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Sabato, 01 Aprile 2017 01:54

La speranza (Antonino Rosso)

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«Spes ultima dea», dicevano gli antichi. «La speranza è l'ultima a morire». È come la luce del tramonto: riesce ancora a dar vita agli oggetti prima che si confondano nell'oscurità e ci permette di vedere il cammino per rientrare in casa prima che diventi notte.

Finché c'è speranza, c'è vita. Dove essa sospende la sua azione benefica di sostegno e di guida, è la morte.
La speranza si ridurrà forse ad un tenue filo, ma quel filo ci tiene ancora legati a qualcosa: ai ricordi confortevoli del passato, alle poche risorse del presente, alle eventuali possibilità del futuro. Con la speranza l'uomo, come il ragno, tesse la sua tela evitando di precipitare nel vuoto, anzi quel nido sospeso e quasi invisibile gli serve di baluardo e di congegno d'allarme contro le offese provenienti dall’esterno.
Con la speranza l'uomo, come il naufrago, si afferra saldamente all'unica tavola di salvezza superstite tra i marosi della vita. Disperare significa recidere il filo tenuissimo e precipitare. Disperare significa respingere la tavola e affogare.
La mancata speranza, la si chiami disperazione o scoraggiamento, abbatta o minacci i ponti tra noi e la vita, tra noi e il Cielo, non è mai il prodotto di debolezza, come spesso si dice, ma sempre di orgoglio e di viltà.

Orgoglio e viltà

L'orgoglio del cristiano è di ben altra natura. Noi ci gloriamo nella speranza della gloria di Dio. Non solo, ma anche ci gloriamo nelle afflizioni, ben sapendo che la tribolazione produce costanza, la costanza produce una virtù provata; la virtù provata, speranza; e la speranza non delude, perché l'amore di Dio è stato diffuso nei nostri cuori mediante lo Spirito Santo che ci è stato dato (Rm. 5, 2-5).
È l'orgoglio di sentirsi ancorati a Dio che fortifica, di potersi attenere, nelle tragiche ore della vita, all'esortazione dell'Apostolo: Non siate mai di coloro che non hanno speranza! (1Tess. 4, 13).
Se ti ha sfiorato la voluttà della disperazione; se questa lama di gelo ha minacciato di irrigidire il tuo animo... Non disperare più. Pensa ai tornanti alpini: se non sfiorano gli abissi non conoscono il fulgore delle vette. L'orrore del baratro ci porta a guardare in alto. E la tua amara e-sperienza ti servirà a sorreggere la debolezza d'altri.
Non disperare più. Allora il "Capo delle Tempeste" diventerà anche per te il "Capo di Buona Speranza". Non si tratterà più di un punto geografico del globo, ma del punto più solido del tuo mondo interiore, finalmente stabilizzato, attorno al quale transitano e dove ancorano senza timori le navi dei tuoi ideali.
Prendi l'esempio dalla natura e dal contadino. La natura si rinnova sempre; risorge a ogni inverno più prosperosa ed esuberante. Il contadino coltiva le messi nella speranza del raccolto nonostante la grandine e i nubifragi; la prospettiva di un'annata scarsa, se lo sconcerta, non lo abbatte: spera sempre in un'annata migliore.
Ricordati sempre della bella esclamazione proferita mille volte chiudendo una conversazione di ricordi penosi o di situazioni ingarbugliate: «Speriamo!».

Il trionfo della speranza

Sì: speriamo sempre! Finché si è quaggiù c'è rimedio a tutto. Non esiste soluzione impossibile. Se pure non si può rimuovere il dolore, c'è sempre modo di affrontarlo, sentirlo meno cocente, superarlo nella visione di ideali superiori.
Pensa al periodo trascorso da Beethoven a Heiligenstadt, un delizioso paese non lontano da Vienna, in un completo isolamento, lontano dai rumori, per riposare l'organo dell'udito minato da malattia inguaribile.
Si scatena nel Genio di Bonn un insieme di ansie, di depressioni, di terrori: la sordità, l'assillo del suicidio, la rabbiosa volontà di continuare a vivere.
Il 10 ottobre 1802 scrive nel suo Testamento: «Ti lascio, pieno di dolore o dolce speranza che ho portato qui con me di poter guarire almeno in parte; ora ti devo completamente abbandonare. Come le foglie d'autunno cadono e appassiscono, così la speranza si è disseccata in me: parto da qui nello stesso stato in cui sono giunto e anche il grande coraggio è scomparso. O Provvidenza concedimi almeno un giorno di pura gioia; è da tanto tempo che la vera gioia non risuona più nel mio cuore!».
La preghiera alla Provvidenza riaccende la speranza. Quando Beethoven torna a Vienna è un altro: è il musicista che ha preso coscienza di sé attraverso il dolore e progetta L'Eroica: il trionfo della speranza.

Antonino Rosso

(da Missione Salute, n. 6, 2015, p. 79)

 

Letto 2213 volte Ultima modifica il Sabato, 01 Aprile 2017 10:27
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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