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Sabato, 01 Dicembre 2007 23:28

Il rifiuto della guerra (Aldo Capitini)

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Il rifiuto della guerra

di Aldo Capitini

Una prova della difficoltà o impossibilità da parte del riformismo e dell'autoritarismo di formare il "nuovo uomo" è nel fatto che l'uno o l'altro sono diposti ad usare lo strumento guerra. Si sa che cosa significa, oggi specialmente, guerra e la sua preparazione: la sottrazione di enormi risorse allo sviluppo civile, la strage di innocenti e di estranei, l'involuzione dell'educazione democratica e aperta, la riduzione della libertà e il soffocamento di ogni proposta di miglioramento della società e delle abitudini civili, la sostituzione totale dell'efficienza distruttiva al controllo dal basso.

Tanta è la forza spietata che la decisione bellica mette in moto che essa viene ad assomigliare ad una delle terribili manifestazioni della "natura", le più assurde e crudeli e spietate, e certamente ora le supera in numero di vittime.

E' difficile pensare che la natura possa distruggere in pochi minuti tante persone quante ne distrusse la bomba atomica a Hiroshima, riducendone alcune a una semplice traccia segnata sul muro. E quella bomba era di forza molto modesta rispetto alle bombe attuali!

Il rifiuto della guerra è perciò la condizione preliminare per parlare di un orientamento diverso, e se vedianno l'antitesi tra la natura come forza e la compresenza come unità amore, è chiaro che la guerra aggrava la natura, la sorpassa nella sua distruttività, nella sua spietatezza rispetto ai singoli esseri, alla cui attenzione la compresenza richiama costantemente.

L'indipendenza dalle istituzioni che possono preparare ed eseguire la guerra è garantita dalla posizione di apertura alla compresenza. A poco a poco la tendenza rivoluzionaria verrà a schierarsi da questa parte. Vi sarà tuttavia un momento intermedio, che è quello della guerriglia. Ma c'è guerriglia e guerriglia. Quella che si appo ggia a Stati fornitori di armi e protettori, con ulteriori e massime minacce ai repressori della guerriglia; ma in tal modo la guerriglia non è che una manifestazione o pre-manifestazione della guerra, il suo surrogato in alcune zone, come gruppi di assalto o di rottura, senza che si realizzi un superamento della guerra e dei suoi inconvenienti detti sopra. O la guerriglia non si appoggia a nessuna potenza e a nessuna industria, e non si vede come possa - a parte il suo valore come espressione di rivolta, di sacrificio, di eroismo - avere probabilità di modificare una situazione dominata da un potere fornito di mezzi moderni di strage.

La ragione del pacifismo integrale non è soltanto il fatto evidente che la guerra, una volta accettata, conduce a tali delitti e a tali stragi, specialmente oggi, che è assurdo presumere di farla e contenerla; ma è la vita della compresenza che si sceglie, il suo accertamento, la sua costruzione, la sua celebrazione quotidiana. Mentre si lavora per migliorare continuamente il rapporto di comprensione e di sacrificio verso ogni essere, non si può interrompere tale lavoro e mutare l'apertura in chiusura.

Ma c'è anche uma ragione di carattere organizzativo. E' chiaro che bisogna arrivare a moltitudini che rifiutino la guerra, che blocchino con le tecniche nonviolente il potere che voglia imporre la guerra. L'Europa ha sofferto per non aver avuto queste moltitudini di dissidenza assoluta , per es. riguardo al potere dei fascisti e dei nazisti.

L'omnicrazia deve prender corpo anche in questo modo: nella capacità di impedire dal basso le oppressioni e gli sfruttamenti: ma questa capacità delle moltitudini ha il suo collaudo nel rifiuto della guerra, intimando un altro corso alla storia del mondo.

Se davanti alle forze della Natura non ci si è mossi con il programma che la lotta e la loro utilizzazione fosse per tutti, "fra sé confederati" diceva il Leopardi, si è persa la tensione di trovare il punto della trasformazione della Natura al servizio di tutti, come singoli: chi dà la morte, non può rimproverare la Natura di preparare la nostra morte. Questo collaudo è necessario, perché tutte le volte che gli individui si accontentassero di ottenere qualche cosa nell'ambito della Natura, dello Stato, dell'Impresa, perderebbero l'acquistato se travolti dalla guerra.

Se nello Stato la lotta contro il potere assoluto ha ottenuto il regime parlamentare, tuttavia è rimasta la guerra a impedire un ulteriore sviluppo democratico. Se nell'Impresa i lavoratori sono riusciti a progredire e perfino ad imporre le socializzazione, poi la guerra, e la sua preparazione, li ha messi alla mercé di un potere autoritario, tutt'altro che omnicratico.

(tratto da Aldo Capitini, Omnicrazia potere di tutti, in Il potere di tutti, Firenze, La Nuova Italia, 1969, pp. 66-68)

Letto 2453 volte Ultima modifica il Sabato, 02 Febbraio 2008 20:02
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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