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Domenica, 10 Novembre 2024 09:26

Due modi di lettura del passaggio del Mar Rosso

Lettura dal punto di vista ebraico di Gilles Bernheim


E perché i figli di Israele si disposero davanti al Mar Rosso secondo l’ordine delle dodici tribù, allo scopo di preservare l’eredità dei figli di Giacobbe, che Dio suscitò il miracolo e gli fece attraversare il mare a piedi.” (Midrach Yalkout reuvéni su Esodo 14)

Il miracolo del Mar Rosso ricorda che le tribù di Israele sono indissociabili l’una dall’altra.

Si potrebbe pensare che questa divisione in 12 tribù abbia perduto,con il passare del tempo, un po’ del suo senso o del suo interesse,che i particolarismi dei padri fondatori della nazione si siano attenuati progressivamente come tutti i particolarismi, seguendo una evoluzione naturale. In effetti, è evidente che, al momento di abbandonare definitivamente l’Egitto dopo generazioni di asservimento e di assimilazione, questa costituzione del popolo in dodici famiglie ha perduto la sua forza originale.

Legati all’eredità dei loro padri

Ora la Torah respinge con forza questa idea. Lungo tutto il capitolo 14 dell’Esodo, il Midrash (commentario omiletico della Bibbia) ritorna regolarmente su questa formale esigenza: ”Come le tribù dei vostri padri, voi beneficerete dell’apertura del mar Rosso ed erediterete la terra di Israele”. Le ultime parole del Midrach, risuonano ancora di questa preoccupazione: ”Ciascuno dei figli di Israele rimase fedele all’eredità dei suoi padri e si radunò davanti al mar Rosso secondo l’ordine delle tribù. ”Quando la Bibbia ripete a sua volta” che nessuna eredità presso i figli di Israele passerà da una tribù all’altra” (Numeri 36,7) manifesta indubbiamente una preoccupazione che non è solamente quella che riguarda la preservazione del patrimonio di ogni tribù, il mantenimento di ciascuna nei limiti che gli saranno assegnati ma va largamente al di là.

Si tratta qui anche di ribadire il carattere peculiare di ciascuna tribù. Il patrimonio specifico di ciascuna deve esprimersi nel mettere radici su di una terra,nel confrontarsi con i problemi politici,ed è questa una prova decisiva.Questa preoccupazione della Torah non può essere vista come una pura e semplice esasperazione delle differenze, cosa che aprirebbe immediatamente la strada ai piccoli nazionalismi pignoli e gelosi a vocazione egemonica rischiando di compromettere seriamente ogni idea di unità

Unità nazionale

Insistendo sulla nozione di tribu, la Torah, vuole promuovere la più completa concezione di unità del popolo, che non deve essere un’unità di facciata. L’unità di un popolo che sia uno, nel senso che ogni individuo sia unico e insostituibile e arrivi ad integrarsi alla dinamica collettiva dando un pieno senso alla sua vita. Nella pratica quotidiana non è, in effetti facile riuscire a situarsi ed evolvere in un’aria mediana, tra un individualismo esacerbato e senza condivisione che non permette ad alcun progetto collettivo di realizzarsi, e un nazionalismo anch’esso portato agli eccessi che ignora ogni particolarismo, sottomettendo gli individui, senza contropartita alla ragion di Stato. I dodici figli di Giacobbe, rappresentano dodici modi differenti di vivere la Legge. Le dodici tribù costituiscono il passaggio obbligato tra l’individuo e la nazione. Ma queste figure per essere veramente operanti non possono essere dei semplici riferimenti letterari, dei modelli” mitici”. Esse debbono continuare ad incarnarsi e ad evolvere nel tempo. Non si è mai trattato di riprodurre e perpetuare nelle tribù le caratteristiche proprie dei padri, nella loro interezza e senza sfumature. Ciascuno di questi padri incarna delle tendenze, uno stile che deve essere piegato, forgiato, fino a giungere ad un completamento nella sua espressione, a livello del gruppo, legato alla sua terra...

Uno stile proprio

Ogni tribù avrà cura di realizzarsi nello “stile” che gli è proprio, completando l’opera dei padri, e assumendo fino in fondo il proprio modo specifico di vivere; in tal modo si realizzerà la trasmissione dei valori patriarcali secondo dodici modi principali che interagiscono nella storia, sola condizione, questa, per perpetuare nella sua interezza l’eredità dei padri.

Così, al di là della semplice esigenza di coesistenza pacifica, si delinea la necessità di mirare ad una complementarietà pienamente accettata e pienamente efficace, condizione per accedere alla vera unità. E già presso i figli di Giacobbe, si delineano delle associazioni, buone o cattive che siano; Simeone e Levi ”coppia maledetta” che Giacobbe voleva dividere e disperdere ad ogni costo (Genesi 49,5-7), Issacar e Zabulon la cui fruttuosa unione proseguirà in maniera esemplare.

Nel Libro dei Numeri nascono nuovi gruppi. Nel campo di Israele (cap 2) le tribù sono disposte a gruppi di tre intorno al Tabernacolo e attraverso questa sistemazione, vengono posti saldamente i fondamenti dell’unità del popolo; la presenza divina può stabilirsi in mezzo ad esso.

Ma questa unità deve ancora realizzarsi con lo stabilirsi in una terra dove porrà le sue radici; là più che mai si dovranno eludere le tentazioni nazionaliste, lasciando posto alla diversità nell’unità.

Per questa ragione la Torah vuole che sia mantenuto questo raggruppamento per tribù e che il Midrash ne sottolinei l’importanza fin dal passaggio miracoloso del mar Rosso, atto fondamentale della storia di Israele.

 
Lettura dal punto di vista cristiano di Joseph Stricher

 

Con il passaggio del mar Rosso,gli Ebrei preparano la via a coloro che verranno dopo di loro

Nella liturgia della chiesa cattolica l’evocazione del passaggio del mare dà il via alle celebrazioni pasquali. Nella veglia del sabato sera, i fedeli si raccolgono sul sagrato, accendono il cero pasquale e l’introducono nella chiesa. Nella penombra, alla luce dei ceri, si innalza il canto dell’Exultet. In questo antico inno, nel quale alcuni elementi risalgono addirittura ad Ambrogio di Milano, si celebra ”la notte in cui hai tratto dall’Egitto i figli di Israele,i nostri padri, e hai fatto passar loro il mar Rosso con i piedi asciutti.È la notte in cui il fuoco di una colonna luminosa respingeva le tenebre del peccato(….)ecco la notte in cui il Cristo ,spezzando i lacci della morte, si è sollevato, vittorioso, dagli inferi(…) O notte di vera felicità, notte in cui il cielo si unisce alla terra, in cui l’uomo incontra Dio.”

L’assemblea ascolta e medita una serie di testi biblici:il poema della creazione, la liturgia di Isacco,il passaggio del mare, seguito dal canto di Mosè:

I carri del Faraone e le sue armate
Egli li lancia nel mare
Tutti i capi sono precipitati nel mare Rosso.
L’abisso li ricopre:
essi affondano,come pietre,nel fondo delle acque.

L’Exultet, come la selezione del testo, si ispira al poema ebraico delle quattro notti che segnano il mondo:creazione, Abramo, Pasqua, venuta del messia (Targoum Neofiti Esodo 12,42). Dopo alcune altre letture viene la liturgia battesimale. Il prete benedice l’acqua: ”Ai figli di Abramo tu hai fatto passare il Mar Rosso a piedi asciutti, affinché il popolo di Israele, liberato dalla schiavitù, prefiguri il popolo dei battezzati(….) che scenda su quest’acqua la potenza dello Spirito santo, affinché ogni uomo che sarà battezzato, sepolto nella morte con il Cristo, resusciti con il Cristo per la vita”.

La pasqua cristiana celebra la resurrezione del Cristo, ma, come si può constatare, si situa ugualmente in continuità con la Pasqua ebraica. Vi si celebra la potenza di Dio che fa passare il mar Rosso a piedi asciutti ai nostri padri e che fa passare Gesù dalla morte alla vita. Il passaggio del mare è un’immagine della morte-resurrezione di Gesù e un’immagine del battesimo. Gesù è stato immerso nella morte per rinascere a una vita nuova. ”Per il battesimo, nella sua morte, siamo stati dunque sepolti con lui affinchè, come Cristo è risuscitato dai morti per la gloria del Padre, viviamo anche noi una vita nuova” così scrive Paolo nella sua lettera ai Romani (6,4).

Il passaggio del mare è oggetto di una lettura tipologica. Ciò significa che gli avvenimenti raccontati nella Bibbia servono da esempio alle generazioni successive e sono immagine di ciò che si realizzerà in pienezza in Gesù Cristo. Un passaggio della Lettera ai Corinti illustra bene questo tipo di esegesi. Paolo viene a sapere che alcuni Corinti sono pieni di orgoglio. Essi pensano che, poiché sono battezzati possono permettersi tutto, compreso mangiare la carne offerta agli idoli, con il rischio di scandalizzare i più deboli. Paolo ricorda loro che la salvezza non è acquisita una volta per tutte. Lo prova ciò che è avvenuto alla uscita dall’Egitto: ”I nostri padri sono stati tutti sotto la protezione della nube, e tutti hanno passato il mar Rosso. Tutti sono stati, per così dire, battezzati in Mosè, nella nube e nel mare (…). Tuttavia, la maggior parte di essi hanno fatto dispiacere a Dio, e sono caduti nel deserto.” (10,1-2,5)

“Battezzati in Mosè” l’espressione è stupefacente. Essa significa che Mosè è una figura del Cristo. La colonna di nubi - (colonna di nubi il giorno per aprir loro la strada, colonna di fuoco la notte per illuminarli, secondo Esodo 13,21, simbolo della presenza di Dio) – e il passaggio del mare sono figure del battesimo.

Nel suo sermone per l’Epifania S.Massimo di Torino (≈ 415) commenta: la colonna di fuoco si è avanzata per prima attraverso il mar Rosso affinché i figli di Israele la seguissero senza paura. Essa ha attraversato le acque per prima per preparare la strada a quelli che l’avrebbero seguita. Fu questo , dice l’apostolo, un mistero prefigurante il battesimo. Si, fu come un battesimo, quando la nube ricopriva gli uomini e le acque li portava. In un modo più popolare, ritroviamo questa idea negli spirituals che associano il passaggio del mare al battesimo.

Quando Mosè conduceva il popolo d’Israele
Verso Canaan
(mar Rosso!)
Faraone corse loro dietro, per il solo piacere
Di essere crudele
(mar Rosso!)
Oh Faraone, è annegato, annegato, oh là là!
Oh Faraone, è annegato nel mar Rosso!
Non dimenticherò mai che un bel giorno
(mar Rosso!)
Gesù mi lavò nel suo amore
(mar Rosso!)

Terminiamo con il diacono Ephrem ( IV sec.). Per mostrare la novità apportata dal Cristo, egli associa nella stessa gioia pasquale il risveglio della natura in primavera, il passaggio del mare e la resurrezione di Gesù. Ecco un breve estratto: ”Nel mese di Nisan, quando i fiori imprigionati uscirono dai loro germogli, i bambini, a loro volta, uscirono dalla loro camera. Era festa; essi gioirono insieme per il loro bel Signore, i bambini e i fiori (…). Nel mese di Nisan, il mese rigoglioso che genera i canti, i bambini donarono la loro voce, senza più aver paura (…). Con l’agnello pasquale, i bambini poterono uscire e,come degli agnelli fuori del recinto, saltarono liberamente.” (Da Azymis XI)

(tratto da Le Monde des Religions, n. 4, pp. 53-56)

 

Pubblicato in Bibbia

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