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Mercoledì, 14 Settembre 2005 23:56

Dio o Cesare? Il dovere della disobbedienza civile (François Vaillant)

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Un commento su Mt 22,15-22
Dio o Cesare?
 Il dovere della disobbedienza civile
di
François Vaillant



Se c'è una frase di Gesù citata per diritto e per rovescio nel corso dei secoli è la celeberrima: «Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio». Il più delle volte è stata interpretata come l'esistenza di una separazione fra due poteri: quello temporale e quello spirituale. «Date a Cesare quel che è di Cesare» dovrebbe implicate per ognuno l'obbedienza allo Stato, mentre «date a Dio ciò che è di Dio» dovrebbe consistere nella pratica religiosa senza alcuna interferenza che possa turbare l'integrità fra questi due poteri. Le parole di Gesù a proposito del tributo a Cesare assumono un significato completamente diverso se si ha l'onestà di non estrapolarle dal contesto in cui vennero pronunciate.

Siamo a Gerusalemme il lunedì successivo alla domenica delle Palme, Gesù ha appena scacciato i mercanti dal Tempio; … i farisei vanno e vengono in compagnia degli erodiani per tendere una nuova trappola al profeta di Galilea. Lo scopo dei farisei è sempre lo stesso: far cadere Gesù screditandolo agli occhi della folla. I partigiani della dinastia di Erode hanno come principale preoccupazione quella di adulare Cesare per poter vivere a loro agio in Palestina. I farisei superano qui la loro ripulsa nei confronti degli erodiani, il cui peccato di impurità è grande, perché sono dei collaboratori dell'occupante romano. Ma i farisei hanno un vantaggio immenso compromettendosi con questa gente una volta ogni tanto, perché se Gesù dicesse che non si deve pagare il tributo a Cesare, gli erodiani sarebbero nella posizione ideale per testimoniare davanti alle autorità romane sull'ostilità di Gesù nei confronti dell'imperatore. Se Gesù dice che bisogna pagare il tributo a Cesare i farisei sono ancora una volta vincenti, perché agli occhi del popolo Gesù apparirebbe come uno che accetta l'occupazione straniera e perderebbe ipso facto tutto il suo credito popolare. E ancora una volta la trappola tesa a Gesù sembra perfetta.

I farisei pongono a Gesù la seguente domanda: «Dicci il tuo parere. È lecito o no pagare il tributo a Cesare?» …. Gesù va dritto allo scopo per stabilire la verità: chiede di vedere il denaro del tributo, un fariseo si mette una mano in tasca e ne trae un denaro e presenta a Gesù questa moneta tenendola sul palmo della mano; Gesù la guarda senza toccarla … «Di chi è questa effigie e l’iscrizione?» chiede loro. «Di Cesare» rispondono in coro! Il denaro mostrato a Gesù reca l'effigie di Cesare con la seguente iscrizione: «Figlio del divino Augusto, pontefice massimo». Chi porta con sé questa moneta coopera di fatto al culto pagano reso al divino Cesare. …… Gesù non dice affatto ai farisei di pagare l'imposta, ma soltanto di rendere la moneta idolatra al legittimo proprietario. L'imposta è un contributo che si versa allo stato, non la restituzione di qualcosa … Gesù non prende posizione sul tributo da pagare o meno all'occupante romano; egli ordina soltanto ai farisei di smetterla di collaborare al culto del divino Cesare e il cessare questa collaborazione passa attraverso la restituzione di ciò che gli appartiene, vale a dire la sua moneta.

Avremmo torto se oggi interpretassimo quel «date a Cesare quel che è di Cesare» come un incitamento a pagare tutte le tasse, poiché aggiungendo nella medesima frase «date a Dio ciò che è di Dio» Gesù ci ordina di vivere compiendo azioni che onorano Dio. Poiché non è possibile onorare Dio compiendo degli atti che lo disonorano - a meno di essere ipocriti come gli scribi e i farisei -, il Vangelo costringe i cristiani a rompere certi legami con il mondo, e ciò vale soprattutto per il potere delle armi. I primi cristiani l'avevano capito perfettamente perché scelsero di essere obiettori di coscienza verso il servizio militare confermando in pieno la profezia di Isaia: «Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci: un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell’arte della guerra» (Is 2, 4).

Ieri come oggi il Vangelo invita gli uomini di buona volontà a non collaborare con lo stato quando questo ordina di compiere atti contrari alle esigenze morali del Regno di Dio. Se alcuni teologi hanno abusato della frase «date a Cesare quel che è di Cesare» per obbligare la gente ad obbedire allo stato in qualunque circostanza, non si può fare a meno di constatare che essi citavano una frase di Gesù in modo parziale, senza tener conto né del contesto «né dei limiti che l'autentico bene comune fissa per l'esercizio di qualsiasi autorità, né del dovere di disobbedienza che può rendersi necessario in alcuni casi per motivi di coscienza». Citiamo qui una frase di P. Grelot che ha scritto pagine fondamentali sulla questione del tributo a Cesare.

(…) Se lo stato chiede ai cristiani di obbedire a leggi che, in coscienza, essi giudichino ingiuste in quanto contrarie all'etica nonviolenta del Vangelo, devono disobbedire a tali leggi. Come potrebbero infatti continuare ad onorare il Dio vivente se altrove accettassero di fare il male che viene loro richiesto? Non è certo perché l'espressione «disobbedienza civile» viene associata a Gandhi che si può pensare che tale concetto sia assente nel Vangelo. Al contrario, proprio come strategia di lotta la disobbedienza civile è ben presente. Quando non è possibile obbedire contemporaneamente alle istituzioni umane e a Dio, «bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini» (At 5, 29).

(tratto da François Vaillant, La Nonviolenza nel Vangelo, Edizioni Gruppo Abele, Torino, 1994, pp. 46-49)

Letto 7007 volte Ultima modifica il Venerdì, 13 Gennaio 2006 21:15
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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