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Sabato, 27 Gennaio 2024 10:48

L'esilio della vecchiaia (Augusto Chendi)

Nell'opinione pubblica lo vecchiaia è considerata secondo un'ottica medica - ovvero come quel periodo della vita in cui più alta è la probabilità di ricorrere a terapie mediche e trattamenti sanitari - e secondo un'ottica di etica pubblica, ossia secondo le norme della giustizia nella distribuzione delle risorse medico-sanitarie disponibili in un dato contesto sociale. Le due ottiche, per quanto assai importanti, paiono tuttavia di portata alquanto limitata poiché offrono una comprensione parziale dell'esperienza dell'invecchiamento e non affrontano il problema del suo vero senso.

L'anzianità costituisce un fenomeno strutturale che segna un cambiamento sociale di grande portata, relativo al modello di sviluppo e alle regole della convivenza che la nostra civiltà sta attraversando.
Purtroppo, emarginazione, esclusione, isolamento, truffe, aggressioni e abusi rischiano di farne un'età a grave rischio. Ma è la cultura dei nostri giorni a non offrire una buona immagine della vecchiaia: suggerisce semmai l'idea di poter rimanere giovani per sempre.
Anche i messaggi che ci vengono trasmessi da ambienti della ricerca scientifica tendono a convincerci che l'invecchiamento si può contrastare, facendoci sperare che esso riguardi solo gli altri. Di qui la necessità di una riflessione che, oltre a mostrare che la vecchiaia coinvolge tutti direttamente, inviti a scoprirne i contenuti, sia per capire quella degli altri che per accettare la nostra.

La congiura del silenzio

È, quindi, una questione di "senso". Di fronte alla "congiura del silenzio" circa l'anzianità, riconoscere il processo dell'invecchiamento, intenderlo nelle sue caratteristiche e nel suo divenire è la condizione perché ci appartenga fino in fondo. Viceversa, nella società moderna la vecchiaia tende a trasformarsi in una sorta di tabù, in un argomento proibito, come se non esistesse. Ma contro il male incurabile dell'invecchiare non valgono né gli esorcismi della ragione analitica, né i processi di rimozione collettiva.
Nella vecchiaia è in gioco la nostra stessa immagine. La rivelazione dell'altro che è in noi ci viene in realtà dall'esterno, da coloro che ci guardano. Noi cerchiamo di rappresentarci chi siamo attraverso la visione che gli altri hanno di noi. Vi sono periodi in cui l'immagine che abbiamo di noi basta a rassicurarci della nostra identità, come è il caso dei bambini e dell'età adolescenziale, ma l'individuo anziano si sente vecchio attraverso gli altri, senza aver provato serie mutazioni: interiormente non aderisce all'etichetta che gli viene appiccicata addosso, e finisce per non sapere più chi è. In questa nuova condizione, volenti o nolenti, si finisce per arrendersi al punto di vista altrui, ma questa resa non è mai semplice. V'è infatti una discrepanza tra la situazione che io vivo e di cui ho esperienza e la forma obiettiva che essa assume per gli altri, ma che a me sfugge.
Nella nostra società, la persona anziana è designata come tale dal comportamento altrui, dal vocabolario stesso: in una parola, deve assumere questa realtà. Vi è un'infinità di modi per farlo, ma nessuno mi permetterà di coincidere con la realtà che assumo io stesso.
Affinché la vecchiaia non diventi una parodia della nostra esistenza precedente, non v'è che una soluzione, continuare a perseguire dei fini che diano un senso alla nostra vita: la dedizione ad altre persone, a una qualche causa, al lavoro sociale o politico, intellettuale o creativo. Contrariamente a quel che ci viene consigliato, e cioè una serena accettazione dei mali che la scienza e la tecnica non sarebbero in grado di eliminare, occorrerebbe conservare fino alla tarda età delle passioni abbastanza forti da farci evitare il ripiegamento su noi stessi. La vita conserva un valore finché si dà valore a quella degli altri, attraverso l'amore, l'amicizia, l'indignazione, la compassione.

L'anzianità individuale

Rimangono allora delle ragioni per agire e parlare. La condizione senile sembra suggerire una riconsiderazione dei rapporti tra gli uomini. Se la cultura non fosse un sapere inerte, acquisito una volta e poi dimenticato, ma fosse viva, ogni individuo avrebbe sul suo ambiente una presa capace di realizzarsi e di rinnovarsi nel corso degli anni, e sarebbe un cittadino attivo a qualunque età. Se l'individuo non fosse chiuso e partecipasse a una vita collettiva, altrettanto quotidiana ed essenziale quanto la propria, non conoscerebbe l'esilio della vecchiaia.
Come dovrebbe essere allora una società perché un uomo possa rimanere tale anche da anziano? La risposta è semplice: bisognerebbe che egli fosse sempre trattato come uomo. È dinanzi alla vecchiaia, infatti, che la società si smaschera: il modo in cui tratta i suoi membri inattivi descrive molto di sé stessa e di quanta enfasi riponga sulla mera dimensione produttiva degli individui.
Dinanzi all'immagine del nostro avvenire che ci propongono i vecchi noi restiamo increduli, una voce dentro di noi mormora che questo a noi non succederà. La vecchiaia è qualcosa che riguarda solo gli altri. È così che si può comprendere come la società riesca a impedirci di riconoscerci negli anziani.
Per vedere nei vecchi dei nostri simili, per non essere più indifferenti al destino di chi sentiamo lontano, estraneo, separato ma ci è invece vicino, familiare, prossimo... è necessario il riconoscimento della nostra identità in anticipo sui tempi della nostra vita. L'invecchiamento individuale è una parte dell'avventura umana che solleva le questioni fondamentali dell'esistenza: confrontata alla sua finitezza, la persona anziana reinterpreta la sua presenza al mondo. In questa storia non è isolata, ma resta strettamente solidale rispetto al gruppo culturale, sociale e familiare al quale è collegata. Ogni società, infatti, attribuisce un ruolo ai suoi anziani e organizza delle risposte ai bisogni dei più deboli, in particolare dei non autosufficienti.

Anzianità e vecchiaia

Alla luce di questi rilievi ci si può stupire dello scarso interesse riservato ai problemi degli anziani nei dibattiti etici, tanto che gli aspetti legati alla vecchiaia - isolamento socio-familiare, scarsità di risorse finanziarie, dipendenza - sono di rado oggetto di una riflessione approfondita. La vecchiaia resta argomento marginale nella disamina della nostra società occidentale, nonostante i progressi medici collochino in un contesto nuovo il vissuto dell'invecchiamento e l'approccio alla morte.
In Occidente le categorie predominanti della funzionalità e dell'utilità fanno invecchiare davvero male. Non s'invecchia solo per degenerazione biologica ma anche e soprattutto per l'idea che la nostra cultura si è fatta della vecchiaia. D'altra parte, la discussione sul senso dell'invecchiamento non può essere puramente teorica, gli interrogativi da porsi presuppongono un approfondimento in relazione al tema dell'alterità. Si tratta di riconoscere l'«altro» come se stesso e di rispettare il segreto della sua intimità. In situazioni di dipendenza, tutti gli attori - dai figli alle loro famiglie fino alle istituzioni e ai responsabili politici - sono rinviati alle loro concezioni della persona. Ciascuno si trova così chiamato a giustificare le interpretazioni delle nozioni di solidarietà, di progresso, e l'idea stessa che si fa del suo potere sulla vita.

Augusto Chendi

 

(pubblicato in MISSIONE SALUTE n. 5/2021, pp. 14-15)

 

 

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