Vita nello Spirito

Martedì, 30 Agosto 2016 10:11

Il pane e il cuore (Mario Bizzotto)

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Per molti il pane è carico di ricordi. Fa pensare ai tempi della miseria, quando spezzato e consumato alla stessa tavola diventava espressione della solidarietà. Ma dice anche la speranza d'un mondo migliore, dove non ci saranno più affamati.

Il pane sta ad indicare un alimento. Ha il compito di sfamare. Rida forze al corpo esausto dalla fatica. Per questo è sempre gradito ed è detto buono. Se viene in soccorso al quotidiano bisogno della sussistenza, è più che giusto dirlo buono. Esso diventa termine di confronto per altri significati.

D'una persona comprensiva e premurosa si dice: è buona come il pane. Si passa allora dall'ambito nutritivo a quello del cuore, sede dei sentimenti più delicati. 11 pane non si pone solo sulla tavola, si colloca anche al centro della convivenza. Quando ci si asside a mensa in famiglia è elemento di coesione. Mai adempie così bene la sua funzione come quando è assunto in compagnia. Non è vero che altro è mangiarlo da soli, altro assieme a persone care? Qui assume un sapore diverso. È buono ma d'una bontà condivisa. Del resto per essere buoni bisogna essere per lo meno in due. Non ha senso una bontà al di fuori della convivenza.
Ricordo d'aver visto un quadro che raffigurava l'ultima cena del Signore. Al centro della tavola rappresentava il pane illuminato da una lampada. La luce della fiamma era fioca e discreta, traeva dall'ombra i volti dei commensali. L'impressione d'un clima di tepore e di intimità era immediata. Tutto, ogni oggetto e ogni volto, parlava e le parole percepite andavano al cuore. Mi è rimasta impressa l'intuizione dell'artista che associava il pane alla luce: due cose che si assomigliano e si appartengono. La luce che dona calore e consente di incontrarci con lo sguardo, e il pane che affratella e fa pensare al genitore che nutre i suoi piccoli, adempiono lo stesso compito.

Nel pane la storia dell'uomo

Per molti il pane è carico di ricordi. Fa pensare ai tempi della miseria, quando spezzato e consumato alla stessa tavola diventava espressione della solidarietà. Ma dice anche la speranza d'un mondo migliore, dove non ci saranno più affamati. I sogni a volte sono ingannevoli, ma non sempre. Alcuni sono necessari semplicemente per vivere e ad essi bisogna credere. Che sorga un tempo in cui la miseria è sconfitta e finalmente ogni individuo riceve il posto che gli compete, è un'aspirazione antica quanto il mondo. Non si può arrendersi ad una morte precoce ed ingiusta. Il volto dell'affamato turba la coscienza, si traduce in un grido di dolore che rivendica un diritto elementare. Il pane è legato all'uomo ed ha una storia. Parte dal basso, dalla terra cui è affidata la semente. Poi diventa grano, da cui si ricava la farina e da questa il pane. Il passaggio da una mano all'altra, dal contadino al mugnaio e dal mugnaio al fornaio è segno della convivenza e della collaborazione comunitaria. Ogni momento di questa storia è seguito dal lavoro dell'uomo.

Il pane è di natura sua portato a stringere amicizie. Non è solo frutto di fatiche, è anche dono. L'uomo certo ara, semina, coltiva e miete, ma se non c'è l'humus e la pioggia, ogni fatica è vana. Dietro gli interventi della mano dell'uomo, c'è la mano della provvidenza. Si salta allora in uno spazio sacro. Nella nostra storia il pane assume un significato religioso. Per questo si insegna al bambino a non sciuparlo, gli si ricorda che molti ne sono privi. È anche dono, che si invoca.

Il pane invocato

Molte cose esistono perché sono costruite dall'ingegno: una sedia, un vestito, una penna. Stanno a testimoniare l'intelligenza e l'industria dell'uomo. Eppure anche dietro di esse spunta la presenza del dono: la materia prima. Altre però sono qui indipendentemente da qualsiasi artificio. La terra, la pioggia, la vita, gli animali, gli alberi del bosco, i moti astrali, la luce del sole, l'aria, non sono opere dell'ingegno. Sono semplicemente dono. E giusto ricordarlo, se non altro per far sapere all'uomo che non è il padrone del creato e quando, per disgrazia, si atteggia come tale, i guai che seguono sono molti, tra cui disordine, disuguaglianze e ingiustizie.

Nel vangelo il riferimento al pane è una constante che va dalla nascita di Cristo, deposto in una mangiatoia, all'ultima cena, quando Cristo è deposto sulla mensa e offerto come cibo. Non saprei ricordare nella storia un esempio dove il pane assurge ad un valore tanto elevato da sconfinare nella divinità.

La preghiera del Padre nostro insegna a chiedere il pane. Mette perciò l'uomo al suo posto. Non è vero che l'uomo può tutto, non è vero che è padrone. Accettiamo sì che sia signore, ma non sarebbe onesto dimenticare che certe cose devono essere chieste. E signore ma nel contempo anche mendicante.

Se ci è insegnato ad invocare il dono del pane è segno che non è qualcosa di ovvio come la legge di gravità. Va certo coltivato, ma va anche invocato. C'è un ruolo che è affidato all'uomo, ma c'è un ruolo religioso, che rimanda alla provvidenza. Per ammetterlo ci vorrebbe un po' di umiltà. Egli ha imparato a costruire molte cose, perfino a mettere mano alle leggi della vita. Si è convinto che tutto dipende dalla sua iniziativa e non ha bisogno di rivolgersi all'alto. Se è capace di tutto, ci si chiede perché non sia ancora riuscito a sfamare gli uomini. Se ci fosse più modestia e si riconoscessero i propri limiti, si potrebbero risparmiare molte sofferenze a tanti innocenti.

La spada e il pane

Non ci sono rapporti di amicizia tra la spada, strumento di morte, e il pane, alimento di vita. Il contrasto è stridente, eppure le due cose si possono conciliare tra loro. E quanto ho potuto osservare nel Museo del pane allestito a Ulm. Al visitatore è offerto un enorme materiale di notizie riguardanti le tecniche di coltivazione, lavorazione e cottura. Come capita in questi casi, dove una serie di reperti sono presentati allo sguardo, ci si trova smarriti. La sete di voler vedere tutto, finisce per non avere visto niente.

Se mi si chiedessero alcuni particolari degli oggetti esposti, mi sentirei in grave imbarazzo. Saprei dire ben poco. Una sola cosa però potrei riferire. C'era una taglierina del pane che al posto del coltello aveva una spada. La riflessione che segue è spontanea. La spada, fatta per uccidere, è trasformata in uno strumento per nutrire. Da arma di morte è tramutata in utensile di vita: simbolo pregnante che esprime il sogno dell'umanità. Basta, facciamola finita con le armi che feriscono la carne e tagliano il ventre. Dopo tanto sangue innocente e tante lotte fratricide è venuto il momento di tagliare il pane e distribuirlo a chi ha fame.

Questo pensiero ha eccitato la fantasia di letterati, pensatori e profeti. Ricordo l'annuncio del profeta Isaia, che impaziente attende l'ora in cui le spade saranno fuse in vomeri, le lance in falci, un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non ci saranno più guerre (2,4). E in altro contesto sempre lo stesso Isaia: «Non spendete denaro per ciò che non è pane». In un mondo dove si continua a morire di fame e nel contempo si spendono cifre astronomiche per costruire armamenti, le parole di Isaia assumono il peso d'un macigno.

Il pane rubato

Nella Leggenda del grande Inquisitore, Dostoewskij parla del pane comprato a prezzo della libertà. Un baratto umiliante che vuole un pane facile e comodo, quello acquisito senza fatiche. Esso cresce con l'humus ma anche con il sudore della fronte. Chi si nutre del pane dell'indolenza umilia la propria dignità, si riduce a schiavo, fa di sé una merce. E triste che un alimento simbolo dell'onestà e della pietà, venga abbassato a prodotto di mercato.

Il pane scambiato con la libertà è un tradimento, non è meritato, è il cibo del parassita. Il pane è pane nel presupposto della lealtà, frutto del proprio lavoro. Esso rifiuta l'inganno e la menzogna come rifiuta l'ozio e la morte. E qui per la vita, perché essa cresca e prosperi. Accanto al pane meritato, c'è anche il pane rubato, strappato alle sofferenze altrui. Chi ne mangia, fa del suo cibo una vergogna.

Mario Bizzotto

(da Missione Salute, n. 5 - 2004, pp. 34-35)

 

Letto 1764 volte Ultima modifica il Martedì, 30 Agosto 2016 10:22
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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