruppi di condivisione, gruppi di servizio.

Le comunità familiari sono vissute come strumento per l'autopromozione della famiglia e si basano su alcuni valori: tolleranza nei confronti dell'altro, sobrietà di vita, fiducia reciproca, condivisione dei beni materiali. L'apertura e l'accoglienza tra le famiglie, così come nei confronti di minori e adulti in difficoltà e/o desiderosi dì un momento di riflessione, è il risultato della ricerca di una migliore qualità della vita: «Se sto bene, mi apro; se mi apro, sto bene...».

Lo scopo fondamentale della vita comunitaria è aiutare ogni famiglia a scoprire la propria originale vocazione, che ciascuno realizzerà in forme diverse, accogliendo persone nella propria casa, svolgendo attività di promozione umana, accompagnando altre famiglie. Ma soprattutto cercando di vivere, nella propria famiglia, una vita bella e felice.

I gruppi di condivisione sono luoghi dove le famiglie si incontrano, generalmente una volta al mese, per condividere la ricerca su alcuni temi fondamentali: il lavoro, la condivisione dei beni, l'accoglienza, la spiritualità, eccetera. Il metodo della condivisione prevede che ciascun membro del gruppo riceva, a turno, la parola, per raccontare la propria esperienza su quel dato argomento. Non si interrompe chi parla, né si giudicano gli interventi degli altri. In questo modo viene privilegiato e potenziato l'ascolto, come base fondamentale di ogni relazione. Al momento esistono un ventina di gruppi, con circa 250 famiglie coinvolte, e altri ne stanno nascendo. 

I gruppi di servizio sono composti da volontari che, nello spirito dell'Associazione, lavorano a diversi progetti: promozione culturale (incontri, seminari, convegni, un giornalino), recupero e vendita dell'usato, gestione di appartamenti pubblici per situazioni «protette», formazione.

Riassumendo, si potrebbe dire che una vita ricca e piena nasce dalla scoperta delle ricchezze che la vita familiare può esprimere. Se si riscopre la dimensione trinitaria della famiglia, la vita di relazione appare come cammino battesimale. Ogni giorno si è immersi in un duplice mistero: la fatica di comprendersi - tra coniugi; tra genitori e figli -, la gioia del dono, reso possibile dall'ascolto dalla pazienza, dall'accettazione dell'altro in quanto altro. La vita familiare è vita spirituale, dove «ogni mattina Si ricomincia» (E. Bianchi), sapendo che accettare l’altro significa «lasciarlo vivere» (E Clerici), riconoscendolo come portatore di una vocazione originale.

Di fatto, le comunità, i gruppi dì condivisione, i gruppi di servizio, sono luoghi dove tante persone e famiglie trovano occasione di ascoltare e di essere ascoltate. 

Ha detto il Cardinale Martini: i fedeli dovrebbero pensare alla carità come stile di vita e non come dovere morale», come dire che dobbiamo inventare un modo di vivere che in sé sia carità... Anche i primi articoli della Costituzione Italiana dicono che ogni cittadino ha il diritto/dovere di essere utile alla società.  Detto così sembra semplice, ma nella vita quotidiana come può essere utile alla società il geometra, il muratore, il camionista, l'ingegnere, eccetera? La provocazione è questa: siamo chiamati a inventare qualcosa. Il Cardinale Martini usa la parola «comunità alternativa», perché in fondo la carità non è un'esclusiva dei cristiani.

Dalla nostra esperienza ci pare di capire questo: quando ci siamo sposati abbiamo ricevuto un «grande sacramento» (p. E. Mauri); abbiamo in noi qualcosa di grande, una grande risorsa. Però è qualcosa da realizzare continuamente, ponendosi sempre nuove domande, in uno sforzo di continuo discernimento.

Costruire una comunità familiare in mezzo a una quartiere o in campagna significa dar vita ad un punto di luce, di ascolto, di sale. Non si tratta di far cose strane o di proporre spiritualità particolari. Si tratta di imparare a vivere insieme agli altri, avendo ben chiaro il motto: io sono una risorsa, per me e per gli altri; gli altri sono una risorsa, per sé e per gli altri...». In altre parole: auto e mutuo aiuto. Forse l'originalità dell'esperienza dell'Associazione Comunità e Famiglia è questa: l’accompagnamento delle famiglie, realizzato da altre famiglie.

Allora, se è vero che oggi la famiglia è quasi una «realtà in estinzione», dobbiamo chiederci, come Chiesa, cosa può realmente aiutarla e sostenerla. Come possiamo mettere in pratica la parola di Giovanni Paolo II: «Famiglia, diventa ciò che sei!»?

A noi pare che una prima risposta possa essere trovala nel documento CEI del 1975 (sono passati 25 anni!) «Evangelizzazione e sacramento del matrimonio». Vi si dice molto chiaramente che la famiglia deve diventare soggetto della pastorale familiare. In pratica: non è la famiglia che deve mettersi al servizio della Chiesa (della parrocchia ecc.), ma è la Chiesa, soprattutto quella locale, che deve avere al suo cuore la famiglia, come «immagine della vita trinitaria di Dio» (mons. R. Bonetti).

La speranza del cambiamento e del miglioramento è costitutiva della famiglia, per sua natura aperta alla solidarietà e alla vita. La nostra impressione è che il rinnovamento della vita familiare, a partire dalla famiglia stessa, passa per la disponibilità delle comunità e dei pastori a liberare risorse e strutture a favore di tutte quelle attività che possano sviluppare e potenziare l'accompagnamento dell'autopromozione delle famiglie. Occorre scommettere e dare fiducia alle risorse originali della famiglia.

Bruno Volpi ed Elio Meloni

Villapizzone (Milano)

Da “Famiglia domani” 1/2001

Sabato, 21 Maggio 2005 22:11

L’ACCOGLIENZA DI DIO

PRIMA PARTE

APRIRSI ALL’ACCOGLIENZA

 

-4-

Accogliere il Signore come un dono

L’ACCOGLIENZA DI DIO

Dio ci ha già accolto anche se noi non ce ne accorgiamo

 

Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: “Ecco l’agnello di Dio!”.

E i due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, vedendo che lo seguivano, disse: “Che cercate?”.

Gli risposero: “Rabbì (che significa maestro), dove abiti?”. Disse loro: “Venite e vedrete”.

Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui. (Giovanni 1, 35-39).

 

CREATURE SÌ MA REDENTE IN CRISTO

È possibile usare il termine accoglienza nei confronti di Dio? È Lui che ci accoglie o noi che accogliamo Lui? Proveremo stasera a rispondere a questa domanda.

Accogliere, da un punto di vista letterario, vuol dire ricevere, ospitare, accettare, contenere. Da un punto di vista teologico le cose sono più complicate e abbracciano molti secoli della storia dell’uomo.

L’uomo da sempre ha al suo interno un’inquietudine: sa di essere “finito” ma sente di tendere all’infinito. Da questa inquietudine nasce l’idea di un Dio creatore, l’intelligenza permette all’uomo di accogliere il mistero di Dio. Ma la creazione può essere fine a se stessa, la creatura può non essere destinata ad un fine eterno. Dio allora si manifesta all’uomo nella Storia attraverso l’Incarnazione e la Resurrezione di Gesù. In Gesù scopriamo di essere stati creati per vivere in Dio, scopriamo di essere figli ed eredi.

 

COLTIVARE LA VIGILANZA

Nel brano del Vangelo in apertura sembra che tutto avvenga per caso: Giovanni che è in quel luogo, Gesù che passa proprio di lì, i discepoli che iniziano a seguirlo. Non è un caso: è un dono; dobbiamo capire che ciò che ci capita nella vita ogni giorno non è un caso ma è un dono che Dio ci fa per permetterci di incontrarlo e seguirlo.

Giovanni è attento e coglie il dono, se noi siamo rinchiusi in noi stessi, non ce ne accorgiamo. Dobbiamo riuscire a vedere, al di là delle cose che ci angustiano, il Signore che passa. Siamo chiamati ad accogliere il Signore in qualunque modo Egli si presenta a noi; se ci costruiamo un’idea, un sogno, corriamo il rischio di non accoglierlo perché non corrisponde alla nostra idea, al nostro sogno. Dio ci accoglie con queste improvvisate e noi siamo chiamati a coltivare la vigilanza.

 

COSA CERCHIAMO NELLA VITA?

Gesù si sente seguito e, voltatosi, chiede ai due: “Che cercate?”.

Facciamoci ogni tanto questa domanda: cosa cerchiamo? Forse la nostra vita è piena dì troppi desideri e non sappiamo bene cosa cerchiamo perché non sappiamo capire ciò che è davvero importante. Serve un po’ di ecologia dei desideri, serve sfrondare l’albero per evitare che si sradichi sotto il peso di troppi desideri. Se poi cerchiamo solo noi stessi non c’è spazio per Dio.

 

VENITE E VEDRETE

Alla domanda di Gesù i discepoli gli chiedono: “Dove abiti?”. È un modo per chiedere: “Chi sei Signore?”, voglio conoscerti, voglio stare con Te!

Gesù risponde: “Venite e vedrete”. Usa due verbi, uno al presente e l’altro al futuro. Venite: il Signore ci accoglie oggi, ogni giorno, così come siamo. Vedrete: solo se camminiamo con Lui, giorno dopo giorno, lo conosceremo. Siamo chiamati alla fedeltà, ad accoglierlo non una volta per tutte ma ogni giorno. Dove trovare la forza per essere fedeli? Da Lui, Lui che è stato fedele al Padre fino alla morte, e alla morte di croce.

 

LASCIARE PER SEGUIRE

I due discepoli, per seguire Gesù, lasciano Giovanni. Hanno trovato in Gesù qualcosa di più, quel di più che fa la differenza, che cambia la prospettiva con cui guardiamo le cose della vita.

E allora coraggio: non abbiamo paura a seguire Gesù, non pensiamo di non esserne capaci. Egli ci ha già accolto, come il padre nella parabola del figliol prodigo, anche se noi pensiamo di non essere ancora pronti ad accoglierlo.

 

Dott.ssa Gaia De Vecchi, teologa

 

Domande per la Revisione di Vita

·        Riusciamo a cogliere la chiamata del Signore nelle “improvvisate”?

·        Cosa cerchiamo nella nostra vita? Quali nostri desideri non sono per Dio?

Brani per la Lectio Divina

·        Giona 3,1 – 4,11 (Giona a Ninive);

Genesi 18, 1-15 (Abramo alle querce di Mamre).
Sabato, 21 Maggio 2005 22:05

CENTRO GIOVANI COPPIE SAN FEDELE – MILANO

CENTRO GIOVANI COPPIE SAN FEDELE MILANO

 

 

Dal novembre 1994 opera in San Fe­dele, a Milano, il Centro Giovani Coppie che dal febbraio 1999 si è costituito in Associazione di volontariato.

Il Centro è nato grazie all'intuizione e all'iniziativa di un gruppo di laici ani­mato da padre Giovanni Ballis, allora parroco di San Fedele.

 

Le premesse culturali

In un periodo in cui l'interesse nei confronti della famiglia si focalizzava su adolescenti e anziani, il gruppo indivi­duava nella coppia, e in particolare nella giovane coppia, l'anello fragile delle tra­sformazioni socio-culturali emergenti. È iniziato così un lavoro di riflessione, di ricerca e progettazione da parte dell'é­quipe dei volontari del Centro per cono­scere, comprendere e analizzare la realtà e i bisogni delle giovani coppie in un pe­riodo di cambiamento sociale che per definizione sconvolge equilibri preesi­stenti.

La spinta all'individualismo, alla competizione e alla produttività insita nel cambiamento socio-culturale intac­ca alle radici ogni tipo di relazione in­terpersonale, minando ne il senso ulti­mo, la «relazione con l'altro». D'altro lato, assistiamo all'emergere di un biso­gno sempre più cosciente di «soggetti­vità», del dovere-diritto di scelte perso­nali soprattutto nell' esperienza dell' a­more.

In questa situazione di incertezza, di crisi e quindi di ricerca, il Centro Giova­ni Coppie ritiene che la prima esigenza consista nel distinguere gli aspetti essen­ziali dell' essere coppia e del matrimonio da quelli legati ad una particolare cultura e tradizione. Si tratta di una riscoperta dell'essenziale nell'incontro tra uomo e donna, cioè di ciò che rende la relazione intima autentica e progettuale.

Nel costruire il proprio progetto di vi­ta, le giovani coppie dovrebbero trovare il modo di coniugare ciò che è essenziale e significativo con quei valori culturali e religiosi presenti in questa nostra società complessa, ma ricca di stimoli positivi per vivere in modo nuovo, più consape­vole e creativo la propria vita di coppia e di famiglia.

All'interno di questa riflessione cul­turale, con attenzione ecumenica alle va­rie culture e religioni, il Centro Giovani Coppie offre a tutti coloro che lo deside­rano un luogo di riflessione, di confron­to, di ricerca, di incontro e di amicizia.

 

Le nostre proposte

Siamo convinti che non sia possibile vivere da persone consapevoli nell'attua­le società complessa, plurali sta e in con­tinua trasformazione, senza una seria ri­flessione culturale: per questo ci impe­gniamo ad accompagnare le coppie in una lettura critica della storia attuale.

Per capire quali sono le idee, i valori e i problemi che muovono tanti uomini e donne impegnati nel costruire una cop­pia e una famiglia proponiamo ogni an­no un ciclo di conferenze su tematiche significative (la comunicazione, i rap­porti con la famiglia d'origine, il conflit­to...), conferenze che vedono la parteci­pazione costante e vivace di circa 150 persone.

Le relazioni più significative degli ul­timi anni sono state raccolte in due qua­derni (dal titolo: Matrimonio: rifugio o progetto?) e in una pubblicazione: Cam­minarti accanto dalla spontaneità al progetto, edita dalla casa editrice Anco­ra, Milano, nel 1997 , così da poter essere opportunità e momento di riflessione per tutti coloro che lo desiderano.

 

I gruppi giovani coppie

Le nuove famiglie sono caratterizza­te da una particolare e crediamo dannosa tendenza all'isolamento e alla chiusura che riteniamo sia una delle cause princi­pali di disagio e crisi familiare. Quando una giovane coppia affronta i primi pro­blemi della sua vita insieme, i primi con­flitti importanti, i rapporti non sempre semplici con la famiglia d'origine, l'or­ganizzazione dei tempi e dei ruoli di ognuno, si ritrova sola e impreparata. Spesso l'isolamento, la mancanza di confronto e di condivisione fanno sì che i problemi si «incancreniscano» e venga­no vissuti in modo drammatico diventan­do fonte di grosso disagio. Per questo promuoviamo la formazione di piccoli gruppi di giovani coppie che si incontra­no periodicamente con la guida di un conduttore (sacerdote o laico) che ne fa­cilita il confronto e la condivisione.

Riteniamo inoltre importante che i gruppi mantengano, ove possibile, un rapporto con la propria Comunità di abi­tazione o di elezione in modo da non iso­larsi e da trovare una realtà più vasta nel­la quale inserirsi.

I gruppi possono perciò avere caratte­ristiche e metodi diversi: alcuni privile­giano la riflessione sul rapporto di cop­pia e l'educazione dei figli, altri temi di carattere culturale con riferimento ad un libro o ad articoli di riviste e giornali, al­tri ancora temi di carattere spirituale con riferimento ai testi sacri, sempre però in ordine alle esperienze di vita personale, familiare e sociale.

 

I corsi per animatori di gruppi

Abbiamo constatato che la crescita numerica dei gruppi di giovani coppie è ritardata, in varie situazioni locali, dalla carenza di sacerdoti disponibili ad occu­parsi della conduzione di gruppi e dalle difficoltà dei laici disponibili che vorreb­bero passare da una conduzione di tipo istintivo, guidata dal buon senso, ad una conduzione più consapevole ed intenzio­nale.

Il Centro ha proposto perciò corsi di formazione rivolti a quanti, sacerdoti o laici, hanno responsabilità di animazione e conduzione di gruppi, consci che la conduzione (intesa come facilitazione dei processi di comunicazione, elabora­zione, apprendimento che nei gruppi si realizzano) riveste un' importanza cen­trale per il successo di iniziative di que­sto tipo, perché aiuta i gruppi a focaliz­zarsi più rapidamente e a conseguire in modo più consapevole i propri obiettivi.

Obiettivo di tali percorsi è stato di fornire gli strumenti necessari per facili­tare consapevolmente la comunicazione, lo scambio, la riflessione e l'apprendi­mento.

I corsi, tenuti da un formatore e da una psicologa, entrambi collaboratori del Centro, sono ormai giunti alla quarta edi­zione, dal 1999 al 2002, e sono circa ot­tanta le persone che hanno terminato il training. Queste persone provengono da differenti ambiti della realtà ecclesiale milanese.

 

«Aiutarsi ad aiutare». Un lavoro di rete

Nell'anno 1998/1999 il Centro ha or­ganizzato, in collaborazione con la coo­perativa COMIN (Comunità minori) una serie di incontri con l'intento di realizza­re una rete di famiglie disposte ad «aiu­tarsi ad aiutare» le famiglie in difficoltà.

Questo gruppo ha seguito un proces­so di formazione con esperti, psicologi, assistenti sociali e famiglie affidatarie per capire se e come donare parti di se stessi a bambini che hanno bisogno di aiuto al fine di realizzare una «rete» tra famiglie interessate all' affido.

Dall'esperienza è nata la rete Pàzol, autonoma associazione di volontariato dal 1992.

 

«Una strada per la coppia»

Nell'esperienza dei piccoli gruppi di giovani coppie, che il Centro sviluppa da anni, emerge con chiarezza che il tema della relazione di coppia è fondante per la crescita e l'equilibrato sviluppo dei fi­gli e, più in generale, per una vita fami­liare e sociale armonica.

La qualità della relazione di coppia è cioè in realtà il fattore critico e decisivo per il «successo» del sistema famiglia: spesso si fa strada la tentazione di liqui­dare superficialmente il problema con un approccio «volontaristico» (“Basta voler andare d'accordo...”) o falsamente «con­creto» (“Quel che conta è fare ogni gior­no quello che va fatto... In fondo, l'im­portante è il benessere dei figli...”)... sal­vo esprimere meraviglia o costernazione di fronte alla breve durata di molti rap­porti di coppia.

Esiste però un' esigenza, minoritaria ma ben avvertibile, di sviluppare un la­voro più «mirato» sulla relazione di cop­pia e sulle sue componenti comunicative, allo scopo esplicito di migliorare inten­zionalmente la qualità della relazione stessa.

A quest' esigenza abbiamo voluto da­re una risposta proponendo un progetto pilota, denominato «Dna strada per la coppia»: un itinerario strutturato su dieci incontri di tre ore, integrati da momenti di riflessione autonoma da parte delle coppie, guidata da appositi strumenti. La proposta (realizzata nel 2002 grazie alla sovvenzione della Regione Lombardia) è stata rivolta a una decina di coppie che avevano necessità/interesse a migliorare la qualità della loro relazione, attraverso attività di condivisione, ricerca, speri­mentazione, riflessione, apprendimento.

La positività di questa esperienza for­mativa ci ha ulteriormente convinti del­l'importanza del «gruppo» come stru­mento di crescita per la coppia e di pre­venzione al disagio familiare.

 

Uno sportello di ascolto

Inoltre il nostro Centro riceve un nu­mero sempre maggiore di richieste di ascolto da parte di coppie che, pur senza essere portatrici di vere e proprie patolo­gie della relazione, vivono la necessità di confrontarsi con un «terzo esterno» sui loro specifici disagi. Per questo intendia­mo rispondere a queste esigenze creando uno «sportello di ascolto»: uno spazio neutro che consenta alle coppie una pri­ma elaborazione del loro vissuto proble­matico e che sia in grado di indirizzarle verso una tipologia articolata di gruppi di «auto-aiuto». Prevediamo cioè gruppi «tematici» (sulla comunicazione, sul conflitto, sulle tematiche educative) al­l'interno dei quali le coppie approfondi­scano l'analisi del loro problema, lo con­frontino con problematiche analoghe vissute da altre coppie e ne condividano le speranze, le difficoltà, la fatica e i suc­cessi nella ricerca delle soluzioni.

Per realizzare questo progetto è in at­to un percorso formativo interno.

 

Per concludere...

Le iniziative e i progetti che l'équipe del Centro elabora e custodisce sono l'e­spressione e la testimonianza della no­stra personale e comune esperienza di come la relazione con l'altro sia la sola strada, difficile e meravigliosa insieme, verso la scoperta di sé e dell' altro. Stra­da che apre all'intuizione del mistero di un ALTRO da noi che ci dà senso e fidu­cia.

Paola Bassani

Da “Famiglia Domani” 4/2003

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