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Le Chiese Ortodosse e l'ecumenismo
(dalla presentazione di Enzo Bianchi)

La fede e la storia delle Chiese d’Oriente, la visione ortodossa della liturgia, teologia, vita monastica e spiritualità, iconografia, religione popolare, missione, politica e scisma tra oriente e occidente nel libro di John Binns, apprezzato studioso anglicano.

E’ infatti uscito recentemente un libro interessante: “Le Chiese Ortodosse”, opera di John Binns, parroco anglicano di una Chiesa dell’Università di Cambridge.

Un libro che aiuta il lettore occidentale a conoscere l’oriente cristiano.

Di seguito alcuni stralci della presentazione del priore della Comunità di Bose.

Questo libro offre uno strumento prezioso per comprendere la vita di fede e la storia delle Chiese Ortodosse fino ai nostri giorni: un percorso di conoscenza sulle Chiese cristiane d’Oriente, che introduce in realtà al loro modo di sentire e conoscere il mistero di Cristo. Il lettore ritroverà così nella filigrana di queste pagine quella “spiritualità tornata alle fonti, cioè rientrata e riorientata sul mistero centrale Pasquale e parusiaco” che già Evdokimov riteneva il solo “ritorno efficace per la grande causa dell’unità cristiana”…

La grande intuizione dell’Oriente cristiano, espressa dall’adagio di Atanasio “ Dio si è fatto un uomo perché l’uomo divenga Dio”, è anche la mappa ideale che orienta gli itinerari qui suggeriti. Dio si è fatto un uomo, e continua a venire incontro all’uomo nella liturgia celebrata dalla Chiesa, una liturgia che presuppone e mostra la fede, trovando la sua verità nel sacramento del fratello. È un Dio che assume un umano, secondo l’insegnamento di Gregorio di Nazianzo, il “Teologo”, ed è perciò raffigurabile nella forma umana assunta dal Verbo: la bellezza del volto di Cristo narra nell’icona la trasfigurazione di tutto il creato. Ma “solo lo Spirito Santo può farci entrare nelle realismo del mistero“, rendendo la resurrezione di Cristo un evento operante nella nostra vita: è questa la théosis, la divinizzazione dell’uomo, che in Oriente segna radicalmente il monachesimo, ma al tempo stesso permea tutti gli aspetti della pietà e della missione della Chiesa. Siamo qui al cuore di quel “ricchissimo patrimonio liturgico e spirituale degli orientali…. di somma importanza per la fedele custodia dell’integra tradizione cristiana” che il Concilio Vaticano II invitava a riscoprire, riconoscendo le Chiese d’Oriente quali autentiche e Chiese sorelle della Chiesa di Roma, con la quale condividono una sostanziale comunione nella fede, nella prassi sacramentale e nella successione apostolica…..

Noi dobbiamo essere grati a all’Oriente Ortodosso, che ha saputo custodire con più lucidità e forza dell’Occidente alcuni elementi essenziali della vita cristiana: l’unità dell’iniziazione cristiana ( battesimo-cresima-eucaristia) anche nella prassi sacramentale; l’unità plurale del monachesimo, quale presenza di semplici cristiani nella Chiesa che tengono desta l’attesa della venuta del signore; la sinodalità, come cammino fatto insieme con ruoli e funzioni diversi, nella comune obbedienza a una parola rivelata, l’evangelo; infine, quello che con le parole delle metropolita del Monte Libano, Georges Khodr, potremmo definire “il mistero della diversità, della pluralità e dell’autentica dimensione di Chiesa locale, che continuano a manifestarsi nelle mondo ortodosso nonostante tutte le sue debolezze”.

Credo però che più in profondità, per la Chiesa cattolica, l’importanza dell’esistenza delle Chiese ortodosse sia l’importanza dell’esistenza dell’altro. Senza la distanza dell’alterità non c’è spazio per l’unità nell’amore, ma solo per l’assorbimento, per la fusione. Solo tra diversi la comunione fraterna ha senso, ha sapore, manifesta la libertà dei figli di Dio suscitata dallo Spirito Santo, che custodisce la diversità senza discriminazioni, crea l’unità senza uniformare.

Quello che era rimasto offuscato da un millennio di estraniamento reciproco, e che il cammino ecumenico ha reso manifesto, è che l’unità presuppone la pluralità: essa non è mai senza l’altro, mai senza l’altro fratello, mai senza l’altra Chiesa, mai senza il riconoscimento dello statuto teologico dell’altro… si tratta di imparare che il bene grande dell’incontro e della comunione può richiedere la rinuncia a ricchezze non essenziali, l’a scesi di discernere e scegliere sempre l’essenziale.

La riscoperta di ciò che unisce è stato anche il metodo che ha orientato il dialogo teologico ufficiale tra Chiesa cattolica e Chiese ortodosse e dopo il Concilio, un dialogo il cui fine resta quello del ristabilimento della piena comunione. Se con le Chiese ortodosse calcedonesi si è registrata un’importante e non ininterrotta convergenza verso un consenso cristologico che supera la divisione intervenuta al Concilio di Calcedonia (451), il dialogo tra cattolici e ortodossi calcedonesi, dopo aver prodotto fondamentali documenti sul mistero della Chiesa e dell’Eucaristia alla luce delle mistero della Santa Trinità (Monaco di Baviera 1982), su Fede sacramenti e unità della Chiesa (Bari 1987) e sul Sacramento dell’ordine nella struttura sacramentale della Chiesa (Valamo 1988), s’è interrotto in modo doloroso all’inizio degli anni ’90. La comune e riscoperta della Chiesa come mistero di comunione, di “koinonia insieme ministeriale e pneumatica”, in cui trova il giusto equilibrio la dimensione trinitaria, senza scissione tra Spirito e Figlio, avrebbe dovuto aprire la riflessione sul nodo ecumenico essenziale: il rapporto tra comunione di Chiese e il ministero del vescovo di Roma. Che questo sia il punto decisivo, senza il quale non vi sarà possibilità di comunione vera e visibile nella fede, era convinzione profonda di Giovanni Paolo II, che nell’enciclica Ut unum sint ha invitato le altre Chiese cristiane a una ricerca condivisa sul modo di esercizio del papato; lo stesso Benedetto XVI, all’indomani della sua elezione, ha confermato in questo senso il proprio “impegno primario” per la “ ricostituzione della piena e visibile unità di tutti seguaci di Cristo”. Ma la sessione in programma a Monaco nel 1990, conseguenze ecclesiologiche e canoniche della struttura sacramentale della Chiesa: conciliarità e autorità nella Chiesa, non si è mai tenuta.

Il crollo del comunismo e la ritrovata libertà delle Chiese orientali in comunione con Roma ha riaperto una situazione conflittuale con le Chiese ortodosse (in Ucraina più di mille edifici di culto sono stati sottratti alla Chiesa ortodossa e restituiti ai greco cattolici, cui appartenevano prima della liquidazione della loro Chiesa da parte di Stalin nel 1946), e un altro calendario si è imposto ai lavori della commissione mista (…).

Gli ultimi capitoli del libro di Binns ci aiutano a comprendere qualcosa del malessere, della sofferenza non rappacificata che spingono le Chiese ortodosse –ormai presenza visibile e autorevole nelle diverse società - a mostrarsi sempre meno disponibili all’impegno ecumenico. Uscite da settant’anni di cattività comunista, o ancora minoritarie in paesi a maggioranza islamica, queste Chiese non sono a noi “contemporanee”, vivono una stagione che non è la nostra occidentale: con grande ritardo, spesso ancora prive di mezzi adeguati sul piano teologico, pastorale, missionario, devono affrontare la modernità, la quale pone seri problemi, solleva interrogativi, rivisita con la sua critica radicale tutto ciò che appartiene al vecchio mondo. Anche per questo risulta loro difficile scorgere nel progetto di evangelizzazione delle Chiese di occidente nei loro territori un aiuto e un insegnamento.

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Mercoledì, 24 Maggio 2006 02:28

Ecumenismo spirituale (Gianfranco Brunelli)

Ecumenismo spirituale
di Gianfranco Brunelli


Il movimento ecumenico vive oggi una condizione di rapida trasformazione. Luci e ombre si bilanciano. Accanto ai dialoghi teologici e a una ricezione maggiormente condivisa, il movimento ecumenico ha bisogno di una nuova motivazione fondata sullo Spirito, cioè di una rinnovata spiritualità dell'ecumenismo.

È questo il giudizio che il card. w. Kasper, presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani, ha espresso aprendo l'Assemblea plenaria (Roma, 2-5.11.2003; Regno-doc. 21,2003,653). L'assemblea biennale del Pontificio consiglio è l'occasione di verifiche e di nuovi progetti (cf. Regno-att. 4,2001,127; 4,2002, 132). Allo svolgimento dei lavori concentrati sul tema della spiritualità di comunione, il card. Kasper ha affiancato anche un suo importante intervento dottrinale sul «carattere teologicamente vincolante» del decreto conciliare sull' ecumenismo Unitatis redintegratio (cf. Regno-doc. 21,2003,649 ss), conferendo sempre più al suo dicastero quel ruolo anche dottrinale che il concilio Vaticano II intese dargli.

Nel suo messaggio (3 novembre 2004), Giovanni Paolo II ha riconosciuto, nel quadro degli importanti risultati conseguiti, le presenti difficoltà e ha ribadito l'irreversibilità della scelta ecumenica: «Certamente, la via ecumenica non è una via facile. A mano a mano che progrediamo, gli ostacoli sono più facilmente individuati e la loro difficoltà è più lucidamente avvertita. Lo stesso traguardo dichiarato dei vari dialoghi teologici, in cui la Chiesa cattolica è impegnata con le altre Chiese e comunità ecclesiali, sembra in certi casi farsi persino più problematico. La prospettiva della piena comunione visibile può a volte ingenerare fenomeni e reazioni dolorose in chi vuole accelerare a tutti i costi il processo, o in chi si scoraggia per il lungo cammino ancora da percorrere. Noi tuttavia, alla scuola dell'ecumenismo, stiamo imparando a vivere con umile fiducia questo periodo intermedio, nella consapevolezza che esso resta comunque un periodo di non ritorno. Vogliamo superare insieme contrasti e difficoltà, vogliamo insieme riconoscere inadempienze e ritardi nei confronti dell'unità, vogliamo ristabilire il desiderio della riconciliazione là dove esso sembra minacciato da diffidenze e sospetti. Tutto questo può essere fatto, all'interno della stessa Chiesa cattolica e nella sua azione ecumenica, soltanto partendo dalla convinzione che non vi è altra scelta, poiché "il movimento a favore dell'unità dei cristiani non è soltanto una qualche 'appendice', che si aggiunge all'attività tradizionale della Chiesa. Al contrario, esso appartiene organicamente alla sua vita e alla sua azione" (Ut unum sint, n. 20; EV 14/2703)».

Aporie e nuove questioni

La crescita di consapevolezza ecumenica, tradotta nelle diverse Chiese - come hanno dimostrato i rapporti presentati per l'occasione sulla pratica spirituale comune tra le conferenze episcopali e i singoli organismi di dialogo e la diffusione nelle Chiese locali della settimana di preghiera per l'unità - indica un progressivo approfondimento e un'ampia condivisione a livello di popolo di Dio. La voce comune dei cristiani ha anche conosciuto nel corso del 2003 un'inattesa espressione in occasione della crisi irachena sui temi della pace e del diritto internazionale, con una inedita adesione al magistero del papa su questo punto.

Accanto alla crescita del movimento ecumenico si sono sviluppate anche tendenze di segno opposto, tali da suscitare nuove divisioni in seno alle Chiese: «Se da una parte si perviene a vincere gli antichi contrasti... dall'altra insorgono nuove divergenze, per la maggior parte dei casi in materia etica come I' aborto, il divorzio, l'eutanasia, l'omosessualità. Analogamente i problemi etnici, sociali e politici hanno spesso l'effetto di causare divisioni». Le tensioni tra le Chiese ortodosse autocefale, le nuove divisioni all'interno della Comunione anglicana, il proliferare di sette provenienti dalle comunità di tradizione riformata, le resistenze esistenti nella Chiesa cattolica nuocciono al dialogo.

Accanto a queste difficoltà di lunga durata, Kasper annota anche tre nuovi rischi: una pratica sempre più diffusa di «ecumenismo selvaggio»,frutto di superficialità, indifferenza, impazienza; la tentazione a un'impraticabile ripiegamento di tipo confessionale; infine, il proliferare delle sette con il loro «esclusivismo fanatico della salvezza». In questa situazione il rapporto tra teologia ecumenica e missionologia ha bisogno di essere ripensato. Sul piano delle relazioni con le chiese ortodosse, Kasper annota il cambiamento di clima nei rapporti con la Chiesa ortodossa in Grecia, Bulgaria e Serbia, mentre rimangono «intense e cordiali» le relazioni con il Patriarcato ecumenico. Con la Chiesa ortodossa russa i rapporti non sono peggiorati rispetto al 2001. Le questioni polemiche aperte sono le stesse esplose dopo il 1989: uniatismo, proselitismo, identificazione tra fede, cultura e nazione, libertà religiosa; mentre i problemi teologici circa la comprensione della Chiesa (autocefalia, territorio canonico, comprensione del termine Chiese sorelle) hanno mostrato nuovi approfondimenti e nuove difficoltà. Kasper auspica che tra Roma e Mosca si stabilisca una sorta di «codice di comportamento» e una collaborazione più stretta sui temi internazionali (Europa, Medio Oriente, pace).

Nell'insieme delle comunità ecclesiali occidentali le relazioni segnano passi significativi nel processo di ricezione della Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione (1999), mentre nuove difficoltà sono sorte dopo la pubblicazione da parte cattolica della dichiarazione Dominus Iesus (2000) e dell'enciclica Ecclesia de eucharistia(2003). Le polemiche sul Kirchentag di Berlino (giugno 2003) hanno confermato le difficoltà.

I rapporti con la Comunione anglicana segnano un passaggio di grande difficoltà: emergenza di nuovi problemi in ambito etico e frammentazione interna alla stessa Comunione anglicana.

Il problema fondamentale con le comunità ecclesiali di tradizione riformata è quello di una diversa ecclesiologia che «conduce a diverse concezioni dello scopo ecumenico al quale si tende».Fino a quando non si saranno risolte le questioni ecclesiologiche è difficile immaginare passi ecumenici significativi. «Lo scopo ecumenico, dal punto di vista cattolico - ricorda Kasper - è la comunione piena e visibile nella fede, nei sacramenti e nel ministero gerarchico. Questa comunione, come mostra tra l'altro l'esempio delle Chiese orientali, considera una ricchezza la pluralità delle forme d'espressione delle diverse Chiese locali, a condizione che esse non comportino divergenze sostanziali. Da ciò si discosta il modello d'unità proposto dalla Concordia di Leuenberg (1973)».

Secondo tale modello, le Chiese confessionali adottano una forma di comunione ecclesiale che presuppone un consenso di principio circa la comprensione del Vangelo, pur lasciando sussistere professioni di fede diverse, Separate dal punto di vista confessionale e istituzionale, le Chiese sono in comunione per il pulpito e la santa cena, e riconoscono i rispettivi ministeri. In una diversa comprensione della comunione ecclesiale si motiva il no della Chiesa cattolica all'intercomunione.

Per Kasper è questa aporia che oggi condiziona il dialogo e che deve essere superata.

Spiritualità e modello trinitario

Da questa diversità è partita anche la riflessione di mons. Kurt Koch, vescovo di Basilea, a cui è stata affidata la relazione principale, intitolata: «Riscoperta dell' anima di ogni ecumenismo (Unitatis redintegratio, n. 8). Necessità e prospettive di un ecumenismo spirituale» (Regno-doc. 21,2003, 658).

Per Koch «chiarire la comprensione della Chiesa e dell'unità è oggi il principale punto alI'ordine del giorno ecumenico»; in secondo luogo «la ricerca di una comprensione della natura della Chiesa difendibile dal punto di vista ecumenico deve essere perseguita come un processo spirituale». A ciò corrisponde in primo luogo «il compito spirituale permanente, suscettibile di distinguere tra ciò che è divino nella Chiesa e ciò a cui essa può rinunciare... Come per la spiritualità cristiana nella quale la distinzione degli spiriti è centrale, così deve essere per la spiritualità dell' ecumenismo».

Accanto alla preghiera come sorgente e al dono dello Spirito, Koch ha indicato il modello trinitario dell'unità: «L'unità ecclesiale ed ecumenica è (...) fondata sulla comunione trinitaria (...). La Chiesa può essere un' icona della Trinità soltanto se essa concepisce la sua unità, anche in una prospettiva ecumenica, non come uniformità e certamente neppure come pluralismo disarticolato, ma - al di là del modalismo e del triteismo - come un'unità nella diversità e come diversità nell'unità. L'obiettivo del movimento ecumenico è e resta I'unità visibile, ma non come Chiesa unitaria».

La spiritualità ecumenica della comunione è a doppio senso di marcia. Nessuna Chiesa è così povera da non poter dare un suo contributo peculiare e nessuna Chiesa è così ricca da non avere bisogno di essere arricchita dai carismi di altre Chiese.

L'ecumenismo riposa ancora oggi sul reciproco riconoscimento del battesimo. Esso invita a una pedagogia della santità, ha ricordato Koch richiamando Martin Lutero, che ha qualificato il battesimo del cristiano come «il suo abito di tutti i giorni che egli deve sempre indossare». «Per questo motivo, se vivi in pienezza, entri nel battesimo, che non significa soltanto vita nuova, ma che agisce, inizia, incita».

Non si tratta dunque della conversione degli altri, ma della propria conversione, la quale presuppone la disposizione interiore a riconoscere in modo autocritico le proprie debolezze e mancanze. Entro tale atteggiamento di principio, suggerisce Koch, è bene misurare i passi che ciascuno può e potendo deve fare.

È sulla scorta di quest'ultima affermazione che va inteso anche il testo che il card. Kasper ha consegnato a L'Osservatore romano il 9 novembre, anticipando e aprendo la celebrazione del 40° del decreto conciliare Unitatis redintegratio (Regno-doc. 21,2003,649).

Nel testo di Kasper è chiara la volontà di segnare una ripresa forte da parte cattolica dello spirito conciliare, definito spirito ecumenico. Riproponendo la troppo trascurata tesi che il decreto sull' ecumenismo vada interpretato assieme alla costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium e questa con quello, Kasper addita il compito di un approfondimento della ecclesiologia di comunione nella Chiesa cattolica. «Nella mutata situazione ecumenica - dice Kasper - noi abbiamo ogni motivo per far sì che Unitatis redintegratio sviluppi la sua vitalità tanto nella teologia quanto nella prassi».

(da Il Regno, 22, 2004)


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Mercoledì, 17 Maggio 2006 02:18

Due ecclesiologie a confronto (Mauro Pizzighini)

Due ecclesiologie a confronto
di Mauro Pizzighini


Oggi tutti i teologi ortodossi, insieme a quelli cattolici, affermano che la chiesa è il corpo di Cristo, intendendo con quest’ espressione «la realizzazione del disegno di Dio di “ricapitolare in Cristo tutte le cose”». Ad esempio, il teologo ortodosso Florovskij afferma che «la teologia della chiesa non è altro che un capitolo, e un capitolo di importanza capitale, della cristologia. E senza questo capitolo la stessa cristologia non sarebbe completa».

Questa è una delle affermazioni principali contenute nel volume che il teologo cappuccino, attuale arcivescovo di Corfù-Zante-Cefalonia e vicario apostolico di Tessalonica, Y. Spiteris ha pubblicato recentemente, mettendo a confronto sia alcune concezioni teologiche di fondo sia alcuni temi specifici, come il primato petrino e l'ecclesiologia ortodossa con quella cattolica. Nel 1992 lo stesso autore aveva scritto La teologia ortodossa neo-greca (EDB, Bologna) insistendo sul contesto storico che aveva condizionato da secoli la vitalità dell’ortodossia greca.

A detta di Spiteris, «il legame con il monachesimo del monte Athos e la peculiare vicinanza strutturale con il patriarca di Costantinopoli hanno qualificato da secoli la chiesa ortodossa greca quanto al ruolo di rappresentanza legittima e privilegiata dell’ortodossia».

Nel volume, l’arcivescovo di Corfù ci fa conoscere le linee sulle quali si muove oggi la riflessione dei teologi greci, quanto all’ecclesiologia. Il tema risulta assai “nuovo” per i teologi ortodossi, da sempre abituati a trattare di Dio, della vita trinitaria, dell’ azione dello Spirito Santo, della divinizzazione e trasfigurazione del cosmo e dell’uomo: Spiteris “scopre” e “disvela” la teologia “sulla chiesa" nella riflessione dei teologi greci di oggi, in un contesto di narrazione storica. Di fatto sono pochi i teologi greci che offrono contributi al rinnovamento dell’ecclesiologia: vengono citati in particolare Nissiotis, Matsoukas e soprattutto Zizioulas, qualificato come un “teologo ortodosso dialogante".

I criteri di ecclesialità

In questo saggio teologico, la novità di particolare interesse è la seconda parte, quella relativa all’esame dei criteri di ecclesialità, così come vengono enunciati e argomentati nelle due tradizioni. Una breve introduzione richiama i tre principi che sottostanno al tema sulla chiesa, sia nella prospettiva russo-slava (Spiteris guarda a questa teologia – afferma il teologo Sartori nell’introduzione al volume – «solo come a uno specchio che aiuta a misurare la "novità” concessa alla grande tradizione ortodossa del pensiero greco»), sia in quella greca: la dimensione trinitaria, quella cristologica e quella pneumatologica.

La seconda parte è la più decisiva s e indica le due principali linee di tendenza specifiche dell’ecclesiologia greca moderna: quella che si radica maggiormente nella Tradizione e contempla la forma "protologica” di chiesa (la “chiesa preesistente") secondo tappe di esistenza "storica" (dalla chiesa degli angeli, a quella dell’ Eden, a quella del Verbo incarnato); la seconda, la più nuova e promettente, che fissa invece l'icona della chiesa nella dimensione “escatologica", proponendo una chiesa che deve ‘svolgersi" nella storia e perciò deve affrontare i problemi della sua organizzazione, in particolare la sua “struttura sinodale" e i suoi ministeri.

Spiteris sottolinea che oggi si dà per scontato che tutte le chiese siano convinte dell’esistenza di una certa "unità fondamentale", derivante dal possedere almeno lo stesso battesimo, che introduce il cristiano nel corpo ecclesiale. Sembrerebbe acquisito nella chiesa occidentale che tale unità esista specialmente con le “chiese sorelle” dell'oriente, mentre invece uno dei motivi della crisi dell’ecumenismo, secondo Spiteris, sta proprio nel fatto che ancora non sia chiarito questo punto fondamentale. Il primo e indispensabile presupposto affinché si possa parlare di dialogo tra la chiesa cattolica e quella ortodossa sta proprio nel grado di ecclesialità che una confessione riconosce all’altra. Si tratta a questo proposito di rispondere ad alcune domande: che cosa rappresenta per la chiesa cattolica la chiesa ortodossa, e viceversa? I fedeli dell'altra chiesa sono in realtà e a pieno titolo cristiani? I sacramenti amministrati nell' altra chiesa sono validi? Quali sono i criteri di appartenenza alla chiesa nelle due tradizioni?

In Oriente l'appartenenza alla vera chiesa ha sempre avuto un aspetto giuridico e un aspetto teologico. In genere il primo scaturiva dal secondo, sebbene nella prassi i due aspetti non siano andati sempre d'accordo. Si deve notare che la maggior parte dei teologi ortodossi attuali di lingua greca sostiene che solo i sacramenti della chiesa ortodossa siano validi. Essi – scrive Spiteris – fanno coincidere in modo “rigidamente” esclusivo i confini della chiesa ‘una” e “santa” con quelli della chiesa visibile e canonica ortodossa. Il criterio di ecclesialità, per i teologi greci, rimane sempre quello della “piena conformità alla fede”: il canone della fede sono i primi sette concili ecumenici, mentre qualsiasi aggiunta o diminuzione a quanto da essi definito è considerata “eresia”, e quindi la chiesa che professa tale “eresia" non possiede sacramenti validi. Tuttavia, sebbene i sacramenti degli eretici e degli scismatici siano di per sé invalidi, secondo le situazioni, le singole chiese possono, "per economia (= disegno di salvezza)”, non ripetere il battesimo in caso di conversione.

Di fronte a questo fatto si constata una diversità di comportamenti nelle varie chiese e anche nella stessa chiesa ortodossa, tant’ è vero che l’applicazione e l'interpretazione dell’ economia hanno spesso occupato teologi, canonisti e storici greci. Si sa che le chiese ortodosse non possiedono un organo di magistero ordinario che le rappresenti tutte e, di conseguenza, esse si rifanno ai primi sette concili ecumenici, alla tradizione, ai padri, ai sinodi locali e ai cosiddetti “libri simbolici”, quelli cioè che contengono le varie dichiarazioni di fede di diverse provenienze.

Cosa dice il Vaticano II?

In Occidente, il criterio di ecclesialità che scaturisce dal Vaticano II si può così descrivere in sintesi: la chiesa di Cristo è una e unica, ad essa sono pienamente incorporati i fedeli cattolici perché possiedono tutti quegli elementi che costituiscono la chiesa come è stata voluta da Cristo. I non cattolici sono più o meno in comunione con la chiesa una e unica a seconda degli elementi ecclesiali da essi posseduti. Questi elementi danno oggettività storica alla chiesa una e santa, sono la ricchezza concreta della chiesa. Indispensabili e centrali sono la fede in Gesù Cristo e il battesimo. Quando poi esiste la successione apostolica e l’eucaristia – com'è il caso degli ortodossi – allora l'ecclesialità, a livello locale, diventa più visibile e vera. L'eucaristia, infatti, costituisce la chiesa come sacramento. Tuttavia queste chiese sono tali non indipendentemente, ma solo in quanto sono in "comunione”, anche se parziale, con l'una sancta nella quale sussiste la chiesa cattolica.

Dov’è la chiesa di Cristo?

Quindi i criteri di ecclesialità suscitano ancora interrogativi, in quanto ogni chiesa, specialmente la chiesa cattolica e quella ortodossa, è convinta di incarnare nella sua totalità l’una e unica chiesa. Il problema ecumenico non risolto è dunque sempre il medesimo, dice Spiteris: come è possibile che esista contemporaneamente la chiesa universale “una” e “unica” nella chiesa cattolica romana e nelle altre comunità «non in pie-na comunione con essa»? Secondo il card. Ratzinger, la differenza tra est e subsistit sta nel fatto che est riguarda solo la coscienza della chiesa cattolica romana di essere la "vera” chiesa di Cristo, mentre il subsistit ha valore ecumenico aprendosi anche verso le altre confessioni cristiane nelle quali riconosce l’esistenza di elementi di ecclesialità appartenenti alla vera chiesa di Cristo.

Dunque il problema oggi è il rapporto tra la chiesa universale e le chiese particolari, soprattutto quelle non cattoliche. Qui non si tratta della salvezza escatologica (“Dio nella sua liberalità e nella sua misericordia può trovare i mezzi per salvare tutti gli uomini”), ma si tratta della salvezza intesa come ‘comunione con Dio’ espressa esistenzialmente col fare parte di una comunità com'è stata voluta da Gesù Cristo. Le varie confessioni cristiane non sono sempre d’accordo nel determinare cosa fa sì che «si aggiungano alla comunità quelli che sono salvati», dal momento che intanto ciascuno crede che la sua comunità sia quella che salva.

Sarebbe auspicabile – afferma Spiteris – che, in questa non reciprocità tra chiesa cattolica e chiesa ortodossa, gli ortodossi potessero almeno ripetere le parole del loro teologo P. Evdokimov (1901-1970): «I non ortodossi, per la loro stessa denominazione, non sono più nella chiesa ortodossa, ma è la chiesa, al di sopra del loro distacco, che continua a essere presente e ad agire in presenza della fede e della retta intenzione della salvezza. Noi sappiamo dov’è la chiesa, ma non è dato di portare il giudizio e di dire dove la chiesa non è».

L'interesse della quarta parte del volume sta nella ripresa storica degli “scontri” decisivi dei secoli che hanno sancito la divisione tra le due chiese, scontri anche teologici ma sempre più di tipo "politico”, perché toccano il ruolo del papato. L’autore del volume in questa parte non chiama più in causa teologi attuali, ma ritorna indietro nel tempo ai momenti in cui si sono formati e sono cresciuti i contrasti che oggi pregiudicano, in negativo, l’eventuale dibattito sul papato. Emerge una precomprensione della chiesa ortodossa contro il papato molto rigida: verrebbe da pensare che sia più facile dialogare con i protestanti che non con i fratelli ortodossi. Comunque si deve tener conto che qui si tratta dell’ortodossia greca, che di fatto è più legata al passato e più conservatrice delle altre.

Spiteris conclude quest’ultima parte affermando che si tratta del confronto tra due “universalismi”. Nella prospettiva ecumenica occorre essere consapevoli che «l’ideologia non può essere teologia e molto meno annuncio di salvezza». Noi cattolici siamo chiamati a distinguere il “servizio di Pietro” dal “papato” caricato da ideologie medioevali utili per quell’epoca, mentre ai fratelli ortodossi si potrebbe chiedere: non è forse giunto il momento di rivedere la loro posizione sul papato, liberandola dall’ideologia politico-imperiale che aveva spinto i loro antenati a rinnegarlo? Direbbe Congar: «Dov’è oggi il potere del “basileus”?».

(da Settimana, 1, 2004, p. 12)


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La natura e lo scopo del dialogo
Gruppo misto di lavoro cattolici-CEC




Introduzione

Dialogo: un dono alle Chiese

1. La nascita nel XX secolo del movimento ecumenico contemporaneo ha assistito al sorgere parallelo di una «cultura del dialogo». I presupposti filosofici, culturali e teologici di una tale cultura, che hanno portato a nuove modalità di relazione tra comunità e società, vennero elaborati nella prima metà del secolo. Tuttavia è sorta anche una contro-cultura, alimentata dal fondamentalismo, sono emerse nuove forme di vulnerabilità e nuove realtà politiche come la fine della Guerra fredda, i popoli sono venuti a contatto con concezioni e finalità molto differenti, e vi è stato l’impatto della globalizzazione che ha condotto a una crescente consapevolezza delle identità etniche e nazionali. Ciò si è ulteriormente manifestato nella destabilizzazione di istituzioni e sistemi di valori e nella messa in discussione dell’autorità. Il dialogo è divenuto una conditio sine qua non per le Chiese e le culture nazionali. Per le Chiese cristiane il dialogo è un imperativo che nasce dal Vangelo e per tale motivo è una risposta alla sfida di quanti vorrebbero adottare posizioni esclusiviste.

2. Questo documento segnala l’importanza della cultura del dialogo nelle Chiese, offre una riflessione teologica sulla natura del dialogo e suggerisce una spiritualità che possa guidare i cristiani e le loro comunità nel reciproco avvicinamento. Grazie a un’esperienza intrapresa fin dal 1967, esso costituisce un tentativo d’incoraggiare le Chiese a proseguire nel dialogo ecumenico con impegno e perseveranza.

3. Il Gruppo misto di lavoro (GML) tra la Chiesa cattolica romana e il Consiglio ecumenico delle Chiese (CEC) si è costituito nel 1965. Ha iniziato il proprio lavoro con una riflessione sulla natura del dialogo. Nel 1967 ha pubblicato un rapporto dal titolo Dialogo ecumenico, che da allora in poi è stato un riferimento utile. Per il GML, che si accingeva a iniziare il proprio mandato, l’esperienza dei dialoghi multilaterali di Fede e costituzione che datavano dal 1927 e dei negoziati per l’unione delle Chiese, come quelli nell’India del Sud, costituivano la prospettiva di riferimento. L’anno 1967 non fu l’inizio dei dialoghi ecumenici ma, grazie all’attiva partecipazione della Chiesa cattolica romana in seguito al concilio Vaticano II, essi si rafforzarono e si estesero. Divennero in fretta uno strumento chiave del progresso ecumenico.

4. Sono trascorsi quasi quarant’anni. Il GML presenta un nuovo documento di studio su La natura e lo scopo del dialogo ecumenico. Si sono tenuti dialoghi organizzati a livello locale, nazionale e internazionale che hanno coinvolto tutte le più importanti Chiese e comunità confessionali. Sono stati raggiunti esiti sostanziali, gli organismi che vi hanno preso parte hanno chiarito le posizioni, è emerso il consenso riguardo a importanti argomenti su cui si era divisi e sono stati identificati quegli ostacoli all’unità che tuttora permangono. Nel frattempo è mutato il contesto del dialogo, è continuata la riflessione su di esso ed è cresciuta l’urgenza di ricercare l’unità visibile attraverso un dialogo onesto e costante alla ricerca della verità nell’amore.

5. Dal 1967 le relazioni tra le diverse Chiese, le comunità cristiane nel mondo e le famiglie cristiane sono cresciute e si sono sviluppate come risultato del dialogo; quest’ultimo ha incoraggiato le Chiese alla comprensione reciproca ed è stato utile a eliminare gli stereotipi, a distruggere le barriere storiche e a promuovere nuovi e più positivi rapporti. Tra gli esempi possibili: – la dichiarazione congiunta di papa Paolo VI e del patriarca ecumenico Atenagora I nel 1965 che tolse dalla memoria e dal vissuto della Chiesa le sentenze di reciproca scomunica pronunciate nel 1054; – l’accordo cristologico tra la Chiesa cattolica romana e la Chiesa assira d’Oriente nel 1994; – la Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione firmata nel 1999 dalla Federazione luterana mondiale e dalla Chiesa cattolica, nella quale è stabilito che le condanne delle reciproche visioni sulla giustificazione pronunciate durante il periodo della Riforma nelle confessioni luterane e nel concilio di Trento non sono applicabili oggi, per quel tanto che concernono la comprensione della dottrina espressa nella dichiarazione congiunta. Queste sono tappe significative lungo il percorso verso il riconoscimento reciproco, la comunione e l’unità visibile della Chiesa.

6. I risultati dei dialoghi internazionali hanno favorito nuovi rapporti tra Chiese. Il documento di Fede e costituzione Battesimo, eucaristia, ministero (BEM, 1982) e i dialoghi bilaterali hanno contribuito a gettare le basi per gli accordi di Meissen, Porvoo e Chiamati a una missione comune tra anglicani e luterani in varie parti del mondo. L’accordo bilaterale tra le Chiese ortodossa e ortodossa orientale ha facilitato la riconciliazione tra queste famiglie ecclesiali. Il dialogo teologico della Commissione internazionale anglicana - cattolica romana (ARCIC) ha condotto all’insediamento di una nuova commissione che favorisse la crescita nella comunione tra queste Chiese, attraverso la recezione degli accordi e lo sviluppo di strategie che rafforzassero la compartecipazione (Commissione internazionale anglicana - cattolica romana per l’unità e la missione - IARCCUM).

7. I dialoghi hanno anche contribuito alla sfida di modificare gli atteggiamenti di comunità che vivevano situazioni di tensione.

8. Le prospettive nate dai dialoghi hanno portato Chiese diverse al rinnovamento e al cambiamento della propria vita, del proprio insegnamento e dei modelli di culto. Per esempio il BEM ha incoraggiato celebrazioni più frequenti del sacramento della cena del Signore in alcune comunità e ha influenzato la revisione della loro stessa liturgia.

9. Dal 1967 è emersa chiaramente una cultura di dialogo presso varie Chiese che influenza ogni aspetto della vita cristiana. Ciò è evidente nei progetti di collaborazione quando membri di comunità differenti cercano di affrontare le necessità di quanti nel nostro mondo sono emarginati. Lo si è anche notato nella varietà di gruppi di discussione che coinvolgono membri di comunità diverse. È un atteggiamento di apertura verso le altre comunità e i loro membri.
10. Sua santità papa Giovanni Paolo II ha definito questa cultura «dialogo di conversione» dove, insieme, singoli cristiani e comunità cercano il perdono delle colpe contro l’unità e vivono nello spazio in cui Cristo, sorgente dell’unità della Chiesa, può effettivamente agire, nella pienezza dello Spirito (cf. Giovanni Paolo II, lett. enc. Ut unum sint, 25.5.1995, nn. 34.35). Mentre l’atteggiamento dialogante deve essere manifesto in ogni aspetto della vita cristiana, l’impegno nei dialoghi internazionali e bilaterali è una forma di dialogo molto specifica.

Due approcci al dialogo

11. Dopo il 1967 si sono evidenziati due distinti approcci a questa specifica forma di dialogo ecumenico, che hanno caratteristiche specifiche e affrontano aspetti diversi, ma collegati, della ricerca di una piena comunione.

12. I dialoghi bilaterali tra i rappresentanti ufficiali di due comunioni cristiane mondiali o famiglie di Chiese tentano di superare le difficoltà storiche esistenti tra loro. Viene prestata attenzione alla storia e ai testi classici che definiscono quelle comunità, ai problemi aperti del passato e del presente che hanno inibito i rapporti reciproci e ostacolano il cammino verso la comunione. Normalmente tali dialoghi evidenziano quanto c’è di comune, chiariscono le diversità, cercano soluzioni e incoraggiano la collaborazione dove è possibile.

13. I dialoghi multilaterali operano in uno scenario più ampio, con rappresentanti ufficiali di Chiese che tentano di attingere alla sapienza di tutte le tradizioni cristiane per indagare su un problema teologico. Ciò ha reso possibile fare distinzioni sui problemi sui quali i cristiani sono stati divisi (per esempio tra episkope ed episcopato), in virtù del fatto che i dialoghi bilaterali offrono nuovi approcci alle difficoltà storiche. I cristiani hanno tenuto bene presente che i dialoghi multilaterali e bilaterali hanno luogo nel contesto della missione della Chiesa e che, in quanto tali, sono a servizio dell’unità della Chiesa «perché il mondo creda…» (Gv 17,21). Il dialogo multilaterale ha anche posto l’accento sul fatto che vi sono fattori non dottrinali importanti per comprendere le divisioni dottrinali; tali divisioni si sono verificate per molteplici ragioni – politiche, culturali, sociali, economiche e razziali come pure dottrinali – e c’è bisogno che anche questi fattori siano affrontati nei processi di riconciliazione e di guarigione delle memorie.

14. Sia i dialoghi bilaterali sia quelli multilaterali sono essenziali per il processo dialogico. Nel migliore dei casi vi è un’interazione continua tra essi nella quale ognuno attinge alle prospettive raggiunte dall’altro. Ogni dialogo sarà soggetto al contesto storico e culturale che influenza i rapporti tra comunità differenti.

Dialogo e nuovo contesto

15. Mentre le Chiese hanno abbracciato una cultura del dialogo ed è possibile segnalare un certo numero di risultati derivati dall’impegno in dialoghi ecumenici ufficiali, nei trentasei anni trascorsi dalla pubblicazione di Dialogo ecumenico sono emersi nuovi fattori che caratterizzano un nuovo contesto all’interno del quale hanno luogo questi dialoghi.

16. Mentre il dialogo ha portato a un’accresciuta sensibilità e a un impegno ecumenico nelle tradizioni ecclesiali, si è sviluppata anche una rinnovata forma di fedeltà all’identità confessionale, che potrebbe portare a confessionalismi esclusivisti. Si è inoltre verificata una certa riluttanza a porre in atto quei cambiamenti richiesti dai risultati del dialogo. A volte ciò è stato causato dalla difficoltà di ottenere un consenso più ampio all’interno delle varie Chiese. Le difficoltà nella recezione hanno anche condotto alla divisione all’interno delle confessioni, dal momento che è sempre più chiaro che nessuna Chiesa o tradizione confessionale è un’entità omogenea. In alcuni casi la recezione è stata resa più difficile dal fatto che sono emerse divisioni all’interno di alcune Chiese e tra di esse su temi culturali ed etici – quasi mai dovute a questioni inerenti i dialoghi stessi. Per alcune Chiese i problemi affrontati nei dialoghi internazionali bilaterali e multilaterali sono percepiti come lontani dai propri interessi esistenziali. Dopo oltre trent’anni di dialogo teologico e nonostante i significativi accordi raggiunti in questo periodo non tutti i problemi che era necessario affrontare per arrivare all’unità tra le Chiese sono stati risolti. Il processo di riconciliazione è stato lento. Per qualcuno, e per diverse ragioni, ciò ha messo in dubbio la validità di portare avanti tali dialoghi teologici.

17. Eppure è evidente in ogni parte del mondo che il Vangelo di riconciliazione non può essere credibilmente proclamato da Chiese non riconciliate tra di loro. Le Chiese divise sono una contro-testimonianza del Vangelo.

18. Che cosa possiamo imparare dall’esperienza del dialogo circa la natura del dialogo ecumenico stesso? Il nuovo contesto suggerisce la necessità di un riesame del dialogo ecumenico, riprendendo le prospettive di Dialogo ecumenico del 1967, riflettendo sugli oltre tre decenni di attività di dialogo multilaterale e bilaterale e prendendo in considerazione le sfide che sono emerse.


La natura e lo scopo del dialogo ecumenico

Per una descrizione del dialogo ecumenico

19. Il dialogo ecumenico viene perseguito come risposta alla preghiera di nostro Signore per i suoi discepoli che «siano una cosa sola, perché il mondo creda» (Gv 17,21). È essenziale conversare, parlarsi e ascoltarsi tra partner. Ciascuno parla a partire dal proprio contesto e dalla propria prospettiva ecclesiale. Il linguaggio dialogico cerca di comunicare tale esperienza e prospettiva all’altro e di ricevere la stessa cosa dall’altro al fine di entrare nell’esperienza dell’altro e vedere il mondo, per così dire, coi suoi occhi. Lo scopo del dialogo è che ciascuno comprenda profondamente il partner. Comprendersi, ascoltarsi e parlarsi reciprocamente nell’amore sono esperienze di tipo spirituale.

20. Il dialogo implica camminare con l’altro; il pellegrinaggio è una buona metafora del dialogo. Esso rappresenta una parola – né la prima né l’ultima – di un viaggio comune, segna un momento tra il «già» delle nostre storie passate e il «non ancora» del nostro futuro. Esso è immagine della conversazione tra i discepoli sulla strada per Emmaus, dove si narra la meraviglia suscitata dal Signore durante il viaggio, culminata nel riconoscimento del Signore nell’atto di spezzare il pane mentre si condivideva la mensa.

21. Il dialogo è qualcosa di più di uno scambio di idee. È uno «scambio reciproco di doni». È un processo attraverso il quale noi cerchiamo insieme di andare al di là delle divisioni chiarendo le passate incomprensioni grazie a studi storici o superando gli ostacoli attraverso la scoperta di nuovi linguaggi e categorie. Di più: esso comporta l’essere recettivi all’ethos dell’altro e a quegli aspetti della tradizione cristiana mantenuti nell’eredità altrui. Le diverse tradizioni della Chiesa hanno spesso dato la preferenza ad alcuni testi biblici e tradizioni piuttosto che ad altri. Nel processo di dialogo siamo invitati a riappropriarcene e quindi a dare testimonianza alla ricchezza del Vangelo nella sua integrità.

22. Un importante fulcro del dialogo è la reciproca esplorazione del significato della fede apostolica. Contemporaneamente i dialoghi vengono condotti nel contesto della fede vissuta nelle comunità di tempi e luoghi particolari; per questo essi riflettono sempre un’esperienza legata a un contesto. Essi non fanno solo fulcro sui sistemi o sulle formulazioni dei credo ma anche sul modo in cui questi vengono vissuti dalle comunità coinvolte nel dialogo. Ciò è vero particolarmente rispetto ai dialoghi nazionali. Anche nel dialogo internazionale il contesto è un elemento essenziale, tuttavia in questo caso uno specifico contesto locale non può prevalere ed è presa in considerazione la completa, spesso complessa, autocomprensione di una comunione cristiana mondiale.

23. Inoltre vi è un’ulteriore differenza riguardo al contesto. Essa deriva dai modi molto diversi in cui le comunioni cristiane mondiali comprendono il rapporto tra espressioni locali e universali della Chiesa. Ciò, a sua volta, ha una ricaduta sull’impatto dell’esperienza legata a un contesto rispetto all’insieme. Così, per molti, l’autorità suprema (e quindi la questione dell’indipendenza di un livello rispetto all’altro) si trova in ogni Chiesa membro di una comunione mondiale (per esempio nelle Chiese derivate dalla Riforma). Per altri invece (ad esempio la Chiesa cattolica) i vincoli di comunione di natura teologica, canonica e spirituale governano i rapporti tra le Chiese particolari e la Chiesa universale. La vera comprensione di una Chiesa particolare o locale coinvolge il suo essere in comunione con ogni altra Chiesa locale e con la Chiesa di Roma. Così esiste una continua, reciproca influenza tra espressioni particolari ed espressioni universali della Chiesa. Mentre le espressioni particolari e universali della Chiesa sono interdipendenti, la priorità viene data all’unità dell’insieme.

24. Il dialogo si rivolge alle divisioni del passato, esaminandole attraverso lo studio, cercando di stabilire che cosa i rappresentanti del dialogo stesso possono dire oggi e insieme sulla fede. Il dialogo tenta di cogliere il carattere evangelico della fede, della vita e del culto attuale del partner. Per questo il dialogo ha un carattere descrittivo.

Fondamenti teologici del dialogo

25. Il dialogo ecumenico riflette per analogia la vita intima del Dio uno e trino e la rivelazione del suo amore. Il Padre comunica se stesso attraverso la sua Parola, il Figlio che, a sua volta, risponde al Padre nella potenza dello Spirito: una comunione di vita. Nella pienezza dei tempi Dio parlò a noi attraverso il Figlio (cf. Eb 1,1-2); la parola di Dio si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi (cf. Gv 1,14).

26. Lo scambio tra Padre e Figlio nella potenza dello Spirito stabilisce la reciproca interdipendenza delle tre persone nel Dio uno e trino. Nell’autocomunicazione di Dio al suo popolo, Dio ci invita ad accogliere la sua Parola e a rispondere nell’amore. Così, attraverso una partecipazione all’azione di grazia di Dio e attraverso l’imperativo dell’obbedienza cristiana, entriamo nella comunione con Dio che è comunione: Padre, Figlio e Spirito Santo. Imitando tale modello dialogico tra il parlare e l’ascoltare, tra il rivelare noi stessi e il ricevere l’altro, noi abbandoniamo l’illusione dell’autosufficienza e dell’isolamento ed entriamo in un rapporto di comunione.

27. La natura stessa dell’esistenza umana mette in rilievo il fatto che non viviamo né esistiamo gli uni senza gli altri. «Noi non solo c’incontriamo, ma siamo incontro. L’altro non è il limite del mio io; l’altro è parte e arricchimento della mia stessa esistenza. Dunque il dialogo appartiene alla realtà dell’esistenza umana. L’identità è dialogica» (card. Walter Kasper).

Presupposti del dialogo

28. Il dialogo ecumenico presuppone il nostro comune essere incorporati a Cristo mediante la fede e il battesimo e l’azione dello Spirito Santo e che ci riconosciamo scambievolmente come comunità di fede che cercano unità in Cristo (cf. il documento del GML Implicazioni ecclesiologiche ed ecumeniche del battesimo comune, 2004). Nel dialogo ecumenico non ci incontriamo come stranieri ma come coinquilini della dimora di Dio, come cristiani che, attraverso la comunione col Dio uno e trino, fanno già esperienza «di una certa comunione, seppure imperfetta» (Unitatis redintegratio, n. 3; EV 1/503).

29. Dunque il dialogo ecumenico presuppone impegno nella preghiera. Esso assume la forma della croce, con l’intersecarsi tra la nostra relazione «verticale» con Dio e la nostra scambievole comunione «orizzontale». In ciò noi imitiamo anche l’auto-donazione e la vulnerabilità di Cristo. Passiamo dall’essere assorbiti e interessati solo a noi stessi a fare esperienza dell’altro, accettando la vulnerabilità di permettere agli altri di conoscerci e di permettere a noi stessi di vedere il modello cristiano di vita, testimonianza e culto dell’altro attraverso i suoi occhi. Tale scambio reciproco ci consente di fare esperienza di una fusione di orizzonti, di diventare capaci di guarire le nostre divisioni, di rafforzare la testimonianza comune e d’impegnarci nella missione condivisa di far progredire il regno di Dio.

Scopo del dialogo ecumenico

30. Lo scopo del dialogo ecumenico, come espresso dalla dichiarazione di Canberra L’unità della Chiesa come koinonia: dono e vocazione, è quello del movimento ecumenico stesso: «L’unità della Chiesa a cui siamo chiamati è una koinonia donata ed espressa: nella comune confessione della fede apostolica; in una comune vita sacramentale a cui abbiamo accesso per l’unico battesimo e celebrata insieme nell’unica comunione eucaristica; in una vita comune nella quale membri e ministri sono reciprocamente riconosciuti e riconciliati e in una comune missione che testimonia a tutti il Vangelo della grazia di Dio e si pone al servizio di tutto il creato. Lo scopo della ricerca della piena comunione sarà raggiunto quando tutte le Chiese potranno riconoscere pienamente l’una nell’altra la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica. Tale piena comunione si esprimerà a livello locale e universale attraverso forme conciliari di vita e di azione. In tale comunione le Chiese si ritrovano unite in ogni aspetto della loro vita comune a tutti i livelli, confessando l’unica fede, nel culto e nella testimonianza, nelle decisioni e nelle azioni» (n. 2.1).

31. Il dialogo conduce non solo ad accordi dottrinali, ma anche al risanamento delle memorie attraverso il pentimento e il perdono reciproco. Può anche essere una strada per esplorare quelle attività che possiamo intraprendere insieme, per fare insieme tutto ciò che non siamo costretti a fare separatamente, come auspicato nella dichiarazione della conferenza di Fede e costituzione di Lund nel 1952.

Principi del dialogo

32. L’unità cristiana è un dono dello Spirito Santo, non un merito umano. Il dialogo prepara al dono, prega per esso e lo celebra una volta ricevuto.

33. Il dialogo ecumenico è ecclesiale: i partecipanti giungono come rappresentanti delle proprie tradizioni ecclesiali, cercano di rappresentare la propria tradizione esplorando i misteri divini insieme ai rappresentanti di altre tradizioni (cf. Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, Direttorio per l’applicazione dei principi e norme sull’ecumenismo, 1993, n. 176).

34. Il dialogo presuppone l’uguaglianza dei partecipanti, come partner che operano insieme per l’unità cristiana. Ciò manifesta l’esistenza di una reciprocità, così che non ci si aspetta che i partner adottino le «nostre» strutture per il dialogo (cf. Ut unum sint, n. 27).

35. Man mano che il dialogo avanza è importante essere consapevoli della «gerarchia delle verità», dove non tutto viene presentato allo stesso livello di prossimità con le dottrine essenziali della fede cristiana (cf. Direttorio, n. 176).

36. Le formulazioni dottrinali della fede sono condizionate culturalmente e storicamente. Un’unica e identica fede può venir espressa con linguaggi diversi in momenti diversi, riflettendo nuove prospettive e sviluppi organici. La consapevolezza di ciò ha dato prova di essere un’esperienza liberatoria nei dialoghi ed è servita a creare possibilità di sviluppo di nuove comprensioni e relazioni. Il processo di discernimento di un consenso nella fede deve tener conto di approcci differenti, sottolineature e linguaggi che rispettino la diversità e i limiti alla diversità in e tra chi dialoga.



La spiritualità e la pratica del dialogo ecumenico


Spiritualità

37. Dal momento che la stessa vita cristiana è dialogica (cf. supra,nn. 23-24) il dialogo ecumenico è un modo di essere, di vivere la vita cristiana. Sebbene abbia caratteristiche precise, esso presuppone una larga spiritualità di apertura all’altro alla luce dell’imperativo dell’unità cristiana, governata dallo Spirito Santo. Il dialogo è un processo di discernimento e come tale richiede pazienza, poiché il progresso ecumenico può essere lento. Occorre umiltà per essere disponibili a ricevere la verità dall’altro. È necessario anche l’impegno nell’amore per cercare insieme di manifestare quell’unità voluta da nostro Signore. Perciò possiamo inserire le considerazioni che seguiranno nell’ambito della spiritualità del dialogo.
Spiritualità per comunità che dialogano

38. Le comunità coinvolte nel dialogo s’impegnano a condividere un percorso. Anche se viene portato avanti da poche persone per ciascuna parte, il dialogo ha lo scopo di assistere le comunioni coinvolte affinché avanzino un gradino dopo l’altro verso l’unità, adoperandosi affinché ogni esponente comprenda, per quanto possibile, in che modo la vita e la testimonianza dell’altro possono essere vantaggiose per tutti. Se si trascura questo aspetto del dialogo i risultati sembreranno lontani dall’esperienza della Chiesa, e forse non saranno accolti nella sua vita e non trasformeranno i rapporti. Inoltre quando questo aspetto del dialogo viene sottovalutato lo stesso impegno ecumenico diventa una scusa per conservare lo status quo ante. Dunque il dialogo ecumenico comporta nuovi obblighi spirituali non solo per i singoli partecipanti, ma anche per le comunità nel loro complesso.

39. La volontà di cambiare attraverso il dialogo richiede di vedere l’altro in modo differente, di mutare i nostri parametri di ragionamento, di linguaggio e di azione nei suoi confronti. Dato che l’unità dei cristiani si realizza attraverso la forza di Dio, non con la nostra, il dialogo è anche un processo di conversione, di discernimento, di attenzione alle sollecitazioni di Dio. Ci apre al giudizio e al rinnovamento. Perciò nel cercare di aprirci a rapporti trasformati e riconciliati esploriamo processi di guarigione e perdono.

40. Il dialogo coi cristiani dai quali siamo separati richiede che noi esaminiamo in che modo la nostra identità è stata formata in opposizione all’altro, per esempio in quale modo abbiamo identificato noi stessi con quanto non siamo. Il superamento di costruzioni identitarie di stampo polemico richiede un rinnovato sforzo al fine d’articolare l’identità secondo modalità più positive, distinguendo tra identità confessionale intesa come segno di fedeltà al proprio credo, e confessionalismo inteso come ideologia costruita in opposizione all’altro. Ciò implica una preparazione sia spirituale sia teologica al dialogo ecumenico. Con la comprensione delle offese reciproche e dando e ricevendo il perdono ci allontaniamo dalla paura reciproca per portare i pesi gli uni degli altri, essendo chiamati a soffrire insieme. L’impegno nel dialogo richiede, quantomeno, una revisione del modo in cui la nostra Chiesa educa i propri membri riguardo ai partner del dialogo.

41. La preparazione al dialogo richiede il recupero delle risorse teologiche per lo sviluppo e il perfezionamento della dottrina all’interno della propria tradizione. Ciò esige la buona volontà di lasciarci interpellare dagli altri e lasciare che essi c’insegnino qualcosa. Quando l’incontro si fa più profondo sentiamo la nostra vita coinvolta nella riflessione teologica della tradizione del partner, e i pensieri e le parole dell’altro come fossero nostri.

42. Il nostro comune impegno verso l’unità cristiana richiede non soltanto di pregare gli uni per gli altri ma di condurre una vita di preghiera comune.

Prassi

43. Ogni dialogo è unico e deve tener conto dei fattori che caratterizzano determinati partner, in un dato dialogo, in uno specifico momento. A tale proposito i seguenti punti possono essere importanti.
Profilo del partner che dialoga

44. Il profilo dei partner influenzerà necessariamente la prassi di ogni dialogo. Per concordare gli scopi e i metodi del dialogo, sia bilaterale sia multilaterale, è cruciale comprendere chi sia il partner, quale sia l’origine delle divisioni, e/o in che modo tali comunità cristiane si siano relazionate tra loro in passato.

45. Ogni partner ha una comprensione particolare della storia delle divisioni. Uno dei due o entrambi possono essere portatori di memorie dolorose per essere stati vittime di sopraffazioni messe in atto da esponenti dell’altra comunità in dialogo. Possono esservi asimmetrie considerevoli tra partner (per esempio di consistenza numerica, di autocomprensione ecclesiale, di titolarità a parlare a nome della comunità ecclesiale più ampia, di condizioni di maggioranza o minoranza). Il dialogo deve tenere conto di queste asimmetrie e ogni partner deve comprendere l’approccio dell’altro. Molti partner in dialogo sono impegnati anche in altri dialoghi, bilaterali e multilaterali. I dialoghi dovrebbero interagire e influenzarsi vicendevolmente.

Temi e argomenti nell’agenda del dialogo

46. Il dialogo che mira all’unità cristiana richiede, sulle questioni che non dividono, qualcosa di più di una semplice cooperazione. Riconduciamo al dialogo ecumenico tutto quanto cade fuori del principio di Lund che chiede: «Le nostre Chiese non dovrebbero agire insieme in tutte le materie tranne quelle in cui profonde differenze di convinzione le costringono ad agire separatamente?» (EO 6/1720). Dove la coscienza ha, finora, proibito l’unità noi ci impegniamo nel dialogo proprio per chiarire e superare queste profonde differenze di convinzione passate e presenti.

47. Gli argomenti del dialogo sono tratti a partire dai rapporti passati e presenti intercorsi tra i partner. Nell’identificare i temi da affrontare potremmo chiederci: «Dove, nelle nostre relazioni come partner in dialogo, è in gioco il Vangelo? Che cosa impedisce il pieno riconoscimento reciproco?». Il contesto influenzerà la scelta degli argomenti su cui dialogare; tuttavia questi saranno tanto più rilevanti se compresi all’interno dello spettro più ampio delle divisioni cristiane storiche.

48. La scelta dei temi dovrebbe ispirarsi alla storia. Sebbene ogni generazione debba riappropriarsi di quanto avvenuto prima, non dovremmo dimenticare che stiamo contribuendo a un percorso iniziato prima di noi e che continuerà dopo di noi.

49. I temi possono comprendere non solo formulazioni dottrinali, ma anche modi di fare teologia e di utilizzare le fonti della fede. Le metodologie stesse possono divenire il soggetto del dialogo. La scelta dei punti di partenza richiede discernimento di ciò che è maturo per la discussione. Può essere importante cominciare esaminando quanto unisce i partner; gli interrogativi che più dividono potrebbero venire accantonati finché un’esperienza condivisa di fiducia renda possibile affrontarli. Ma il dialogo tra Chiese divise non può rimandare all’infinito un esame dei problemi cruciali connessi alla loro divisione.

50. I dialoghi maturati attraverso accordi di vasta portata su aree conflittuali possono alimentare un ulteriore impegno costruttivo riguardo a temi particolari.


Metodologie

Contesti e approcci diversi

51. Poiché i diversi temi su cui si dialoga richiedono metodologie differenti, non possiamo parlare di un unico approccio al dialogo. Ogni partner si sentirà più a proprio agio con alcuni metodi piuttosto che con altri. Non dobbiamo dare per scontato che alcune modalità d’impegno reciproco siano preferibili ad altre.

52. L’esperienza del dialogo ecumenico nel XX secolo ha mostrato quanto sia importante esaminare i fattori storici e socio-economici riguardanti temi dottrinali. Situare le formulazioni dottrinali nel loro contesto storico può consentirci di esprimere oggi in modi nuovi la stessa fede. Tale metodologia applicata nel rapporto del Gruppo misto sulla dottrina della giustificazione ha plasmato un’ermeneutica che potrà giovare altrove.

53. Il lavoro sull’ermeneutica svolto dalla commissione Fede e costituzione (Un tesoro in vasi di creta, 1998) pone l’attenzione su come «leggiamo» la nostra storia in quanto comunità e come troviamo dei punti d’incontro con le storie degli altri. Un’«ermeneutica di coerenza» suggerisce la consapevolezza simpatetica con la fede e la testimonianza degli altri come complementari alle proprie. Un’«ermeneutica di fiducia» suggerisce che la recezione e il riconoscimento reciproci sono possibili attraverso i doni dello Spirito Santo alla comunità cristiana. Un’«ermeneutica del sospetto» suggerisce la domanda: «Questa lettura particolare quali interessi serve?». Poiché il dialogo serve la causa dell’unico Vangelo di Gesù Cristo, ogni tipo di lettura può portarci a giungere insieme a una maggiore comprensione della verità.

54. Il dialogo non è una negoziazione verso un «minimo comune denominatore» ma una ricerca di nuovi approcci per scoprire la via da percorrere insieme. A volte i dialoghi mettono a confronto temi che in passato hanno fatto sorgere reciproche condanne. In questo caso ciò può aiutare a chiarire quale fosse la posizione delle parti all’epoca e in che modo ognuno cercò, tramite la propria posizione, di preservare l’integrità del Vangelo in un contesto particolare. Forse le domande del Vangelo oggi rendono capaci i partner di trovare un terreno comune.

55. Non tutti i conflitti dottrinali si possono risolvere facilmente. Perciò un’attenta considerazione delle posizioni – in che misura esse sono complementari e dove o come esse divergono – può risultare molto utile nel favorire la crescita delle Chiese nei rapporti ecumenici.


Partecipanti e competenze

56. Oggi nel dialogo ecumenico sono richieste varie competenze. Sono necessari esperti in ambito storico e dottrinale ma occorrono anche altri tipi di esperti: liturgisti, moralisti, missionologi e altri con responsabilità di supervisione pastorale. Più è ampia la partecipazione di una Chiesa al dialogo più saranno applicabili i suoi risultati all’insieme della vita della Chiesa. Chiese diverse hanno modi diversi di comprendere come un individuo «rappresenti» la Chiesa nel dialogo, ma tutti i partecipanti dovrebbero essere consapevoli di essere assoggettati alle norme della propria tradizione e di doverne rendere conto.
57. Come raccomanda Dialogo ecumenico, è opportuno coinvolgere spesso nel dialogo degli osservatori, per riconoscere e incoraggiare le più ampie implicazioni ecumeniche di quell’attività.


La recezione dei dialoghi ecumenici

58. Se gli accordi raggiunti col dialogo ecumenico devono avere un impatto sulla vita e la testimonianza delle Chiese e condurre a un nuovo livello di comunione, allora è necessario porre molta attenzione ai processi di recezione degli accordi, così che l’intera comunità possa essere coinvolta nel processo di discernimento.

Il significato di «recezione»

59. La «recezione» è il processo attraverso cui le Chiese fanno propri i risultati di tutti gli incontri avuti le une con le altre, in particolare le convergenze e gli accordi raggiunti su temi rispetto ai quali esistevano divisioni storiche. Come riporta la relazione del VI forum sui dialoghi bilaterali: «La recezione è parte integrante del movimento verso quella piena comunione che si realizza allorché "tutte le Chiese potranno riconoscere pienamente l’una nell’altra la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica" (Dichiarazione di Canberra, n. 2.1)». Dunque la recezione è molto di più delle risposte ufficiali ai risultati del dialogo, sebbene le risposte ufficiali siano essenziali. Comunque, anche se non riguardano la globalità delle relazioni intraecclesiali, i risultati dei dialoghi teologici internazionali sono un aspetto cruciale della recezione, in quanto tentativi specifici di superare ciò che divide le Chiese e impedisce l’espressione dell’unità voluta da nostro Signore.

Strumenti per la recezione

60. Le Chiese hanno sviluppato modi e strumenti appropriati a ricevere i risultati dei dialoghi internazionali bilaterali e multilaterali. Le strutture e i processi decisionali che determinano lo «spirito» di una Chiesa o comunità di Chiese riflettono l’auto-comprensione, la forma di governo e il particolare approccio di ciascuna Chiesa o comunità.
Difficoltà nella recezione

61. Le Chiese hanno incontrato difficoltà nel processo di recezione in parte a motivo dei diversi modi e processi di recezione.

62. Sono emersi problemi di coerenza. Quando una comunità ecclesiale è coinvolta in diversi dialoghi ecclesiali con partner provenienti da tradizioni ecclesiali diverse la presentazione della propria autocomprensione deve essere coerente con quanto viene detto a tutti i partner e i risultati ottenuti nel dialogo con una parte debbono essere coerenti con quelli avuti con le altre. Alcune comunioni cristiane mondiali (la Comunione anglicana, l’Alleanza riformata mondiale, la Federazione luterana mondiale) hanno sviluppato delle strutture per verificarlo.

63. Sono emersi interrogativi di rilevanza notevole. I temi del dialogo ecumenico sono in larga misura quelli che compaiono nell’agenda delle Chiese europee e dell’America del Nord, anche se le divisioni dottrinali in questione sono state veicolate in tutto il mondo dall’attività missionaria?

64. In che modo i dialoghi internazionali riguardano le priorità pastorali e teologiche delle Chiese locali? Se i temi affrontati non sono problemi esistenziali vissuti dalle Chiese, la recezione diventa difficile. Occorrono nuove strade per aiutare le Chiese a vedere che la divisione contraddice il Vangelo della riconciliazione. Come possono i risultati dei dialoghi internazionali coinvolgere le Chiese in modo esistenziale nei loro contesti diversi? Molti fattori che precludono la recezione del dialogo non sono dottrinali. Dove sono evidenti le tensioni tra maggioranze e minoranze, i processi di perdono, guarigione e riconciliazione debbono venire prima e durante i processi di recezione.

65. Proprio per loro natura i dialoghi sono portati avanti da rappresentanti nominati a livello ufficiale, competenti sui temi in discussione. Ma la recezione, sebbene consista in un processo di discernimento per la leadership delle Chiese, coinvolge anche quello di tutto il popolo di Dio. L’insensibilità al fatto che tutta la comunità necessiti di un’azione educativa e di discernimento ha reso difficile la recezione. Il linguaggio dall’alto al basso, e non viceversa, è apparso in alcuni processi come un punto critico. Dunque mentre i dialoghi tendono alla comunione tra le Chiese, può accadere che conducano alla formazione di gruppi dissenzienti e a divisioni interne alle Chiese.

Esperienze positive di recezione

66. In che modo la gestione dei processi di recezione può portare alla risoluzione di tali problemi? Durante gli ultimi trent’anni molti dialoghi internazionali sono stati ampiamente accolti, e hanno condotto a nuove espressioni di amicizia tra Chiese e al rinnovamento delle Chiese coinvolte. Forse ciò può fornire degli indizi su che cosa sia essenziale perché la recezione abbia luogo.

Un esempio di dialogo multilaterale

67. Il dialogo multilaterale che ha condotto a Battesimo, eucaristia, ministero (BEM) ne è un esempio. Il processo del BEM ha richiesto tempo, dialogo costante tra le Chiese, la fornitura di materiali di studio, la seria considerazione delle risposte alle bozze, la traduzione in molte lingue, la costruzione di qualcosa su quanto era stato precedentemente ottenuto attraverso il dialogo e la capacità di fare tesoro di altri dialoghi e iniziative ecumeniche.

68. Tale processo è durato circa vent’anni e di fatto su questi temi vi erano state discussioni sin nei quarant’anni precedenti. Nel periodo dal 1963 al 1982 per tre volte le bozze e le relative modifiche furono mandate alle Chiese, agli istituti teologici e agli organi ecumenici per commenti e reazioni. Esse furono ampiamente divulgate e i commenti furono presi in seria considerazione in ogni stadio della ristesura. Molte Chiese incoraggiarono discussioni sulle bozze nelle comunità, coinvolgendo in tal modo l’intera comunità. Anche i redattori utilizzarono i dialoghi bilaterali internazionali sui temi attinenti e le prospettive derivate dal movimento liturgico. L’approccio multilaterale è rimasto al di qua delle divisioni tra le Chiese alla ricerca delle radici bibliche utili alla comprensione dei problemi specifici (per esempio l’anamnesis). Ciò ha fornito punti di riferimento, mettendo le diversità storiche in una nuova prospettiva.

69. Ogniqualvolta diveniva chiaro che il consenso su un tema particolare si stava affievolendo, il tema specifico veniva affrontato da una riunione di teologi (per esempio il rapporto tra il battesimo di quanti fanno una professione di fede personale e quello dei bambini; il tema dell’episcopato). Da tali consultazioni emergeva un linguaggio nuovo che consentiva di esprimere un accordo.

70. Una volta terminato e approvato dalla commissione Fede e costituzione nel 1982, il testo fu inviato alle Chiese per la risposta. Accompagnavano il documento domande ben calibrate, così che le Chiese potessero farlo proprio grazie a un processo di discernimento. Lo accompagnava anche un commento che facilitava la comprensione di quanti non avevano partecipato alla discussione. Un volume di studi teologici incoraggiò la discussione negli istituti teologici mentre una serie di materiali liturgici assistette le Chiese nella riflessione sul rapporto tra la propria comprensione teologica e la pratica liturgica. Per dare espressione liturgica all’accordo eucaristico fu sviluppata una liturgia che illustrava quale convergenza era ora possibile nella celebrazione del sacramento. La cosiddetta «liturgia di Lima » contribuì senza dubbio a rendere popolare l’accordo e il processo del BEM.

71. Il BEM fu tradotto in più di trenta lingue, e ciò ne facilitò la recezione nel mondo. Il processo fu arricchito grazie a seminari tenuti dai delegati e dallo staff di Fede e costituzione. Vennero preparati in vari contesti guide di lettura come supporto alle discussioni comunitarie e interecclesiali sul testo. Il processo che fin dall’inizio ha coinvolto le Chiese fino all’attuale sviluppo del testo facilitò le risposte ufficiali «ai più alti livelli di autorità» quando il testo fu completato nel 1982. Furono ricevute circa 186 risposte che vennero pubblicate in sei volumi. Ciò fece sì che il testo avesse un’autorità ecumenica senza precedenti, il che a sua volta incoraggiò le Chiese a sviluppare nuove relazioni reciproche.

72. Sulla base di questa convergenza parecchie Chiese furono in grado di intrattenere nuove relazioni di comunione (per esempio Chiese luterane e anglicane nei paesi nordici e baltici, in Gran Bretagna, Irlanda, Canada, Germania, Stati Uniti; riformati e luterani negli Stati Uniti; Chiese unite o in via di unione in Sudafrica…). Altre Chiese furono incoraggiate, rispondendo alle domande, a rinnovare la frequenza e il contenuto liturgico delle proprie celebrazioni eucaristiche. Le distinzioni in tema di ministero hanno facilitato i dialoghi bilaterali, persino in situazioni in cui era divenuto difficile affrontare questi temi.

Alcuni esempi di dialoghi bilaterali

73. Molti dialoghi internazionali bilaterali hanno anche sviluppato meccanismi e modelli di lavoro che hanno favorito la recezione.

74. La firma ufficiale della Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione è stata il risultato di una serie di successivi momenti della cooperazione luterano-cattolica. La dichiarazione congiunta è stata il frutto dei risultati ottenuti in più di trent’anni di dialogo internazionale e nazionale. Nel 1991, avendo deciso di prestare maggiore attenzione alla recezione dei risultati del dialogo, la Federazione luterana mondiale e il Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani svilupparono un documento di lavoro intitolato Strategie per la recezione: prospettive sulla recezione di documenti che derivano dal dialogo internazionale luterano-cattolico. Nel 1993 fu nominata una commissione ristretta congiunta per mettere mano a una prima stesura di una dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione. Ogni parte poi sottopose la bozza ai rispettivi processi interni di valutazione. In base ai risultati della valutazione la bozza fu rivista. A ogni passaggio ciascuna delle parti riceveva sostegno ai massimi livelli d’autorità. La versione definitiva della dichiarazione congiunta fu accettata formalmente da entrambe le parti nel 1998 e firmata nel 1999. Il successo nella recezione della dichiarazione è stato reso possibile dalla stretta collaborazione tra i due partner nel processo di recezione.

75. L’accordo frutto del dialogo tra Chiese riformate e Chiese mennonite venne suggellato con una visita ai luoghi di battaglia in cui le rispettive forze si erano scontrate nel periodo della Riforma. Le Chiese manifestarono pentimento, ricevettero il perdono per consentire alla memoria di quegli eventi di determinare le relazioni attuali, e cercarono d’iniziare nuovi rapporti. Una costante azione reciproca di accordo, commento e spiegazione da parte delle componenti che hanno sponsorizzato la Commissione internazionale anglicana-cattolica romana (ARCIC) può aver facilitato la recezione dei rapporti dei dialoghi. Un certo interesse in molti dialoghi coinvolgenti l’Alleanza riformata mondiale e la Chiesa cattolica romana collegava l’agenda teologica alle effettive relazioni riformati-cattolici nel mondo. Si trattava di un precoce tentativo di far marciare di pari passo i punti all’ordine del giorno di quel dialogo con quelli delle Chiese locali.

Alcune conclusioni sulla recezione

76. Dal 1967 è possibile individuare molteplici fattori cruciali per i processi di recezione. È necessario l’impegno più ampio possibile con la comunità e i suoi teologi perché il dialogo risulti appropriato. Ciò avviene meglio grazie a uno scambio, nei momenti più idonei durante lo sviluppo del processo, di un testo tra le persone impegnate nei dialoghi e le Chiese coinvolte; in tal modo infatti il testo è sviluppato alla luce dei commenti ricevuti.

77. Il processo viene arricchito dalla condivisione delle risorse bibliche, teologiche e liturgiche che aiutano le comunità a comprendere il cammino intrapreso da coloro che hanno lavorato alle bozze e a situare il tema sia all’interno delle confessioni coinvolte sia tra gli studiosi contemporanei. Il testo dovrebbe venir tradotto in tutte le lingue opportune ed essere accompagnato da guide di lettura (scritte dai membri del gruppo preparatorio, poiché solo loro conoscono la strada percorsa per raggiungere l’accordo). La recezione può essere arricchita da gesti simbolici appropriati compiuti dagli organismi che sponsorizzano il dialogo, per indicare che è stato raggiunto un nuovo stadio del cammino verso la più completa manifestazione della comunione.

78. Per la recezione e la successiva applicazione è importante individuare strumenti per una comune supervisione. Alla luce degli accordi raggiunti, è necessario prendere in considerazione i processi di recezione che coinvolgono due comunità desiderose di discernere insieme. Al presente molti processi di recezione vengono condotti separatamente all’interno di ogni comunità.

79. Le visite tra comunità alimentano la crescita nei rapporti. Dovrebbe diventare naturale invitare i partner agli eventi significativi nella vita della Chiesa e incoraggiare l’amicizia cristiana a livello locale. Il movimento ecumenico include una spiritualità dell’ospitalità, di desiderio di ricevere l’altro a casa propria. L’impegno nel dialogo richiede la volontà dei capi della Chiesa di essere esempi di nuova apertura, per esempio con azioni simboliche condivise, con visite e con l’essere presenti nei momenti di gioia e di dolore. Tutti questi contatti alimentano la comprensione reciproca e la recezione dei risultati del dialogo.


Sfide per il dialogo nel XXI secolo

80. Il movimento ecumenico ha aiutato i cristiani ad allontanarsi dal virtuale isolamento reciproco tra le Chiese, sperimentato per secoli e dovuto alle divisioni del V, XI e XVI secolo. A partire dalla fine del XX secolo, le Chiese possono parlare di un nuovo rapporto di condivisione di «autentica anche se imperfetta» comunione. Dati tali risultati, quali sono le sfide per il dialogo ecumenico nel XXI secolo?

81. Mentre questi esiti sono stati considerevoli, durante lo stesso periodo c’è stata anche una tendenza a maggiori frammentazioni e fratture nelle Chiese e tra di esse. Vi sono quelli che asseriscono con forza che il dialogo è nemico della tradizione cristiana e quelli che fanno proclami di assolutismo e unicità. Sotto l’influsso della cultura postmoderna, l’autorità e le sue strutture in tutti gli aspetti della vita sono state messe in discussione. Ciò pone in questione all’interno delle Chiese i documenti dottrinali e anche le strutture di governo. Qualcuno si chiede se sia possibile che un singolo o un gruppo possa rappresentare una comunità. Il fatto che la società prenda in considerazione i problemi etici secondo modalità totalmente nuove ha influenzato sempre di più il modo in cui questi problemi compaiono nelle agende delle Chiese, dove è chiaro che la discussione dei diversi punti di vista e approcci passa attraverso le linee denominazionali e confessionali. È cruciale che tali aspetti della vita ecclesiale contemporanea siano tenuti in considerazione dal momento che la cultura del dialogo si è sviluppata in questo decennio.

82. Comunque ci limitiamo a prendere in considerazione alcune prospettive più ampie e alcune sfide al movimento ecumenico e al dialogo in particolare.

La sfida di un mondo che cambia

83. L’ampio contesto in cui la gente vive oggi, caratterizzato da un mondo in crescente interdipendenza e interconnessione, continuerà ad avere un forte impatto sui cristiani. Nel suo senso più positivo la globalizzazione esprime l’aspirazione degli esseri umani a diventare un’unica famiglia. Comunque, la globalizzazione ha ulteriormente diviso l’umanità, poiché nel mondo contemporaneo le sue forze operano a beneficio di pochi e a svantaggio di molti.

84. In tale contesto il movimento ecumenico può essere un seme di speranza in un mondo economicamente, culturalmente, socialmente e politicamente diviso. Le gioie e i dolori, le speranze e le disperazioni di tutti sono anche quelli dei cristiani. Nel rispetto di tutti gli sforzi che gli uomini compiono per creare unione, il movimento ecumenico può dare il proprio contributo specifico all’unità della famiglia umana guarendo le divisioni tra cristiani. Una risposta alla globalizzazione chiede lo sviluppo di rapporti reciproci benefici tra le strutture sociali globali e nazionali. Una parallela sfida ecumenica sta raggiungendo il traguardo di prospettive comuni sul rapporto specifico tra le espressioni universali e locali della Chiesa, e tra l’unità e la diversità. Dimostrando che il dialogo può risolvere diversità persistenti, il progresso compiuto rispetto a tali questioni ecclesiologiche può avere un impatto positivo sulle persone come risposta alla globalizzazione.

85. Dunque il continuo impegno nel dialogo ecumenico non solo alimenta la riconciliazione tra cristiani ma è anche un segno delle più profonde aspirazioni dell’umanità a diventare un’unica famiglia.

La sfida permanente della riconciliazione cristiana

86. Alcune sfide si riferiscono specificamente al movimento ecumenico.

87. Mentre ci rallegriamo degli esiti del movimento ecumenico del XX secolo, riconosciamo che la riconciliazione cristiana è lungi dall’essere completa. Il dialogo ecumenico deve proseguire al fine di risolvere le serie divergenze riguardanti la fede apostolica. Esse impediscono di ottenere l’unità visibile tra cristiani, l’unità necessaria per la missione in un mondo diviso.

88. In secondo luogo, il movimento ecumenico è importante per i cristiani ovunque si trovino. All’inizio del movimento la maggioranza dei partecipanti proveniva dall’Europa e dal Nord America, sebbene la minoranza proveniente da altri continenti abbia avuto un notevole impatto nei primi incontri ecumenici, asserendo che la divisione della Chiesa costituiva un peccato e uno scandalo. Come notato altrove, molte delle più importanti divisioni tra i cristiani ebbero inizio in Europa e, con l’attività dei missionari europei e americani, esse furono estese ad altri continenti.

89. Oggi, comunque, i partecipanti al dialogo provengono anche da Africa, Asia, America Latina, Oceania e Caraibi, e i loro contributi sono significativi. Molti ritengono che il lavoro a favore delle necessità primarie delle proprie comunità sia più pertinente e urgente dell’agenda ecumenica; tuttavia ormai molti cristiani si rendono conto che perpetuare le divisioni mina la credibilità dell’unico Vangelo e che molti degli argomenti che essi affrontano sono in realtà temi di unità e divisione. Questo Vangelo parla alla gente nei suoi diversi linguaggi e culture e sanare le ferite della divisione richiede gli sforzi dei cristiani in ogni parte del mondo. La diversità tra i cristiani nel mondo dovrebbe ricevere molta più attenzione nei dialoghi ecumenici del XXI secolo.

90. In terzo luogo, ci siamo resi conto che il panorama cristiano sta cambiando. Sappiamo che tra le comunità cristiane che crescono più in fretta vi sono gli evangelicali e i pentecostali. Molti, se non i più, non sono coinvolti nel movimento ecumenico, non hanno contatti con il CEC né dialogano con la Chiesa cattolica romana. In realtà anche le parole «unità» ed «ecumenismo» sono un problema per queste comunità. La loro attenzione è concentrata soprattutto sulla missione e non la vedono necessariamente nel contesto di collaborazione con le altre Chiese in una certa regione, nemmeno dove tali Chiese sono radicate da secoli. Una sfida odierna è costituita dal trovare il modo di coinvolgere meglio nel dialogo ecumenico questi importanti gruppi cristiani.

91. In quarto luogo, i dialoghi bilaterali hanno preso in esame questioni che necessitano di risoluzioni affinché sia raggiunta la riconciliazione tra due comunioni. Questo processo deve continuare. Forse potrebbe essere utile che alcuni dialoghi prestassero una maggiore e sistematica attenzione all’eredità cristiana condivisa da Oriente e Occidente, come struttura di riferimento per tutti. Forse tutti i dialoghi, persino quando riguardano i propri problemi particolari, potrebbero trarre vantaggio da questa comune eredità cristiana.

La sfida del dialogo interreligioso

92. Per quanto il dialogo interreligioso non possa prendere il posto di quello ecumenico, anch’esso si svolge tra religioni diffuse in tutto il mondo. Esso non cerca di creare una religione ma d’attivare una collaborazione tra religioni nutrendo i valori spirituali per contribuire ad armonizzare la società, e per collaborare alla costruzione della pace nel mondo. La cooperazione tra cristiani per promuovere il dialogo interreligioso oggi è necessaria, anzi è un imperativo. Di recente le religioni sono state strumentalizzate per giustificare e persino promuovere la violenza, oppure sono state tenute fuori dagli sforzi per costruire la comunità umana. Attraverso la cooperazione ecumenica nel dialogo interreligioso i cristiani possono aiutare le religioni del mondo nel promuovere armonia e pace.

93. Non si deve confondere il dialogo ecumenico con quello interreligioso. Entrambi sono figli della cultura del dialogo, ma ciascuno ha uno scopo e un metodo specifici. Il dialogo ecumenico si svolge tra cristiani; esso cerca l’unità cristiana visibile. Deve continuare perché la discordia tra i cristiani «contraddice apertamente alla volontà di Cristo» (Unitatis redintegratio, n. 1; EV 1/494) e deve essere superata.


Conclusione

94. A partire dal documento sul dialogo del GML del 1967 le Chiese hanno partecipato al dialogo specialmente negli ultimi decenni del XX secolo. Il dialogo ecumenico ha aperto nuovi orizzonti mostrando che, nonostante lunghi secoli di separazione, i cristiani divisi hanno molto in comune. Il dialogo ha contribuito alla riconciliazione. La recezione dei suoi risultati è stata utile nell’avvicinare i cristiani in vari modi.

95. Ora, giunto il XXI secolo, il dialogo ecumenico prosegue con gli stessi scopi ma in un nuovo contesto. Esso è ancora uno strumento che i cristiani devono impiegare nella loro ricerca dell’unità visibile, uno scopo che resta ancora da conseguire. Il dialogo continua a essere uno strumento per favorire la riconciliazione di cristiani divisi. Nel tempo che abbiamo di fronte i risultati del dialogo debbono essere continuamente riesaminati nelle Chiese. Il dialogo ecumenico ha già aiutato a mutare le relazioni tra le Chiese. Nel nuovo contesto di un mondo più globalizzato, di un mondo contraddistinto dalla comunicazione immediata e dall’abbondanza dell’informazione, il compito della Chiesa di proclamare la parola di Dio e la salvezza in Cristo entra in una competizione senza precedenti con la proclamazione di ogni genere d’informazione che mira a catturare il cuore dell’uomo. In questa epoca storica diviene sempre più urgente una comune testimonianza al Vangelo da parte dei cristiani, i quali possono accantonare le divisioni e rendere una comune testimonianza al Signore il quale pregò per i suoi discepoli: «siano una cosa sola, perché il mondo creda» (Gv 17,21).

Nota sul processo


Dopo che i documenti sul dialogo sono stati presentati dal vescovo Walter Kasper e da Konrad Raiser, la prima plenaria ha sviluppato una serie di argomenti da trattare in uno studio sul dialogo. Un piccolo gruppo di redazione costituito da Eden Grace, Susan Wood, mons. Felix Machado, mons. John Radano e dal rev. Alan Falconer, si è incontrato a Cartigny, in Svizzera (febbraio 2003), e ha steso una bozza iniziale. Dopo le discussioni nella plenaria di Bari, il testo è stato ulteriormente ampliato sia attraverso scambi di posta elettronica sia nella sessione di una giornata nel settembre 2003 (Falconer, Radano, Thomas Best). Dopo un’ulteriore discussione all’incontro dell’esecutivo del GML nel novembre 2004, al vescovo David Hamid è stato chiesto di rivedere il testo dal punto di vista editoriale. Il documento di studio è stato adottato dal GML nella plenaria di Chania, Creta, nel maggio 2004.
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Quadro sintetico delle relazioni
 tra le comunioni ottobre - dicembre 2004
(a cura di P. Franco Gioannetti)



I - CATTOLICI ED ALTRI CRISTIANI

Ortodossi

Il 27 novembre 2004, le reliquie di due Santi Padri della Chiesa e Patriarchi di Costantinopoli, Gregorio di Nazianzo e Giovanni Crisostomo, sono state restituite dal Papa Giovanni Paolo II al Patriarca Ecumenico Bartolomeo I.

Luterani

La nona riunione della quarta fase della Commissione Luterano-Cattolica sull’unità si è tenuta dal 9 al 17 luglio 2004 a Baltimora nel Maryland (USA).

Obiettivo del dialogo luterano-cattolico è l’unità visibile della Chiesa.

Il tema principale della fase attuale è l’apostolicità nella Chiesa .

Le discussione della Commissione si sono svolte sui temi seguenti:

  1. L’apostolicità della Chiesa: i fondamenti del Nuovo Testamento.
  2. Il Vangelo apostolico e l’apostolicità della Chiesa.
  3. La successione apostolica ed il ministero ordinato.
  4. L’insegnamento della Chiesa si basa sulla verità.

Riformati

La Commissione di dialogo internazionale riformato-cattolico si è riunita dal 13 al 19 ottobre 2004 a Venezia.

Tema principale era: “La Chiesa come comunità di testimonianza comune del Regno di Dio”.

Pentecostali

Il settimo incontro della quinta fase del Dialogo internazionale tra le Chiese dei responsabili pentecostali e la Chiesa cattolica si è tenuto nel Centro diocesano di Torhout in Belgio dal 25 giugno al 1 luglio 2004.

Per descrivere i loro rispettivi modi di comprendere la fede cristiana, Pentecostali e Cattolici, hanno citato le Scritture ed i Padri della Chiesa.

La fase attuale del dialogo ha studiato i temi seguenti:

1. Iniziazione cristiana e battesimo nello Spirito Santo.

2. Fede ed iniziazione cristiana.

3. Conversione ed iniziazione cristiana.

4. La formazione Cristiana e la qualità del discepolo.

II - ORTODOSSI ED ALTRI CRISTIANI

Cattolici

La 67ª riunione del dialogo teologico Cattolico-Ortodosso dell’America del Nord si è svolto, dal 21 al 23 ottobre 2004 al St. Paul’s College, a Washington (USA). Il tema: “Conciliarità-Sinodalità e primato nella Chiesa”.


III - ANGLICANI ED ALTRI CRISTIANI

Vecchio-Cattolici

La Conferenza dei Vescovi anglicani e Vecchio-Cattolici dell’Europa continentale si è riunita dal 17 al 19 novembre in Svizzera a Wislikhaven.

Il tema era “False immagini dei cristiani e dei musulmani”.

E’ stata condannata ogni tendenza a presentare l’Islam come una religione che spinga alla violenza.

Una raccomandazione è stata rivolta ai politici ed ai giornalisti affinché siano maggiormente responsabili quando parlano o scrivono dell’Islam.

IV - LUTERANI ED ALTRI CRISTIANI

Cattolici

Una serie di avvenimenti hanno avuto luogo in diversi paesi per commemorare il quinto anniversario della firma della “Dichiarazione comune sulla dottrina della giustificazione”.

Riunioni accademiche, dichiarazioni, conferenze, giornate di riflessione, culti ecumenici si sono svolti in Germania, USA, Slovacchia, Canada, Inghilterra per commemorare l’evento.


V - C.O.E.

Gruppo misto di lavoro

Il Gruppo Misto di Lavoro (G.M.T.) tra la Chiesa cattolica ed il Consiglio Ecumenico tra la Chiesa cattolica ed il Consiglio Ecumenico delle Chiese (C.O.E.) si è riunito nell’Accademia Ortodossa di Cipro dal 6 al 13 maggio 2004.

Temi proposti:

- Le implicazioni ecclesiologiche ed ecumeniche del battesimo comune.

- La natura ed il fine del dialogo ecumenico.

- La partecipazione cattolica nei Consigli delle Chiese Nazionali e Regionali.

I partecipanti hanno definito il lavoro del G.M.T. un “pellegrinaggio di fede”, hanno valutato i risultati raggiunti fino a quel momento ed hanno espresso le loro speranze per il futuro.


VI - TRA CRISTIANI

KEK

Il Comitato Centrale della Conferenza delle Chiese Europee (KEK) si è riunita a Praga dal 27 settembre al 3 ottobre 2004.

Varii gli argomenti all’ordine del giorno:

- Il terzo Incontro Ecumenico Europeo che si terrà a Sibiu in Romania nel settembre 2007.

- Il comitato congiunto KEK e CCEE che si terrà nel febbraio 2005 a Chartres in Francia.

- L’approvazione del processo di fusione del KEK con il CEME (Commissione delle Chiese presso i Migranti in Europa).

- Il futuro delle attività sociali delle Chiese.

- La visione e la vocazione del KEK come comunità in crescita delle Chiese in Europa che si impegnano a favore di valori quali la solidarietà, la condivisione, la testimonianza.

Una attenta riflessione teologica si è svolta su “missione e secolarizzazione”.

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Giovedì, 09 Febbraio 2006 00:11

Lombardini, partigiano disarmato (Luca Maria Negro)

Lombardini, partigiano disarmato
di Luca Maria Negro


«Ditegli che con lui credo nella realtà della nostra fratellanza cristiana internazionale, che si erge ai di sopra di tutti gli interessi e conflitti nazionali, e che la nostra vittoria è certa». Sono le ultime parole dl Dietrich Bonhoeffer, un messaggio per l'amico George Bell, vescovo dl Chichester. È significativo che l'ultimo messaggio del teologo e martire luterano prima della morte (avvenuta il 9 aprile 1945) sia rivolto a un vescovo anglicano, e abbia per oggetto il movimento ecumenico di cui Bonhoeffer fu uno dei pionieri. I sessant'anni dalla fine della seconda guerra mondiale sono un'occasione preziosa per fare memoria di questo e di molti altri «martiri ecumenici» che hanno testimoniato e difeso la purezza del Vangelo negli anni della guerra. La proposta di creare un «martirologio ecumenico» è uno dei recenti contributi cattolici al movimento ecumenico: l'idea è stata cara a Giovanni Paolo II; la comunità di Bose ha compilato un voluminoso «Libro del martiri» ecumenico e a Roma la basilica di San Bartolomeo all'isola Tiberina è stata dedicata ai «Nuovi Martiri»: tra di essi cattolici e ortodossi del Ventesimo secolo, ma anche protestanti come Bonhoeffer e il pastore Paul Schneider.

Da un punto di vista protestante - e particolarmente da quello di un protestantesimo minoritario con una storia di secolare persecuzione, come quello italiano - la proposta del «martirologio ecumenico» non è esente da aspetti problematici. Vi è intanto la diversa concezione che i protestanti hanno della santità (che tuttavia non ci impedisce di fare memoria dei testimoni-martiri della fede). Vi è soprattutto la sensazione che, prima di arrivare a una memoria comune del martiri del Ventesimo secolo, occorrerebbe operare una «guarigione delle memorie» delle ferite che i cristiani si sono reciprocamente inferti nei secoli precedenti. Tale guarigione implica, in Italia, il recupero della memoria delle centinaia di nomi di martiri della persecuzione (anti-eretica prima e anti-protestante poi) che giacciono nell'oblio più totale. Qualcuno di questi comincia ad essere ricordato, come quello del pastore valdese Goffredo Varaglia da Brusca (Cuneo), a cui il Comune di Torino, il 15 novembre 2000, ha dedicato una lapide in piazza Castello, luogo in cui fu arso nel 1558. Alla cerimonia ha partecipato, fra gli altri, mons. Pietro Giachetti, vescovo emerito di Pinerolo.

In ogni caso i due «martirologi», quello del Ventesimo secolo e quello relativo ai secoli dell'inquisizione e delle guerre dl religione, non sono alternativi, ma complementari. E per contribuire alla memoria dei «nuovi martiri» vorrei ricordare, nel sessantesimo anniversario della morte, un protestante italiano: Jacopo Lombardini, predicatore laico metodista e insegnante presso il Collegio Valdese di Torre Pellice. Lombardini è stato uno degli ultimi martiri della seconda guerra mondiale, perché fu ucciso in una camera a gas di Mauthausen proprio alla vigilia della liberazione, il 24 aprile 1945. Educatore, poeta, antifascista convinto, raggiunse i partigiani di Giustizia e libertà nelle Valli Valdesi del Piemonte con li doppio ruolo di «commissario politico» delle Brigate e di cappellano valdese. Ruolo, quello di cappellano, che svolse anche nei confronti dei partigiani cattolici, pur nel pieno rispetto della loro identità. Partigiano disarmato, durante tutta la Resistenza non imbracciò altra arma che la Bibbia e, come ricorda Giorgio Spini, «non odiò mai i fascisti», giungendo a «supplicare la grazia della vita per una spia catturata e destinata alla fucilazione». Arrestato in un rastrellamento, Lombardini proseguirà li suo ministero di cappellano anche nel lager, dapprima a Fossoli (Carpi) e poi a Mauthausen. In quel campo «non vi erano più preti» - ricorda un compagno di prigionia, il cattolico Nino Monelli - «ma Lombardini non esitava a rincuorare i suoi fratelli cattolici nella loro propria fede. Ripeteva loro che il sacrificio dei giusti è utile alla patria e gradevole a Dio. E in quei giorni non si domandava che di credervi! E se, nell'abbrutimento raccapricciante della disperazione dovuto alla fame e alla sensazione di catastrofe imminente, i giovani italiani non caddero in eccessi irriferibili, anche questo fu dovuto all'azione di Lombardini».

(da Mondo e Missione, giugno-luglio 2005, p 25)


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Quadro sintetico delle relazioni
tra le comunionida aprile a ottobre 2004

(a cura di P. Franco Gioannetti)



I - Cattolici ed altri cristiani

Ortodossi

Il Cardinale Philippe Barbarin, arcivescovo di Lione, Primate delle Gallie e Mons. Gerard Dancourt, Vescovo di Nantene, si sono recati il 13/04/04, martedì di Pasqua, presso il Patriarca di Costantinopoli per pregare con lui nel giorno dell’ottocentesimo anniversario del sacco di Costantinopoli da parte dei crociati. L’incontro tra i due vescovi ed il Patriarca è stato caratterizzato da cordialità e dialogo.

La sessantesima sessione del “Dialogo Teologico Cattolico-Ortodosso dell’America del Nord si è svolto dall’1 al 3 giugno 2004 presso l’Istituto teologico ortodosso della S. Croce a Boston, sotto la co-presidenza di Mons. Daniel Pilarczyk. La Commissione ha esaminato le reazioni, fondamentalmente positive, ad una sua recente pubblicazione di una dichiarazione sulle implicazioni teologiche ed ecclesiologiche del Filioque. Ha anche iniziato a discutere il suo nuovo tema di studio per gli anni a venire che è: “Conciliarità-Sinodalità ed il primato nella Chiesa”.

Vari interventi sul tema sono stati fatti in relazione all’enciclica “Ut unum sint”. Il secondo giorno di lavoro è stato consacrato ad un giro di orizzonti sulle relazioni cattolici-ortodossi e ad uno scambio di informazioni sulla situazione interna delle due chiese.

Iniziato nel 1965 il “Dialogo” dell’America del Nord è posto sotto gli auspici delle conferenze episcopali, cattoliche degli Stati Uniti e del Canada ed ortodosso d’America.

La prossima riunione avrà luogo a Washington nell’ottobre 2004.

Il gruppo di lavoro “Cattolico-Ortodosso internazionale S. Ireneo” si è riunito in Germania a Paderborn dal 23 al 27 giugno in sessione costituente.

Su invito di Mons. Gerard Feige, Vescovo ausiliare cattolico di Magdeburgo, e di Mons. Ignazio Mitic, Vescovo di Branicevo (Serbia), undici teologi cattolici, provenienti da Germania, Austria, Belgio, Usa, Francia, Olanda, Polonia, ed undici teologi ortodossi, provenienti da Bulgaria, Usa, Francia, Grecia, Romania, Russia, Serbia, hanno deciso di continuare l’attività, come gruppo stabile, con il nome sopra indicato.

Il gruppo ha adottato una dichiarazione sulla propria identità enunciante i seguenti principi:

  • L’unità è fondata sul comandamento di Gesù.
  • Il gruppo vuole mettere le sue risorse teologiche a servizio delle due Chiese per approfondire il dialogo.
  •  La separazione tra le chiese ha una dimensione ecclesiale e teologica ed elementi sociologici, storici e psicologici.

Il gruppo considera come proprio compito:

1. offrire uno spazio per uno scambio di vedute non ufficiale e per una discussione libera ed aperta sui problemi in corso.

2. Riflettere sulla situazione attuale delle relazioni cattolico-ortodosse cercando di proporre delle soluzioni.

3. ricordare alle due chiese che le difficoltà attuali non potranno essere superate se non attraverso il dialogo.

E ritiene anche suo dovere studiare, in un gruppo di lavoro internazionale, multilingue e multiculturale, le differenze più profonde di mentalità, di forme di pensiero, di modi di fare teologia, differenze che si trovano alla base dei problemi attuali.

Icona della S. Vergine di Kazan

Una antica copia di questa icona, conservata in Vaticano, è stata solennemente restituita alla Chiesa Ortodossa Russa da una delegazione inviata da Giovanni Paolo II. Questa delegazione era guidata dal Cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei cristiani, dal Cardinale Teodoro McCarrick, arcivescovo di Washington, accompagnati da Mons. Antonio Mennini, nunzio apostolico presso la Federazione Russa, e da Mons. Tadensk Kondrusiewicz, presidente della conferenza dei Vescovi Cattolici della Russia.

Il Patriarca russo Alessio II ha ricevuto la delegazione nella residenza patriarcale ed ha espresso la sua riconoscenza al Papa riconoscendo e condividendo la ferma volontà del Vaticano di tornare a relazioni sincere e rispettose tra le due Chiese.

II – Ortodossi ed altri cristiani

Cattolici

La prima riunione del gruppo di lavoro bilaterale sui problemi esistenti tra la Chiesa Ortodossa Russa e la Chiesa Cattolica si è tenuto a Mosca nei giorni 5/6 maggio 2004.

Il 6 maggio i padri Vsevalodo Chaplin, ortodosso, ed Igor Kovalevsky, cattolico, hanno tenuto una conferenza stampa. Il P. Chaplin ha ricordato che il gruppo è nato dopo la visita a Mosca del cardinal Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani. Ha aggiunto che il gruppo ha preso in esame le varie situazioni conflittuali in atto in varie regioni della Russia, in Ucraina, in Kazakhistan, in Uzbekistan specificando che tali problemi non vanno affrontati in base alle leggi civili ma secondo i principi etici delle relazioni tra le chiese. Queste non debbono mai agire come imprese concorrenti in un clima di libero mercato, ma fondandosi nell’etica delle relazioni interecclesiali e sui principi delle relazioni tra vescovi e diverse strutture ecclesiali formulate nei primi secoli del cristianesimo.

Il P. Kovalevsky ha affermato che la Chiesa cattolica, nella sua attività in Russi, parte dal principio che questo paese non è terra di missione ma un paese cristiano dalle antiche e profonde radici ortodosse. Tuttavia vi esistono etnie e confessioni differenti, tra cui i cattolici che sono e resteranno sempre una minoranza.

Visita a Roma di Bartolomeo I.

Il Patriarca ecumenico ha fatto una visita ufficiale a Roma dal 29 giugno al 1 luglio 2004.

Tradizionalmente, dal 1980, le Chiese di Roma e Costantinopoli si scambiano visite fraterne in occasione delle rispettive feste patronali: 29 giugno, S. Pietro a Roma, 30 novembre, Andrea a Costantinopoli. Quest’anno, quarantesimo anniversario dello storico incontro, a Gerusalemme, tra Paolo VI ed Atenagora, il Papa aveva invitato il Patriarca a venire personalmente.

Il 29 giugno il Patriarca ecumenico è stato ricevuto da Giovanni Paolo II che nel suo discorso di benvenuto ha evocato quell’incontro storico e “benedetto” dove i loro predecessori, spinti dalla fiducia e dall’amore di Dio, avevano saputo superare i pregiudizi e le incomprensioni secolari dando così un esempio ammirabile di pastori e di guide del popolo di Dio.

Il Papa ha ugualmente ricordato il triste e vergognoso episodio del sacco di Costantinopoli, operato dai soldati della VI crociata.

Preghiamo il Signore, ha aggiunto, perché purifichi la nostra memoria di ogni pregiudizio e di ogni risentimento e ci conceda di avanzare nel cammino dell’unità.

Dopo un incontro strettamente personale, il Patriarca ha presentato al Papa un gruppo di professori e di studenti dell’Istituto di Studi superiori di Teologia Ortodossa, che dipende dal Centro del Patriarcato Ecumenico a Chambesy, in Svizzera.

In serata il Patriarca ha assistito alla Messa della festa dei Santi Pietro e Paolo ed ha tenuto l’omelia, nella quale ha evidenziato i progressi compiuti in questi quarant’anni malgrado le divergenze accumulatesi in nove secoli.

Il fatto di esser qui oggi, ha aggiunto, esprime chiaramente la nostra sincera volontà di superare quegli ostacoli che non sono di natura dogmatica, per concentrarsi poi sui problemi fondamentali di ordine dogmatico che dividono ancora le due chiese.

Il 30 giugno degli incontri bilaterali hanno avuto luogo tra il Patriarca con la sua delegazione ed il Cardinale Kasper con i suoi collaboratori. Il Patriarca ha ricevuto la cittadinanza onoraria di Roma dal sindaco Veltroni, ha quindi incontrato rappresentanti della Comunità di S. Egidio e del Movimento dei Focolari, ambedue attivi nel dialogo intercristiano ed interrelegioso.

Il 1° luglio ha ricevuto dal Cardinale Ruini la Chiesa di S. Teodoro, destinata alla comunità ortodossa di Roma.

Successivamente il Patriarca ha invitato il Papa a recarsi a Costantinopoli il 30 novembre, per la festa di S. Andrea.

Precedentemente i primati delle due chiese avevano firmato una dichiarazione comune nella quale riaffermavano il loro impegno a lavorare per la piena unità dei cristiani, così da annunciare il Vangelo in modo più credibile e convincente.

Come passo importante il Papa ed il Patriarca si propongono di rilanciare il lavoro della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra le due chiese, lavoro che era giunto ad un punto morto nel 2000.

In un suo intervento alla Radio Vaticana Kasper ha detto che le due Chiese hanno ripreso a parlare ed a guardare verso il futuro.

Ha anche parlato di tendere ad una unità nella stessa fede, negli stessi sacramenti, nello stesso episcopato, nella successione apostolica ma anche ad una unità nella pluralità delle forme liturgiche, teologiche, spirituali, canoniche.

Il Cardinale ha anche parlato del riprendere la riflessione sul primato del Vescovo di Roma.


III – Luterani ed altri cristiani

Cattolici

Il dialogo Cattolici-Luterani negli U.S.A. ha terminato il suo decimo ciclo durante la riunione, tenuta a Milwaukee dal 22 al 25 aprile 2004.

La Commissione mista ha approvato all’unanimità la dichiarazione: “La Chiesa come Koinonia di salvezza, le sue strutture i suoi ministeri”. Nei precedenti cicli la Commissione aveva riflettuto su: il simbolo di Nicea, il battesimo, l’Eucarestia, il ministero, il primato papale, l’autorità e l’infallibilità, la giustificazione, l’unico mediatore – i santi – Maria, le Scritture e la tradizione.

Questi lavori hanno avuto un grande influsso sui rapporti cattolici-luterani, anche a livello internazionale.

Il documento, ultimo prodotto, “La Chiesa come koinonia” ha preso come punto di partenza delle considerazioni generali sulla ecclesiologia della koinonia e nel concetto di Chiesa locale per giungere ad un esame delle strutture particolari della koinonia che esistono nelle due chiese.

Nel N.T. il concetto di koinonia riguarda i credenti giustificati, in rapporto a Dio, a Cristo, allo Spirito. Così il documento afferma che la Chiesa partecipa alla salvezza offerta da Dio in Cristo ed è così che, attraverso la Chiesa, la salvezza è proposta all’umanità.

Il documento percorre la storia della riflessione teologica del XX secolo sul concetto di Chiesa locale perché è in essa che si manifesta in pienezza la Chiesa di Cristo. Ma la tradizione cattolica chiama così la diocesi mentre la luterana fa riferimento alla comunità parrocchiale.

Ugualmente problema si pone per il sacramento dell’ordine perché per i cattolici sono i vescovi ad avere la pienezza del sacramento mentre per i luterani l’unica differenza tra vescovo e presbitero è data dalla giurisdizione.

La concezione di ministero ai differenti livelli riflette le differenti maniere in cui cattolici e luterani realizzano la koinonia. Già nel N.T. esistono i termini vescovi e presbiteri ma il loro contenuto varia da un luogo ad un altro.

Nell’epoca patristica si generalizza il triplice ministero di vescovi, presbiteri e diaconi, ma la natura esatta della distinzione resterà una questione aperta anche per la teologia medievale. Il problema si riaprirà e si radicalizzerà all’epoca della Riforma e del Concilio di Trento e poi fino al Vaticano II; resteranno però aperte delle vie per un approfondimento e per delle chiarificazioni della problematica. Ad esempio: la distinzione tra episcopato e presbiterato è di origine divina? E dell’espressione “pienezza del sacramento dell’ordine” non è stato specificato il significato.

Un ulteriore problema aperto, da specificare più chiaramente, è quello della successione apostolica.

Ugualmente una riflessione più approfondita viene proposta dalle due confessioni. Come può essere compreso, visto più subordinato al Vangelo il ministero petrino? Oppure quali forme può assumere per essere più conforme al Vangelo?

Il documento ha proposto alcune raccomandazioni:

1. I vescovi delle due chiese debbono sottolineare la mutua comunione con lettere pastorali comuni, incontri di riflessione comuni, prese di posizione comuni sulle questioni di interesse pubblico.

2. Preti e pastori debbono intensificare la mutua collaborazione, a livello di parrocchie, con studio, preghiera comune, iniziative comuni.

3. I laici delle due chiese esprimono il legame derivante dal comune battesimo con iniziative comuni di catechesi e di evangelizzazione ed a favore della giustizia e della pace.

4. Le organizzazioni caritative ed i ministeri specifici delle due chiese si impegnino in una vera collaborazione per diffondere il vangelo ed il bene comune.

La seconda parte del documento presenta studi biblici e storici per approfondire lo studio della koinonia che saranno di grande utilità per la continuazione della riflessione e delle ricerche.

IV – COE

Il Segretario generale della Chiesa d’Australia, il pastore luterano J. Henderson, ha espresso critiche in vista di nuovi modi che il C.O.E. deve trovare per comunicare con le nazioni del Sud del mondo. Ha specificato che esistono, a suo avviso, troppa burocrazia e modi di fare di stampo europeo.

Commissione speciale

Il Comitato permanente della Commissione speciale sulla partecipazione delle Chiese Ortodosse al COE si è riunita dal 16 al 19 giugno del 2004 a Minsk in Bielorussia. Copresidenti il vescovo Koppe (Chiesa evangelica di Germania) ed il Metropolita Gennadios (Patriarcato ecumenico). Era presente il pastore Samuel Kobia, nuovo segretario generale del COE. I membri del Comitato hanno preso in esame le nuove prospettive di partecipazione degli Ortodossi al COE. Hanno anche preso in esame i problemi del dialogo bilaterale tra Chiese ortodosse e Chiese ortodosse orientali o precalcedoniane e quelli del dialogo tra queste chiese e quella cattolica.

Accanto a questa riunione si è anche svolto un dialogo teologico internazionale sull’ecumenismo oggi.

Il Comitato ha anche discusso sui modi di funzionamento del COE in particolare sul processo della presa di decisioni ed hanno anche discusso del come superare le difficoltà relative alle decisioni; difficoltà dovute al fatto che i Protestanti sono il 75% delle Chiese membre del COE, mentre gli Ortodossi sono il 25%, superabili favorendo la presa di decisione consensuale.

Il Comitato ha anche approfondito un progetto per rendere più chiari i criteri di adesione e di appartenenza al COE.

Il vescovo Koppe ha inoltre parlato della necessità che le Chiese siano sempre più impegnate a pregare e ad agire insieme pur avendo chiare le divergenze e sapendo in che modo le varie Chiese si identificano in rapporto alla Chiesa indivisa. Il metropolita Gennadios si è detto felice del buon livello di impegno e fiducia reciproci pur avendo chiare le difficoltà che persistono; ma crede nella possibilità di superare gli antagonismi e di trovare sia un linguaggio comune sia nuovi approcci in vista dell’unità.

Fede e Costituzione

L’Assemblea plenaria della Commissione di Fede e Costituzione si è tenuta in Malesia a Kuala Lumpur dal 28 luglio al 6 agosto 2004 sul tema: “Accoglietevi gli uni gli altri, come Cristo ha accolto voi, per la gloria di Dio (Rom. 15/7)”.

L?Assemblea ha riunito un centinaio di membri della Commissione, teologi rappresentanti quasi tutte le confessioni cristiane e regioni del mondo ed anche una trentina di osservatori, invitati, giovani teologi e rappresentanti delle Chiese locali. La discussione ha fatto rilevare il rischio di una differenza di impostazione tra teologi occidentali che mirano soprattutto ad un buon livello accademico ed i teologi del terzo mondo che vedono questa tendenza come una forma di “esportazione” occidentale.

Il pastore Woong, presbiteriano dalla Corea, ha sottolineato l’importanza di superare l’opposizione tra Est ed Ovest, come pure quella del contributo asiatico alla teologia cristiana. Ha anche parlato di tre tipi di Oriente: geografico, politico, ecclesiale e delle distanze rilevanti, non solo geografiche ma anche culturali. È necessario uno spirito pioneristico per studiare più a fondo i disegni di Dio nell’insieme della creazione dove uomini e natura soffrono per la scarsa fede e per i disordini provocati dall’avidità umana.

Il pastore David Yemba, presidente di Fede e Costituzione ha parlato di possibilità e di sfide per Fede e Costituzione in questi secoli strategici nella storia dell’umanità e del movimento ecumenico. È necessario, ha detto, che le Chiese camminino insieme verso l’unità visibile superando la tendenza alle discussioni solo accademiche. Il tema dell’Assemblea “Accoglietevi...” spinge ad andare oltre una convergenza limitata ai documenti. La Chiesa di Cristo è in crescita nell’emisfero Sud del mondo e le chiese madri del Nord debbono limitare la loro eccessiva influenza confessionale perché il confessionalismo è uno dei maggiori ostacoli alla via dell’unità.

Il direttore uscente del Segretariato di Fede e Costituzione, il pastore Falconer, in una relazione letta dal pastore Peter Donald, ha scritto che le Chiese debbono essere in ascolto rispettoso e reciproco, in un clima di interrogativi, di scambio di esperienze e di incontri che le trasformano in organismi in continuo pellegrinaggio.

Samuel Kobia, nuovo segretario generale del COE ha detto che il concetto cristiano di ospitalità si fonda sull’atteggiamento accogliente di Cristo stesso verso i poveri, esclusi e peccatori. Occorre pentirsi, ha aggiunto, di essersi limitati a scoprire la grazia di Dio negli stretti confini del doma e della tradizione.

Gli studi in corso hanno attirato l’attenzione dell’Assemblea, in particolare:

1. il mutuo riconoscimento del battesimo.

2. L’antropologia teologica.

3. L’ecclesiologia.

4. L’identità etnica e nazionale.

5. L’ermeneutica ecumenica.

6. Il dialogo interreligioso.

Il tema di un solo battesimo si è focalizzato sulle implicazioni ecclesiologiche del muto riconoscimento del battesimo.

Su questo punto è stata fatta rilevare l’importanza della fede e dei contenuti di essa per la persona battezzata e per la Chiesa che la battezza.

Ed anche l’importanza del duplice “Sì”; alla fede espresso dal battesimo e quello espresso con l’adesione alle confessioni. Ci si è chiesto se noi che siamo stati accolti da Cristo possiamo non accoglierci gli uni gli altri.

In secondo luogo l’assemblea si è poi soffermata su una serie di studi riguardanti l’antropologia teologica, essi si sforzano di enunciare ciò che le chiese possono dire insieme su ciò che è la natura umana e sulle implicazioni che ne derivano per le scelte etiche fanno i cristiani e le Chiese.

Il rapporto “Prospettive ecumeniche sull’antropologia teologica”, discusso a Montevideo nel marzo 2004, è stato presentato a Kuala Lumpur dal pastore W. Tabberenee. La prima parte del documento ha presentato delle situazioni limite dove i modi di comprendere la natura umana sono messi in discussione:

1. Le rotture e le divisioni che affliggono il nostro mondo.

2. Le nuove tecnologie.

3. Le persone handicappate.

La seconda parte del documento è consacrata all’approccio dei grandi temi biblici legati alla natura umana:

1. L’essere umano come immagine di Dio

2. L’essere umano in seno alla Creazione

3. Il problema del peccato

4. La prospettiva della nuova creazione in Cristo.

Tutta questa sezione è corredata di citazioni, soprattutto Patristiche, è redatta in stile conciso e comprensibile anche dai non teologi e mette in evidenza i punti convergenti delle differenti famiglie cristiane. Globalmente le Chiese hanno, emerge dalla relazione, una concezione largamente comune dell’antropologia teologica cristiana.

Comprensioni differenti non dicono che le Chiese rifiutano di affrontare insieme le sfide esistenti anche le più difficili, come la ricerca su:

1. le cellule staminali

2. la clonazione

3. i problemi legati alla sessualità

4. la ripartizione dei ruoli tra uomini e donne

5. l’appartenenza etnica e nazionale

6. il razzismo

7. l’ecologia

Proprio su questi problemi, è emerso dalla discussione, il testo deve osare di più anche a costo di indicare delle divergenze ed è stato detto che:

“La teologia non deve evitare...” (Erikson).

“I punti di vista sui problemi antropologici si evolvono e certe cose condannate nel passato ora non lo sono più” (Onaiyekan).

La terza parte della discussione ha riguardato l’ecclesiologia e c’è un testo del 1998, “La natura ed il fine della Chiesa”, che, anche se non definitivo, è stato definito uno strumento ecumenico essenziale. Quindi la commissione continuerà a lavorare su di esso per presentarlo all’Assemblea COE del 2006.

Un certo irenismo è stato contestato da Mons. Hilarion, vescovo bizantino slavo di Vienna, il quale ha ritenuto importante non ignorare, ma piuttosto ammettere le divisioni esistenti tra le Chiese.

La quarta parte riguarda il problema del rapporto tra l’unità della Chiesa da una parte e l’identità etnica e nazionale dall’altra. Problema designato con la sigla “ETHNAT”.

A Kuala Lumpur sono state ricordate le ultime tappe dell’ETHNAT: l’inizio lo si è avuto nel 1997 a Fontgombault in Francia ed il programma mira a :

1. Aiutare le Chiese a comprendere meglio il ruolo giocato dalla propria identità in seno a se stessa e nel loro rapporto con la società.

2. Favorire il rinnovamento delle Chiese con il superamento della divisione.

3. Aiutare le Chiese a divenire dei segni profetici dell’unità umana e cristiana.

4. Aiutare le Chiese a realizzare un ruolo di conciliazione nelle situazioni di tensione e di conflitto.

Il Comitato incaricato dell’ETHNAT si è riunito nel Galles nel 1997 ed ha deciso di dare la priorità a due progetti:

1. Esame interdisciplinare dell’etnicità basato sulle risorse degli studi biblici, della teologia, della storia ecclesiastica, delle scienze sociali.

2. la testimonianza delle Chiese, dei consigli delle Chiese e dei centri ecumenici.

Sul tema ETHNAT hanno parlato il metropolita Makarios (Kenya) del Patriarcato ortodosso di Alessandria e da altri relatori di Romania, Sry Lanka, Zambia, Argentina.

La quinta è “L’ermeneutica ecumenica”, ed è stata presentata dal Prof. P.R. Andinach (Argentina). Questo studio è nato dai dibattiti della V Conferenza di Fede e Costituzione nel 1993; esso fa un esame dell’interpretazione delle Sacre Scritture ed una ricerca sull’interpretazione dei simboli, dei riti e delle pratiche. Una consultazione tenuta a Strasburgo nel 2002 si è rivolta ai luoghi dell’interpretazione: liturgia, vita della Chiesa, Canone delle Scritture, Concili ecumenici, contesto sociale, ai criteri di interpretazione, alla possibilità di un’ermeneutica propriamente ecumenica.

Un’altra consultazione tenuta a Vienna nel 2004 ha esaminato i simboli e la loro relazione per la costituzione di una identità (confessionale, etnica, ecc.).

Il sesto ed ultimo punto è stato quello del dialogo interreligioso. Un approfondimento è stato quello del dialogo interreligioso. Un approfondimento è stato fatto su continuità e discontinuità tra popolo ebraico e Chiesa cristiana.

Nel corso della riunione sono stati apprezzati degli studi teologici fatti su:

1. Pace e violenza.

2. Ripartizione dei ruoli maschili e femminili.

3. Sessualità.

È stato chiesto un legame più evidente tra formulazione teologiche e le loro implicazioni etiche e cioè una maggiore integrazione delle prime con la realtà della vita.

È stato anche raccomandato di mettere meno in rilievo la propria identità e di mettere più l’accento su ciò che si riceve gli uni dagli altri e su ciò che si riceve da Dio.

A conclusione dei suoi lavori l’Assemblea ha inviato un “messaggio alle Chiese”. In esso si dice che l’assemblea di Kuala Lumpur è stata un “momento di speranza”. Certamente molti problemi restano ancora da esplorare insieme ma si è presa coscienza che vi è un quadro di base che potrebbe permettere alle Chiese di avanzare in termini di un mutuo riconoscimento. “Accoglietevi gli uni gli altri come Cristo...”, tema dell’incontro, ci invita a riflettere sul dovere comune di una mutua ospitalità; andando al di là delle nostre divisioni per agire insieme per l’unità visibile della Chiesa.

Comitato Esecutivo

Il comitato esecutivo del COE si è riunito a Seul in Corea dal 24 al 27 agosto2004. ha raccomandato che i prossimi rapporti sui programmi sintetizzino meglio i problemi sui quali il Comitato esecutivo è chiamato a dare un consiglio o a prendere una decisione.

Successivamente il Comitato ha discusso su tre problemi riguardanti le strutture ben sapendo che, nei tre casi, il partenariato che ciò implica e di una importanza primordiale.

a) Il Comitato ha preso atto con soddisfazione del rapporto sull’Azione comune della Chiesa (ACT) ed ha sottolineato l’importanza di essa in materia di intervento in caso di catastrofe o di conflitto ed ha chiesto all’ACT di lavorare in stretta collaborazione con le chiese che si trovano nell’area sopra indicata.

b) Il Comitato esecutivo ha riaffermato l’impegno del Consiglio a sostenere l’obiettivo originale riguardo all’informazione nel movimento ecumenico.

c) Il Comitato ha preso atto del rapporto sullo spostamento del segretariato del COE per il Pacifico ed ha preso atto degli inconvenienti dovuti ad esso. Ha raccomandato di presentare al Comitato Centrale del COE la proposta fatta dai dirigenti di Chiesa del Pacifico di portare il Segretariato dal Pacifico a Ginevra.

Successivamente il Comitato esecutivo ha chiesto al Segretariato Generale di continuare a studiare, con le Chiese membri, le possibilità di realizzare la proposta le Chiese ai fini della loro rappresentanza e partecipazione. Ha raccomandato al Comitato Centrale l’ammissione come chiesa membro della Comunità del COE di

1. Chiesa protestante evangelica di Ginevra

2. Associazione delle Chiese Evangeliche Riformate del Burkina Faso

3. Chiesa protestante dei Paesi Bassi.

Il Comitato esecutivo ha poi lungamente discusso sull’accusa di grave deviazione teologica rivolta alla Chiesa Kimbanguista ed ha chiesto al COE di decidere se detta Chiesa gli appartiene o meno ed ha inoltre deciso che il problema dell’appartenenza o esclusione va risolto nella riunione del Comitato esecutivo del settembre 2005.

Il Comitato ha inoltre esaminato l’inserimento del problema delle “decisioni per consenso” nel regolamento; ha inoltre fatto delle dichiarazioni su:

1. sostegno al processo di unificazione della Corea

2. sostegno al progetto di risoluzione pacifica del conflitto del Darfur.

V – Tra Cristiani

CCEE

La sesta consultazione delle Conferenze episcopali europee sulla responsabilità della creazione si è svolto in Belgio a Namur dal 3 al 6 giugno 2004.

Tema: “Responsabilità delle Chiese e delle Religioni verso la creazione”.

Tra i presenti erano: rappresentanti della S. Sede, del Pontificio Consiglio “Giustizia e Pace”, della Commissione degli Episcopati presso l’Unione Europea, della “Rete” ecumenica per l’ambiente, di Giustizia e Pace-Europa, degli ordini religiosi.

Durante la prima seduta sono stati presentati tre contributi teologici: la prima di queste relazioni è stata di Mons. Emmanuel, metropolita di Francia del Patriarcato di Costantinopoli; egli ha sviluppato il tema della vocazione comune dell’umanità a divenire “sacerdote” avendo per compito di santificare la creazione la creazione in un atto culturale di azione di grazie. Una tale approccio infatti risponde meglio alla ricerca di una autentica intimità tra l’umanità e la creazione.

La seconda, a cura del pastore riformato svizzero Lukas Vischer, ha esposto l’apporto specifico delle chiese protestanti alla ricerca di uno sviluppo durevole nel mondo.

Cercando sempre di fondare la loro comprensione della creazione a partire dalla Scrittura, i protestanti hanno la tendenza a mettere l’accento sullo stato peccatore dell’umanità e sulla presenza costante della grazia di Dio.

La teologia protestante si sforza di mantenere l’equilibrio tra un ottimismo che pretende di risolvere i problemi ed un pessimismo che lascia ogni situazione alla responsabilità di Dio.

In sintesi: i credenti debbono fare tutto quello che possono per proteggere la natura, l’avvenire sarà in ogni caso un dono della grazia di Dio.

La terza è stata tenuta da Mons. P. Kelly, arcivescovo cattolico di Liverpool che ha esplorato il concetto tomista di “transustanziazione” come punto di partenza della sua relazione. Il termine, in S. Tommaso d’Aquino, non significa una trasformazione magica della materia, ma un movimento dove la materia acquista un senso radicalmente nuovo in una relazione radicalmente nuova tra l’uomo ed il suo Creatore per mezzo di elementi materiali.

Nella seduta pubblica vi sono stati interventi di appartenenti a diverse religioni.

Il P. Guy Gilbert ha presentato il punto di vista cristiano mettendo l’accento sulla franchezza e l’onestà che debbono caratterizzare il rapporto uomo-creazione.

Il rabbino belga, Albert Guigui, ha presentato l’interdizione biblica (Dt. 20) di tagliare gli alberi durante l’assedio di una città. Citando poi Amos 9 ha descritto l’armonia che esiste tra l’uomo e l’ambiente naturale.

Il venerabile Lama Karta di Tihanga ha presentato delle intuizioni profonde: utilizzando la natura l’uomo si trova ad un bivio tra vita interiore e mondo dei fenomeni . per lui tutte le grandi tradizioni religiose costituiscono un unico grande coro che canta l’indispensabile armonia tra vita interiore e mondo fenomenologico.

Il professore di religione musulmana M. Mahi Yacoub che per la conservazione della natura l’umanità deve cercare la pace tra le religioni nel rispetto del progetto di Dio, nella giustizia e nella fraternità umana.

Dal dibattito sono usciti molti elementi:

1. La responsabilità della creazione è una sfida fondamentale per l’avvenire della terra, la difesa della pace e la testimonianza cristiana nella società contemporanea.

2. Le Chiese cristiane debbono accordarsi nella valutazione del problema ecologico, ricordando la necessità del dialogo interreligioso, della pace, della giustizia, di una buona ripartizione delle risorse della creazione.

3. Attenzione alle risorse: acqua, petrolio, terra coltivabile.

I Segretari generali delle Conferenze Episcopali Europee si sono riuniti a Belgrado dal 10 al 13 giugno 2004 sul tema: “Il ruolo del cristianesimo e delle Chiese nell’Europa attuale”.

Dal comunicato stampa pubblicato al termine della riunione è emerso che molti segni indicano che una riscoperta ed una nuova proposta del Vangelo sono possibili nel continente europeo:

  • Il dibattito nelle radici cristiane dell’Europa.
  •  L’inquietudine e la paura di fronte al terrorismo.
  •  Il senso di vuoto nei confronti di punti di riferimento.
  • La nuova richiesta di senso e di spiritualità.
  •  Lo sviluppo di esperienze religiose ambigue, irrazionali, alternative.

I segretari hanno riflettuto su recenti esperienze che esprimono simbolicamente questa nuova possibilità offerta al cristianesimo ed hanno concluso che il popolo cristiano esiste ed è vivo in Europa. È urgente superare la dicotomia Europa dell’Est ed Europa dell’Ovest come pure è importante il confrontarsi con la cultura moderna e con i fenomeni del secolarismo e della secolarizzazione, l’occidente ha l’esperienza di una vita cristiana nella società secolarizzata e può offrirla all’Est e l’Est può aiutare l’Occidente a ritrovare i suoi valori perduti.

Un discorso positivo è stato poi fatto sui rapporti tra Chiesa ed Istituzioni europee, facendo riferimento in particolare al trattato costituzionale perché esiste un dialogo tra mondo ecclesiale e mondo politico.

Un vivo dibattito ha avuto luogo sulle relazioni tra cristianesimo, laicità e religioni; infatti occorre distinguere tra il laicismo che rifiuta la religione e la laicità autentica che è un modo di relazionarsi tra Chiesa e Stato.

In una società laica la Chiesa deve essere capace di ascoltare i problemi e le domande che si pongono e di trovare un linguaggio che permetta di rispondere, testimoniare ed annunziare il Vangelo che è la Buona Novella per tutti.

L’incontro di Belgrado ha ugualmente costituito una importante esperienza ecumenica. Particolarmente fraterna è stata l’accoglienza da parte del Patriarca serbo Pavle.

All’incontro organizzato ogni anno dal Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee, hanno partecipato i segretari generali di: Albania, Germani, Inghilterra, Austria, Belgio, Bielorussia, Bosnia ed Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Scozia, Spagna, Francia, Ungheria, Lituania, Lussemburgo, Malta, Olanda, Paesi Scandinavi, Polonia, Portogallo, Romania, Russia, Serbia e Montenegro, Slovenia, Slovacchia, Svizzera, Ucraina.

KEK

La prima riunione plenaria della nuova commissione “Chiesa e Società” della conferenza delle Chiese europee si è tenuta in Belgio dal 28 aprile al 2 maggio.

La Conferenza delle Chiese europee ha salutato l’adozione da parte della Conferenza intergovernamentale della Costituzione dell’Unione europea. La Kek e le 125 chiese membri di tradizione anglicana, vecchio cattolica, ortodossa e protestante, hanno seguito attentamente l’elaborazione della Costituzione europea e si sono rallegrate che il Parlamento europeo abbia un più forte ruolo in materia di asilo e di migrazione come pure che d’ora in avanti chiare norme giuridiche proteggeranno i diritti delle persone e della dignità umana; ha tuttavia deplorato che l’Unione europea abbia messo l’accento più sul miglioramento delle capacità militari degli stati membri che sull’impegno in favore della prevenzione dei conflitti.

Dal 25 al 27 giugno 2004 la seconda consultazione dei teologi ortodossi e protestanti nell’ecclesiologia si è svolta in Germania. L’incontro ha riunito vescovi e teologi ortodossi, calcedoniani e precalcedoniani da una parte e teologi delle chiese luterane, riformate ed unite.

Comunione delle Chiese protestanti d’Europa (CEPE)

Il Comitato esecutivo della Comunione delle Chiese protestanti in Europa si è riunito in Germania dal 23 al 25 aprile 2004 per preparare la VI assemblea generale.

Dal 6 al 10 maggio 2004 il gruppo di studio della CEPE si è riunito ad Oradea in Romania per elaborare dei suggerimenti in vista di una riforma delle strutture dell’organizzazione della Comunione.

Il rapporto finale della seconda serie di dialoghi tra la CEPE e la Federazione Battista Europea (FBE) è stato pubblicato il 26 giugno 2004.

Il dialogo tra FBE e CEPE non pretende di aver regolato definitivamente le discussioni teologiche controverse, infatti un tema che mostra differenze profonde è quello dell’ecclesiologia. Una piena comunione è ancora lontana ma la ricerca e la riflessione continuano.

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Copti in Italia
Gli abbà in subaffitto
di Laura Badaracchi


La sua vocazione è anche quella di pittore: dipinge icone su tela o pergamena, dai colori vivaci e accesi, che poi appende alle pareti della chiesa romana dei santi Gioacchino e Anna ai Monti. Ambà (che in lingua amarica significa "regalo") è arrivato dall'Etiopia due anni fa; ha studiato arte tradizionale mentre frequentava teologia e si preparava a diventare diacono. Con il permesso di soggiorno per motivi religiosi, ora vive in una stanza subaffittata per 300 euro al mese in un appartamento a Centocelle. E affianca nella catechesi e nel canto abbà Gebre Tinsae Hailu, il sacerdote responsabile della comunità copta ortodossa in via Monte Polacco.

La chiesetta in cui da dieci anni si ritrovano gli etiopi è uno dei tanti luoghi di culto cattolici (perlopiù in disuso) "prestati" alle comunità straniere di altre confessioni cristiane dalla diocesi di Roma. Costruita nell'VIII secolo, è stata ristrutturata nel 1609, ma ora necessita di un urgente restauro. «A giugno o settembre dovremo lasciarla», annuncia padre Gebre. «Ma il Vicariato non ci ha ancora comunicato dove possiamo andare».

Vicina alla fermata Cavour della metropolitana, la chiesa è stracolma ogni domenica mattina. A centinaia partecipano alla divina liturgia, nella lingua tradizionale liturgica giez (ghis è la pronuncia), che comincia alle 8 e dura circa tre ore. Tra i banchi si nascondono i bambini, mentre intere famiglie - etiopiche e in qualche caso miste, con uno dei coniugi italiano - pregano e cantano al ritmo di sonagli e tamburi. Sul pavimento, tappeti pregiati; tutti sono scalzi e lasciano le scarpe all'ingresso, sotto un'immagine di Gesù che troneggia sulla bandiera dell'Etiopia; come una didascalia, un versetto dell'Esodo ricorda che si sta entrando «in un luogo santo».

Le donne indossano il netelà, mantello bianco di tela leggera che le avvolge e ricopre il capo. «La Bibbia dice che la donna è chiamata a coprirsi per la preghiera», spiega Esete, una delle veterane della comunità. Nella capitale è approdata nel 1982, a motivo di una borsa di studio in architettura mentre studiava come geometra; sposata con un italiano cattolico, cinque figli educati alla fede ortodossa, fa parte insieme al marito del "Comitato della chiesa", un gruppo formato da sacerdoti, diaconi e laici che si preoccupa delle questioni amministrative e dei problemi comunitari. Caso tipico, ad esempio, quando muore un connazionale e i parenti hanno difficoltà economiche, la comunità organizza una colletta per poter inviare la salma in patria.

Una delle emergenze più discusse è la mancanza di spazio: «Non abbiamo a disposizione una sala dove riunire i bambini e fare catechesi, o in cui incontrarci per le feste o la scuola biblica», lamenta Esete. In mancanza di una struttura propria, sufficientemente capiente e perennemente a disposizione dei fedeli (circa 600 praticanti, giovani donne nella maggioranza dei casi), il giovedì pomeriggio la spiegazione della Scrittura avviene in chiesa; molte ragazze, impiegate per lo più come colf o badanti, chiedono il giorno libero al proprio datore di lavoro per poter frequentare la "lezione".

La liturgia è il fulcro della vita comunitaria. I copti ortodossi festeggiano solennemente l'Ascensione. E il Natale - come succede in tutte le Chiese dell'ortodossia - è spostato al 7 gennaio. Le loro tradizioni vantano quindici secoli di storia: la Chiesa copta ortodossa egiziana, etiope ed eritrea - così come quella siro-giacobita, quella malankarese in India e la Chiesa apostolica armena - sono antichissime comunità orientali, la cui origine risale a uno dei primi scismi della cristianità indivisa: tutte, pur essendo indipendenti tram loro e organizzate in patriarcati autonomi, vengono dette "pre-calcedonesi" perché nel 451 non accettarono le conclusioni del Concilio di Calcedonia, che definì il dogma dell'unione in Cristo delle nature divina e umana. Definite "monofisite" ("una sola natura") perché ponevano l’accento soprattutto sulla natura divina di Gesù, dal IV secolo sono dunque separate dal Papa di Roma.

Con la Santa Sede, a partire dagli anni del post-concilio, molte controversie teologiche sono state relativizzate e le relazioni fraterne sono migliorate. Ma, dall'angolatura di questa piccola comunità straniera dispersa nella capitale del cattolicesimo, sembra che non tutte le frizioni siano state superate: «Siamo una Chiesa povera, non siamo ricchi come i cattolici», dichiara abbà Gebre. Affiancato da altri due sacerdoti e altrettanti diaconi, il parroco sta studiando l'italiano e l'inglese; è arrivato a Roma nove mesi fa e vive in un convento di suore, a San Pietro in Vincoli. Nella chiesa non c'è posto per dormire: né per il parroco, nè per diaconi e sacerdoti, che hanno affittato posti-letto in appartamenti di. periferia.

Il dialogo ecumenico? Viene vissuto in talune occasioni, per lo più liturgiche. L'abbà ha avviato rapporti cordiali con le comunità ortodosse della città: «Spesso recitiamo il vespro insieme», riferisce. E con i cattolici? Ci si incontra solo in occasione della Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani. Poi la comunità vive molto la fede al suo interno.

Padre Gebre è un punto di riferimento per i fedeli: gli si avvicinano continuamente, al termine della celebrazione, per essere benedetti con la sua croce, che viene poi baciata. Si abbracciano per tre volte: è il saluto tipico. Tra loro, anche Mulumbet, da quattro anni a Roma con suo marito, operaio in una ditta di vini. Lei lavora come colf di mattina, in alcune famiglie, ma sta cercando di impiegare anche le ore pomeridiane per riuscire a pagare l'affitto. «Siamo sposati da sette anni, ma i figli non arrivano. Mi rivolgo a Mariàm, ogni domenica. Sono andata a pregare anche al santuario cattolico del Divino Amore», racconta. Si sofferma davanti a una delle tante icone della Madonna con il Bambino: nella chiesa abbondano, insieme a quelle di Cristo e dei santi, illuminate dal tremolio delle candele che diffondono ovunque un odore di cera. Davanti alle icone, inchinati per accendere una nuova fiammella, si radunano in silenzio giovani madri con i bambini, uomini slanciati che aprono la Bibbia e ne leggono qualche versetto, immergendosi poi nella meditazione. Carnagione olivastra e capelli color ebano: un frammento di Africa, discreto, poco vistoso, intriso di rituali dal sapore antico.

Amhà, il diacono, prova i canti del matrimonio che si celebrerà la domenica successiva. Anche lui sogna di sposarsi, di trovare una borsa di studio in storia dell'arte e di abitare in una casa grande, in cui ci sia spazio per le sue tele, i pennelli e il cavalletto. Intanto continua a intonare gli inni e a insegnare catechismo ai suoi compatrioti. Si sente un po' in terra di. missione: «Ci sono tante difficoltà pratiche, dall'affitto al sostentamento quotidiano. Viviamo grazie alle offerte dei fedeli, che sono poveri come noi», dice. Si ferma un istante. Riflette. Poi conclude: «Nel mio Paese è più facile essere diacono».

(da Jesus, giugno 2004)


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Anglicani in Italia
Porte aperte alla diversità
di Laura Badaracchi





Porte aperte, dalla mattina alla sera: al centro della capitale, lontana solo pochi passi dalla stazione Termini, sulla trafficatissima via Nazionale, la chiesa episcopaliana americana di San Paolo entro le Mura pullula senza sosta di visitatori curiosi, che si alternano a credenti, volontari, immigrati. I turisti di passaggio si fermano per ammirarne l'architettura, attratti anche dal fitto programma di concerti. Un giardino accogliente, fiori e piante circondano l'entrata della parish, dove approdano anche tante giovani coppie giapponesi: nel pacchetto turistico sono incluse la visita alla chiesa e la benedizione dei novelli sposi, che per l'occasione indossano per la seconda volta l'abito nuziale. Cerimonie semplici e raccolte: infatti, varcando la soglia della chiesa, si entra in una piccola oasi di silenzio e di pace, isolata dal frastuono dei clacson e dal rumore delle auto in corsa.

I fedeli non mancano, e provengono dai quattro angoli del pianeta: statunitensi e latinoamericani (soprattutto dell'Ecuador), filippini e africani (nigeriani in primis), ma anche italiani: coppie miste e alcuni divorziati ex cattolici. “Arrivano alla nostra chiesa perché la percepiscono come più inclusiva e accogliente verso le diversità: sono ammesse le seconde nozze, l'omosessualità, le donne prete, i pastori sposati”, spiega il reverendo Michael Vono, dal ‘92 rettore di questa parrocchia, divenuta nel tempo testimonianza vivente della presenza nel mondo della Comunione anglicana: quasi 70 milioni di fedeli in 36 Chiese, sparse in oltre 160 Paesi.

St. Paul's within the walls, piccola porzione della "Convocazione europea delle Chiese americane episcopaliane", è una delle 130 parrocchie anglicane sparse in tutta Europa e sulle coste del Mediterraneo. Con un primato: “È la prima chiesa costruita nel 1873 a Roma da una comunità non cattolica”, ricorda il rettore, 55 anni, nativo del Rhode Island ma con l'Italia nelle vene: nonni materni catanesi e padre originario di Catanzaro. Seminarista cattolico alla facoltà teologica di Washington, divenne anglicano nel '72 studiando l'ecclesiologia: “Un professore mi fece notare che concepivo la Chiesa come una comunione in cui il prete o il vescovo non è separato dai laici. Dai cattolici non ci separano diversità di fede, ma di autorità e governo”. Il suo ufficio parrocchiale, stracolmo di libri per la preghiera accatastati vicino alle buste di viveri per i poveri, è un "porto di mare" all'insegna dell'accoglienza: vengono a salutarlo homeless membri del gruppo "Alcolisti anonimi" (che hanno una sala a disposizione per i loro incontri serali), anziani, ragazzi della comunità, che conta oltre 330 membri "registrati", anche se i partecipanti alle celebrazioni in inglese, spagnolo e italiano sono centinaia. Intorno alla Messa, culto al centro dell'anglicanesimo, la comunità si ritrova aprendo Book of Common Prayer.

Crocevia di etnie non solo a motivo dei parrocchiani o dei turisti, San Paolo entro le Mura ospita nella cripta un centro diurno per richiedenti asilo e immigrati, intitolato a Joel Nafuma, sacerdote ugandese rifugiato che vent'anni fa aprì il servizio, inizialmente rivolto soprattutto agli africani, dal '95 esteso a tutti gli stranieri in difficoltà. “Un'espressione dell'ospitalità globale a Roma”, lo definisce padre Michael. In una stanza della cripta un volontario cattolico fa lezione d'italiano ad alcuni stranieri, africani e dell'Est Europa. Al piano di sopra, in una delle sale parrocchiali che di solito ospitano le prove di canto, un'altra volontaria danese-luterana insegna inglese a un afghano, un rumeno, un curdo e un sudanese. A loro si affiancano sister Emy, suora cattolica delle Sorelle di Sion, e padre Peter, religioso sacramentino. L'ecumenismo vissuto assume le forme più svariate: il mercoledì, ad esempio, i presbiteriani portano 300 pranzi al sacco per gli ospiti del centro, coordinato da Akbatan Tuana Abdullà, rifugiato curdo giunto in Italia cinque anni fa. “Sono musulmano, ma non praticante. Qui non parliamo di religione: accogliamo chiunque bussi alla nostra porta”, riferisce Padre Michele - così lo chiamano gli ospiti del Nafuma Center - non porta nè Bibbia nè Corano: “Però tutti capiscono, pur nella diversità delle lingue, che questa è la casa di Dio, senza proselitismo”.

Gli idiomi si moltiplicano anche nell'altra chiesa anglicana della capitale: la All Saints' church, affacciata sulla sofisticata via del Babuino che congiunge piazza di Spagna a piazza del Popolo. Dal francese all'arabo, passando per il tamil e lo swahili: sono le lingue "madri" dei fedeli che frequentano la parrocchia. Ma nell'inglese dei canti della Messa domenicale la variegata comunità (circa 200 iscritti, di fatto mezzo migliaio di frequentanti) ritrova un linguaggio comune.

Struttura simile a San Paolo entro le Mura (fu lo stesso architetto a disegnarle), diverse le persone in preghiera sulle sedie rigorosamente allineate: per lo più di estrazione sociale medio-alta. Nei locali parrocchiali, il giovedì mattina, si riuniscono le mogli di ambasciatori, diplomatici, funzionari di multinazionali o della Fao. Mentre i loro piccoli giocano, si incontrano per un coffee hour e per finanziare Assisi house, destinata a madri povere. Come nella Chiesa episcopaliana, anche in questa comunità si tengono prestigiosi concerti e i molti turisti che si aggirano tra le navate passeggiano discretamente, rispettosi del raccoglimento che si respira tra queste volte.

Le giornate feriali della parrocchia sono scandite dalla preghiera mattutina, cui segue la colazione comunitaria, e dall'Eucaristia pomeridiana, in italiano il sabato alle 18. “Due volte al mese celebra da noi anche un gruppo di "Vecchio-cattolici", che fa parte dell'unione di Utrecht, nata da uno scisma dopo il Vaticano I, che proclamò l’infallibilità del Papa”, riferisce il reverendo Jonathan Boardman, dal novembre '99 parroco di questa chiesa, che fa parte della diocesi europea della Church of England (la chiesa-madre dell’anglicanesimo), costituita da oltre 150 cappellanie. In Italia le "parrocchie" della Chiesa d’Inghilterra sono una decina, oltre a diverse comunità ospitate per il culto in chiese cattoliche, per un totale di circa 60 mila fedeli.

Il reverendo Boardman ha studiato a Oxford, Cambridge e alla Gregoriana. Dopo Liverpool e Londra, è approdato nella capitale, senza perdere la passione per il contatto pastorale con i fedeli: “Dopo il culto resto a disposizione di chi desidera un colloquio personale”. La chiesa di Ognissanti - spiega - è un esempio di ecumenismo “praticato, non solo pensato”. A partire dalle coppie "miste" per provenienza e credo: “Gli italiani, una minoranza, hanno un po’ di Inghilterra in famiglia, perché spesso uno dei coniugi è anglicano e l'altro cattolico”. Ma anche gli-inglesi "doc" rappresentano solo il 30-40 per cento della comunità, formata in primo luogo da persone provenienti da Paesi dell'ex impero britannico: Canada, Australia, Nuova Zelanda, ma anche Sudan, Ghana, Nigeria, Kenya, India. Tra loro, una quota di immigrati che lavorano come domestici.

Non è impresa facile amalgamare una miscela etnica tanto differenziata a livello sociale, economico e culturale. Per Boardman il trait d'union sta nel culto comune: “Lo stile liturgico è abbastanza formale per fornire una base comune in cui tutti possano riconoscersi”. Gli inni, infatti, sono gli stessi per oltre 80 milioni di anglicani sparsi in una cinquantina di nazioni. Il confronto, però, riemerge nella scuola biblica: “Accanto a un laureato in teologia a Cambridge siede chi ha una cultura elementare, ma che dà risposte piene di semplicità e freschezza”.

Sara Mac Vane, assistente del reverendo Boardman, che sta studiando per diventare pastora, racconta: “Ho scoperto la vocazione pastorale di aiutare le persone che arrivano qui con grandi problemi”. Sara li indirizza alle strutture in cui gli anglicani prestano il loro servizio di volontari: dal centro diurno della Chiesa episcopaliana americana alla parrocchia cattolica di San Lorenzo in Lucina.

Partendo dalla solidarietà, l'ecumenismo percorre vie inedite: il gemellaggio con la parrocchia cattolica omonima di Ognissanti (dove periodicamente ci si ritrova per il vespro), ad esempio, e la partecipazione di metà della comunità anglicana alle celebrazioni ecumeniche proposte ogni anno dalla diocesi di Roma. Con le altre confessioni cristiane di lingua inglese (che si incontrano come Churches Together in Rome) la collaborazione è ben avviata, così come con la Federazione delle Chiese evangeliche in Italia. Non mancano i contatti con il movimento dei Focolari, la Comunità di Sant'Egidio, Chemin Neuf e Taizè. Resta invece una certa distanza con gli ortodossi e gli orientali in genere. A pochi metri dalla All Saints' sorge la chiesa di Sant'Atanasio, frequentata dai greco-cattolici di rito bizantino. “I rapporti sono fraterni”, commenta Boardman. “Tuttavia è più difficile avvicinarsi a loro, perla profonda diversità dei riti”.

La porta della chiesa di Ognissanti resta aperta per tutta la settimana. Dopo il culto domenicale, segue l'accoglienza dei nuovi arrivati o dei turisti che hanno partecipato alla Messa; durante il rinfresco preparato dalla comunità, la presentazione reciproca crea un clima di condivisione. “Una metafora”, evidenzia il pastore, “del nostro lavoro nella città, all'insegna del dialogo. Amo la Chiesa cattolica, però mi dispiace che le altre realtà cristiane siano poco conosciute: bisogna andare a trovarle, perché è importante celebrare questa diversità”.


(da Jesus, giugno 2004)



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Battisti in Italia
Multietnici con brio
di Nicola Nicoletti


In un bel palazzotto di fine Settecento è collocata la sede della più antica chiesa evangelica battista di Napoli. Si trova al numero 93 in via Foria, trafficata arteria del centro cittadino. Una targa sul lato del fabbricato è l'unico segnale che indica la presenza della comunità. Oltre il grande portone si scopre un'oasi di pace inaspettata, offerta da un giardino interno ricco di verde. “Qui, soprattutto la domenica, veniamo per incontrarci. È un momento in cui riusciamo a vederci per pregare e discutere della nostra vita”. A raccontare la storia di questa comunità di cristiani è il suo pastore, Massimo Aprile. Barba curata, sguardo rassicurante, pronta accoglienza.

Da poco tempo è stato nominato per la seconda volta alla guida dei 135 membri della chiesa. Dottori, avvocati, giovani studenti universitari e casalinghe, rappresentano gli assidui membri del piccolo gruppo dei battisti a Napoli che si ritrova, con figli e genitori, per partecipare alle celebrazioni e agli incontri di studio biblico. Dal giardino, un tempo sosta dei cavalli per le carrozze del trasporto urbano, parte una coppia di scale che si ricongiunge al piano superiore ove è posta la chiesa. Al fondo della luminosa sala la grande vasca usata per il battesimo per immersione di chi, dai 18 anni in poi, confessa la propria fede.

Sono numerosi i momenti d'incontro, la celebrazione dell'eucaristia mensile, la preghiera ecumenica, la scuola catechetica per i bambini e il gruppo dei "funamboli", gli adolescenti che, utilizzando il teatro e la musica, animano le celebrazioni. Ai riti non partecipano solo italiani; vi sono infatti numerosi nigeriani (per loro il culto è tradotto anche in inglese), russi, moldavi, rumeni e sudamericani. Si tratta di immigrati accolti dalla comunità che si interessa anche alle necessità materiali di chi giunge in Italia in cerca di fortuna. Spesso, trovato il lavoro al Nord, lasciano Napoli e, quindi, la comunità cambia volto. “Non si perdono totalmente i contatti”, rassicura il pastore, “poiché una lettera o una visita non mancano mai”.

La storia della chiesa battista a Napoli prende il via dal periodo risorgimentale, quando in tutt'Italia si afferma il principio della separazione tra Stato e Chiesa. Il primo nucleo si raccolse nel centro storico del capoluogo. Nel 1892 si stabilì nei locali in cui risiede tutt'ora. La città è stata sempre molto accogliente con le varie espressioni del protestantesimo, e lo è rimasta negli anni. Solo durante il regime fascista vi furono delle vessazioni. Poi, finita la guerra, si è ritornati ai buoni rapporti che avvicinano con spontaneità gli abitanti ai battisti.

Le relazioni con la Chiesa cattolica hanno ovviamente uno spartiacque: il Concilio. Fino al Vaticano II ci sono state piccole discriminazioni (dalla difficoltà nel trovare gli immobili da affittare, all'insegnamento nelle scuole). Dopo, grazie al cammino ecumenico, le Chiese hanno superato le difficoltà iniziando a parlarsi e a programmare iniziative comuni. L'impegno dei gruppi cattolici che pongono in maggior rilievo la Parola hanno agevolato il colloquio, come pure gli incontri alla Cappella della Riconciliazione. Buoni i rapporti anche con i musulmani: “Alla fine del Ramadan gli imam ci hanno invitati a pranzare con loro: è stato un bel momento per le due comunità”.

L'impegno per la pace e la giustizia vede spesso i battisti presenti insieme ad altre confessioni religiose. La Scuola di pace, promossa dal movimento "chiese cristiane per la pace e il disarmo", è stata ospitata dalla comunità battista con un'assidua presenza delle Chiese evangeliche e cattolica. “Con la Chiesa-cattolica c'è una buona esperienza di dialogo”, commenta il pastore. “Certo, le difficoltà non mancano, ma ci sono stati interessanti momenti di scambio quando è venuto il vescovo di Caserta, monsignor Nogaro, a parlarci dell'impegno per gli extracomunitari”. Vi è poi la Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani, che rappresenta oramai un momento importante per stringere maggiormente il legame spirituale tra le Chiese di Napoli. Da qualche anno alcuni giovani hanno deciso di impegnarsi con chi vive ai margini della società. Collaborando con il Banco alimentare di Caserta, assicurano 180 pasti ai senza fissa dimora che, secondo i volontari, sono in preoccupante aumento.

Massimo Aprile e sua moglie, Anna Maffei, sono i due pastori della comunità. “Siamo l'unico caso in Italia in cui marito e moglie sono pastori, a metà tempo, della stessa chiesa”, racconta Aprile. Napoletano, 49 anni, ha sentito la chiamata alla fede durante l'università, dopo i dubbi spirituali del periodo adolescenziale. Analoga la storia della moglie che, laureatasi in lingue, è andata con il marito a Zurigo a studiare teologia. Dopo un'esperienza di prova in chiese diverse, l'assemblea li ha dichiarati idonei ad essere pastori. “Come congregazionalisti, le decisioni, patrimoniali, teologiche e d'impegno nel sociale vengono prese nell'assemblea generale composta dai delegati”, spiega. “La nostra elezione è stata presa dall’assemblea della comunità, la massima autorità ecclesiale”.

A questa esperienza Massimo Aprile aggiunge anche quella di essere stato cappellano dell'ospedale evangelico di Napoli e, quindi, formato alla pastorale clinica, momento in cui ha scoperto i diversi volti della sofferenza accanto a chi opera in quel delicato mondo. Qual è il ruolo del pastore oggi? “L'annuncio della parola di Dio e la cura pastorale sono gli impegni primari. Il mio compito è anche di essere mediatore culturale con chi non conosce la Chiesa battista, oltre - ovviamente - a essere sposo e padre”. I coniugi Aprile sono genitori di tre figli: Emanuele di 21 anni e Andrea di 16. Poi è arrivato l'affidamento di Anna, 24 anni, che, sposata da poco tempo, è divenuta mamma.

Non mancano gli impegni anche per la consorte. Anna Maffei è vice-presidente dell'Ucebi (Unione Cristiano evangelica battista italiana) e vice-direttrice del settimanale Riforma, l'organo ufficiale delle Chiese battiste, metodiste e valdesi. La dinamica comunità, che ospita al piano terra anche una delle tre redazioni di Riforma, guarda con interesse alle moderne tecniche multimediali per evangelizzare, senza dimenticare la musica, antico patrimonio della Chiesa battista. Nel 1999 hanno registrato il Cd Ipharadisi (nome che riporta alla lotta contro l'apartheid), un bel lavoro corale in cui sono presenti motivi negro spiritual assieme a canti sudamericani e napoletani (come l'immancabile Quanno nascette Ninno). “Il disco ci ha fatti conoscere anche all'estero”, spiega contento il pastore, “e ha creato uno spirito di armonia tra i componenti della comunità e le persone che abbiamo incontrato nei nostri concerti, perché la musica riesce ancora a parlare al cuore della gente”.

(da Jesus, giugno 2004)

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