I Dossier

Sabato, 20 Marzo 2010 23:51

Vivere in un mondo interculturale (Giorgio Del Zanna)

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Il problema della convivenza umana come compito del futuro assume oggi forme nuove a causa di trasformazioni globali sempre più veloci. L'intreccio pluralistico di cui parla Gadamer, sinonimo della società interculturale sono dunque la sfida davanti a cui siamo posti, che ci interroga anche come cristiani chiamati a costruire una convivenza pacifica tra diversi.

I PARTE - LE CARATTERISTICHE ATTUALI

Il filosofo Hans Georg Gadamer, in un suo saggio intitolato "L'eredità dell'Europa" ha scritto: "lì problema, ormai davvero globale, della coesistenza umana, é il vero compito del futuro".

Il problema della convivenza umana come compito del futuro assume oggi forme nuove a causa di trasformazioni globali sempre più veloci. L'intreccio pluralistico di cui parla Gadamer, sinonimo della società interculturale sono dunque la sfida davanti a cui siamo posti, che ci interroga anche come cristiani chiamati a costruire una convivenza pacifica tra diversi.

Vorrei quindi anzitutto delineare qualche tratto della situazione attuale, caratterizzata da pluralismo e da incontri tra culture.

a) la mondializzazione dell'economia

Uno dei fenomeni più rilevanti che interessano l'economia mondiale negli ultimi anni è quello di un intenso sviluppo e parallelamente della crescita di profonde disuguaglianze. Con una formula efficace è stato detto che sempre più nel mondo "la ricchezza produce la miseria". Infatti, mentre l'economia mondiale diviene nel complesso sempre più ricca e strettamente integrata, il suo godimento è riservato a fasce meno estese di popolazione. Molti fattori influiscono su questa situazione: la concentrazione e l'internazionalizzazione del capitale, la mondializzazione dei mercati, i neo protezionismi. In particolare il sistema del mercato globale ha profondamente modificato le strutture economiche dei singoli paesi. Lo storico americano P. Kennedy ha analizzato questo problema, denunciando la squilibrata distribuzione delle ricchezze: "Dopo quasi cinquant'anni di crescita economica senza precedenti, il mondo si avvia a varcare la soglia del XXI secolo con più di un miliardo di persone che vivono in condizione di povertà" (povertà assoluta). Questo squilibrio è posto in connessione dallo storico con il sistema delle grandi società multinazionali, che hanno contribuito a creare un unico immenso mercato mondiale di beni e di servizi. A causa di questa rivoluzione legata alla liberalizzazione dei mercati valutari e al vertiginoso sviluppo delle comunicazioni, l'ordine mondiale appare sempre di più legato al laissez-faire, all'ininterrotto scambio commerciale e alla televisione dilagante.

Sembra cioè raggiunto l'obiettivo di un mondo senza confini, ma soltanto sul piano economico, dove gli stati stanno progressivamente perdendo il potere di controllo sui processi e sui mercati. La liberalizzazione ha condotto ad un mercato globale, ma non ha promosso investimenti sociali a favore dei paesi più poveri. Anche lo sviluppo delle comunicazioni, che ha trasformato il mondo in un villaggio globale rischia di alimentare le divisioni. La situazione può essere sintetizzata, secondo l'espressione di P. Kennedy, con l'immagine di una massa enorme e crescente di contadini in miseria che può contemplare in televisione (ma non condividere) la ricchezza del nord e milioni di persone del nord - è il caso dell'Europa - che assistono quotidianamente ai disastri economici e ambientali dei loro simili.

b) le differenze etniche

In concomitanza con l'interdipendenza economica e la mondializzazione dei mercati si assiste però in questi anni al riemergere di fenomeni di tipo localistico e regionalistico. La loro tipologia è assai vasta: si tratta

- di rivendicazioni di territorio da parte di minoranze etniche all'interno degli stati (è il caso dei curdi)
-   di richiesta di rappresentanza di tipo "culturale" (Stati Uniti)
-   al riesplodere di antichi conflitti (la Bosnia)
-   di nuovi movimenti regionalistici nei paesi europei (Italia)

Riaffermazione di identità etniche (Ruwanda), nazionali e religiose (fondamentalismo) come modo per definire chi si è nel grande disordine globale.

Assistiamo dunque a due tipi di movimenti, uno CENTRIFUGO e uno CENTRIPETO, in contraddizione tra loro. Scrive Boutros Ghali nella sua Agenda per la pace: "I confini nazionali sfumano di fronte a progresso di comunicazioni, intensificarsi di scambi, partecipazione ad associazioni politiche soprannazionali. Nello stesso tempo, però, il sentimento nazionale e la rivendicazione di sovranità si affermano con rinnovato vigore e la coesione degli stati è corrotta da violente lotte etniche, religiose, sociali, culturali o linguistiche".

Da una parte vi è un fenomeno di integrazione dovuta alla mobilità umana, dall'altra la tendenza alla differenziazione. Il Papa ha espresso questo dilemma (...): "Ci sono due strade, due cammini che si devono sempre rispettare. Come arrivare all'unità da un certo pluralismo. Non perdere l'unità nel pluralismo, ma d'altra parte come non perdere il pluralismo nell'unità.[...] Come mantenere l'unità nella diversità". Sempre il Papa ha sottolineato più volte la dimensione culturale del problema.

Infatti, quando si parla di differenze etniche, non si può attribuire a questa parola un valore assoluto ed astorico, che rischia di sconfinare nel significato razziale o genetico (essere dì etnia differente come essere di "razza" differente, ed è nota la confutazione anche scientifica degli stereotipi sulla diversità delle razze). La realtà dell'etnia è invece essenzialmente sociale e culturale: è impossibile determinarla in modo oggettivo, come fosse appunto una eredità di tipo biologico. E' piuttosto, come afferma Smith, il significato attribuito da uomini e donne nel corso del tempo alle caratteristiche culturali, spaziali e temporali delle loro esperienze condivise. Il modo cioè di vedere la terra, le tradizioni, i valori, le espressioni culturali. Tutto ciò diviene un abito, condiviso dai membri del gruppo, che si cristallizza nel tempo e viene trasmesso alle generazioni seguenti.

Se il problema etnico è essenzialmente culturale, allora anche il dilemma si presenta sotto forma di incontro e scontro tra culture. La società interculturale non è altro allora che l'ambiente umano dove si colloca questa problematica contraddittoria: la tendenza all'universalizzazione e quella verso il rispetto e la valorizzazione delle differenze.

La relazione interculturale, infatti, si articola tra due opzioni,  espresse  nelle  due  polarità  "classiche":

universalismo/relativismo. Secondo il principio universalistico le diverse culture sono manifestazioni di un principio comune. Tale riduzione ad unità deve riportare a un sistema di valori unico o a connessioni di valori universali: ciò, spesso, si è rivelato essere una forma più o meno larvata di etnocentrismo che considera assoluti i valori della nostra cultura.

Il relativismo afferma, invece, la relatività delle culture e dei loro sistemi di valore, impedendo, però, di fatto, ogni criterio di giudizio metaculturale. La relazione interculturale, quindi, si colloca nel difficile equilibrio tra il radicamento nella propria identità, lingua, modo di pensare e di credere, e il rispetto della diversità, per evitare sia il rischio di dare valore assoluto alla propria cultura, sia l'impossibilità di giudicare le altre.

Qui è in gioco anche l'identità dell'Europa. Potremmo parlare allora di una "ultima chance" per l'Europa di diffondere uno spirito universalista che non sia accompagnato da volontà di potenza ma di solidarietà e accoglienza.

c) Le migrazioni

Uno dei tratti che contraddistinguono maggiormente la situazione mondiale attuale è il fenomeno dell'aumento dei flussi migratori dai paesi meno sviluppati a quelli industrializzati.

Il fenomeno ha tratti diversi da quelli del passato, ed è caratterizzato da un pacifico passaggio di singoli o famiglie verso le aree del benessere. Il problema degli immigrati costituisce un interrogativo sul quale da tempo si misurano economisti, sociologi, demografi e nel quale paiono concentrarsi i tratti delle grandi domande del nostro tempo.

Infatti, parlare di immigrazione significa mettere in causa anzitutto il problema demografico (con il calo delle nascite nei paesi avanzati e la loro stabilità o aumento nel "sud"), ma anche le sperequazioni economiche mondiali, per cui masse di persone si trasferiscono in altre aree alla ricerca di condizioni migliori Una lettura storica del fenomeno aprirebbe poi uno squarcio sui complessi rapporti nel passato tra paesi colonialisti e paesi colonizzati, e sulle conseguenze attuali degli avvenimenti del passato. Dal punto di vista sociologico, si affronta da questo angolo di visuale il problema della costruzione di una società multietnica.le possibilità e le chances offerte dall'incontro di popolazioni diverse, mentre dal punto di vista giuridico è al centro dell'attenzione mondiale il problema dello statuto di cittadinanza concesso o meno ai nuovi arrivati in un paese ospitante.

Infine, è di nuovo dal punto di vista delle culture che l'immigrazione degli ultimi decenni del nostro secolo pone nuove domande e prospettive alla convivenza. Infatti, se finora il dialogo tra culture aveva assunto i tratti, storicamente in evoluzione, della "scoperta" (si pensi al Nuovo Mondo), dell'esplorazione o dell'invasione, oggi si tratta di una coesistenza ravvicinata all'interno di paesi sviluppati, per i quali gli stranieri rappresentano a seconda dei casi una minaccia o una chance.

Nell'elaborazione di una politica migratoria ogni paese esprime una cultura, una tradizione, dei valori. A seconda dei casi si mantengono o si abbandonano scelte politiche o abitudini sociali, si caratterizza uno stato nella "chiusura" o "apertura" delle sue norme, nel suo progetto di convivenza, nella sua normativa sulla lingua.

* In Svezia le specificità culturali degli stranieri sono pubblicamente riconosciute (dal 1975 vi è il diritto di apprendere la propria lingua d'origine a scuola).

* La Gran Bretagna. in quanto nazione federale, riconosce le altre comunità in qualità di "minoranze razziali". Le comunità (ad esempio quella musulmana) esprimono la loro particolarità e formulano rivendicazioni specifiche.

* La Francia invece è una nazione unitaria, di tradizione giacobina, fondata sulla cittadinanza individuale. Tende all'unità della nazione e quindi all'integrazione degli stranieri in cittadini.

* La Germania. come è noto, accentua il criterio di appartenenza legato ai vincoli di sangue piuttosto che all'adesione a comuni principi.

Alcuni paesi, infine, tra cui l'Italia, sono divenuti da paesi di emigrazione paesi di accoglienza e sembrano non avere tuttora un progetto globale sugli immigrati, pur se siamo ormai entrati nella seconda fase dell'accoglienza.

D'altra parte va osservato che attualmente quasi tutti gli stati occidentali, come involuzione di tendenza rispetto agli anni precedenti. si trovano convergenti verso una scelta di più severa regolamentazione degli ingressi.

Nell'accoglienza agli immigrati l'Europa vive una sfida: quella di superare il complesso della fortezza assediata per fondare una nuova identità dove ci si trovi solidali con tutti coloro che sono stranieri e pellegrini. La coscienza dei cristiani è quella di stranieri e pellegrini in questo mondo. Scrive D. Solle che per i cristiani non esiste una terra straniera. I cristiani, fede-li alla Bibbia che è anche storia di uomini che emigrano da una terra all'altra. si trovano coabitanti provvisori in una terra di cui non si è padroni.

II PARTE - IL DIALOGO TRA CULTURE

L"'altro", il "lontano", è stato di volta in volta l'abitante delle terre incognite, il Buon Selvaggio, il Turco, il nemico, colui di cui non si conosce la lingua. Gli "altri" sono stati la massa informe e indistinta al di là del proprio orizzonte fisico e culturale, i belligeranti minacciosi, i nomadi, la minoranza diversa nel proprio paese, le persone di religione diversa, i sotto-uomini, gli abitanti di tribù a cultura tradizionale, i nemici storici.

Oggi, il fenomeno della planetarizzazione, l'interdipendenza economica. l'immigrazione creano il nuovo volto degli altri. Si tratta di lontani "più vicini" grazie allo sviluppo tecnologico, alle comunicazioni più rapide, allo spostamento delle popolazioni. Ad un mondo che sembra sempre più piccolo corrispondono delle variazioni della coscienza e nuovi tipi di confini geografici e culturali. Lo straniero come entità minacciosa e sconosciuta, abitante di terre lontane diventa una figura sempre meno realistica. Ad essa si sovrappone (pur se il mito del Buon Selvaggio è duro a morire) l'uomo diverso, ma la cui diversità è stata esplorata e definita, anche se attraverso stereotipi semplificati.

La paura ed il pregiudizio si spostano allora sullo straniero che si pensa costituisca una minaccia diretta: l'altro visto come fanatico dal punto di vista politico o religioso, l'immigrato. Sul lontano-vicino (vicino perché conosciuto, o coabitante) si proiettano le antiche paure e gli stereotipi del nemico, o semplicemente gli egoismi localistici. Sul volto dell'altro, sempre più noto per la vicinanza, lo sguardo della televisione, la diffusione delle lingue, lo sviluppo delle scienze umane, si colloca una vecchia maschera che lo rende ignoto.

Occorre lavorare intorno al dialogo tra persone di fedi, storia e culture diverse. Gli altri, infatti, sono individuabili attraverso la loro cultura, il loro sistema di vita, le loro tradizioni e valori.

Dato che ci si trova immersi non solo nella dimensione locale, ma anche in quella globale, si può affermare che esistano ancora le culture? Non esistono, piuttosto, tanti luoghi culturali intrecciati e sovrapposti, cui gli individui appartengono? Ogni persona ha ormai sperimentato la possibilità di far parte di tanti mondi che rappresentano la diversità culturale. Prodotti, cibi, espressioni artistiche, linguaggi, comportamenti di varie culture si incontrano ormai nella biografia personale del cittadino globale. Si dovrebbe parlare quindi, piuttosto, di cultura translocale, che, secondo Ulrich Beck, non è senza luogo (le culture senza luogo sono impensabili) ma intende quest'ultimo "come qualcosa di aperto verso l'esterno".

La concezione di cultura nel mondo in trasformazione si presenta locale ma aperta, inserita nella prospettiva di un contesto globale; pensiamo noi stessi e gli altri dentro una visione più ampia, secondo una dialettica per cui si può essere inseriti in una tradizione ma anche aperti a una nuova cultura. Gli immigrati, cittadini di più patrie culturali, sono un esempio chiaro ditale moltiplicazione delle appartenenze.

Diviene quindi impossibile pensare la cultura come un insieme oggettivo e statico di caratteristiche di un dato territorio. L'incontro pluralistico avviene in un "disordine" creativo e vitale, non in astratto; esso è storicizzato e concretizzato. Poiché le culture non sono impermeabili, occorre tener conto degli scambi e delle reciprocità di cui si avvalgono, come, ad esempio, i cambiamenti avvenuti in seguito all'immigrazione.

Ancora, le culture cambiano nel tempo: occorre prestare attenzione alle loro evoluzioni, evitando di fissarle secondo canoni rigidi e anacronistici. Le trasformazioni generazionali, ad esempio, incidono profondamente nella vita delle persone e l'età ci determina forse più dell'appartenenza culturale.

In sintesi, nella relazione non si considera la cultura presa a sé stante, ma soltanto come "abito" indossato dai singoli in modo personalizzato; ogni individuo, nella sua diversità (uomo/donna, giovane/vecchio, ricco/povero) è portatore di una sua particolare identità culturale; i contatti avvengono tra gli individui, non tra le culture in quanto tali. In questo senso, ognuno è portatore di un frammento di cultura, determinata dalle sue caratteristiche personali e sociali (Perotti 1994). L'idea di cultura donataria non è che un'astrazione dell'antropologia: di fatto sono gli individui che esistono, con i loro atteggiamenti e le loro norme di comportamento. Essi vivono in habitat culturali molteplici (familiari, lavorativi, mass-mediali, della società di origine, della società di accoglienza).

Le relazioni interculturali costituiscono un incontro di totalità complesse che fanno nascere infinite possibilità di scambio e che mutano a seconda del contesto e delle storie individuali.

Là dove vi è sviluppo, o balzi in avanti delle conquiste umane, non vi è una superiorità, ma la realizzazione di una storia cumulativa, cioè data dalla collaborazione di più culture. L'avanzamento nasce dunque solo dalla capacità delle culture di non essere sole: "la civiltà mondiale non può essere altro che la coalizione su scala mondiale di culture, ognuna delle quali preservi la propria originalità".

È una visione dell'incontro tra le culture nella storia pieno di "avventure, rotture e scandali", in cui lo sviluppo è dato solo dalla capacità di giocare insieme, di diversificare, salvare le originalità e allo stesso tempo l'unità.

"Solo una cultura viva, allo stesso tempo fedele alle proprie origini e in stato di creatività (..) è capace di sopportare l'incontro con altre culture, e anche di dare un senso a quell'incontro" (Ricoeur).

Dott. Giorgio Del Zanna (*)

(*) Membro della Comunità di S. Egidio. Ricercatore di Storia Contemporanea all'Università Cattolica.

(in Vita religiosa in Lombardia, XX, n. 70, marzo 2006, pp. 7-15)

 

Letto 4869 volte Ultima modifica il Domenica, 31 Gennaio 2016 22:22
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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