Ecumene

Martedì, 30 Novembre 2004 01:51

Tante note per una sinfonia. Intervista a Raimon Panikkar

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Il dialogo interreligioso
Tante note per una sinfonia
Intervista a Raimon Panikkar





AHN: Come condirettore del Parlamento delle Religioni, che bilancio traccerebbe del dialogo interreligioso?
Raimon Panikkar: In primo luogo, ho il vantaggio di essere stupido e di conseguenza di non fare bilanci. Tutto si può "bilanciare" positivamente e negativamente, sottolineando una cosa o un’altra. Tutto il mondo è paese. Ma, tutto sommato, il bilancio non è negativo.
Dal punto di vista sociologico, anzi, è molto positivo. Finora abbiamo vissuto sempre più in compartimenti stagni. Si parla molto di globalizzazione, ma non di un incontro umano di una certa profondità.
La mia critica è che non si è ancora arrivati dove io avrei voluto che si arrivasse: a un incontro, non solamente di cuore, cordiale, ma umano in senso profondo, di menti e cuori allo stesso tempo. Non per dire tutti le stesse cose, ma per comprendersi e amarsi con un po' più di intelligenza e di profondità. Non si tratta di una concordia esterna. Non andiamo a parlare solo perché l'altro non dispone di armi atomiche e non intende distruggermi, si tratta di qualcosa di più.
A mio modo di vedere, questo qualcosa di più non è uniformità, ma la possibilità di godere dell'arcobaleno. Io non voglio che il verde sia rosso né che il rosso sia giallo, ma voglio poter godere della sinfonia di colori anziché di una melodia monocolore. Il fatto è che, lo vogliamo o no, siamo ancora monoculturali, soprattutto l'occidente. Non si può essere multiculturali, cioè essere al di sopra di coloro che hanno una sola cultura. Bisogna essere interculturali, cioè aprirsi alla fecondità mutua tra gli uni e gli altri. La metafora è duplice, spirituale e sessuale. Io posso apprendere molto dall'altro, sempre che io permetta anche all'altro di fecondarmi e apprendere da me. C'è una certa inculturazione tra coloro che vogliono apprendere molto dagli altri, per essere migliori di loro. Ma il movimento deve prodursi in entrambe le direzioni perché ci sia una vera comunicazione.
E di questo si stanno ponendo le basi. Perché, avendo toccato il fondo, siamo arrivati a un punto in cui appare chiaro che così non si può continuare. Questa è la mia opinione paradossalmente ottimista. Non è uguale litigare prendendosi a pugni o farlo con le bombe atomiche. Se non cambiamo, presto o tardi arriveremo a questo. E poiché siamo disposti solo a porre cataplasmi, palliativi e iniezioni di acqua fresca, non arriviamo al fondo delle cose. Ma il mondo sì che ha toccato il fondo. La riforma non serve, bisogna realizzare una trasformazione (metamorfosi, in greco) e aiutare la gente a prendere coscienza del fatto che con i palliativi non si va da nessuna parte.
Se il rimedio deve essere efficace, ci deve coinvolgere completamente. E, a volte, non siamo disposti a correre il rischio. Predicare sì, sappiamo farlo d'avanzo. Ma essere l'incarnazione di quello che predichiamo, cioè lasciar da parte tutte le sicurezze, già è più difficile. Siamo ossessionati dalla sicurezza ma, per valutare l'importanza delle idee, bisogna assumere i rischi. 'Il signore delle Carte', Cartesio, era ossessionato dalla ricerca della verità. Ma oggi, dall'ossessione di Cartesio per la certezza, siamo passati alla patologia della sicurezza, che ci rovina la vita. Bisogna correre il rischio di essere vulnerabili. Puoi portare un pugnale nascosto per uccidermi o avere qualsiasi altra intenzione occulta, ma se io sono sospettoso dall'inizio non esiste più relazione umana. Senza fiducia, non si può essere felici.

AHN: Si è riusciti a generare questa fiducia qui nel Forum, nel Parlamento delle Religioni?
RP: C'è molta simpatia, c'è scambio di conoscenze. Quando ho cominciato a difendere l'Islam, molta gente ha riconosciuto che da questa religione non c'è da temere tanto. Si è rotto una specie di tabù e molti fraintendimenti sono caduti. Gli stessi cattolici si sono resi conto che non ogni cattolico deve essere inclusivista, si può essere cattolici senza aver questo atteggiamento. Io credo che si sia ottenuto abbastanza, ma mi piacerebbe passare dal sociologico al metafisico.

AHN: Assenze significative come quella del Dalai Lama crede che lancino un messaggio al Parlamento delle Religioni?
RP: Non c'è male da cui non venga un bene. Il Dalai Lama è un mio intimo amico. L'ho conosciuto nel 1959 in un piccolissimo paese accanto a Benares (una delle sette città sacre della religione hindù, presso il Gange), come piccolo monaco buddista. Quando venne qui, 10 anni fa, tutti volevano conoscerlo, perché emana una grande luce, e alla fine l'ho presentato io, che non sono nessuno...

AHN: Negli incontri delle e sulle donne del Parlamento, in cui c'è un grande scambio di energie, si notano tutte le differenze rispetto agli incontri maschili in cui si parla in modo solenne. Quanto è necessario secondo lei il contributo femminile alla soluzione dei problemi di questo mondo?
RP: Provengo, per parte di mio padre, da una società millenaria in cui comandano le donne. E, per me, la cosa più importante è che le donne non imitino gli uomini. Una donna indigena mi disse molto tempo fa che provava compassione per gli uomini, che avevano lasciato alle donne la cosa più importante che è la casa e la famiglia, mentre loro si dedicavano solo al lavoro. Ma nella società attuale questo non funziona, perché le donne hanno voluto imitare gli uomini e lavorano anche loro.
È necessario sviluppare l'aspetto femminile di ogni uomo. Gli uomini non posso monopolizzare la mascolinità, tutti siamo maschi e tutti abbiamo la metà dei cromosomi femminili. Non possiamo diventare uguali, dobbiamo confrontarci. La complementarità deve essere pacifica e amorevole. Al momento, abbiamo una società ad egemonia maschile. Ed ecco vediamo dove stiamo andando. Non credo nella competizione tra donne e uomini, perché nelle circostanze attuali sono le donne che perderanno. Questo non porta da nessuna parte. C'è bisogno di un'altra cosa: la complementarietà, l'amore...
Questo nuovo stile di vita necessita del contributo femminile, ma non solo quello della donna. Ci sono donne maschiliste. C'è una specie di razzismo sessuale (non di genere, che è un'invenzione linguistica). Fortunatamente, le donne oggi si stanno ribellando.
Le donne che rappresentano la femminilità (quando la rappresentano senza impiegare i mezzi dialettici maschili dello scontro) devono aiutarci a creare una società più umana, più amorevole, più duttile, più flessibile. C'è un'arte che gli uomini hanno smarrito, mentre per le donne è quasi innata: l'arte di sedurre con semplicità. Non è vanità, è umanità.
Con la lotta non si ottiene niente. Si ottiene solo che gli altri si ripieghino in se stessi, si induriscano e diano battaglia. Allora si perdono. Io sono tanto maschile quanto femminile, senza essere omosessuale né altro. C'è una dimensione femminile in tutti noi che bisogna coltivare e risvegliare.

AHN: Melloni ha detto che la società secolare sta adottando una dimensione sempre più trascendente, che è sempre più credente. In che modo le società occidentali possono avvicinarsi non più alla religione ma al sentimento religioso?
RP: Non lo esprimerei in questo modo. Lo avranno riportato così i giornali, ma io non leggo la stampa, non ascolto la radio, non vedo la televisione e, naturalmente, non ho l'automobile. Vedo gli amici, parlo con la gente e leggo libri e studi che gli autori hanno passato molto tempo ad elaborare. Leggo solo "Le Monde Diplomatique" che dà un informazione meno immediata e più analitica. Oggi ho sfogliato "El Paìs" e, dopo due minuti, già non ne potevo più. Leggendo solo di assassinii, suicidi, attentati che visione possiamo avere del mondo? È questo il mondo? Sì, anche, ma non è totalmente né essenzialmente così. La visione che lentamente stiamo facendo passare è basata solo sull'eccezionale e l'eccezionale non è categorico.

AHN: Nella sua "Lettera a un giovane" raccomandava ai giovani di scegliere quello che amano non quello che si vuole loro imporre. Direbbe loro lo stesso oggi?
RP: Sì, ma senza amarezza. Il massimo dono della vita è la vita, che abbiamo già. Io non mi sento scoraggiato dall'ingiustizia che vedo, per quanto la denunci e lotti contro di essa. Arriva però a spaventarmi. Perché Solzyenitzin era il nemico numero uno dei sovietici? Solo perché era antisovietico, come la maggior parte dei russi? Perché era lento? No. Perché con i suoi romanzi faceva in modo che la gente scoprisse che anche in un campo di concentramento si può essere umani. Questo fa sì che perdano il potere di spaventarti, di minacciarci. Se non ho paura, non cado nella paranoia della sicurezza. La vita è rischio.

AHN: Cosa vede per il futuro? Come lo immagina? Esiste?
RP: Il futuro è una proiezione mentale, non esiste. Quando arriva, è già presente. Per questo ho inventato la parola "tempernità", che non è tempo ora ed eternità dopo, ma l'unione del tempo e dell'eternità

(da Adista n.70, 9 ottobre 2004)


Letto 2369 volte Ultima modifica il Giovedì, 03 Febbraio 2005 01:03
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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