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Quadro sintetico delle relazioni
tra le comunioni gennaio- giugno 2005
(a cura di P. Franco Gioannetti)


I Cattolici ed altri Cristiani

Ortodossi

Il Cardinale Walter Kasper, presidente del PCUC si è recato a Mosca dal 20 al 23 giugno 2005 per continuare il dialogo con il Patriarcato di Mosca. Il primo incontro è stato con il metropolita Cyrille di Smolensk. Le due delegazioni hanno affermato che di fronte alla crisi morale esistente in tanti paesi del mondo le Chiese, Cattolica ed Ortodossa, debbono collaborare per promuovere i valori morali e spirituali della persona, della famiglia, della società. Poi sono stati toccati i problemi che esistono tra le due Chiese, in particolare le tensioni in atto in Ucraina tra greco cattolici ed ortodossi.

Precalcedoniani

La 16ma riunione della Commissione mista per il dialogo tra la Chiesa Cattolica e la Chiesa siro-malankarese ortodossa (Chiesa indipendente) si è tenuta al Centro di Spiritualità di Kottayam dal 12 al 14 ottobre 2004.

La discussione si è svolta soprattutto su due documenti:

(1) “la tradizione liturgica dei cristiani di S. Tommaso fino al XIX secolo”

(2) “il primato petrino durante i primi quattro secoli: qualche punto di discussione”.

Le due chiese pur concordando, per molti aspetti, sul concetto di Chiesa come comunione hanno opinioni divergenti su alcune questioni essenziali, in particolare su quella relativa al primato petrino.

Per questo punto le due delegazioni hanno concordato sulla necessità di uno studio più approfondito. Si è parlato della necessità di una testimonianza comune e di un accordo e di una relativa pastorale per i matrimoni misti.

Il prossimo incontro è stato deciso per i giorni 7-9 dicembre 2005 e riguarderà:

“Riflessioni patristiche e liturgiche sul primato nella chiesa fino al secolo XVII”

“Una sola chiesa dei cristiani di S. Tommaso”.

La commissione mista per il dialogo tra la Chiesa Cattolica e la Chiesa Siro-giacobita Ortodossa (Chiesa autonoma dell’India sotto l’autorità del Patriarcato Siro-Ortodosso di “Antiochia che portava fino al 2004 il nome di “Chiesa Siro-Malankarese Ortodossa”) ha tenuto il suo IX incontro nel Centro di Spiritualità di Kottayam il giorno 11 ottobre 2004.

Il principale tema teologico che figurava all’ordine del giorno riguardava la Chiesa come comunione.

Sono stati discussi due documenti:

Il primo “Prospettive biblico-teologiche sulla comunione ecclesiale”

Il secondo “Camminare verso la piena comunione secondo il Concilio Vaticano II”.

Le due delegazioni hanno definito positivo lo stato del dialogo, hanno approfondito gli aspetti pastorali relativi ai matrimoni misti ed hanno deciso per i giorni 5-6/12/2005 uno studio più approfondito sui modelli di comunione del primo millennio.

La seconda riunione della commissione di dialogo tra le chiese cattolico-romana e pre-calcedoniane si è svolta a Roma dal 26 al 29 gennaio 2005 sotto la presidenza del Cardinale W. Kasper e del metropolita copto Bishoy di Damietta.

Vi hanno preso parte i rappresentanti delle chiese cattolica, copta, siriana, armena (dei due katolicosati), etiopica, malankarese, eritrea.

Vetero-cattolici

La riunione di primavera del dialogo nord-americano tra Chiesa Cattolica Romana e Chiesa Nazionale Cattolica Polacca (PNCC) ha avuto luogo a Buffalo (USA) nei giorni 10 ed 11 maggio 2005.

I punti principali della discussione sono stati un documento sulla Chiesa Polacca ed il suo impegno per l’unità ed il concetto di giurisdizione in un quadro di ecclesiologia comune.

Chiesa Assira d’Oriente

La commissione mista per il dialogo teologico tra la Chiesa Cattolica e la Chiesa Assira d’Oriente ha tenuto la sua decima riunione annuale dal 19 al 22 novembre 2004 a Londra.

I membri della commissione hanno riflettuto sugli emendamenti alla “Dichiarazione comune sulla vita sacramentale” proposti dal S. Sinodo Assiro.

Un ulteriore documento di lavoro ha riguardato gli “Elementi di Cristologia” nel Synodicon Orientale, in pratica l’eredità teologica antica della Chiesa d’Oriente.

Il tema centrale della riunione è stato però “Modelli di comunione attraverso la storia” e questo dall’età apostolica ai nostri giorni.

I partecipanti hanno convenuto che in materia teologica le tradizioni delle due chiese hanno molti elementi in comune.

Per questo quattro esperti, due per ogni chiesa, dovranno presentare degli studi alla prossima riunione di dialogo per una particolare attenzione alle implicazioni ecumeniche.

Battisti

L’Alleanza Battista Mondiale (ABM) ed il Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità del Cristiani hanno organizzato congiuntamente un incontro a Washington nei giorni 10-11 dicembre 2004 per studiare i seguenti temi: “Il battesimo come ingresso nella Chiesa” e “Maria nella vita della Chiesa”.

Si è trattato del quarto incontro delle due Chiese. I documenti relativi al primo tema, sul battesimo, sono stati presentati dal Dott. Morrison, battista e da Suor Wood, cattolica.

Il tema su Maria è stato illustrato da Suor Butler per mezzo di due documenti: “Maria, madre di Dio, nel mistero di Cristo e della Chiesa” e “L’Immacolata Concezione e la gloriosa Assunzione di Maria”.

Il dott. T. L. George, battista, ha invece parlato di “La Vergine Maria nella prospettiva evangelica”.

Discepoli

La commissione internazionale di dialogo tra Discepoli di Cristo e Chiesa cattolica si è riunita per la prima sessione della IV fase nel centro “Oasi S. Maria” a Cassano delle Murge (prov. Di Bari), dal 6 all’11 dicembre 2004.

In questa fase il principale tema di studio è stato:

“La presenza di Cristo nella chiesa con particolare riferimento all’Eucaristia”.

I temi dei precedenti incontri con relative “dichiarazioni d’accordo” erano stati:

- Apostolicità e Cattolicità nel 1982

- Chiesa in quanto comunione nel Cristo 1992

- Ricevere e trasmettere la fede: missione e responsabilità della chiesa 2002.

Questa sessione si è principalmente concentrata sulla “presenza di Cristo nella chiesa” e ne sono stati esaminati problemi e sfide che incontrano in proposito le due tradizioni.

II Ortodossi ed altri cristiani

Cattolici

In occasione della Festa dei SS. Pietro e Paolo una delegazione del Patriarcato Ecumenico ha comunicato che tutte le chiese ortodosse sono pronte a riprendere il dialogo teologico con la chiesa cattolica.

La delegazione ha assistito alla messa nella basilica di S. Pietro celebrata dal Papa il quale ha detto che, al di là delle divergenze esistenti sulla interpretazione e la portata del ministero petrino, cattolici ed ortodossi sono uniti nella successione apostolica; profondamente uniti nel ministero episcopale e nel sacramento del sacerdozio, inoltre essi confessano la medesima fede degli Apostoli, quale viene dalle Scritture ed è interpretata dai grandi concili.

La missione dei cristiani, ha aggiunto il papa, è di testimoniare insieme Cristo Signore e sulla base di questa unità, che è dono, aiutare il mondo a credere.

Il giorno successivo la delegazione è stata ricevuta dal papa, presente il Cardinale Kasper nel discorso di benvenuto Benedetto XVI ha detto che “l’unità che noi cerchiamo non è né assorbimento né fusione, ma rispetto della pienezza multiforme della chiesa che, conformemente alla volontà del Cristo, deve essere sempre una, santa, cattolica, apostolica”.

Il metropolita ortodosso Giovanni di Pergamo ha risposto dicendo che i santi venerati dalle due chiese ricordano che per 1000 anni cattolici ed ortodossi sono stati profondamente uniti condividendo la stessa successione apostolica e la stessa grazia sacramentale. Ha infine aggiunto che unità e cattolicità della chiesa sono inseparabilmente legate alla sua apostolicità e santità.

Precalcedoniani

Un incontro interortodosso sulle prospettive di dialogo teologico tra la Chiesa Ortodossa e le Chiese Ortodosse Orientali (precalcedoniane) ha avuto luogo dal 10 al 13 marzo 2005 presso il Centro Ortodosso di Chambesy presso Ginevra.

La riunione aveva all’ordine del giorno il proseguimento del dialogo, le critiche, formulate da molte chiese territoriali riguardo i documenti comuni del 1989 e1990. e’ stata sottolineata la necessità che la commissione mista prolunghi l’analisi dei punti controversi e chiarifichi eventuali formulazioni non chiare.

III Anglicani ed altri Cristiani

Cattolici

L’ultimo documento dell’ARCIC II: “Maria, grazia e speranza nel Cristo” è stato presentato a Seattle (USA) ed a Londra.

Si tratta di un documento che studia la mariologia, tematica contesa tra cattolici e protestanti.

Il tema ricorda che per anglicani e cattolici l’unico mediatore è Cristo e che quindi va rigettata ogni interpretazione del ruolo di Maria che possa oscurare questa affermazione.

I due copresidenti uno cattolico e l’altro anglicano, hanno affermato che la commissione ha voluto basarsi sulle Scritture e nella Tradizione comune esistente prima della Riforma e della Controriforma sforzandosi ad usare un linguaggio che evidenzi gli elementi comuni e trascenda le controversie del passato.

Maria, è stato detto, è un esempio di obbedienza fedele. Noi e Lei uniti nella preghiera e nella lode siamo una figura della chiesa.

I paragrafi § § da 6 a 30 del documento sono consacrati ad uno studio di Maria, madre di Gesù, nelle scritture..

Si è trattato di una lettura ecclesiale ed ecumenica che ha cercato di considerare ogni passaggio riguardante Maria nel contesto del Nuovo Testamento preso nel suo complesso, in rapporto al Vecchio ed alla luce della Tradizione.

I suddetti paragrafi affermano che i cristiani, nella continuità degli autori del N. T., hanno visto il punto culminante della traiettoria della grazia di Dio e della speranza di una risposta umana perfetta, nell’obbedienza di Cristo.

Su questo contesto cristologico si trova un modello similare in Maria. Il N.T. infatti non parla soltanto del fatto che Dio ha preparato la nascita di suo Figlio ma anche che ha santificato una donna ebrea nella linea delle Sante donne come Sara ed Anna.

A modo di riflessione scritturistica il § 30 afferma che la testimonianza della Scrittura chiede a tutti i credenti di ogni generazione di chiamare “Beata” Maria, questa donna ebrea che di umile condizione che viveva in una speranza di giustizia per i poveri e che Dio ha scelto e colmato di grazia.

Come era immaginabile critiche e perplessità sono state innumerevoli in casa anglicana dove si è detto che le conclusioni generali del documento sono state troppo cattoliche e quindi ben lontane dalla tradizione e comprensione anglicana.

Ma non si sono manifestate dure ostilità o progetti di interruzione al dialogo.

Ortodossi

La commissione internazionale di dialogo teologico tra anglicani ed ortodossi si è riunita dal 2 al giorno 8 giugno nel monastero ortodosso di Kikkos a Cipro. Nel suo discorso di benvenuto Mons. Nikiphoros ha espresso la speranza che questo dialogo possa portare dei frutti affinché un giorno sia possibile, per la forza dello Spirito Santo, tornare a comunicare allo stesso Pane ed allo stesso Calice.

Per giungere all’unità del mondo cristiano, ha aggiunto, bisogna pregare incessantemente e continuare il dialogo nella carità.

Il dialogo internazionale tra ortodossi ed anglicani è stato inaugurato nel 1973 con un esame dei fondamenti dottrinali del dialogo ed ha prodotto le dichiarazioni comuni di Mosca nel 1976 e di Dublino nel 1984.

L’attuale ciclo di conversazioni inaugurato nel 1989 ha per tema la fede comune nella Trinità, la persona di Cristo e lo Spirito Santo. La commissione si è riunita due volte ogni anno e nel complesso ha prodotto le seguenti dichiarazioni comuni su Trinità e Chiesa, il Cristo, lo Spirito e la Chiesa, il Cristo – l’umanità – la Chiesa, l’Episcopato – il Vescovo – la Chiesa, il Cristo – il Sacerdozio – la Chiesa, il ministero della donna e dell’uomo nella Chiesa, i concetti di eresia e di scisma, la ricezione.

Durante l’incontro di Kikkos la commissione ha rivisto gli ultimi tre testi.

Battisti

La Commissione Anglicana e l’Alleanza Battista Mondiale (ABM) hanno annunziato il 25.6.2005 la pubblicazione degli atti di cinque anni di dialogo comune.

Questa pubblicazione è il frutto di un processo ecumenico portato avanti con una formula originale; per assicurare, infatti, le voci cristiane e provenienti da tutti i continenti, i partecipanti di ognuna delle sei sessioni regionali di dialogo venivano dalla regione dove le conversazioni avevano luogo.

Soltanto un piccolo comitato di continuità ha partecipato a tutte le riunioni.

Ogni sezione regionale era stata messa al corrente dei lavori delle altre sezioni, ma ognuna di essa aveva la piena libertà di sviluppare le proprie intenzioni.

Alla fine della serie delle conversazioni il Comitato di continuità ha inviato ad ogni sezione regionale un rapporto finale pregando tutti i partecipanti di presentare reazioni e critiche.

Ambo le parti hanno espresso la loro soddisfazione per il lavoro e per i risultati raggiunti.

IV Luterani ed altri cristiani

Anglicani

Una nuova pubblicazione è apparsa, in inglese, contenente le dichiarazioni comuni ed altri risultati dei dialoghi tra luterani ed anglicani, a livello regionale, dal 1972 al 2002.

Riformati

Riunita in Sinodo generale a Parigi, la Chiesa Evangila Luterana di Francia (EELF) ha deciso di proseguire e di incoraggiare il processo di avvicinamento lanciato circa un anno e mezzo fa con la Chiesa Riformata di Francia (ERF), principale componente del protestantesimo francese con circa 300.000 membri.

Trenta delegati, su trentatre, del Sinodo dell’EELF ha approvato il processo di avvicinamento.

Una commissione composta da tre luterani e da tre riformati lavora per studiarne le modalità.






V Riformati ed altri cristiani

Pentecostali

Un incontro di Dialogo Teologico Internazionale tra i rappresentanti di alcune chiese pentecostali classiche ed i rappresentanti dell’Alleanza Riformata Mondiale ha avuto luogo dal 25 al 31 maggio 2005 a Detmold in Germania.

Si tratta della terza sessione di un ciclo di incontri aventi per tema “L’esperienza nella fede e nella vita cristiana”.

Il tema dell’incontro di Detmold era la maniera in cui i Pentecostali ed i Riformati fanno discernimento dell’azione dello Spirito Santo per comprendere la volontà di Dio e così sforzarsi di seguire Gesù Cristo e di testimoniare la presenza e la venuta del Regno di Dio.

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Quando i gesti contano più delle parole

di Cettina Militello

I lettori vorranno perdonarmi se questo mese al viaggio abituale tra le donne teologhe sostituisco alcune riflessioni a margine della visita di Benedetto XVI in Turchia. Lo faccio proiettandomi nel clima dell’ottavario di preghiera per l’unità dei cristiani e richiamando insieme quel lontano 25 gennaio del 1959, quando, a pochi mesi dalla sua elezione, papa Giovanni manifestò il suo progetto di indire un concilio. La visita del Papa a mio parere sta all’interno di entrambe le attenzioni. Da una parte l’impegno, la fatica, il desiderio di raggiungere finalmente l’unità visibile tra i cristiani. Dall’altra il Concilio come “bussola” grazie alla quale è possibile navigare nella complessità dell’oggi finalmente recependone il messaggio, sul fronte dell’unità delle Chiese cristiane come su quello del dialogo interreligioso.

Nei discorsi del Papa sono state diverse le citazioni del Concilio. Parlando ai musulmani, il riferimento è stato soprattutto a Nostra aetate, ma anche la Gaudium et spes ha avuto un suo spazio. Parlando al piccolo gregge dei cattolici, le citazioni più importanti sono state tratte dalla Lumen gentium. Indirizzandosi poi al patriarca Bartolomeo, il riferimento obbligato e diretto è stato a Unitatis redintegratio. Ma va da sé che alle spalle dell’incontro, come di quelli intercorsi in precedenza tra i due capi delle due Chiese sorelle, sta l’intero travaglio del Vaticano II culminato, come più volte ricordato, nella reciproca cancellazione delle scomuniche.

Indirizzandosi al ministro per gli affari religiosi, il Papa ha ricordato come «per più di quarant’anni, l’insegnamento del concilio Vaticano Il ha ispirato e guidato l’approccio della Santa Sede e delle Chiese locali di tutto il mondo nei rapporti con i seguaci delle altre religioni. Seguendo la tradizione biblica, il Concilio insegna che tutto il genere umano condivide un’origine comune e un comune destino: Dio, nostro Creatore e termine del nostro pellegrinaggio terreno. I cristiani e i musulmani appartengono alla famiglia di quanti credono nell’unico Dio e che, secondo le rispettive tradizioni, fanno riferimento ad Abramo» (cf Nostra aetate 1; 3). E ricevendo gli ambasciatori accreditati presso il governo turco, di nuovo richiamandosi al Vaticano Il, il Papa ha affermato che «la Chiesa cerca ugualmente di collaborare con i credenti e i responsabili di tutte le religioni, e particolarmente con i musulmani, per “difendere e promuovere insieme, per tutti gli uomini, la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà” (Nostra aetate 3)». «Spero», concludeva il Papa, «che, in questa prospettiva, il mio viaggio in Turchia porti numerosi frutti».

Il reciproco riconoscimento

Possono apparire affermazioni di routine o d’occasione. In verità, nella prospettiva di un reciproco riconoscimento e di un reciproco rispetto, non lo sono. Il dialogo è tale se l’altro ci è interlocutore alla pari; il che in altre parole vuol anche dire: se l’altro è oggetto del nostro amore. E’ certamente difficile muoversi, capovolgendo malintesi secolari e pregiudizi sempre vivi. Ma il vero dialogo non può nascere da considerazioni opportunistiche sul fronte della religione messa ai margini da un mondo globalizzato e secolarizzato; nasce piuttosto dal sincero riconoscimento che Dio si rivela anche oltre i confini rassicuranti della Chiesa e – ancor di più - che la Chiesa deve essere segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità con tutto il genere umano (cf LG 1). E questo appunto credo abbia testimoniato la preghiera silenziosa del Papa in direzione della Mecca. Ha condiviso al massimo ciò che ci unisce - la fede nel «Dio uno e misericordioso» (lo ha ricordato al piccolo gregge nella cattedrale di Istanbul citando LG 16) - e se ne è fatto testimone.

Anche sul fronte del dialogo ecumenico i gesti contano più delle parole - penso alle mani strette e levate insieme del Papa di Roma e del Patriarca di Costantinopoli -. E tuttavia, anche le parole possono suggerirci qualcosa in più oltre le difficoltà e la stanchezza di un dialogo - ahimé fermo, e da oltre un decennio -. Provo a selezionarle in questo senso a partire dalla dichiarazione comune, nella quale Benedetto e Bartolomeo auspicano che il loro incontro costituisca «un segno e un incoraggiamento (…) a condividere gli stessi sentimenti e gli stessi atteggiamenti di fraternità, di collaborazione e di comunione nella carità e nella verità». C’è un affidarsi allo Spirito Santo che, quando e come Dio lo vorrà, li aiuterà a preparare il grande giorno del ristabilimento della piena unità. Ma proprio da quest’intrecci di gioia e speranza emerge la consapevolezza che solo allora potranno rallegrarsi ed esultare veramente.

Sappiamo che la via conciliare al ristabilimento dell’unità visibile corre lungo il doppio binario del dialogo teologico e del dialogo della carità. Va detto che l’uno non corre senza l’altro e la stasi del dialogo teologico ha non di poco complicato anche il dialogo della carità. Riaffermare il valore del dialogo teologico, la sua funzione, il suo scopo dichiarato di «ristabilire la piena comunione», diventa dunque importante. Così come è importante la congiunta affermazione circa il non aver tratto dall’abolizione mutua delle scomuniche «tutte le conseguenze positive che ne possono derivare per il nostro cammino verso la piena unità».

Ripresa del dialogo

In verità il dialogo con l’ortodossia, il dialogo teologico, è ripreso nello scorso settembre, come la dichiarazione ricorda. E il tema a cui si è lavorato e al quale si continuerà a lavorare è quello della “Conciliarità e autorità nella Chiesa” a livello locale, regionale e universale. Con ciò la commissione, afferma ancora la dichiarazione, «ha intrapreso una fase di studio sulle conseguenze ecclesiologiche e canoniche della natura sacramentale della Chiesa. Ciò permetterà di affrontare alcune delle principali questioni ancora controverse». E’ chiaro che siamo al cuore di un tema non solo portante per l’ecclesiologia ecumenica, ma portante tout court. Autorità e conciliarità sono i due poli del vissuto ecclesiale e il problema è quello di considerarli insieme, l’uno e l’altro, senza sbilanciarsi a favore dell’uno piuttosto che dell’altro.

La questione investe l’unica Chiesa che è presente in ogni Chiesa locale e investe la communio ecclesiarum, ossia il rapporto reciproco, la rete delle Chiese nella diversa circolarità anche canonica del luogo, della regione, della Chiesa intera e delle strutture che ne manifestano il mistero. Ripeto, se tutto ciò investe direttamente la questione delle Chiese in situazione di unità non ancora piena, investe anche il vissuto della Chiesa cattolico-romana, l’equilibrio anche in essa di un’articolazione sinodale - direi conciliare - che senza inficiare il referente dell’autorità, veramente lasci trasparire la soggettualità del popolo peregrinante, tutto intero in cammino, tutto intero attivo, come lo stesso papa Benedetto ha ricordato con dense parole, nell’omelia del 1’ dicembre, al piccolo gregge di Istanbul.

Rileggere il servizio petrino

E il problema dei problemi resta quello del Papato, resta il suo esercizio fuori da una contestualità sinodale quale fu attestata nel primo millennio. Resta il paradosso cattolico di ispirarsi a un concilio, il Vaticano Il, che pure “ecumenico” non è nel senso più proprio del termine, visto che a celebrarlo, sia pure invitando osservatori delle altre confessioni, è stata la Chiesa cattolico-romana. Il Papa ha ricordato, salutando il patriarca di Costantinopoli, come «in questa parte del mondo orientale si sono tenuti i sette concili ecumenici che ortodossi e cattolici riconoscono come autorevoli per la fede e la disciplina della Chiesa. Essi costituiscono permanenti pietre miliari e guide lungo il cammino verso la piena unità».

Ma basta ricordarlo oppure occorrerebbe riaprire il cantiere di un’effettiva conciliarità ecumenica? Verrà, insomma, il giorno nel quale cattolici e ortodossi e i battezzati tutti saranno raccolti in un concilio di nuovo veramente e pienamente ecumenico? Di più, verrà il giorno in cui il servizio petrino sarà riletto come tale e perciò liberato dalle pastoie di un esercizio del primato che altro non dovrebbe chiedere se non di servire alla verità e alla carità, senza prevaricazioni, senza offendere in alcun modo la ricchezza che lo Spirito elargisce a ogni Chiesa? Ecclesiae seu ritus, affermava Orientalium ecclesiarum 2.

Di quanto cambierebbe il rapporto delle Chiese ora separate se solo avessimo il coraggio di leggerne la storia come «espressione di quella mirabile varietà di cui è adornata la Sposa di Cristo». Così il Papa plaude alla molteplicità dei riti a cui fanno riferimento i fedeli e i vescovi convenuti alla cosiddetta casa di Maria ad Efeso, e aggiunge: «Purché sappiano convergere nell’unità e nella comune testimonianza». Credo sinceramente che occorra avere il coraggio - reciproco s’intende - d’assumere la provvidenzialità delle differenze che connotano le Chiese. Non c’è altra strada.

Occorre dar credito allo Spirito e riconoscerne il soffio diversificato. Insomma un consenso diversificato su ciò che ci ha divisi nel secondo millennio e, invece, assunzione totale, senza riserve, di ciò che ha visto le Chiese convergere nel primo millennio e di tutto quanto, pur essendo proprio a ognuno, non incrina la propria specifica identità ecclesiale. Che la questione del primato sia un punctum dolens i Papi lo riconoscono da Paolo VI in poi.

Superare le riserve al dialogo

Anche papa Benedetto nota che «il tema del servizio universale di Pietro e dei suoi Successori ha sfortunatamente dato origine alle nostre differenze di opinione, che speriamo di superare, grazie anche al dialogo teologico, ripreso di recente».E aggiunge: «Il mio venerato predecessore, il Servo di Dio papa Giovanni Paolo II, parlò della misericordia che caratterizza il servizio all’unità di Pietro, una misericordia che Pietro stesso sperimentò per primo (Ut unum sint 91). Su questa base papa Giovanni Paolo fece l’invito a entrare in dialogo fraterno, con lo scopo di identificare vie nelle quali il ministero petrino potrebbe essere oggi esercitato, pur rispettandone la natura e l’essenza, così da “realizzare un servizio di amore riconosciuto dagli uni e dagli altri” (ibid. 95). E’ mio desiderio oggi richiamare e rinnovare tale invito» (discorso del 30 novembre nella chiesa patriarcale di San Giorgio al Fanar).

Voglio davvero augurarmi che papa Benedetto, ponendo la questione ecumenica tra i temi peculiari del suo pontificato - penso ancora con commozione alla metafora della rete “smagliata” nell’omelia d’inizio del suo ministero - oltrepassi autorevolmente da pastore e teologo le riserve che facilmente vengono opposte al riguardo. Purtroppo, spesso nella difesa del privilegio petrino, di certe sue forme, si nasconde più la volontà di esercitare ciascuno per la sua parte un piccolo/grande potere vicario, che non la volontà di riconoscere al successore di Pietro quanto a parole gli si riconosce.

Nella questione ecumenica - e non solo da parte cattolica - spesso è la pigrizia, il quieto vivere a prevalere. Si finisce con il rifuggire da tutto ciò che impegnerebbe altrimenti la Chiesa tutta, nell’interezza delle membra, come ha ben ricordato il Papa ai fedeli raccolti a Efeso e nella cattedrale di Istanbul. Il Papa però d’altro sentire si è fatto garante: «Posso assicurarvi», ha detto nel medesimo discorso al Fanar, «che la Chiesa cattolica è pronta a fare tutto il possibile per superare gli ostacoli e per ricercare, insieme con i nostri fratelli e sorelle ortodossi, mezzi sempre più efficaci di collaborazione pastorale a tale scopo». L’ecumenismo non è un processo dall’alto, né tanto meno è un processo elitario.

L’unità visibile della Chiesa è nelle mani di tutti; non a caso la dichiarazione comune si conclude facendo appello a tutti «i fedeli delle nostre Chiese presenti ovunque nel mondo, vescovi, sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose, uomini e donne laici impegnati in un servizio ecclesiale, e a tutti i battezzati». Papa Benedetto, poi, commentando ai fedeli raccolti nella cattedrale di Istanbul le parole di Mt 16,17: «Beato te, Simone figlio di Giona: perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli» (e siamo all’interno di un “testo fondativo” del primato) ha aggiunto rivolto a tutti i presenti: «Sì, siamo beati quando lo Spirito Santo ci apre alla gioia di credere e quando ci fa entrare nella grande famiglia dei cristiani, la sua Chiesa, così molteplice nella varietà dei doni, delle funzioni e delle attività, e nello stesso tempo già una, “poiché è sempre lo stesso Dio che agisce in tutti”». Voglia lo Spirito renderci consapevoli del suo dono e accompagnarci nella consapevolezza dell’unità donata e nella fatica dell’unità da additare come tale a noi stessi e al mondo.

(da Vita Pastorale, Gennaio 2007)

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Mercoledì, 18 Aprile 2007 01:59

Ecumenismo. Avanti passo dopo passo (l. bad.)

Ecumenismo

Avanti passo dopo passo

(l. bad.)

Qual è Io stato dl salute dell’ecumenismo oggi? Nell’impossibilità di tracciare un bilancio sintetico, ci limitiamo qui a «rileggere» due significativi eventi recenti. In primis, la visita di Benedetto XVI al Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, che «ha un valore incalcolabile nel processo dl riconciliazione», come ha affermato Sua Beatitudine Bartolomeo I. Dopo le polemiche che hanno preceduto la sua visita In Turchia, il pontefice ha rilanciato Il dialogo sull’esercizio del ministero papale, con l’obiettivo di superare uno degli ostacoli più importanti nel cammino verso la piena unità tra cattolici e ortodossi. La proposta è risuonata nella cattedrale di San Giorgio al Fanar, antico quartiere greco di Istanbul in cui si trova la sede del Patriarcato, nel giorno della festa di Sant’Andrea, primo vescovo della città e patrono delle Chiese orientali. E, insieme alle parole, i gesti: i colloqui a tu per tu, i pranzi insieme, il saluto al Papa attraverso il suono festoso delle campane (che, nella tradizione ortodossa, onora gli ospiti di riguardo), l’abbraccio tra Benedetto XVI e Bartolomeo I, lo scambio tra loro del bacio della pace in segno di fratellanza, la recita del Padre Nostro in greco da parte del pontefice, che tuttavia ha assistito da un posto d’onore alla Divina Liturgia senza poter concelebrare, a motivo della divisione che sussiste tra le due Chiese fin dallo scisma del 1054. E poi, sul balcone del Palazzo patriarcale, il gesto Bartolomeo I, che alza la mano del Papa suscitando Il suo sorriso.

Benedetto XVI ha riconosciuto che «Il tema del servizio universale di Pietro e dei suoi successori ha sfortunatamente dato origine alle nostre differenze di opinione, che speriamo di superare, grazie anche al dialogo teologico, ripreso di recente». Bartolomeo ha rimarcato la «comune volontà di continuare, senza tentennamenti, il nostro cammino, nello spirito di amore e fedeltà, verso la verità del Vangelo e della comune tradizione dei santi Padri, per restaurare la piena comunione delle nostre Chiese». Nella Dichiarazione comune, entrambi hanno rinnovato l’impegno a raggiungere la piena comunione, e al tempo al stesso hanno ribadito la richiesta dl pieno rispetto della libertà religiosa e dei diritti delle minoranze.

Significativo anche il recente incontro tra Papa Ratzinger e l’arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams - guida per circa 80 milioni di anglicani nel mondo -, anche se rimangono numerosi punti aperti nel confronto tra le due Chiese cristiane. Terreni di impegno condiviso, emersi nel testo congiunto presentato nel novembre scorso, sono rappresentati da «campi dl comune testimonianza»: la «ricerca della pace in Terra Santa» e il «dialogo Interreligioso attraverso Il quale possiamo congiuntamente raggiungere i fratelli e sorelle non cristiani», ad esempio. Il Papa ha assicurato che «il dialogo teologico» proseguirà, nonostante le difficoltà in ambito bioetico ed etico (dai temi della vita all’ordinazione di donne e omosessuali). Da parte sua, Williams ha ricordato che quarant’anni fa - grazie allo storico incontro di Paolo VI con il primate Michael Ramsey - «è iniziato un processo di riconciliazione e amicizia che è continuato fino ad oggi»

Occorre declinare questi passi nella vita quotidiana delle comunità cristiane, in Italia come nel mondo. Uno strumento ormai consolidato è la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, dal 18 al 25 gennaio. Il tema di quest’anno è: «Fa sentire i sordi e fa parlare i muti» Il sussidio è elaborato dal Consiglio ecumenico delle Chiese (protestanti e ortodossi) e dal Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani (cattolici). Lo stesso dicastero ha promosso la pubblicazione in 7 lingue di un Vademecum, L’ecumenismo spirituale (edito in Italia da Città Nuova), utile sussidio pastorale che suggerisce iniziative per rafforzare le radici di un dialogo già avviato.

(da Mondo e Missione, gennaio 2007)

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Lo sguardo di un teologo ortodosso sul futuro delle Chiese

Verso una spiritualità ecumenica e profetica

di padre Emmanuel Clapsis

Il testo che segue riporta ampi stralci della relazione tenuta al XIV Convegno ecumenico internazionale di spiritualità ortodossa tenutosi al monastero di Bose nel settembre 2006. L’edizione integrale degli Atti uscirà nel mese di giugno per le edizioni Qiqajon. Si pubblica per gentile concessione dell’editore.

Padre Emmanuel Clapsis insegna teologia sistematica alla Holy Cross Greek Orthodox School of Theology di Boston; è stato membro di numerose commissioni teologiche di dialogo ecumenico e del Consiglio ecumenico delle Chiese.


Alla nona Assemblea del Consiglio ecumenico delle Chiese tenutasi nel 2006 a Porto Alegre, in Brasile, le Chiese cristiane hanno riconosciuto la necessità di «concentrare l’attenzione sulla natura della spiritualità cristiana e sull’opera dello Spirito Santo nella Chiesa e nel mondo». Un aspetto di essenziale importanza per l’integrità del lavoro ecumenico in vista dell’unità visibile e per la missione delle Chiese. Il bisogno di fondare il movimento ecumenico e la missione delle Chiese cristiane nell’opera dello Spirito Santo è un principio condiviso, fondante l’ecumenismo.

Una spiritualità ecumenica per i nostri tempi deve essere una spiritualità dell’incarnazione, qui e ora, capace di dare vita, radicata nelle Scritture e nutrita dalla preghiera, con una dimensione comunitaria e celebrante, centrata sull’Eucaristia; deve trovare espressione nel servizio e nella testimonianza, ispirare fiducia e speranza. Inevitabilmente condurrà a sopportare sofferenze; è aperta all’ecumene, gioiosa e ricca di speranza. Sua fonte e guida è l’azione dello Spirito. È vissuta e ricercata in comunità per gli altri. È un processo continuo di formazione e discepolato.

Coloro che vivono nello Spirito Santo sanno aprire i loro cuori per abbracciare l’interezza della creazione di Dio. Si prendono cura della vita umana e dell’esperienza di ogni giorno, così come delle questioni di fondo della vita e della sopravvivenza dell’uomo, della giustizia, della pace, della custodia del creato, ma anche delle religioni umane e delle acquisizioni della cultura.

Come ha sostenuto il cardinale Walter Kasper, «la spiritualità sopravvive solo mettendosi in ascolto dei suggerimenti, attese, gioie e fallimenti della vita, e nel riconoscere i segni dei tempi che si rinvengono ogniqualvolta una nuova vita emerge e si sviluppa… Ogniqualvolta la vera vita appare, lo Spirito di Dio è al lavoro». Il suo appello per una spiritualità del quotidiano che abbracci la totalità della vita è stato appoggiato senza riserve dal vescovo ortodosso Kallistos Ware, che ha auspicato «una spiritualità che sappia coinvolgere la vita, in cui non ci sia dicotomia tra il sacro e il profano; una spiritualità non autosufficiente, non specializzata nei suoi propri ambiti, involuta in se stessa, ma al contrario che consideri il mondo come sacramento, che veda ogni essere umano e ogni cosa quali mezzi di comunione con il Dio vivente».

Sembra emergere una convergenza ecumenica sul tipo di spiritualità che le Chiese cristiane intendono incarnare nel mondo presente. Si tratta di una spiritualità che riflette l’opera dello Spirito Santo in ogni aspetto dell’esistenza umana. Include la pienezza della vita - profana e sacra, personale e collettiva -, e non semplicemente la relazione dell’io interiore con Dio. Ora, nel mondo post-moderno si verifica una migrazione culturale verso una vita soggettiva. Le soggettività di ciascun individuo (stati di coscienza, memoria, emozioni, passioni, esperienze fisiche, sogni, sentimenti) diventano una, se non l’unica, fonte di significato, senso e autorità. La «vita-come-se» è identificata con la religione e la «vita soggettiva» con la spiritualità.

La ricerca per comprendere i fattori sociali che caratterizzano la mutazione culturale verso il soggetto e la preminenza che la spiritualità assume nei confronti della religione deve tener conto anche degli effetti che la cultura consumistica e la mentalità di mercato hanno su ogni aspetto della nostra vita sociale e personale. Per esempio, nelle società moderne è emersa una spiritualità individualista-consumistica che comprende capitalismo, consumismo e individualismo, con un orientamento «post-moderno» che privilegia l’eclettismo, la sperimentazione individualistica, un approccio alle tradizioni religiose del tipo «prendine un po’ e mescola insieme». Questo riduzionismo è favorito dalla stessa nebulosità del termine «spiritualità». Il più delle volte, la spiritualità comporta un ampio ventaglio di emozioni e connotazioni, che nella maggior parte dei casi possono essere identificate solo da una certa comprensione della storia del termine, e anche dall’indagine del suo specifico contesto d’uso. I teologi ortodossi nei loro scritti sulla spiritualità e la vita spirituale si sono concentrati soprattutto sulla presentazione della tradizione esicasta, com’è stata praticata nel monachesimo orientale, e hanno recentemente introdotto un importante correttivo a questa tradizione, recuperando ciò che è chiamato spiritualità eucaristica o sacramentale, che assicura l’aspetto comunionale della vita ortodossa. Tuttavia non impegnano sufficientemente la riflessione sui fattori culturali che influenzano oggi la pratica e la comprensione delle vita spirituale ortodossa.

Per padre Alexander Schmemann, la corruzione culturale della spiritualità cristiana è un problema acuto anche per gli ortodossi: «Il nostro è il tempo dell’impostura, della frode spirituale… e il pericolo maggiore, la più grande carenza di tutto questo fenomeno è che troppe persone oggi - compresi quelli che appaiono come i più tradizionali “dispensatori” di spiritualità - sembrano considerare la spiritualità una sorta di entità a se stante, pressoché totalmente disconnessa dall’insieme della concezione cristiana e dell’esperienza di Dio, del mondo e dell’uomo, dalla totalità della fede cristiana. Ho visto la filocalia (l’amore per la bellezza - ndr) letta e praticata in gruppi e circoli i cui insegnamenti esoterici non solo non hanno nulla in comune, ma sono diametralmente opposti alla concezione cristiana del mondo. Così, quando è staccata dalla totalità della fede, persino quella “spiritualità” che ha l’apparenza più tradizionale, più ortodossa, corre sempre il rischio di diventare unilaterale, riduzionista e in questo senso eretica... diventando in altri termini una pseudo-spiritualità».

Secondo la definizione del Dizionario ecumenico, la spiritualità è la formazione e lo sviluppo dell’esistenza cristiana nel mondo sotto la guida dello Spirito Santo. I molteplici contesti culturali, i fattori sociali, le idiosincrasie personali e le storie diverse influenzeranno inevitabilmente aspetti diversi di questa viva esperienza della vita cristiana. Ciò colloca la spiritualità in una tensione tra l’unico Spirito Santo che è all’opera ovunque e in tutti, e la molteplicità delle concrete situazioni culturali e sociali e delle forme di vita. Mentre la spiritualità cristiana deve essere fondata nella tradizione biblica e modellata dalle pratiche sacramentali della Chiesa, è necessario accettare lo sviluppo di spiritualità multiple, poiché è possibile vivere l’unica vocazione cristiana in una varietà di forme.

La più alta espressione della vita nello Spirito di Dio è l’amore (1Cor 13,13), e così una persona vive in comunione d’amore con Dio e con il mondo. La spiritualità battesimale ed eucaristica, con i suoi forti aspetti ecclesiologici, non è l’unica spiritualità emersa nella Chiesa primitiva o persino quella più eminente che i teologi ortodossi hanno considerato quale unico contributo della tradizione orientale, alla ricerca di una spiritualità ecumenica. John Zizioulas discerne nella Chiesa primitiva due correnti di spiritualità che continuano a coesistere e che non sempre sono compatibili tra loro. Una è identificata con il tipo di spiritualità basato sulla comunità eucaristica, che implica la comunità e il suo orientamento escatologico come fattori decisivi; l’altra corrente è quella tipologia di spiritualità basata sull’esperienza dell’individuo che combatte contro le passioni ed è teso al raggiungimento della perfezione morale: una spiritualità accompagnata dall’unione mistica dell’anima o della mente con il Logos di Dio.

La tradizione contemplativa monastica tende a identificare la spiritualità con un’attitudine interiore, personale, influenzata dall’azione dello Spirito Santo e orientata alla sequela di Cristo. Una della principali caratteristiche che differenzia la loro concezione è che nella spiritualità eucaristica l’altro, la creazione e la comunità dei fedeli sono intrinsecamente coinvolti, mentre nella spiritualità contemplativa ciò che ha la priorità è la personale «visione» di Dio. Solo dopo la realizzazione di questa unità, la visione di Dio, una persona illuminata può volgersi con amore verso gli altri. Nella luce della svolta soggettivistica e degli effetti involontari di una cultura consumistica, la spiritualità contemplativa ricevuta e praticata al di fuori dell’assemblea eucaristica corre il rischio di ridurre la vita spirituale cristiana al rafforzamento religioso dell’individualismo, disgiungendo esistenzialmente le «persone spirituali» dalla comunità dei fedeli e dal mondo. Questa critica non deve intendersi come un ripudio della spiritualità contemplativa, ma come la necessità di riconoscerla come un aspetto essenziale della spiritualità cristiana che non può essere disgiunto dall’ethos eucaristico ed evangelico. Proprio questi ultimi completano e danno il giusto contesto agli sforzi ascetici. L’aspetto «interiore» e contemplativo della spiritualità è solo un aspetto della vita spirituale che non può essere distaccato o praticato indipendentemente dalla Chiesa. Lo Spirito rinnova la pienezza del mondo, così come l’aspetto interiore ed esteriore della vita umana.

La spiritualità eucaristica, con la sua enfasi escatologica, può in qualche esempio separarsi dalla storia e divenire indifferente alla necessità di manifestare la novità in Cristo attraverso parole e azioni che riflettono lo spirito di ciò che la Chiesa e il cristiano battezzato sono divenuti in Cristo. La celebrazione escatologica dell’attiva presenza di Dio nel mondo - com’è sperimentata e vissuta nell’Eucaristia -, invece di diventare la base della partecipazione della Chiesa e dell’impegno nella continua opera di Dio per la trasfigurazione del mondo, in qualche caso diventa una giustificazione ideologica per fuggire dalla storia. John Zizioulas ripudia questa corrente e riconosce la necessità per l’ortodossia di trarre implicazioni etiche dall’Eucaristia. L’ortodosso non può accontentarsi di «una bellissima liturgia senza prendersi cura di trarne le conseguenze sociali ed etiche». Un’attitudine simile compromette la missione e l’impegno della Chiesa.

Una vita spirituale che riflette l’ethos evangelico, liturgico e patristico della Chiesa dovrebbe riflettere l’inseparabile unità tra l’amore a Dio e l’amore al prossimo. La vita spirituale è una vita di comunione che riflette l’amore di Dio. Come afferma Olivier Clement, «entrare in Dio significa lasciarsi prendere dall’immenso movimento dell’amore della Trinità che ci rivela l’altra persona come “prossimo” o, meglio, che fa diventare ciascuno di noi il “prossimo” degli altri. E diventare prossimo vuol dire stare dalla parte di Cristo, poiché egli si identifica con ogni essere umano che soffre o viene rifiutato, che è in carcere o ignorato… (Mt 25,35-40)». Karl Rahner afferma che se qualcuno sostenesse che l’amore di Dio è qualcosa che ha avuto luogo isolatamente dagli altri o che è possibile amare Dio pur ignorando il proprio prossimo, non si tratterebbe certamente del messaggio cristiano. Amare gli altri con le loro irriducibili differenze e condividere con loro le risorse e il potere che regolano la vita personale e comunitaria è sempre un «amore difficile». La paura della diversità può portare a violente esplosioni contro gli «altri» e all’esclusione dal nostro spazio vitale. L’antidoto a questa paura è, per san Gregorio di Nissa, la forza dell’amore che lo Spirito Santo riversa su tutti noi. «Quando l’amore perfetto ha vinto la paura, o la paura è stata trasformata in amore, allora tutto ciò che è stato risparmiato sarà una unità che cresce insieme attraverso l’una e unica pienezza, e ognuno sarà, nell’altro, una unità nella perfetta Colomba, lo Spirito Santo». Una persona che vive nella forza dello Spirito Santo è l’incarnazione vivente di tutto ciò che Dio ha creato. Scrive Evagrio Pontico: «Beato è colui che si considera “rifiuto di tutti”. Beato è colui che guarda alla salvezza e al progresso di tutti come se fossero suoi propri, con ogni gioia. Beato è colui che considera tutti gli uomini come Dio, dopo Dio… che da tutti è separato e con tutti è armonicamente unito». Questa apertura e questa filadelfìa (amore per il fratello - ndr) costituiscono l’unico modo per vincere l’individualismo estremo che minaccia oggi l’esistenza umana. La formazione di una spiritualità ecumenica che consideri il mondo come sacramento e veda ogni persona umana e cosa materiale quali mezzi di comunione con il Dio vivente richiede una teologia dello Spirito Santo che riconosca la presenza attiva, di sostegno e trasformazione dello Spirito Santo in ogni essere umano, nella Chiesa e nel mondo. Una vita spirituale improvvisata coltiva il desiderio di essere con Dio senza alcun desiderio di partecipare attivamente all’amore di Dio per il mondo. Una relazione intima con Dio richiede una connessione coerentemente articolata tra misticismo e profezia.

* professore di teologia sistematica

(da Mondo e Missione, gennaio 2007)

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Chiese d’Oriente di tradizione non cattolica

Un cammino ancora pieno di difficoltà

di Gerardo Cioffari, op *

Con il Concilio è terminata la contrapposizione con le “Chiese sorelle d’Oriente” e si è instaurato un dialogo che ha rivelato poche dissonanze teologiche.
Da superare, invece, è l’uniatismo visto come espressione di proselitismo. Soprattutto resta la necessità dì mettere in campo. comportamenti pratici e iniziative concrete di effettiva collaborazione.

Il concilio Vaticano II segnò un grande passo avanti nei rapporti fra la Chiesa cattolica (romana) e le Chiese d’Oriente rispetto alle posizioni precedenti ispirate a integralismo nell’approccio alla verità e a una certa aria di sufficienza da entrambe le parti. In particolare, i cattolici avevano sempre inteso l”’unità” come “ritorno” dei fratelli separati all’ovile del vicario di Cristo, magari tollerando una certa autonomia disciplinare. Ora, invece, si valorizzava anche il loro patrimonio patristico, liturgico e spirituale (legittimando quindi il diverso approccio teologico alle verità di fede) e, più correttamente, si evidenziava Gesù Cristo come fondamento dell’unità ecclesiale.

Dalla polemica al dialogo

La svolta nell’atteggiamento della Chiesa cattolica, iniziata con i gesti di Giovanni XXIII, trovò la sua espressione compiuta nel decreto Unitatis redintegratio, che ha chiuso l’epoca della polemica (tendente a dimostrare la propria ragione contro l’errore dell’interlocutore) per aprire quella del dialogo sincero con tutte le Chiese orientali.

Il dialogo ha coinvolto tutte queste Chiese, sia le non-calcedonesi che le ortodosse. Sono stati istituiti contatti stabili con le Chiese “monofisite” (armena, copta o egiziana, e giacobita o siro-antiochena) e la Chiesa “nestoriana” (caldea o Chiesa apostolica d’Oriente), tutte sorte nel V secolo. I contatti con i capi di queste Chiese hanno dimostrato che la qualifica di monofisiti e nestoriani corrisponde ben poco alla realtà e che quindi i motivi reali della separazione sono molto meno solidi di quanto si pensi.

Ovviamente un posto privilegiato nel dialogo con i cattolici hanno avuto le Chiese d’Oriente di tradizione bizantino-slava, che nel loro insieme formano la Chiesa ortodossa, la quale ha camminato fianco a fianco con la Chiesa romana fino al 1054, quando è iniziata l’estraniazione. L’ortodossia comprende 15 Chiese autocefale, vale a dire Costantinopoli, Alessandria, Antiochia, Gerusalemme, Mosca, Serbia, Romania, Bulgaria, Georgia, Cipro, Grecia, Polonia, Albania, Cecoslovacchia, America (delle quali le prime 9 sono sedi patriarcali; mentre l’ultima non è riconosciuta da Costantinopoli), e 5 Chiese autonome, cioè Sinai, Estonia, Finlandia Giappone e Cina.

Il 7 dicembre 1965 Paolo VI e il patriarca Atenagora I annullavano le reciproche scomuniche del 1054. Dopo di che i gesti fraterni sono aumentati con i saluti e i reciproci inviti a venire a Roma in occasione della festa dei santi Pietro e Paolo (29 giugno) e ad andare a Costantinopoli per la festa di sant’Andrea (30 novembre).

Su questa scia si è innestato il grande impegno ecumenico di Giovanni Paolo II, che a più riprese ha voluto testimoniare ai fratelli ortodossi che la teologia cattolica intende affondare le sue radici nella stessa tradizione ecclesiale primitiva e soprattutto nella stessa professione di fede niceno-costantinopolitana.

Nel 1979 il Papa e il patriarca Dimitrios creavano la Commissione mista per il dialogo teologico cattolico ortodosso. Questa si riunì a Patmos e Rodi (1980), a Monaco di Baviera nel 1982 (Il mistero della Chiesa e dell’Eucaristia alla luce del mistero della Santissima Trinità), a Creta nel 1984, a Bari nel 1986-87 (Fede, Sacramenti e Unità della Chiesa) e a Valamo (Finlandia) nel 1988, discutendo problemi concernenti il sacramento dell’ordine.

A questo punto si verificava un fatto nuovo: tra il 1985 e il 1989 era crollato il comunismo e, conseguentemente, risorgevano le Chiese greco- cattoliche (unite a Roma). Considerando il successo dei primi incontri, nel 1993 la Commissione mista ritenne che fosse giunto il momento di toccare il tema più scottante, l’uniatismo, vale a dire le Chiese orientali già unitesi con Roma nel 1596.

I problemi dell’uniatismo

L’incontro, tenutosi a Balamand in Libano, si concluse con il rigetto per il futuro del metodo dell’uniatismo e il riconoscimento dell’essere già “Chiese sorelle”. Questo di Balamand fu un grande balzo in avanti, ma proprio per questo era difficile che passasse inosservato. All’interno delle Chiese ortodosse si è acceso un dibattito sul senso dell’espressione “Chiesa sorella” e quindi sull’effettiva rinuncia a considerare eretica la Chiesa di Roma.

Ma anche da parte cattolica il cammino ecumenico è risultato impervio con principi teorici ispirati a grande apertura e iniziative pratiche decisamente antiecumeniche. Da un lato Giovanni Paolo Il promulgava l’enciclica Ut unum sint (1995), il documento cattolico più avanzato nel campo dell’ecumenismo, che addirittura invitava i teologi cattolici a ripensare le modalità dell’esercizio del primato petrino; dall’altro, l’istituzione di svariate nuove diocesi cattoliche nella Russia ortodossa, violando il principio del territorio canonico (che, per molto meno, aveva spinto Mosca a rompere per diversi mesi la comunione con Costantinopoli).

Circondata da simili contraddizioni, la Commissione mista cattolico ortodossa nella riunione di Baltimora nel luglio del 2000 (Implicanze teologiche e canoniche dell’uniatismo), ha concluso i lavori senza riuscire a emettere un documento comune. Anzi, da allora i suoi lavori procedono a singhiozzo.

Pur dichiarando che il dialogo deve continuare, i partecipanti hanno fatto reciprocamente rilevare l’esigenza di consultarsi con le proprie Chiese. Il fatto può apparire negativo. In realtà questa crisi era abbastanza prevedibile dopo le notevoli acquisizioni a seguito di tali incontri. Man mano che si stringono i tempi (e ci si avvicina sempre più alle radici delle diversità) è più che normale un momento di riflessione.

Il nuovo papa Benedetto XVI il 29 maggio a Bari ha dichiarato solennemente la sua intenzione di continuare e sviluppare gli impegni ecumenici del suo predecessore; ma la via resta irta di difficoltà. Basti pensare alle pressioni degli uniati per ottenere un patriarcato in Ucraina, cosa che porterebbe definitivamente i russi a credere che per i cattolici l’ecumenismo non è che una forma di proselitismo.

Se, dunque, il dialogo teologico ha fatto grandi progressi, quello dei gesti stenta a decollare, da una parte fra grandi manifestazioni di cortesia e dall’altra con iniziative, poche in verità, che assestano duri colpi alla fiducia reciproca.

* docente all’istituto ecumenico di Bari

(da Vita Pastorale, Dicembre 2005)

Bibliografia

Salachas D., Il dialogo teologico ufficiale tra la Chiesa cattolico-romana e la Chiesa Ortodossa, La quarta assemblea plenaria di Bari, 1986-1987, Quaderni di ”O Odigos” 1988, Bari; Olivier C., La Chiesa ortodossa, Queriniana 1989, Brescia; Cioffari G., L’Ecclesiologia ortodossa. Problemi e prospettive, Quaderni di “O Odigos” 1992, Bari; Morini E., La Chiesa ortodossa. Storia, disciplinare, culto; Edizioni Studio Domenicano 1996, Bologna; Rosso S. e Turco E., Per una riconciliazione delle memorie. 2 Le Chiese cristiane d’oriente, Quaderni “Ecumenismo e dialogo” 2002, Torino.

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Cronaca delle Chiese

Gennaio-giugno 2005

(a cura di P. Franco Gioannetti)


Chiesa Cattolica

Il Papa Giovanni Paolo II è morto il 24.2005, alle ore 21,37, all’età di 84 anni, nel 27mo anno del suo pontificato.

I suoi funerali hanno visto la partecipazione di una folla immensa e di molte autorità civili e religiose.

Il 19 aprile 2005 il Cardinale Joseph Ratzinger è stato eletto papa, 264° successore di Pietro, ha preso il nome di Benedetto XVI.


Relazioni interortodosse

1) Nella sua ultima sessione che si è tenuta nei giorni 24-28 gennaio 2005 il Sinodo dei Vescovi della Chiesa Ortodossa Russa fuori dei Confini (EORHF) ha approvato gli accordi recentemente raggiunti dalla Commissione mista di dialogo tra l’EORHF ed il Patriarcato di Mosca in vista del ristabilire un rapporto canonico tra le due Chiese.

Tuttavia situazioni conflittuali non risolte tengono ancora in sospeso il tempo e il modo per una riunificazione canonica delle due Chiese.

Tuttavia di fronte, ad un atteggiamento di dura reazione dell’EORHF per dei problemi di proprietà poste in discussione da Mosca il Patriarcato di questa ha assunto un atteggiamento duttile e conciliante per smorzare la polemica.

2) L’incontro tra le Commissioni del Patriarcato di Mosca e dell’EORHF in vista del ristabilimento della comunione eucaristica tra le due chiese si è svolta nei giorni 8-11 marzo 2005. nel corso dell’incontro sono stati esaminati i seguenti problemi:

a) Lo statuto di “parte autoamministrata” per l’EORHF.

b) Le condizioni canoniche per ristabilire la commissione eucaristica.

c) Lo statuto dei chierici dell’EORHF che sono stati ordinati nel Patriarcato di Mosca.

d) L’avvenire delle strutture dell’EORHF che si trovano nel territorio del Patriarcato di Mosca.

I risultati, considerati soddisfacenti, saranno sottoposti per la ratifica ai rispettivi Sinodi delle due Chiese.

3) I documenti elaborati nel corso delle riunioni congiunte delle due commissioni del Patriarcato Russo e dell’EORHF tenutesi a Mosca (22-24.6.2004 e 17-22.11.2004), a Monaco (14-16.9.2004) a Parigi (2-4.3.2005) sono stai pubblicati simultaneamente sui siti internet di Mosca e dell’EORHF.

Questi documenti sono stati approvati dalle gerarchi del Patriarcato di Mosca e dell’EORHF quest’ultima avrà uno statuto di larga autonomia in seno al patriarcato.

Questi documenti hanno preso in esame:

a) Le relazioni tra Chiesa e Stato

b) Le relazioni con le altre religioni e le organizzazioni interconfessionali

c) La natura dei rapporti tra EORHF e Mosca.

Restano ancora da esaminare:

a) Lo statuto dei chierici che sono passati da una giurisdizione ad un’altra

b) L’avvenire delle parrocchie dell’EORFHF situate nel territorio canonico del Patriarcato moscovita

c) Le relazioni dell’EORHF con le entità ecclesiastiche separate dalle loro chiese locali.

La prossima riunione delle commissioni avranno luogo in luglio.


Comunione Anglicana

La commissione permanente inter-anglicana sulle relazioni ecumeniche si è riunita dal 4 al 10 dicembre 2004 in Giamaica. Nel corso di questo incontro un’attenzione particolare è stata data alle relazionii con le chiese: Copta, Etiopica, Eritrea, Armena, Siriaca, Siro-Malankarese.

I primati della comunione anglicana hanno tenuto il loro incontro annuale nell’Irlanda del Nord dal 21 al 25.2.2005.

L’incontro, a porte chiuse, ha visto la partecipazione di 35 su 38 Primati e Moderatori.

La riunione dei primati è uno dei quattro strumenti di unità della Comunione, gli altri tre sono: l’Arcivescovo dei Cantorbery, la Conferenza dei Lambeth, il Consiglio Consultivo Anglicano.

Il punto più urgente riguardava l’ordinazione a Vescovo degli USA di Gene Robinson, vivente in relazione omosessuale, e la benedizione delle unioni omosessuali in Canada. Queste gravi tensioni richiedono che il Canada e gli USA applichino, nei loro casi, una moratoria sulle decisioni prese.

Il 15 marzo 2005 la Camera dei Vescovi dell’ECUSA in riunione a Cap Allen in Texas (USA) ha accettato con voto quasi unanime una “Dichiarazione d’Alleanza” in risposta al rapporto di Windsor.

Il testo è composto di 6 paragrafi:

1) Riaffermo l’impegno dei Vescovi a servire la Chiesa in comunione con le altre province ecclesiastiche anglicane

2) …di restare in piena comunione con l’arcivescovo di Canterbury

3) … di continuare la collaborazione con il Consiglio Consultivo Anglicano e con la Riunione dei Primati 

4) Esprime rincrescimento per aver creato con le sue decisioni dolore negli altri membri della comunione anglicana

5) Chiede perdono e si dice pentita per aver rotto i legami fraterni non avendo sondato correttamente l’opinione delle altre province.

In più i vescovi dell’ECUSA si impegnano ad evitare ogni frattura canonica nel territorio di un’altra Chiesa anglicana.

La 13ma riunione del Consiglio Consultivo Anglicano ha avuto luogo dal 19 al 28 giugno 2005, in Inghilterra, a Nottingan. Vi hanno partecipato 70 delegati e 500 visitatori. I delegati dell’ECUSA e della Chiesa Anglicana Canadese vi hanno partecipato a solo titolo di osservatori.

Il problema creato da USA e dal Canada rimane aperto come pure la ferita prodotta. Una votazione che chiedeva alle due chiese di ritirare volontariamente i suoi membri dal C.C.A. fino alla prossima Conferenza di Lambeth ha rivelato una profonda spaccatura nella comunione.

Nel corso della riunione si è deciso di riunire gli studi, le dichiarazioni, le risoluzioni sulla sessualità umana adottati dalle diverse province della comunione.

Il C.C.A. si è impegnato nello studio sulla formazione teologica nella comunione e si sono notate qua e la gravi lacune, mancanze, insufficienze causanti la presenza di una formazione non adeguata nei preti.

L’equipe sulla formazione teologica (TEAC) ha proposto di portare rimedi formativi adeguati ai seguenti ambiti:

1) laicato
2) Diaconi permanenti
3) Catechisti e ministri non ordinati
4) Preti
5) Vescovi

Altri temi trattati:

1) Il progresso delle relazioni ecumeniche
2) La condizione femminile
3) Il dialogo interreligioso


Federazione Luterana Mondiale

Un incontro di 14 delle 25 donne vescovi e dirigenti delle Chiese Luterane è stato organizzato dalla Federazione Luterana Mondiale (FLM) a Ginevra dal 16 al 19 giugno 2005.

Nel gruppo vi erano delle rappresentanti dell’Africa del Sud, della Germania, del Canada, degli USA, dell’Etiopia, dell’India, dei Paesi Bassi, della Svezia ed una osservatrice dell’Europa centrale ed Orientale.

Il tema principale è stato costituito dalle sfide che queste donne incontrano nell’esercizio del loro ministero. Secondo tema è stato quello dell’ingiustizia sociale nel mondo.

E’ stato serenamente affermato che le donne possono portare nelle chiese un nuovo tipo di leadership.

Una difficoltà rilevante è stata notata in Africa dove per gli uomini è molto difficile accettare delle donne leader.

Dall’1 al 3 giugno 2005 si è tenuta in Svizzera a Chavanne de Bogis una consultazione su “L’avvenire della FLM” nel contesto di una riconfigurazione del movimento ecumenico.

Si è perciò discusso su come sforzarsi di rispondere al problema di un coordinamento efficace in seno alla comunità luterana ed alla comunità ecumenica.

E’ stata sottolienata la necessità di:

a) proporre soluzioni per facilitare il lavoro sia a livello bilaterale che multilaterale e per evitare rivalità inutili.

b) Una identità basata sulla fede in vista di una unità visibile.

La considerazione ha chiesto alla FLM di continuare il suo impegno sociale di taglio ecumenico per lo sviluppo.


Alleanza Riformata Mondiale

Il premio “E. H. Johnons 2005” è stato assegnato al Segretario Generale dell’Alleanza Riformata Mondiale (ARM), Setri Nyomi, per la sua attività al servizio della Missione.

Nella sua allocuzione il pastore Nyomi ha affermato he i cristiani debbono cooperare con i credenti di ogni religione per promuovere la giustizia sociale e che occorre evitare le attività missionarie che nel passato sono state conflittuali.

Ha detto che “la nostra missione nel mondo pluralista di oggi perderà la sua integrità se non ci impegniamo contro le nostre divisioni per trovare i mezzi per un impegno comune nella Missione.

Albania

I responsabili delle tre principali confessioni religiose albanesi, l’Arcivescovo ortodosso Anastasios di Tirana, primate della Chiesa Ortodossa d’Albania, l’Arcivescovo Cattolico di Durazzo Mons. Rrok Mirdita, l’imam Selim Muca della comunità musulmana, l’imam Reshat Bardhi della comunità bektashi si sono impegnati a promuovere la tolleranza religiosa, in un contesto di tensioni interconfessionali sempre soggiacenti in Albania, al fine di migliorare la situazione generale nel loro paese.

Germania

Il presidente del Deutsche Evangelische Kirchentag, Eckard Nagel e quello del Comitato per il Katolikentag, Hans Joachim Meyer hanno annunciato il 27 aprile 2005, il loro progetto di organizzare un secondo Kirchentag ecumenico a Monaco nel 2010.

Tema dell’incontro “Essere cristiani nella società, essere cristiani per la società”.

Inghilterra

E’ deceduto il 3.1.2005 il canonico anglicano Martin Reardan notoriamente impegnato in campo ecumenico.

Il Padre Serge Hackel, prete ortodosso di origine russa, è deceduto il 9.2.2005 a Londra, all’età di 73 anni.

Era stato uno stretto collaboratore del compianto Metropolita Antony Bloom.

L’ufficio del Premier del governo della Gran Bretagna ha annunciato il 17.1.2005 la nomina di John Sentamu ad Arcivescovo di York la seconda sede dopo quella di Cantorbery. Ugandese, avvocato, giudice si recò in Inghilterra nel 1974 come rifugiato politico fuggito al regime di Idi Amin Dada.

Giunto in Gran Bretagna ha studiato teologia a Cambridge per essere poi ordinato prete nel 1979 ed ha in seguito svolto il suo ministero in numerose parrocchie di Londra.

E’ divenuto nel 1996 Vescovo si Stepney e nel 2002 di Birmingham.

Belgio

Un centinaio di religiosi, ebrei e musulmani, si sono riuniti a Palazzo Egmont a Bruxelles dal 3 al 6 gennaio 2005 in favore della pace.

L’incontro era organizzato da “Uomini della parola” fondazione creata nel 2000 da Alain Michel per favorire il dialogo tra Islam e Giudaismo.

Si è trattato di un Congresso Mondiale di Imam e di Rabbini e vi hanno partecipato 150 religiosi e 100 esperti.

Un incontro informale tra rappresentanti della Gioventù Ortodossa di Finlandia, Francia, Belgio, Germania e ha avuto luogo dal 7 al 9 gennaio 2005 a Bruxelles e vi hanno partecipato membri del Centro di Formazione ortodossa “S. Giovanni il Teologo” di Bruxelles, dell’ONL, Movimento della Gioventù Ortodossa Finlandese, dell’OJB della Germania, dell’ACER-MJO, Azione Cristiana degli emigranti Russi, Movimento della Gioventù Ortodossa di Francia. Questi ultimi gruppo movimenti sono affiliati alla Federazione Mondiale della Gioventù Ortodossa.

Scopo dell’incontro era di discutere i problemi che si pongono nella vita quotidiana delle Chiese locali e di formulare delle piste per lo sviluppo dei servizi della Chiesa.

In tale occasione sono state preparate le seguenti prossime attività:

- Il Festival della Gioventù Greca

- L’incontro Ecumenico dei Martiri a Roma

- La conferenza sulle lingue liturgiche ed i problemi di traduzione in Germania.

Costantinopoli

La celebrazione della benedizione delle acque del Bosforo, presieduta dal Patriarca Ecumenico Bartolomeo I è stata disturbata, il 6 gennaio 2005, da dei manifestanti nazionalisti Turchi. Purtroppo il Patriarcato Ecumenico è regolarmente preso di mira da manifestazioni organizzate dai movimenti nazionalisti ostili al Patriarca Ecumenico per i suoi interventi in favore dell’estensione delle libertà religiose alle minoranze cristiane della Turchia… che preme … per entrare nell’Unione Europea.

USA

L’Arcivescovo Jakovos, primate emerito dell’Arcidiocesi del Patriarcato Ecumenico in America, è deceduto causa problemi polmonari il 10.4.2005 a Stamford nel Connecticut in USA all’età di 93 anni. Era il cinquantesimo anno del suo episcopato.

L’Arcivescovo ha avuto un ruolo considerevole in seno al Patriarcato.

L’Arcidiocesi ha 8 diocesi suffraganee e circa 2.000.000 di fedeli. L’Arcivescovo Jakovos è stato il primo Vescovo Ortodosso ad incontrare dopo 4 secoli il Papa (Giovanni XXIII) ed il primo rappresentante del Patriarcato Ecumenico a Ginevra (Svizzera) presso il COE.

Durante il suo episcopato in USA si è impegnato per fare uscire gli ortodossi dal loro isolamento etnico e per farli integrare nella vita americana.

Era una figura molto presente sulla scena pubblica americana, aveva lavorato a fianco di Martin Luther King, aveva preso posizione contro la guerra nel Vitnam.

Il lancio ufficiale di un incontro di Chiese e di organizzazioni religiose in vista della creazione di una tavola Ecumenica in USA ha trovato poco entusiasmo nelle Chiese storiche nere.

Gli organizzatori hanno dichiarato di dover prendere tempo per studiare i problemi e le rappresentanze delle cinque famiglie cristiane degli USA: Chiese evangeliche, pentecostali, protestanti tradizionali, storiche nere, ortodosse, cattolica.

Francia

Il gruppo di Dombes ha pubblicato nel gennaio 2005 il frutto del suo lavoro di 6 anni a proposito dell’autorità dottrinale nelle chiese protestanti e nella cattolica.

Il documento presenta delle proposte concrete per avanzare verso l’unità infatti fa notare che protestanti e cattolici riconoscono in modo uguale le basi dell’autorità

In primo luogo l’autorità dei testi:le Scritture, le Confessioni di fede, i Concili Ecumenici. In secondo luogo quella delle comunità e delle persone: il popolo cristiano, i Padri della chiesa, i dottori, i teologi, i “ministri”. Infine l’autorità delle istanze istituzionali dove appare una convergenza perché ciascuna chiesa ha questa triplice articolazione: comunitaria (Popolo di Dio), collegiale (ministero) personale (la coscienza).

Le sorgenti dell’autorità sono dunque le stesse. Ma in pratica ci sono profonde divergenze tenendo conto della concezione che ne ha ogni chiesa e la loro concreta interazione.

Tuttavia il lavoro di riflessione del gruppo continua con fiducia esortando le due parti ad una profonda conversione.

Dall’1 al 13.2.2005 dei teologi cattolici, protestanti, ortodossi ed anglicani si sono incontrati presso l’Institut cattholique di Parigi per affrontare ed approfondire la mariologia, la dottrina mariale nelle differenti prospettive cristiane.

Infatti la mariologia è un tema trasversale che permette di approfondire il ministero dell’Incarnazione e dinamizzarecosì il dialogo.

Il filosofo cristiano Paul Ricoeur è morto venerdì 20.5.2005 all’età di 92 anni. Pensatore impegnato, militante socialista dal 1933, profondamente cristiano, croce di guerra 1939-1945, Gran Premio di filosofia dell’Accademia di Francia, era vedovo e padre di cinque figli.

Grecia

Molti membri dell’episcopato della Chiesa ortodossa di Grecia sono al centro di un vasto scandalo giuridico finanziario che tocca ugualmente alti funzionari della magistratura e di cui la stampa greca si è fatta largamente eco dalla fine del gennaio 2005.

Incriminato P. Jacovos Yossakis per traffico di icone e per sospetta corruzione di funzionari.

E’ accusato di favoreggiamento per mancata vigilanza l’Arcivescovo di Attica Panteleimon.

Lo stesso Arcivescovo di Atene Christodoulos è guardato con sospetto perché Yossakis aveva dei rapporti molto stretti con l’entourage dell’Arcivescovo.

Sembra addirittura che Yossakis sia riuscito a manipolare l’elezione ad Arcivescovo di Atene a favore di Christodoulos.

Yakovos Yossakis è stato sospeso a divinis ed il Santo Sinodo ha creato una commissione per verificare l’implicazione di altri chierici in questo affare di corruzione giudiziaria.

L’Assemblea plenaria dell’episcopato della Chiesa di Grecia si è riunito nei giorni 18 e 19 febbraio 2005 presso il monastero di Petraki, ad Atene, sotto la presidenza dell’Arcivescovo Christodoulos.

La riunione, presenti 74 degli 81 vescovi greci, era consacrata alla grave crisi ecclesiale del momento.

L’Assemblea ha preso una serie di decisioni per riformare l’amministrazione, in particolare quella materiale. Tra le decisioni prese dall’assemblea si nota un rafforzamento delle procedure di controllo finanziario della vita ecclesiale a tutti i livelli (diocesi, parrocchie, monasteri) al fine di renderle più trasparenti. E’ stato anche deciso che i posti di responsabilità nella Chiesa non potranno essere affidati a chierici con meno di 35 anni, nelle parrocchie dovranno nascere dei consigli parrocchiali, composti di chierici e di rappresentanti laici, che saranno associati alla gestione materiale della loro chiesa e delle sue istituzioni catechistiche, educative, filantropiche, sociali.

La crisi che scuote la Chiesa Greca dall’inizio dell’anno non ha finito di avere delle ripercussioni sempre più profonde in seno all’episcopato.

L’Arcivescovo Christodoulos è impegnato perché si faccia luce su una serie di fatti in cui si sono trovati coinvolti dei membri dell’episcopato in vista di una purificazione progressiva.

Lo stesso governo ha depositato in Parlamento una legge che prevede l’inventario del patrimonio di ogni membro dell’episcopato.

Una commissione composta di tre metropoliti è stata istituita per ascoltare le possibili testimonianze ed informazioni su casi di malversazione e di modalità da parte di membri della gerarchia.

Tra il giorno 11 ed il 18 maggio otto metropoliti sono stati convocati dal Santo Sinodo per essere ascoltati sulle accuse rivolte loro dalla stampa, su casi di corruzione dei magistrati, sul possesso di proprietà immobiliari o di importanti conti bancari in Svizzera, di malversazioni finanziarie o ancora sulla loro moralità. Si tratta di metropoliti Panteleimon di Attica, di Teoklitos di Thessaliotis, Dionysios di Chios, Chrysostomos di Peristerion, Chrysostomos di Zante, Panteleimon di Corinto, Nikiphořos di Didymoteichion, di Kallinikos del Pireo.

Kallinikos si è dimesso dal suo incarico, Panteleimon è stato riconosciuto colpevole di malversazioni finanziarie, Dionysios è stato trovato innocente. In difficoltà si è trovato l’Arcivescovo Christodoulos a causa di alcuni rapporti con il patriarca Ireneo I di Gerusalemme.

In questo contesto 500 personalità, universitari, scienziati, artisti, giornalisti hanno pubblicato una lettera aperta chiedendo la separazione dello Stato e della Chiesa.

Italia

Due importanti avvenimenti ecumenici hanno segnato il 26.5.2005, giornata consacrata all’unità della Chiesa al 24° Congresso Eucaristico Nazionale Italiano a bari.

Il Cardinale W. Kasper presidente del CPUC ha proposto, a lunga scadenza, 2098, un sinodo sull’unità ai Protestanti ed agli Ortodossi. Un particolare appello è stato rivolto dal cardinale ai fratelli Orientali. Egli ha poi sollevato il problema del ministero petrino del Vescovo di Roma, una delle maggiori difficoltà sul cammino dell’unità.

Gerusalemme

Una grave controversia ha coinvolto il Patriarca di Gerusalemme, Ireneo I, Primate della Chiesa Ortodosso in Israele, in Giordania, nei territori palestinesi.

Egli è stato accusato di essere stato eletto grazie ad irregolarità canoniche, di malversazioni finanziarie, di cessione di terreni di proprietà patriarcale allo stato ebraico a detrimento degli ortodossi arabi, di vendite di terreni appartenenti al patriarcato effettuate, contro gli statuti del 1958, senza aver consultato i rappresentanti del clero e del laicato della comunità ortodossa araba.

Conseguentemente 13 metropoliti su 18 del Santo Sinodo della Chiesa di Gerusalemme hanno pubblicato il 18 maggio un appello perché il Patriarca Ireneo I sia destituito.

Qui il 30 maggio sempre il Santo Sinodo ha eletto il metropolita Kornelios di Petra “locum tenens” del trono patriarcale incaricandolo di organizzare l’elezione del nuovo patriarca. Questa destituzione è stata confermata dal Re di Giordania, dall’Autorità Palestinese e da una Sinassi dei Primati delle Chiese Ortodosse riunita a Costantinopoli nei giorni 23 e 24 maggio presso il Patriarcato ecumenico.

Il Santo Sinodo del Patriarcato di Gerusalemme procederà all’elezione di un nuovo Patriarca.

Moldavia

La Metropolia di Bessarabia che ha come territorio quello dell’attuale repubblica di Moldavia e fa parte della giurisdizione del Patriarcato di Romania ha aperto un decanato in Russia. Ciò è avvenuto con il distacco di alcune parrocchie dall’obbedienza al Vescovo bizantino slavo di Cèboksary. Ricusando l’obbedienza al Vescovo di questa diocesi, accusato di tendenze paganeggianti, le quattro parrocchie si sono costituite in decanato aggregandosi alla Metropolia di Bessarabica.

Monte Athos

Una celebrazione del monastero di Esphigmenou dell’Athos è stata ricevuta dal Patriarca Ecumenico Bartolomeo I il 14.4.2005 presso la sua sede Costantinopolitana. L’incontro segue una serie di fatti incresciosi. Il Patriarca aveva emesso un decreto di esplusione dei monaci. Questi avevano presentato ricorso presso il Consiglio di Stato che però lo aveva respinto in quanto il Patriarca Ecumenico ha fin dal X secolo una piena ed intera autorità canonica e spirituale sull’Athos.

Il motivo del conflitto era l’impegno del Patriarca in campo ecumenico.

Filippine

E’ morto il 21.6.2005 il Cardinale Jaine Sin. Considerato un grande operatore di giustizia e di pace per e nel suo paese.

Romania

Il Patriarca della Romania, Teoctist, ha festeggiato il 5.2.2005 il suo novantesimo compleanno.

La Chiesa ortodossa di Romania ha commemorato nei giorni 5 e 6 marzo a Bu8carest il 120° anniversario della sua autocefalia e l’ottantesimo anniversario dell’istituzione del Patriarcato a Bucarest.

Il 3 marzo vi era stato una riunione del Santo Sinodo ed il 4 marzo la sessione annuale dell’Assemblea Ecclesiastica Nazionale, composta da tutti Vescovi e da un prete e due laici per ogni diocesi.

Numerosi sono stati i problemi presi in esame: l’impegno sociale della Chiesa in favore della protezione della famiglia e dell’infanzia, lo sviluppo dell’assistenza religiosa nelle caserme, negli ospedali, nelle carceri, la costruzione in Bucarest della basilica della “Salvezza della Nazione”, il contenzioso con Mosca sulla giurisdizione ecclesiastica in Moldavia, l’apertura della nuova diocesi di Tulcea.

La chiesa rumena sta vivendo un tempo di grande sviluppo. Ha, in patria, 23 diocesi e 6 diocesi all’estero; 13.046 parrocchie, 391 monasteri, 177 eremitaggi, 38 seminari, 15 facoltà teologiche, 12.300 preti e diaconi, 2.700 monaci, 4.800 monache, 11.000 studenti di teologia, 11.500 catechisti.

Russia

Il Sinodo generale della Chiesa Evangelica Luterana di Russia ha eletto come suo nuovo Arcivescovo il pastore Edmund Ratz, egli si è detto fortemente impegnato a rispondere all’interesse crescente che si sta manifestando in Russia per la sua chiesa.

Il pastore Samuel Kobia, segretario generale del COE ha soggiornato in Russia dal 18 al 24 giugno 2005 per migliorare le relazioni tra il COE e la Chi9esa Russa.

Nel suo incontro con il Patriarca Alessio II e con i responsabili ortodossi russi si è discusso sulla giustizia economica, sulla lotta conro la povertà e l’estremismo religioso.

Serbia Montenegro

Il Santo Sinodo ed i suo Patriarca Pavle II hanno chiesto al governo di Belgrado di intervenire energicamente contro delle recenti manifestazioni antisemite avvenute nel paese.

Svizzera

Domenica 23.1.2005 nel corso di un ufficio ecumenico nella collegiata di Saint-Ursanne le chiese membri della comunità di lavoro delle Chiese Cristiane in Svizzera hanno firmato la Carta Ecumenica che espone in 12 raccomandazioni ciò che unisce le Chiese del vecchio continente.

Dopo il successi delle edizioni del 2003 e del 2004 “Federazione delle Chiese Protestanti Svizzere”, “Pane per il Prossimo” (PPP) e il “Forum Economico Mondiale” (WEF) hanno deciso di associarsi di nuovo per organizzare l’Open Forum Davos del 2005, per incoraggiare il dialogo critico e per mettere in evidenza gli aspetti negativi della mondializzazione.

Dal 19 al 21 giugno 2005 i delegati della Federazione delle Chiese Protestanti Svizzere si sono riuniti per l’assemblea estiva. Questa federazione raggruppa 26 chiese (24 chiese riformate cantonali, la Chiesa Evangelica Metodista Svizzera, la Chiesa Evangelica libera di Ginevra) e 2.400.000 protestanti svizzeri.

Siria

I primati delle Chiese Ortodossa e Greco Cattolica di Antiochia hanno presieduto, insieme, il 4.2.2005 alla consacrazione di una chiesa dedicata ai S.S. Pietro e Paolo a Dammar alla periferia di Damasco. Si tratta di una chiesa comune per le necessità pastorali degli ortodossi e dei greco-cattolici.

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Cronaca delle Chiese

Ottobre-Dicembre 2004

(a cura di P. Franco Gioannetti)


Chiesa Cattolica

Dal 17 al 19 ottobre 2004 si è svolto a Grottaferrata (Roma) una riunione delle delegazioni del Gran Rabbinato d’Israele e della Commissione Pontificia per le Relazioni Religiose con il Giudaismo.

Essa era presieduta dal Rabbino Shar Yishuv Cohen e dal Cardinale Jorge Mejìa.

Il tema: “Una visione comune della giustizia sociale e del comportamento etico”.

Il comunicato ha detto: “Noi non siamo dei nemici ma degli alleati, ben determinati, nella proposta dei valori morali essenziali per la sopravvivenza ed il benessere dell’umanità” ed inoltre: “Gerusalemme riveste un carattere sacro per tutti i figli di Abramo”, perciò hanno richiesto a tutte le autorità di rispettare la Città Santa, “impedendo ogni azione che offenda la sensibilità delle comunità religiose che vivono a Gerusalemme”:

Relazioni Interortodosse

L’ottava sessione del dialogo tra la Chiesa Ortodossa ed il gruppo del Partito Popolare Europeo, come pure con quello dei Democratici Europei ha avuto luogo il 21 ottobre 2004 a Tessalonica (Grecia).

Il programma dell’incontro prevedeva le conferenze dei primi ministri della Grecia, Serbia e Montenegro, Croazia, del metropolita di Francia Emmanuel, rappresentante del Patriarcato Ecumenico presso l’U.E., di M. V. Martens presidente del Partito Popolare Europeo e del suo vice Van Velzen.

Nel dicembre 2004 le Service Orthodoxe de Presse ha presentato e commentato un’intervista accordata dal Metropolita Cyrille di Smolenks a Victor Loupan dell’associazione. “Ortodossia locale di tradizione russa nell’Europa Occidentale”.

Si è parlato del progetto del Patriarcato Russo di costituire una metropolia autonoma russa per l’Europa Occidentale.

Un progetto che in verità ha suscitato e suscita non poche controversie e conflitti all’interno della Chiesa Russa in Europa occidentale.

Il Consiglio dell’arcivescovado delle parrocchie ortodosse di tradizione russa in Europa occidentale (Patriarcato Ecumenico) ha diffuso, il 9 dicembre 2004, a Parigi, con la benedizione dell’Arcivescovo Gabriel, una dichiarazione in cui si dice, sei mesi dopo l’inizio del suo funzionamento nella sua composizione attuale, di condividere gli orientamenti che sono emersi al termine di questo periodo e di determinare i compiti che, di conseguenza sono più urgenti.

Vive perplessità sono state espresse riguardo alla proposta, di ritorno al Patriarcato moscovita delle Diocesi e delle Parrocchie, di tradizione russa, esistenti in Europa occidentale.

Il Consiglio ha detto di riconoscere l’importanza dell’organizzazione canonica dell’Ortodossia nei paesi dell’Europa occidentale.

Tale problema, è stato detto, va esaminato in un processo pre-conciliare panortodossa.

Chiese precalcedoniane

La settima riunione annuale dei primati delle Chiese orientali ortodosse del Medio-Oriente ha avuto luogo a Nasz City in Egitto nei giorni 20 e 21 ottobre 2004.

Il Papa Shenouda III della Chiesa Copta Ortodossa, il patriarca Ignace Zakka I della Chiesa Siro-Ortodossa, il Patriarca Catholicos Aram I della Grande Casa di Cilicia della Chiesa Armena Apostolica hanno partecipato all’incontro.

I primati hanno fatto oggetto di un accurato esame i dialoghi ecumenici. Hanno preso nota del fatto che il dialogo con la Commissione anglicana è stato sospeso in attesa della soluzione della crisi provocata dall’elezione e consacrazione del vescovo omosessuale V. Gene Robinson del New Hampshire (USA).

Hanno parlato della Commissione mista internazionale di dialogo teologico tra la Chiesa Cattolica e le Chiese Orientali e dell’inizio dei suoi lavori; ciò, hanno detto, pone ormai fine alle conversazioni informali.

Hanno auspicato un nuovo ciclo di dialogo con l’Alleanza Riformata Mondiale.

E’ stata riaffermata la loro partecipazione attiva ai lavori del Consiglio Ecumenico delle Chiese (COE) ed al Consiglio delle Chiese del Medio Oriente (CEMO):

Un nuovo rapporto è iniziato con l’ABU o Alleanza Biblica Universale.

In un clima di fraternità è stato poi preso atto dell’elezione del nuovo Patriarca della Chiesa Ortodossa di Eritrea l’Abuna Antonios I

Comunione Anglicana

La Commissione Lambeth ha pubblicato il 18 ottobre 2004 le sue conclusioni, conosciute sotto il nome di Rapporto Windsor, dopo l’inchiesta, durata un anno, sulla controversa elezione del pastore, omosessuale dichiarato, Gene Robinson a Vescovo del New Hampshire (USA) e sulla benedizione all’unione tra persone dello stesso sesso nella diocesi di New Westminster, in Canada.

Sia nell’una come nell’altra situazione la Commissione ha dichiarato che tutte le parti in causa hanno agito in modo incompatibile con il principio d’interdipendenza della Comunione Anglicana ed hanno creato una grande sofferenza ad essa.

La Commissione ha chiesto a tutti i partecipanti alla consacrazione di G. Robinson di non partecipare alle riunioni della Comunione Anglicana fino a che la Chiesa Anglicana degli USA non avrà espresso il suo dispiacere per la situazione creata. Quindi la Chiesa episcopale dovrà adottare una moratoria sulla consacrazione a vescovi di candidati omosessuali fino a che non nascerà un consenso, sul problema, all’interno della Comunione.

Alessandria

Il metropolita Theodoros dello Zimbabwe è stato eletto, il 9 ottobre 2004, di Alessandria ed è divenuto il primate della Chiesa Ortodossa d’Africa. L’intronizzazione del Patriarca ha avuto luogo il 24 ottobre alla presenza del papa copto Shenouda III, degli Arcivescovi Christodoulos di Atene ed Anastasios dell’Albania, del metropolita Josip rappresentante della Chiesa Ortodossa Rumena.

Il Patriarcato Ortodosso di Alessandria, secondo nell’ordine canonico dopo Costantinopoli conta circa 350.000 fedeli: greci, egiziani, libanesi, siriani, palestinesi, giordani ed in maggioranza africani ed inoltre 21 diocesi: Alessandria, Il Cairo, Port Said, Tauta, Memphis, Ismailia (Egitto), Triboli (Libia), Khartoum (Sudan), Addis Abeba (Etiopia), YAOUNDE’ (Camerun), Kinshasa (R.D. Congo), Nairobi (Kenia), KIampala (Uganda), Harare (Zimbabwe), Johannesburg e Il Capo (Africa del Sud), Dar-es-Salaam e Bukoba (Tanzania), Lusaka (Zambia), Accra (Ghana), Antananarivo (Madagascar), Lagos (Nigeria).

L’ortodossia ha conosciuto, negli ultimi quarant’anni un largo sviluppo in Kenia, Uganda, Tanzania, Ghana, Madagascar.

Dal 1982 esiste a Nairobi un Seminario Ortodosso di Teologia per la formazione dei sacerdoti e dei catechisti. Vi sono poi due seminari diocesani. Uno a Yaounde (Camerun) ed uno ad Alasora (Madagascar).

Germania

I presidenti delle Commissioni di negoziazione delle chiese:

  • Evangelica Luterana di Germania (VELKD)
  • Evangelica in Germania (EKD)
  • Unione delle Chiese Evangeliche in seno all’EKD (UEK)

Hanno firmato un accordo destinato a definire i futuri ruoli della VELKD e dell’UEK in seno alla EKD.

L’EKD raggruppa 23 chiese regionali, di confessione luterana, riformata ed unita e conta circa 23 milioni di membri.

La VELKD riunisce otto chiese regionali di confessione luterana-

La UEK conta tra i suoi membri le 13 chiese membri della Conferenza di Arnoldshain.

L’accordo mira ad una sempre più intensa collaborazione tra le chiese membri dell’EKD pur nel rispetto della propria individualità.

Inghilterra

Un gruppo di lavoro, su mandato della Camera dei Vescovi della Chiesa d’Inghilterra, ha pubblicato, il 2 novembre 2004, un Rapporto favorevole all’ordinazione di donna all’episcopato. Il Rapporto sarà discusso nel Sinodo Generale della Chiesa d’Inghilterra nel febbraio 2005.

Belgio

Il metropolita Panteleimon, Vescovo della diocesi del Patriarcato ecumenico in Benelux, ha festeggiato, il 28.11.2004 il cinquantesimo anniversario del suo servizio nella chiesa.

Sono intervenuti metropoliti ed arcivescovi ortodossi di Svizzera, Francia, Grecia, Belgio, del Patriarcato russo, ancora Francia ma del Patriarcato ecumenico, Serbia.

Bielorussia

Dal 10 al 12 dicembre 2004 un colloquio internazionale si è svolto a Minsk sul tema: “Il cristianesimo ed il buon vicinato dei valori spirituali nella comunità europea”.

Il colloquio è stato organizzato da:

Associazione internazionale “Centro di educazione Santi Cirillo e Metodio”. – Istituto di Dialogo religioso e Comunicazioni interconfessionali della chiesa ortodossa bielorussa

e con l’appoggio di:

  • Esarcato bielorusso della Chiesa Ortodossa russa
  • Nunziatura apostolica in Bielorussia
  • Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani
  • Pontificio Consiglio per la cultura
  • Fondazione CNEWA di New York
  • Fondazione Konrad Adenauer di Berlino
  • Renovabis di Frisinga
  • Parrocchia della Madre di Dio, Consolazione di tutti gli afflitti, di Minsk.

Il colloquio ha riunito circa cinquanta partecipanti tra i quali il Cardinale Poupard (Pont. Cons. Cultura), il Cardinale Swiatek (Arcivescovo Catt. Di Minsk), Mons. A. Dzimianka (Segretario della Conferenza dei Vescovi Cattolici bielorussi), i rappresentanti delle Chiese luterana e battista della Bielorussia, i presidenti delle comunità ebrea e musulmana del paese. Più di venti partecipati venivano dall’estero e rappresentavano istituti universitari ed iniziative di mutuo aiuto.

Bosnia – Erzegovina

Un incontro di lavoro tra i vescovi cattolici ed ortodossi della Bosnia ha avuto luogo il 4.11.2004 a Trebinje. Nel corso dell’incontro è stato deciso di diffondere un messaggio comune sul Natale.

Bulgaria

Il VI Congresso Internazionale delle Scuole di Teologia Ortodossa si è svolto a Sofia dal 6 all’11 ottobre 2004.

E’ stato organizzato dalla Facoltà di Teologia Ortodossa dell’Università San Clementei di Ohrid di Sofia con il titolo: “La teologia ortodossa ed il mondo contemporaneo”.

I quaranta partecipanti venivano da: Albania, Germania, Austria, Bielorussia, Bulgaria, USA, Finlandia, Francia, Georgia, Inghilterra, Grecia, Israele, Libano, Polonia, Romania, Russia, Serbia, Slovacchia, Svizzera, Turchia, Ucraina. Un incontro fatto di relazioni, scambi, ricerche molto fruttuose.

Quarantuno dissidenti dalla Chiesa Ortodossa bulgara hanno chiesto asilo politico alle ambasciate degli Stati Ue a Sofia.

Il 29 ottobre il Patriarca Massimo di Bulgaria, ha celebrato i suoi ottant’anni in un’atmosfera di amicizia con gli altri rappresentanti religiosi, ma anche con molti dubbi sui trascorsi politici.

Costantinopoli

La sede del Patriarcato ecumenico al Phanar è stata fatto oggetto di un attentato il 6 ottobre 2004. Non è chiara l’origine dell’attentato ma sembra sia in relazione con il possibile ingresso della Turchia nella U.E.

Proteste ufficiali sono state fatte dal governo greco, dal COE e dal KEK (organismi ecumenici).

Non è questo il primo attentato contro il Patriarcato in questi ultimi anni. Questo ci interroga sulla realtà dei diritti umani e sulla libertà di religione in Turchia.

Estonia

Organizzato da Syndesmos, federazione mondiale della gioventù ortodossa, su invito del metropolita Stephanos di Tallinn, della chiesa autonomia di Estonia (Patriarcato Ecumenico), si è tenuto un seminario sul tema: “Cristiani e cittadinanza europea”: Il seminario si è svolto nei giorni 28 ottobre- 2 novembre 2004 a Tahkarunn – Parnu. Vi hanno partecipato 30 giovani ortodossi provenienti da: Albania, Armenia, Bielorussia, Belgio, Estonia, Finlandia, Francia, Grecia, Romania. Russia, Ucraina.

USA

I vescovi cattolici degli Stati Uniti hanno deciso il 17 novembre di aderire al progetto “Christian Churches Together in the USA”.

Francia

Trecento delegati della Federazione Protestante di Francia si sono riuniti nei giorni 9-10 ottobre 2004, per impegnarsi su “Vincere la violenza”:

L’incontro annuale dell’Associazione “Ortodossi-Protestanti di Francia” si è tenuto il 17 novembre 2004 a Chatenau-Malabry.

Le due principali chiese protestanti dell’Est della Francia riunite in assemblea nei giorni 20 – 21 novembre 2004 hanno approvato la loro unione.

Georgia

In una lettera datata 20 settembre 2004 tre vescovi georgiani hanno scritto a Ilia II patriarca georgiano chiedendo una riforma della chiesa per tornare ai principi base della conciliarità ecclesiale.

Hanno anche lamentato le interferenze in Georgia del Patriarcato Russo.

In seguito il 14 dicembre 2004 l’assemblea plenaria dell’episcopato georgiano ha esaminato le relazioni tra la Chiesa e lo Stato ed il problema creato dai conflitti armati.

Grecia

L’Assemblea annuale dell’Assemblea episcopale greca si è tenuta dal 7 al 9 ottobre 2004 ad Atena nel corso della quale si è discusso in particolare, rinviandolo, su un invito di Roma all’Arcivescovo di Atene di ricevere una laurea Honoris causa.

Altro tema preso in esame è stato quello del ripristino del diaconato femminile. La proposta ha avuto esito positivo con molti limiti.

Altri temi affrontati: il dialogo teologico e la vocazione al sacerdozio.

Polonia

La Chiesa Ortodossa di Polonia ha commemorato solennemente dal 24 al 26 novembre 2004 l’ottantesimo anniversario della sua autocefalia.

Oggi essa conta 570.000 fedeli, 6 diocesi, 320 parrocchie, sette monasteri, 8 vescovi, duecentotrenta preti, un seminario teologico.

Portogallo

Dal 28 dicembre 2004 al 1° gennaio 2005 si è svolto a Lisbona il 27° incontro europeo, organizzato dalla Comunità di Taizé. L’evento ha riunito più di 40.000 persone.

Russia

La seconda riunione del Gruppo di lavoro misto cattolico-ortodosso di Russia si è svolto a Mosca nei giorni 22 – 23 settembre 2004.

Un’assemblea plenaria dei vescovi ortodossi si è svolto dal 3 al 6 ottobre 2004 presso la basilica del Salvatore a Mosca. Vi hanno partecipato 144 vescovi su 147. rappresentavano le diocesi di Russia. Ucraina, Bielorussia, Moldavia, Azerbaidjan, Repubbliche baltiche, Europa occidentale, USA, Giappone.

Tra le altre cose si è parlato dei buoni rapporti: Stato-Chiesa.

E’ stata poi fatta l’esposizione della realtà strutturale della Chiesa moderna.

Serbia Montenegro

Sotto la presidenza del Patriarca Pavle I si è riunito il Sinodo di questo chiesa.

Terra Santa

Una situazione rovente per lo spregio che i tradizionalisti ebrei mostrano verso i cristiani … vescovi, sacerdoti, laici. Una realtà a rischio.

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Le Chiese libere, una realtà in espansione
di Marino Parodi

Un capitolo di notevole importanza nel contesto del protestantesimo moderno è costituito dalle Chiese libere. Si tratta di un mondo assai variegato, complesso, estremamente fluido e a tratti sfuggente, di conseguenza non sempre facile da cogliere e da interpretare.

Cominciamo col premettere che per Chiesa libera si intende qualsiasi denominazione, associazione o comunità cristiana che corrisponda a due caratteristiche di fondo: libertà da qualunque vincolo governativo o politico nei confronti di qualunque istituzione, statale o religiosa; autonomia sul piano dottrinale e teologico. Le Chiese libere sono una realtà in continua espansione, soprattutto nell’America del Nord e nei Paesi di lingua tedesca: l’accennato carattere “fluido” del fenomeno rende praticamente impossibile qualsiasi valutazione numerica, benché approssimativa.

Per certo sappiamo che esistono nel mondo svariate migliaia di Chiese libere, nelle quali si riconoscono altrettanto svariati milioni di fedeli. Il fenomeno delle Chiese libere è tuttora in ascesa, da circa un trentennio, nelle aree geografiche appena citate, ma è ancora troppo recente per interessare il nostro Paese, nel quale normalmente le novità riconducibili alla Riforma approdano in un secondo tempo, per lo più a seguito di un certo consolidamento già raggiunto in Paesi a tradizione protestante. Ad aderire a una Chiesa libera sono sia cristiani provenienti da altre comunità, nelle quali non hanno trovato la spiritualità che cercavano, sia neofiti attratti dall’essenzialità e dall’apertura che normalmente lì si trova.

Due grandi famiglie

Schematizzando non poco, possiamo raggruppare le Chiese libere in due grandi famiglie. Il primo gruppo si può ricondurre alle Libere Chiese evangeliche, il secondo alle libere Chiese che si richiamano ai principi e alla filosofia del New Thought. Le prime, parecchie delle quali negli Stati Uniti, hanno dato vita alla federazione Libere Chiese evangeliche d’America. Sono, sul piano teologico e dottrinale, più vicine al protestantesimo tradizionale, di impostazione luterana. Ciò è abbastanza evidente da un semplice sguardo ai principi alla base della Dichiarazione di fede, sottoscritta da tutte le Chiese aderenti alla federazione. Ossia, totale fede nelle Scritture (Antico e Nuovo Testamento), in quanto parola di Dio; fede nella Trinità e in Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, nostro redentore in virtù della sua morte sulla croce e risurrezione, asceso in cielo alla destra del Padre; fede, nello Spirito Santo.

La sua presenza salvifica nella vita del fedele e della Chiesa viene particolarmente sottolineata, in particolare sul piano della rigenerazione dell’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio, caduto nel peccato, comunque assolutamente capace, proprio grazie all’azione dello Spirito, di rinascere a vita nuova. E ancora, la salvezza è attribuita all’opera redentrice compiuta una volta per tutte da Gesù Cristo; i sacramenti del battesimo e dell’eucaristia vengono conservati, ma non considerati strumenti di salvezza. Inoltre, «la vera Chiesa è costituita da tutti coloro i quali, in virtù della loro fede salvifica in Gesù Cristo, sono stati rigenerati dallo Spirito Santo e sono riuniti nel corpo di Cristo, del quale egli è il capo».

Essendo Gesù Cristo il solo Signore capo della Chiesa, a ogni Chiesa locale è riconosciuto il diritto di regolare la propria vita. Altrettanto profonda ed essenziale è l’attesa nella «imminente venuta di Nostro Signore Gesù Cristo, a livello della vita personale» del fedele come sul piano storico. Infine, segue la fede nella risurrezione della carne, nella vita eterna e nel giudizio universale.

Per quanto riguarda l’altro grande gruppo, ci troviamo di fronte a una rilettura delle Sacre Scritture che possiamo sintetizzare in base ad alcuni principi compresi come essenza di quel cristianesimo dei primi secoli che tali Chiese vogliono riscoprire. Alla base di tale rilettura vi è come si accennava, il New Thought, nuovo pensiero, scuola teologica e di pensiero e, a un tempo, libero filone protestante risalente alla prima e alla seconda metà dell’Ottocento americano, pur nella diversità dell’impostazione corrispondente alle altrettanto diverse personalità dei suoi maestri (R. W. Emerson, Mary Baker Eddy, le sorelle Brooks e altri ancora), caratterizzato dall’idea di fondo della presenza di Dio nella vita umana e delle conseguenti, enormi, possibilità create da questa.

La consapevolezza della profonda unione tra Dio e la natura umana avviene sulla base dell’intuizione spirituale e viene vista come la fonte di una radicale trasformazioni dell’esistenza a livello di salute, rapporti, lavoro. Il principio del “libero esame” delle Scritture è inoltre tenuto in gran conto. Il regno di Dio è in noi, che siamo tutt’uno con il Padre, e un’enorme importanza è attribuita all’amore del prossimo e al perdono, mentre si sottolinea la necessità di ricambiare il male col bene. La guarigione attraverso la preghiera e la mente, ossia la guarigione spirituale, costituisce un cardine irrinunciabile, così come il costante perfezionamento, cioè l’evoluzione interiore che dimostra la natura in fondo divina dell’essere umano, è visto come lo scopo dell’esistenza.

Dio viene percepito come saggezza universale, amore incondizionato, vita eterna, verità e armonia assoluta, forza suprema, pace e gioia totale, pienezza. In lui noi viviamo, ci muoviamo e abbiamo il nostro essere. Proprio in considerazione dell’unità tra natura umana e natura divina, tutte queste caratteristiche sono potenzialmente messe a disposizione dell’uomo. Di conseguenza, una certa enfasi viene posta sul fatto che il regno di Dio comincia già qua e ora. La realtà è vista come causata dai nostri pensieri e viene attribuita importanza pure alla legge di causa ed effetto. La consapevolezza della vita eterna, e quindi della nostra natura di esseri spirituali che si trovano a vivere un’esperienza in questa dimensione terrena, costituisce un altro punto-chiave.

Un universo spirituale

Di qui la sdrammatizzazione della morte, vista come approdo a uno stato di coscienza più elevato. L’intero universo è visto come una creatura spirituale, governato da leggi parimenti spirituali, al di là di ogni apparenza. Vale la pena di ricordare che alcuni di questi principi, in particolare per quanto riguarda le potenzialità della mente umana e la natura dell’universo, i quali una volta potevano sembrare stravaganti assiomi, sono stati confermati da importanti ricerche scientifiche del secolo scorso. Basterà dire che la natura fondamentalmente spirituale dell’universo, nonché il conseguente carattere “inconsistente” della materia, sono stati constatati dalla fisica quantistica, mentre la psicologia da sempre ha superato ogni dubbio circa le straordinarie potenzialità della mente: molti studiosi sono convinti che, per lo più, gli esseri umani non utilizzano che il cinque o sei per cento di tali potenzialità.

Se le Chiese libere del primo tipo sono imparentate col luteranesimo, pur attualizzato e reinterpretato con la massima libertà, quelle del secondo piuttosto con la Christian Science (cf VP 7/2006, “Salute e guarigione” pp. 84-86). La divisione non è peraltro, a livello concreto, così rigida, non solo perché, proprio in quanto “libere”, al di là dei principi di fondo del cristianesimo stesso, non vi è molto spazio per irrigidimenti dottrinali, ma anche perché le une come le altre nascono dalla stessa esigenza di fondo. Ossia quella di vivere la fede cristiana come un’esperienza spirituale capace di trasformare profondamente l’esistenza. Non a caso la guarigione, che è tematica centrale per le seconde Chiese, è tenuta in gran conto anche presso quelle più vicine al protestantesimo tradizionale.

i quali le donne fanno la parte del leone -scrivono libri di successo, per lo più dedicati a tematiche spirituali, compaiono spesso in televisione, scrivono su giornali autorevoli, tengono conferenze gremite dal pubblico, riescono insomma in vario modo a riportare il cristianesimo al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica.

Non meno interessante è poi notare il ruolo di grandi confidenti che essi assumono nei confronti dei fedeli, in un certo senso paragonabile a quello di cui godevano i nostri parroci nella cultura contadina e patriarcale, riuscendo a incarnare al tempo stesso la guida spirituale e il terapeuta, l’amico autorevole e il consulente professionale di fiducia. Non a caso, il libero protestantesimo cerca di conciliare, in linea di principio, l’attenzione alla dimensione sociale e professionale tipica della Riforma con la solidarietà caratteristica del cattolicesimo. Le Chiese libere più orientate verso il protestantesimo tradizionale dedicano largo spazio alle attività di volontariato, mentre quelle del secondo, pur non trascurando tale dimensione, dedicano maggiore attenzione alla formazione spirituale sul piano personale, sulla scia dell’insegnamento del New Thought che riconduce la guarigione, intesa nel senso più lato possibile, come superamento della sofferenza e scoperta della dimensione della gioia, alla valorizzazione delle facoltà da Dio donate all’uomo, prima fra tutte la preghiera.

La guarigione, d’altra parte, è vista non solo come soluzione del problema (di salute o di altro genere), bensì come scoperta della propria natura di origine divina - quindi orientata verso l’amore a Dio, a sé e al prossimo -, di cui la soluzione del problema è poi la logica conseguenza. Pur prive della risonanza istituzionale, le Chiese libere sono orientate in senso ecumenico e la stessa proposta di cristianesimo essenziale di cui esse si fanno portatrici viene recepita con interesse da molte comunità di più antica tradizione.

(da Vita Pastorale, 11, 2006)

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Mercoledì, 20 Dicembre 2006 01:27

Chiese e sfida della pace (Brunetto Salvarani)

IX ASSEMBLEA DEL CONSIGLIO ECUMENICO DELLE CHIESE
Chiese e sfida della pace
di Brunetto Salvarani

Tema dell’assemblea: “Dio, nella tua grazia, trasforma il mondo”. I delegati si sono pronunciati su molti temi di grande attualità: la guerra, il terrorismo e l’antiterrorismo, i diritti dell’uomo, il disarmo nucleare, la riforma dell’ONU, il rispetto reciproco tra le religioni, il dialogo. Lo strano silenzio dei mass media italiani.

E’ lunga la distanza che separa lo Zimbabwe, nell’Africa meridionale, dall’America Latina e il Brasile. Molti fili, però, nonostante l’Oceano Atlantico che le divide, collegano Harare a Porto Alegre, sedi delle ultime due assemblee generali del Consiglio Ecumenico delle Chiese (CEC) - l’VIlI e la IX - che quasi un anno fa si sono passate il testimone, a sette anni di distanza. Ora, a quasi sei decenni dalla sua fondazione avvenuta ad Amsterdam nel 1948, il CEC rappresenta una comunione di oltre 340 chiese anglicane, ortodosse e protestanti site in più di cento paesi, in rappresentanza di circa 550 milioni di cristiani. E simboleggia soprattutto la speranza tangibile di un processo unitario tanto difficile quanto necessario, nella direzione prospettata da Gesù stesso nel suo ultimo grande discorso ai discepoli nel quarto vangelo: quei discepoli invitati ad essere, nonostante tutto, una sola cosa, affinché il mondo creda.

DELOCALIZZAZIONE DEI CRISTIANI

Non è stata casuale, va sottolineato subito, la scelta di privilegiare nuovamente l’emisfero australe, quale sede per gli eventi del CEC. Sempre più evidente, infatti, appare oggi la delocalizzazione del cristianesimo, che ormai non è più eurocentrico ma sta veleggiando a rapide falcate verso il sud del pianeta, .portandosi dietro una serie di conseguenze su cui di solito non si riflette abbastanza. A proposito di tale cambio di rotta è di prassi rimandare ad un libro dello storico delle religioni Philip Jenkins, La terza chiesa (Fazi 2004), secondo cui staremmo attraversando un momento di trasformazione profonda nella storia delle religioni, un cambiamento silenzioso che il cristianesimo ha conosciuto già nel secolo scorso, col suo centro di gravità spostatosi decisamente -appunto - verso il meridione (Africa, America Latina, Asia). Si tratterebbe,. in realtà, di una tendenza destinata a farsi più visibile, e di molto, nei prossimi decenni: col cristianesimo che dovrebbe godere di un autentico boom mondiale, anche se la grande maggioranza delle comunità non sarà bianca, né europea, né euroamericana. Anzi, sulla base delle proiezioni statistiche attualmente disponibili, nel 2050 solo un quinto dei tre miliardi di cristiani (delle diverse confessioni, peraltro sempre più omologate) sarà costituito da bianchi non-ispanici: eppure, attualmente, le chiese del sud permangono pressoché invisibili agli osservatori del nord, mentre lo stesso Samuel P. Huntington, nel suo best-seller Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, che ha appunto fondato nella vulgata corrente la teoria dello “scontro fra le civiltà”, si riferisce comunemente al cristianesimo occidentale come se non potessero essercene altri. Al contrario, il fatto di considerare il cristianesimo come una realtà globale potrebbe aiutarci a leggerlo in una prospettiva radicalmente nuova, che ci lascerà stupiti anche se risulterà, verosimilmente, piuttosto scomoda: si potrebbe anzi dire che sarà come se si stesse vedendo di nuovo il cristianesimo per la prima volta.

Ecco dunque il variopinto scenario cristiano che si era dato appuntamento a Porto Alegre per il IX raduno del CEC, sotto il titolo Dio, nella tua grazia, trasforma il mondo, dal 14 al 23 febbraio. Un titolo denso, formulato in forma d’invocazione per aiutare a non dimenticare, in ogni momento, che solo il Signore può rinnovare e dare compimento al mondo, secondo la logica del suo Regno, della misericordia, dell’amore gratuito. Oltre quattromila partecipanti stipati nell’enorme università cattolica, fra delegati ufficiali (700), iscritti ai multirão (veri e propri gruppi di discussione e di scambio), ospiti, staff e steward, erano confluiti nella capitale del Rio Grande do Sul, 1.400.000 abitanti e una consolidata fama di buon governo e di sperimentazioni sociali che l’hanno condotta - negli ultimi anni - a ospitare a più riprese alcuni dei principali eventi del Forum sociale mondiale.

Le persone, convenute da ogni parte del globo, provenivano da vissuti di fede cristiana diversissimi, talora con serie difficoltà e rischi di persecuzioni. Un aspetto di novità, fra i parecchi registrati nell’occasione, è stata la presenza di una delegazione della chiesa cattolica, che pure non fa parte ufficialmente del CEC, composta di diciotto membri e guidata dal cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani. Kasper ha letto, durante la seduta inaugurale dell’Assemblea, un messaggio di Benedetto XVI che, fra l’altro, recitava: «memori della comune fede battesimale nel Dio uno e trino, la chiesa cattolica e il CEC cercano modi per cooperare sempre più efficacemente nel compito di testimoniare l’amore divino di Dio». Dopo aver ricordato i quarant’anni di collaborazione fruttuosa che legano la chiesa cattolica al CEC, papa Ratzinger concludeva assicurando la sua vicinanza spirituale e riaffermando l’intenzione a continuare una solida partnership col CEC nel suo importante contributo al movimento ecumenico. Un messaggio che lascia ben sperare i più ottimisti, che da tempo si augurano arrivi il giorno di una presenza cattolica a pieno titolo nel CEC...

CULTURA NUOVA E CONCETTI INEDITI

Molte le aspettative che l’Assemblea (che veniva dopo una lunga fase di conflittualità interna, in particolare fra le componenti protestante ed ortodossa) aveva alimentato, in una fase storica contrassegnata da un robusto - pur se controverso - protagonismo delle compagini religiose sulla scena planetaria, dopo diverse stagioni di oscuramento e di scarso rilievo pubblico. E il programma dei lavori, estremamente fitto, rappresentava un segnale evidente in quella direzione: in evidenza, soprattutto, il ruolo delle chiese di fronte alla sfida della pace, tra il perdurante conflitto in Iraq e la guerra al terrorismo; al cammino di solidarietà col continente africano; alle questioni sociali ed etiche che vedono le chiese stesse ancora su posizioni differenti; alla partecipazione, necessaria quanto problematica. delle giovani generazioni. «Spero - aveva confidato al riguardo il pastore Samuel Kobia, neosegretario generale del CEC - che questa Assemblea, la prima del XXI secolo, segni l’inizio di un’era nuova nella ricerca dell’unità dei cristiani e dia al movimento ecumenico moderno la visione di una cultura nuova e concetti inediti».

La discussione, in effetti, non è certo mancata, e tanti sono stati gli interventi, talvolta di assoluto rilievo. Fra gli altri, quello - decisamente appassionato - dell’arcivescovo anglicano Desmond Tutu, Nobel per la pace, che ha ricordato quanto abbiano contribuito le chiese aderenti al CEC alla sconfitta dell’apartheid in Sud Africa: «Oggi - ha concluso - le chiese sono chiamate a testimoniare il messaggio di liberazione di Gesù Cristo in un mondo che conosce nuovi conflitti, nuove prepotenze e nuove povertà: per questo l’unità dei cristiani non è un optional!».

Mentre il rev. Leonid Kishkovsky, della chiesa ortodossa USA, portavoce di una delegazione di personalità del suo paese che ha reso noto un documento in cui «confessa il proprio peccato per non essere riuscita a levare alta una voce profetica e insistente tale da indurre i nostri leader ad abbandonare il sentiero della guerra preventiva», ha detto: «Vogliamo si sappia che c’è una battaglia morale in corso e, in realtà, la maggioranza degli americani non appoggia la guerra».

Rowan Williams, arcivescovo di Canterbury e primate della chiesa anglicana, è dal canto suo intervenuto sul tema delle persecuzioni dei cristiani in varie aree dell’Africa e dell’Asia, ovviamente deplorandole, ma invitando anche le chiese cristiane a rinunciare tanto al trionfalismo secondo cui «esse sole possiedono la verità» quanto al relativismo per cui «ogni fede è come le altre».

Moltissimi, poi, gli intervenuti a proposito dell’urgenza assoluta di investire di più sul dialogo interreligioso, che si annuncia sin d’ora come una delle priorità di lavoro del CEC per i prossimi tempi. Mentre non è mancata la denuncia delle pesanti divisioni tuttora perduranti: come la mattina del terz’ultimo giorno, quando, come segno nella preghiera mattutina, insieme alla Bibbia è stato portato in processione un grande calice di cristallo vuoto, in seguito ricoperto con un velo di tessuto leggero che ne impediva la vista. Sacramento doloroso dell’impossibilità di partecipare assieme all’eucaristia, contraddizione tanto più lampante situandosi nel momento più rivelativo della chiesa che è appunto la celebrazione eucaristica.

LA SPIRITUALITÀ E I GIOVANI

Due prospettive innovative, in particolare, hanno caratterizzato l’appuntamento di Porto Alegre rispetto ai precedenti. La prima ha riguardato una voluta attenzione alla spiritualità («vogliamo che sia un’assemblea orante», si è raccomandato da subito il presidente Aram I), in linea del resto con gli ultimi grandi appuntamenti ecumenici, da Graz ‘97, seconda Assemblea congiunta CCEE-KEK, a Strasburgo 2001, proclamazione della Charta Oecumenica.Tale scelta ha portato a curare in modo particolare i momenti di preghiera comune, mattina e sera e i gruppi biblici di dialogo fra i delegati.

Nella testimonianza di Serena Noceti, ecclesiologa fiorentina presente in loco, significativa appare una sottolineatura sulle liturgie: «i canti-danzati con tamburi, copti ed etiopici, che contrassegnavano la preghiera del mattino ci hanno condotto alla stessa dignità di identità, con la ricchezza di una tradizione secolare che arrivava a noi in terra brasiliana. L’Assemblea era come un mondo concentrato, dove le meraviglie di culture secolari, che vengono da luoghi diversi e lontani tra loro, e di espressioni maturate nell’oggi di questa storia s’incontravano e si concentravano tutte in quel km quadrato. E soprattutto nella preghiera non c’era senso di folklore né di raccolta forzata di elementi diversi».

La seconda prospettiva è stata l’opzione di privilegiare i più giovani, per garantire futuro e novità al cammino ecumenico. Così, i giovani avevano la precedenza sugli adulti in parecchie attività (ad esempio, se c’era poco tempo per il dibattito, prima avevano la parola gli under 30 e solo dopo, eventualmente, gli altri; i giovani anche se non delegati potevano partecipare a ogni attività, e così via); svariate chiese hanno inviato delegati giovani; c’erano diversi gruppi di approfondimento e una ecumenical conversation sul tema; erano previsti due o tre giovani in tutte le commissioni (da quella sulle finanze a quella per le nomine, fino a quella sul programma futuro del CEC).

UN PUNTO DI PARTENZA

Alla trasformazione auspicata da parte di Dio è stato dedicato anche il messaggio conclusivo dell’Assemblea. approvato il 23 febbraio, con cui si invitano le chiese e il mondo a unirsi - appunto - nella preghiera per la trasformazione. Il documento, che si chiude con una lunga invocazione, mette al centro il cambiamento dei cuori attraverso la fede, facendo peraltro riferimento ai tanti interrogativi posti dal tempo odierno: «i rapporti e le decisioni dell’Assemblea - vi si legge - lanciano alle chiese e al mondo delle sfide specifiche, invitando ad agire su temi quali l’unità dei cristiani, l’appello a rinnovare il nostro impegno a metà strada del Decennio per sconfiggere la violenza (2001-2010), il discernimento delle voci profetiche e degli strumenti programmatici tesi a realizzare una giustizia economica globale, l’impegno nel dialogo interreligioso, la piena partecipazione inter-generazionale di tutti, uomini e donne». Il nuovo comitato centrale del CEC registra la presenza di 63 donne (su 150 membri in totale), e 22 under 30; sono stati eletti anche otto nuovi presidenti, uno per ogni area geografica, il cui ruolo sarà di promuovere l’ecumenismo e dare seguito al lavoro di qui effettuato nelle proprie regioni.

Tutto bene, dunque? A giudicare dallo scarsissimo rilievo di cui ha goduto l’avvenimento sui mass media italiani, varrebbe la pena di chiedersi il motivo di tale disinteresse verso temi e problemi su cui verosimilmente si giocherà buona parte del nostro futuro... Sarà possibile affermare che è andata bene, in ogni caso, solo se Porto Alegre rappresenterà un punto di partenza, e non di arrivo, per un pianeta ansimante che ha un forte bisogno di vedere realizzati progetti di pace, accoglienza, giustizia, da parte delle comunità cristiane. Di solidarietà per una sofferenza così diffusa da apparire, non di rado, invincibile. Di apertura alle ragioni dell’altro, alle sue perplessità, alle sue sensibilità diverse quanto legittime. Il cammino è lungo, difficile, faticoso: ma non impossibile se sapremo far spazio a quel Dio che, nella sua grazia, è capace di trasformare il mondo.

(da Testimoni, 2006)

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Domenica, 12 Novembre 2006 17:50

La “terza via” degli anglicani (Marino Parodi)

La “terza via” degli anglicani
di
Marino Parodi

La Chiesa anglicana gioca oggi come ieri un ruolo fondamentale nel contesto della Riforma. Nata, come dice il nome, sul suolo inglese e sin dalle origini strettamente intrecciata con la storia e la cultura di questo Paese, essa è diffusa in tutto il mondo: sulla base di stime ragionevoli, sembra che i fedeli raggiungano la quota complessiva di 75 milioni (pur tenendo conto delle grandi difficoltà, tipiche d’altra parte di tutte le Chiese tradizionali, che si incontrerebbero volendo distinguere i “praticanti” dai “non praticanti”).

In Italia sono presenti quindici comunità, per lo più formate da cittadini di origine inglese, americana, australiana, o canadese, con duemila fedeli. Per comprendere come e perché è nata la Chiesa anglicana, occorre un ripasso della storia, che inevitabilmente ci porta indietro al secolo decisivo, che segnò la nascita del protestantesimo, ossia il XVI.

Alle origini dello scisma

Enrico VIII (1491-1547), re d’Inghilterra all’epoca della Riforma, si era sempre mostrato un cattolico fervente, strenuo oppositore di Lutero, tanto da guadagnarsi da papa Leone X il prestigioso titolo di defensor fidei. A scatenare lo scisma sarà invece la pretesa, da parte del sovrano inglese, di ottenere da papa Clemente VII la dichiarazione di nullità del proprio matrimonio con Caterina d’Aragona, zia dell’imperatore di Spagna Carlo V (per sposarla era stata necessaria una dispensa papale), la quale non era riuscita a dargli figli.

Se il Pontefice rimase sempre fermo nel suo rifiuto di avallare ciò che ai suoi occhi sarebbe stato un divorzio, a questa vicenda matrimoniale si intrecciano peraltro complesse questioni politiche. Nel 1531 la Camera dei Lords proclama Enrico “Capo supremo della Chiesa e del clero d’Inghilterra”.

Siamo ormai allo scisma, consacrato dalla nomina del filo-luterano Thomas Cranmer (1489-1556) ad arcivescovo di Canterbury. Egli nel 1533 annulla il matrimonio di Enrico e Caterina per consacrare le nozze che presto seguono con Anna Bolena, dalla quale nascerà la futura regina, Elisabetta I. E’ l’Atto di Supremazia del 1534, preceduto dalla scomunica di Roma, a segnare la nascita di una nuova Chiesa nazionale. La Chiesa anglicana inizialmente si discosta ben poco da quella cattolica: soltanto dopo la morte di Enrico VIII, Cranmer - che cadrà vittima dell’effimera “restaurazione” cattolica di Maria Tudor - redige nel 1549 una nuova liturgia in lingua inglese (Prayer Book), la quale vede una seconda edizione nel 1552, maggiormente distanziata dal cattolicesimo, nonché una terza, nel 1559, per volontà di Elisabetta I (1533-1603), a quest’ultimo invece più vicina.

E’ ancora la nuova sovrana a trasformare nel 1571 i Quarantadue articoli di .fede nei Trentanove articoli di fede, risalenti al 1553: la nuova versione è più orientata verso il protestantesimo, benché in termini moderati. Sin dai suoi esordi l’anglicanesimo si presenta del resto come un compromesso tra cattolicesimo e protestantesimo, benché una certa avversione per Roma e per il Papato non sia mai mancata. Non a caso, alcuni studiosi considerano la confessione anglicana staccata dal protestantesimo, vedendovi piuttosto una “terza via” tra quest’ultimo e il cattolicesimo. E’ interessante notare come tale nuova interpretazione dell’anglicanesimo, sul piano teologico come su quello storiografico, abbia trovato riscontro nel Magistero cattolico: basti pensare alla Lettera apostolica Tertio millennio adveniente di Giovanni Paolo Il, in cui si fa riferimento ai martiri recenti, ritenuti «patrimonio comune di cattolici, ortodossi, anglicani e protestanti». Nel corso del tempo le due tendenze hanno dato vita a due movimenti detti “Chiesa alta” (più conservatrice e “cattolica”) e “Chiesa bassa” (più filo-protestante).

In concreto e schematizzando, l’anglicanesimo accoglie gli elementi essenziali del protestantesimo sul piano teologico e dottrinale (rifiuto del Papato, giustificazione per fede, riduzione dei sacramenti all’eucaristia e al battesimo, sola Scriptura ecc.), mentre si mantiene molto vicino al cattolicesimo per quanto riguarda la liturgia (la messa anglicana è assai simile alla cattolica) nonché la struttura stessa della Chiesa (sostanzialmente gerarchica, strutturata in diocesi, con vescovi e arcivescovi). Quest’ultimo punto si spiega agevolmente tenendo presente che l’anglicanesimo si trova comunque d’accordo col cattolicesimo per quanto riguarda un importante punto, rifiutato invece, salvo qualche eccezione, da tutta la Riforma: viene conservato il principio della successione apostolica. Va peraltro precisato che vi è un altro punto ancora più importante sul quale la Riforma inglese ha deciso di conformarsi al Magistero cattolico, ossia la natura dell’eucaristia.

Il “risveglio” e i problemi di oggi

Tra Settecento e Ottocento entrambe le ali videro la nascita di un movimento “evangelical”, legato alla grande corrente del “risveglio”, il quale venne a sconvolgere un po’ tutto il protestantesimo mondiale nel segno di una spiritualità più viva rispetto a una religione percepita come troppo rigida e formale, prima, nonché di un movimento “trattariano”, poi, (da una serie di opuscoli detti Tracts for the time, pubblicati dal 1833), meglio conosciuto come “movimento di Oxford”, più marcatamente filo-cattolico. Tra gli esponenti di rilievo di quest’ultimo spiccano John Henry Newman, il quale aderì nel 1845 alla Chiesa cattolica e divenne cardinale, nonché Edward Bouvene Pusey (1800-1882), il quale creò un movimento “anglo-cattolico” all’interno della Chiesa anglicana, destinato ad acquistare notevole peso sul piano culturale e sociale.

Se oggi i confini tra “Chiesa alta” e “Chiesa bassa” sono assai meno chiari e netti rispetto al passato, tuttavia la spaccatura che si è delineata nell’ultimo ventennio all’interno della Chiesa a causa di questioni spinose quali l’ordinazione sacerdotale femminile e la “questione omosessuale” ha, per forza di cose, portato esponenti anglicani su posizioni sempre più vicine a Roma, giungendo in alcuni casi alla piena adesione al cattolicesimo. E’ quanto si è verificato, ad esempio, con quei pastori anglicani passati in massa alla Chiesa cattolica, diventati a pieno titolo sacerdoti cattolici e accolti a braccia aperte da Giovanni Paolo ll, benché molti di loro fossero coniugati e con prole.

La Chiesa anglicana ha definitivamente e ufficialmente detto “sì” al sacerdozio femminile, attraverso una pronuncia solenne del suo Sinodo, nel novembre 1992. Da parte della Chiesa anglicana sarebbe stato peraltro, obiettivamente, ben difficile persistere nel rifiuto del sacerdozio femminile, giacché al suo vertice, e nemmeno per la prima volta nella sua storia (si pensi alla regina Vittoria e alla già citata Elisabetta I), si trova una donna, la regina Elisabetta. Le prime ordinazioni risalgono al marzo 1994 e ciò ha complicato notevolmente quel processo di riavvicinamento ecumenico - il che costituisce un passo avanti notevole rispetto al “dialogo”- tra Chiesa di Roma e Chiesa anglicana. Una tappa fondamentale di tale cammino fu la visita ufficiale della regina Elisabetta Il a Roma nel 1960: lo storico incontro tra lei e papa Giovanni XXIII si svolse in un clima di euforia generale e fu seguito con grande partecipazione dall’opinione pubblica mondiale.

D’altra parte le donne erano già state ammesse al sacerdozio in altre Chiese anglicane: in Australia e Sud Africa (1992), negli Stati Uniti e in Nuova Zelanda (1976), in Canada (1975),a Hong Kong (già dal 1944). Infatti fanno capo alla Chiesa madre di Canterbury ventisette Chiese nazionali autonome, che costituiscono la Comunione anglicana e ogni dieci anni, a partire dal 1867, si riuniscono nelle Conferenze di Lambeth. Contrariamente a quanto accade in tanti altri Paesi del globo, dove gode di ottima salute ed è in continua crescita, la Chiesa anglicana soffre nel suo Paese d’origine di una certa crisi, che non si può ridurre ai pur ben noti problemi dell’ordinazione femminile e dell’omosessualità.

Di tale crisi è un sintomo evidente il passaggio alla Chiesa cattolica di vari personaggi pubblici, già profondamente legati a quella anglicana, quali il primo ministro Tony Blair e lady Frances Fermoy, madre della principessa Diana. Il problema principale consiste forse nello stretto legame tra Chiesa e potere politico che, come abbiamo visto, risale alle sue stesse origini: se la tensione tra dimensione temporale e sfera spirituale può forse considerarsi una spina nel fianco per vasti settori della cristianità, ivi comprese la Chiesa di Roma, tante confessioni nate dalla Riforma e l’Ortodossia, nel caso inglese la situazione si presenta particolarmente complessa. Infatti oltre Manica alla Chiesa è venuta a mancare quella “purificazione” dal potere che nel caso di Roma è derivata dalla fine del governo del “Papa-Re” e, in quello della Russia, dalla persecuzione e dai martiri inflitti dal comunismo.

Al di fuori della Gran Bretagna, la Chiesa anglicana più influente è quella degli Stati Uniti, riorganizzatasi nel 1783, dopo la Rivoluzione americana, con il nuovo nome di Chiesa protestante episcopale. Pure negli Stati Uniti le due vexatae quaestiones del sacerdozio femminile e dell’omosessualità hanno provocato negli anni vari scismi di stampo “tradizionalista”. La comunità episcopaliana occupa tuttora posizioni importanti nella cultura, nella politica e nell’economia degli Stati Uniti, al di là del numero non troppo alto dei suoi membri (circa due milioni e mezzo).

Una ricca tradizione di spiritualità

La Chiesa anglicana è da sempre vitalissima in ogni campo: come abbiamo accennato, sul piano teologico; sul fronte dell’ecumenismo (cui ha aderito con decisione sin dai suoi esordi e i rapporti con la Chiesa di Roma stanno tornando al livello eccellente di un tempo), a livello pastorale (il clero, severamente selezionato soprattutto per quanto riguarda le motivazioni, viene preparato attraverso un rigoroso iter di studi universitari nonché un impegnativo tirocinio mentre le iniziative per la formazione dei fedeli sono numerosissime), nel mondo della solidarietà e del volontariato (in particolare nei Paesi del Terzo Mondo) e sul piano propriamente spirituale. La Chiesa anglicana è infatti sempre stata assai ricca di spiritualità e si è sempre contraddistinta per la libertà che oggi come ieri lascia ai propri fedeli, privilegiando nettamente la via personale rispetto al dogma. Non a caso nel suo seno si è sviluppata sin dalle sue origini una mistica assai fiorente, agevolata sia dalla natura inglese, tendenzialmente riservata e portata alla riflessione -inglese è anche Giuliana di Norwich, una delle maggiori mistiche di tutti i tempi, vissuta molto prima della Riforma -, sia dal fatto che la Chiesa anglicana, grazie alla tradizione platonica conservata sin dal Rinascimento, possiede un terreno di accoglienza del tutto naturale, molto autentico e originale, per tutto quanto riguarda la contemplazione dei misteri cristiani.

Pensiamo soltanto al caso di Richard Hooker, considerato il teologo più rappresentativo dell’anglicanesimo: persino nella sua importante opera in cinque volumi, The Laws of Ecclesiastical Polity, teoricamente dedicata a tematiche non direttamente spirituali, è facile scoprire il soffio possente che anima tutta la teologia. avvicinandola ai confini della vita mistica. Mettendo in luce temi tanto cari alla spiritualità anglicana, approfondisce la preghiera la quale «accende nell’anima il desiderio di contemplare Dio» e apre la porta all’ascolto della parola divina. La preghiera, così collocata nel mistero della partecipazione del fedele a Cristo, diventa «offerta presentata dagli angeli davanti a Dio», nonché «affezione luminosa di gioia».

Una spiritualità così forte come quella anglicana non poteva restare indifferente alla grande riscoperta dei carismi portata nel secolo scorso in tutta la cristianità dalla corrente pentecostale, di cui le esperienze come il Rinnovamento nello Spirito Santo possono considerarsi l’espressione cattolica. Un po’ tutti i carismi - in particolare quello della guarigione -sono tenuti in grande considerazione da parte della Chiesa anglicana, nella quale si celebrano con grande frequenza messe di “guarigione e di liberazione.


CAPO DELLA CHIESA D’INGHILTERRA

Il sovrano del Regno Unito è il capo della Chiesa d’Inghilterra, non però della Comunione anglicana, sulla quale egli non ha invece alcuna autorità. Tale funzione è nel corso del tempo diventata sostanzialmente formale, tant’è vero che Elisabetta II - la quale ha compiuto ottant’anni e regna dal 1952 - non ha particolare voce in capitolo neppure sulla scelta dell’arcivescovo di Canterbury, nominato sì dalla sovrana ma scelto dal Primo ministro. L’arcivescovo di Canterbury, è primate di tutta l’Inghilterra, metropolita, leader della Comunione anglicana. nonché capo effettivo della Chiesa.

Tuttavia la forte personalità della sovrana, con l’innegabile carisma che ne consegue -prova ne siano l’affetto e l’ammirazione di cui Elisabetta Il gode, come può constatare chiunque conosca anche soltanto un poco il popolo inglese -hanno senz’altro contribuito, lungo l’intero arco del suo lunghissimo regno, a mantenere vivo nell’opinione pubblica il senso di appartenenza alla storia e alla tradizione anglicana. Anzi, è assai probabile che tale fattore abbia giocato un ruolo significativo nella tenuta della Chiesa di fronte alla crisi di cui si accenna nell’articolo.

Elisabetta non ha mai fatto mistero del proprio “filocattolicesimo”, palesato sia da rapporti di amicizia e di collaborazione significativa con esponenti di spicco della Chiesa cattolica - è il caso di Madre Teresa, la cui missione è sempre stata massicciamente sostenuta dalla famiglia reale inglese tutta, nonché di Giovanni Paolo Il, con il quale i rapporti furono sempre eccellenti - sia da gesti pubblici clamorosi, quali la storica visita ufficiale a Giovanni XXIII nel 1960, nonché l’invito, prontamente accolto, rivolto al primate cattolico Cormac Murhpy O’Connor, a predicare nel corso della funzione religiosa ufficiale tenutasi nel 2002, in occasione dei cinquant’anni di regno della sovrana.

Elisabetta Il, devotissima anche sul piano personale, ha in particolare incoraggiato l’impegno ecumenico, la formazione spirituale e la dimensione sociale da parte della Chiesa di cui è capo.

(da Vita Pastorale, Aprile 2006)

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