Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input
di Mons. Remi Teissier, arcivescovo di Algeri
La promessa è di Dio e certamente si realizzerà; ma è pure attesa di ogni cuore umano e come tale essa è compito ineludibile di ciascuno.
“Non ci sarà più lutto, né lamento, né affanno» (Ap 21,4). È una promessa di Dio.
Ma è anche un'attesa del cuore. Specialmente in questi tempi dove i disordini della globalizzazione e le ingiustizie in Medio Oriente pesano su ciascuno di noi .
di Pietro Rossano
I discepoli di Gesù
12. Mentre viveva in singolare intimità di preghiera e di colloquio con Dio suo Padre, Gesù manifestò sempre una profonda solidarietà verso gli uomini. Ebbe rapporti di benevolenza e di salvezza con tutti, uomini e donne, giusti e peccatori, poveri e ricchi, connazionali e stranieri; se dimostrò preferenze, queste furono per i sofferenti, i disperati, gli umili. Ebbe per la persona umana un rispetto quale nessuno mai prima aveva manifestato; una grande e sana libertà regnò sempre attorno a lui.
13. La folla si assiepava sui suoi passi e lo seguiva nel suo cammino, ma fin dall’inizio egli si volle circondare di discepoli e collaboratori particolari. Come riferiscono i Vangeli, dopo aver pregato il Padre, egli chiamò a sé quelli che voleva, e ne costituì Dodici perché stessero con lui e per mandarli a predicare il suo messaggio. Per questo diede loro il nome di Apostoli, che significa « inviati ». Ad essi comunicò particolarmente il suo messaggio, la sua missione e i suoi poteri; li vediamo quindi, già vivente Gesù, predicare nei villaggi e nelle località della Palestina. Nel gruppo degli Apostoli dedicò particolare attenzione a Pietro, al quale affidò la direzione e la custodia di tutti quelli che avrebbero creduto in lui, dicendo: « Conferma i tuoi fratelli ».
14. A Pietro e ai Dodici promise una particolare assistenza dello Spirito Santo per illuminarli e dirigerli nella verità, al fine di trasmettere e interpretare fedelmente il suo messaggio a tutte le genti. Essi saranno i depositari e i responsabili sulla terra dell’opera della salvezza da lui inaugurata. A tal fine diede loro il potere di compiere efficacemente atti significativi, come il battesimo, il perdono dei peccati e la celebrazione del mistero della salvezza, (1) sul modello di ciò che egli aveva fatto alla vigilia del suo arresto, quando, nel corso dell’ ultima cena con i Dodici, benedisse il pane e il calice del vino dicendo: «Questo è il mio corpo che viene dato per voi... Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue che viene sparso per voi: fate questo in memoria di me»,
15. Prima di lasciare la terra, dopo la risurrezione, promise agli Apostoli lo Spirito Santo che avrebbero ricevuto tra breve per essere suoi araldi e testimoni su tutta la terra; poi conferì loro questo mandato fondamentale: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra; andate dunque e ammaestrate tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto quello che vi ho ordinato: ed ecco io sono con voi fino alla fine del mondo». Ed in segno di autorità davanti agli uomini diede loro il potere di operare miracoli in nome di Dio, come realmente avvenne.
16. Gli Apostoli iniziarono la loro missione il giorno stesso in cui ricevettero lo Spirito Santo, nella festa ebraica della Pentecoste, 50 giorni dopo la risurrezione di Gesù, e pochi giorni dopo la sua dipartita dalla terra. Pietro, i Dodici e i loro primi collaboratori presero ad annunziare e testimoniare pubblicamente, con franchezza, la «buona novella» della salvezza offerta da Dio in Gesù Cristo. «Sappiate tutti con certezza, proclamava san Pietro, che Dio ha costituito Signore e salvatore quel Gesù che voi avete messo in croce». «Fungiamo da ambasciatori per Cristo» scriveva l’apostolo Paolo, «e Dio esorta per bocca nostra; vi invitiamo dunque in nome di Cristo: riconciliatevi con Dio». E l’apostolo san Giovanni: « Quello che è avvenuto, che abbiamo ascoltato, che abbiamo visto con i nostri occhi, che abbiamo contemplato, e che le nostre mani hanno toccato.., lo annunciamo a voi, affinché anche voi abbiate comunione con noi, e la nostra comunione sia con Dio Padre e con il Figlio suo Gesù.. affinché la vostra gioia sia piena ».
17. Coloro che accettavano la testimonianza degli Apostoli, ricevevano il battesimo e formavano il primo nucleo della «Chiesa» di Dio, termine greco che significa « assemblea», «convocazione», Le testimonianze storiche rivelano chiaramente che la Chiesa primitiva radunava persone provenienti dall’Asia, dall’Africa e dall’Europa. Un documento contemporaneo descrive la Chiesa della prima ora così: «Erano perseveranti nell’ insegnamento degli Apostoli e nell’unione, nello spezzamento del pane (eucaristia) (2) e nelle preghiere…. prendendo il cibo con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo la simpatia di tutto il popolo. E il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che venivano alla salvezza».
1) Sul battesimo, il perdono dei peccati e la celebrazione dell’eucaristia vedi i nn. 21 e 22 del c. « La vita cristiana » e il n. 31 del c. « La sapienza cristiana».
2) L’eucaristia è la ripetizione del gesto compiuto da Gesù nella sua ultima cena; sulla natura e significato di essa vedasi il n. 22 e il n. 37 del c. «La vita cristiana» e il n. 31 del c.«sapienza cristiana»
di Mauro Làconi
Preannunciato già nell' Antico Testamento per i tempi messianici, come lo stesso libro degli Atti sottolinea fin dal principio (2,17-21), il discorso sullo Spirito di Dio permea, caratterizzandolo, tutto il Nuovo Testamento. In un certo senso tende ad esprimerne l'incomparabile novità: mediante il suo Spirito, Dio interviene nella vicenda umana per farne una storia del tutto nuova. Accentuato in modo particolare negli scritti di Paolo, soprattutto nel contesto della «giustificazione per grazia», si trova sottolineato nei Vangeli fin dall'inizio come per comunicare subito il senso del «divino» presente con Gesù (Mc 1,10; Mt 1,20 e Lc 1,15 e 35; Gv 1,32-34); ma nessun autore vi ritorna su con l'intensità di Luca, particolarmente - senza possibilità di confronti - nel suo «secondo volume»: il libro degli Atti degli apostoli. Il lettore attento ne coglie presto il motivo: mediante la presenza attiva dello Spirito nella Chiesa continua l'opera di Gesù. (1)
1. Il discorso sullo Spirito in Luca: dal Vangelo agli Atti
Nel Vangelo di Luca il discorso sullo Spirito inizia e conclude tutto (Lc 1,35-24,49), e nel corso del racconto compare con frequenza senza dubbio maggiore che negli altri vangeli (per es. Lc 4,18; 10,21; 11,11; ecc.). Ma è soprattutto nel libro degli Atti che ritorna con eccezionale frequenza. Ed è proprio Luca che ha reso abituale nel Nuovo Testamento l'espressione completa «Spirito Santo» destinata in seguito a diventare classica; molto più frequentemente che lo stesso Paolo. Mentre negli altri vangeli, Giovanni compreso, è assai più rara. Praticamente fino al c. 21 Luca menziona lo Spirito - presenza personale e operante nella Chiesa - praticamente in tutti i capitoli. Le eccezioni sono rare. In almeno una decina di essi poi con un rilievo particolare. Per esser più precisi: l) nella prima grande sezione dell'opera (cc. 1-12: la chiesa di Gerusalemme) il tema sullo Spirito raggiunge l'apice; 2) nella seconda (cc. 13-21: attività missionaria di Paolo) rimane insistente, seppure con qualche flessione; 3) nella terza (cc. 22-28: Paolo il prigioniero) misteriosamente - fatto raramente sottolineato - questo tema straordinariamente tipico del libro, scompare quasi del tutto.
A parte questo ultimo fatto di difficile spiegazione, tutto questo dimostra chiaramente che Luca segue il tema dello Spirito verso la Chiesa per se stessa, quasi a volerla definire (e non tanto verso il singolo credente); particolarmente orientandolo verso la Chiesa delle origini (cc. 1-12), fatto storico «di vino» che solo lo Spirito può spiegare; specificamente poi verso la Chiesa missionaria, che Paolo autorevolmente riesce a rappresentare (cc. 13-21).
Questa la visione globale, che ora conviene esaminare maggiormente nel dettaglio.
2. Impostazione cristologica del discorso sullo Spirito
È caratteristica costante del Nuovo Testamento, e specificamente dei Vangeli, la dimensione cristologica in cui si muove la teologia dello Spirito, Luca non fa eccezione; anzi accentua questo aspetto all'inizio del vangelo (Lc 4,1.14.18). Nel libro parallelo degli Atti la cristologia fluisce nell'ecclesialità: come Gesù, anche la Chiesa dà inizio alla sua storia e alla sua attività mossa dallo Spirito Santo, proprio come Gesù stesso aveva predetto (At 1,8). E non si tratta solo di una promessa, ma di un suo «dono» personale - sia pure in stretto rapporto «trinitario» -, affinché la continuità «cristologia» - «ecclesiologia» anche in questo risulti perfetta: «Dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo che egli aveva promesso, lo ha effuso» sulla Chiesa (At 2,33). E così risulta perfetta anche la continuità storico-letteraria fra i due volumi di Luca: il Vangelo (storia di Gesù) e gli Atti (storia della Chiesa).
Da questo momento l'azione dello Spirito continua inarrestabile, ma sempre in ordine a Gesù. Sarà proprio lo Spirito a mandare Pietro a Cesarea per evangelizzare i primi pagani (10,19; 11,12), ma per annunciare loro Gesù (10,3743). Lo stesso era avvenuto per Filippo (8,29-35) e avverrà per Paolo (13,2.4.23). Con perfetta logica Luca aveva già presentato lo Spirito, nella Chiesa, come «il testimone di Gesù». Impressionanti, e persino audaci a questo riguardo, le parole di Pietro davanti al Sinedrio: «Di questi fatti [riguardanti appunto Gesù] siamo testimoni noi e lo Spirito Santo!» (5,32). Espressione sorprendente, e tuttavia perfettamente in quadro, che troverà un parallelo molto più tardi nel Quarto vangelo (Gv 15,26). Luca distingue senza equivoci Gesù e lo Spirito, ma nello stesso tempo comunica al lettore il senso di una profonda unità; addirittura a un certo punto arriverà - per l'unica volta! - a definire lo Spirito Santo come «lo Spirito di Gesù!» (16,7). Espressione che potrebbe suonare addirittura sconcertante; e tuttavia senza equivoci se letta nel contesto di Luca. Troverà persino un parallelo - anche qui una sola volta! - in Paolo (Fil 1,19)!
Su questo argomento, che evidentemente sta molto a cuore a Luca - tensione cristologica nel suo discorso sullo Spirito -, si è voluto persino scoprire un netto parallelismo letterario all'inizio dei due volumi lucani:
- Vangelo (storia di Gesù): Gesù riceve lo Spirito (Lc 3,22)e pronuncia il suo discorso inaugurale a Nazaret (Le 4,16-27);
- Atti (storia della Chiesa): la Chiesa riceve lo Spirito (At 2,1-4)e Pietro pronuncia il discorso inaugurale cristiano a Gerusalemme (At 2, 14ss).
Una buona conferma: la Chiesa continua - nello Spirito - l'opera di Gesù.
3. La Pentecoste e la dimensione «divina» della storia
All'inizio del suo discorso di Pentecoste, per spiegarne il senso e parlare della discesa dello Spirito, Pietro si rifà al profeta Gioele (Gl 3,1-5); senonché le prime parole della citazione profetica non sono affatto del profeta biblico, ma personali di Pietro, comunque riferite da Luca, e cioè «cristiane»: «Negli ultimi giorni, dice il Signore ... » (At 2,17). Per l'apostolo dunque, e per l'evangelista, con la discesa dello Spirito ha inizio l'era finale e propriamente «divina» della storia. Certo non ancora «il giorno del Signore, giorno grande e splendido» (queste sono parole del profeta: At 2,20), cioè la fine risolutiva di tutto, che anche per Luca rimane lontana e misteriosa; ma in qualche modo il suo inizio, perché, inviando lo Spirito, e quindi con l'annuncio del mistero di Gesù, Dio è entrato da «Signore» nella storia degli uomini, conferendole un significato e una portata completamente nuova. In qualche modo, iniziale e non ancora definitivo, ma tuttavia autentico e operante nella vita di ognuno, l'atteso Regno di Dio si è reso già attuale e presente. È la tesi evangelica di Luca formulata nel suo vangelo con le parole stesse di Gesù: «Il Regno di Dio è in mezzo a voi» (Lc 17,21), che finalmente trova nella Pentecoste la sua autentica interpretazione. Questo dinamismo messo in atto dallo Spirito nella diffusione del Vangelo e nel diffondersi della Chiesa - un fatto per lui autenticamente divino e non puramente umano - trasforma la vicenda umana rendendola «storia della salvezza», anticipo del Regno e della salvezza. Nello stesso senso già Paolo aveva parlato delle «primizie dello Spirito» (Rm 8,23) o anche della «caparra dello Spirito» (2 Cor 1,22; 5,5; e anche Ef 1,13); come anche Giovanni, sia pure senza parlare direttamente dello Spirito, vedrà nel credente in Gesù «la vita eterna» - cioè «divina» - già presente e in atto («Chi crede nel Figlio ha la vita eterna»: Gv 3,36). È caratteristica di tutto il Nuovo Testamento una certa propensione a sentire il fatto della salvezza «futura» già in qualche modo anticipata nella vita «presente» di chi crede nel Cristo Risorto. Il merito di Luca, e anche di Paolo, è quello di aver identificato concretamente questo misterioso anticipo del futuro nella vitalità dello Spirito di Dio all'opera nella missionarietà evangelica.
4. la Pentecoste si rinnova continuamente nella Chiesa
Le fasi di questo sviluppo «pentecostale» vengono marcate minuziosamente. Poco dopo il racconto della Grande Pentecoste (c. 2), inizio decisivo della storia di Dio fra gli uomini, Luca ci fa assistere a una «seconda» (detta anche «piccola») Pentecoste (4,31), come sempre nel clima della preghiera comunitaria (4,24-30: la più antica preghiera ecclesiale che possediamo) e sempre anche se più modestamente, in clima di sconvolgimenti cosmici («il luogo in cui erano radunati tremò»). Questo «secondo miracolo di Pentecoste» (Schneider) non è una semplice ripetizione del primo, in tono minore. Ha una sua autonomia e un significato suo: sostiene la Chiesa in una generosa e impavida proclamazione missionaria (la «franchezza»: vv. 29 e 31; però il termine greco è più forte), date le resistenze che vanno profilandosi e il tempo ormai imminente del «martirio» (cc. 6-7). E così, sostenuta dalla forza dello Spirito, la «Parola» non si ferma: sconfina dal territorio giudaico (c. 8 in Samaria con Filippo, segnando una forte ripresa del tema dello Spirito), e finalmente, per esplicito intervento dello Spirito (10,19), raggiunge i pagani (cc. 10-11). Luca insiste nel sottolineare qui l'iniziativa dello Spirito (e non della Chiesa!: 11,2.15-18), ma soprattutto nel sottolineare il parallelismo fra questo fatto - (che potremmo già definire «terza Pentecoste», o «Pentecoste missionaria») - e la Grande Pentecoste degli inizi: lo Spirito prende l'iniziativa (anticipando addirittura il battesimo!: vv. 44-48) e manifestandosi, anche se in tono più moderato, esattamente come agli inizi («li sentivano parlare in lingue e glorificare Dio»: vv. 45-46). Fatti subito riconosciuti, con stupore e gioia, dalla comunità madre di Gerusalemme (11,17-18). E dopo questa «Pentecoste che segna l'inizio della missione ai pagani» (Schneider), altre se ne potrebbero cogliere nel testo di Luca, senza alcuna forzatura; per esempio quella che segna i veri inizi della chiesa in Efeso, significativamente improntati di aspetti anch'essi «pentecostali» (vedi 19,1-7: una «Pentecoste ... ecumenica»?). Comunque si sente affiorare l'intento profondo che guida Luca nel dedicare questi testi straordinari alla sua comunità: egli invita con forza i suoi lettori a non leggere nella sua testimonianza sulla Pentecoste un semplice, anche se straordinario, ricordo; sta invitando la sua Chiesa a un sincero confronto, per una ripresa di coscienza sulla vitalità dello Spirito che continua a costruirne la storia.
5. Tensione missionaria nel discorso lucano sullo Spirito
Già fin dalle prime righe che il libro degli Atti dedica allo Spirito (1,8) è chiaro che l'interesse di questo discorso è prevalentemente missionario e apostolico. Si potrebbe persino dire esclusivo. Anche i passi, appena elencati, sulla continuità dell' evento pentecostale nella Chiesa, lo provano: il dono dello Spirito, costantemente rinnovato, spinge la Chiesa alla testimonianza, e persino al martirio. Tuttavia questo libro dedica un'intera sezione (cc. 13-21: viaggi di Paolo) alla diffusione missionaria della Parola; ed è proprio lì che si trova la conferma di questo fatto nèl secondo volume di Luca.
Risulta immediatamente dal primo viaggio, quello che porterà all'evangelizzazione della Pisidia; viene deciso direttamente dallo Spirito (13,2), e Luca ricorda esplicitamente che i missionari partono «inviati dallo Spirito Santo» (v. 4). Naturalmente in un contesto ecclesiale: i membri della comunità di partenza (Antiochia) pregano, digiunano, impongono loro le mani (v. 3). Nel secondo viaggio, quello che porterà in Macedonia e in Grecia (Atene e Corinto), la forza dominatrice dello Spirito si manifesta in maniera addirittura estrosa; e cioè bloccando il cammino dei missionari e orientando li in maniera perentoria in una direzione nuova (16,6-8: una lettura persino sorprendente). E tuttavia non è nemmeno una novità: in questo libro è sempre lo Spirito che, ovviamente rivelandosi attraverso i profeti cristiani, decide l'itinerario missionario (vedi 8,29.39 per Filippo, e 11.12 per Pietro). E lo Spirito interviene ancora al termine del terzo viaggio per preannunciare e stabilire autorevolmente l'esito finale di tutta la missionarietà di Paolo: la drammatica testimonianza a Roma e il martirio (20,22-23: espressioni forti di Paolo stesso: «avvinto dallo Spirito!»; inoltre 21,4-14). Nel suo vangelo Luca riesce a variare i suoi interessi teologici a proposito dello Spirito; invece in Atti 1'orientamento missionario sembra proprio assoluto. Difficilmente, in tanta documentazione, si potrebbero trovare appigli di interessi diversi, per la vita religiosa o morale del credente per esempio. Orientamento massiccio, che, osservato frettolosamente, potrebbe lasciare un'impressione di unilateralità. Ma lo scritto lucano esprime nel suo insieme un' evidente impressione di rigore. Anche per questa scelta una motivazione rigorosa ci dev'essere. Per esempio un messaggio forte, riguardante, più che il singolo credente, la Chiesa impegnata nella storia. Lo Spirito, con i suoi interventi vigorosi, la sta trasfigurando, trasformandola in «storia di salvezza». Ma attraverso la Chiesa e la sua generosa testimonianza. Per questo Luca chiede alla sua Chiesa una consapevolezza «pentecostale» e una fedeltà allo Spirito totali e assolute.
(da Parole di vita”, n.1, 1998)
1) Nel loro essenziale schematismo possono risultare preziose le trattazioni sul tema nelle più recenti Introduzioni sul Nuovo Testamento. Ci limitiamo a ricordare le ultime: G. SEGALLA, La teologia di Luca-Atti: storia e teologia della salvezza, in Evangelo e Vangeli, EDB 1992, pp. 250-268; M. LÀCONI, Atti degli apostoli: Il Risorto e la forza dello Spirito, in Vangeli sinottici e Atti degli Apostoli (Logos 6), Elle Di Ci 1994, pp. 573-579; A. RODRIGUEZ CARMONA, L'Opera di Luca: la dimensione teologica - Cammino ... animato dallo Spirito, in Vangeli sinottici e Atti degli Apostoli, 6, Paideia 1995, pp. 278-282; R. PENNA, Spirito Santo. Nuovo Testamento, in Nuovo Dizionario di Teologia Biblica, Ed. Paoline, 1988, pp. 1507-1517. Non vanno trascurate le trattazioni nei commenti, soprattutto i più approfonditi e recenti; ci limitiamo a ricordare la sintesi succosa di G. SCHNEIDER, Gli Atti degli Apostoli (Comm. N.T. V), I, pp. 356-360.di Mauro Orsatti
di Silvano Pinato
Il Concilio ha riconosciuto alla vita religiosa uno statuto teologico che la colloca nel cuore stesso della Chiesa. Ma questa scoperta va valorizzata. Ecco quindi farsi avanti una nuova coscienza ecclesiale nei religiosi, che fa intravedere un orizzonte di relazioni e di comunione: i modi sono in parte ancora da inventare.
di Javier Melloni
Solo nel cammino comune le religioni possono liberare il meglio delle energie umane per trasformare il mondo.
Nel passaggio attraverso il deserto non ci sono solo sete e desolazione. Ci sono anche incontri sorprendenti, e albe e tramonti di una bellezza sconvolgente di fronte ad un orizzonte aperto e illimitato. Ma tutto questo non si conosce se non si inizia la traversata se non si esce dalla città, dove la luce del Sole si intravede solo attraverso le strade strette del già noto e troppe volte attraversato.
All'inizio dell'esodo c'è solo il dolore perché lo sradicamento ci lacera. Però, andando avanti nel cammino, sorge una domanda: e se la nostra casa, il nostro focolare, le nostre famiglie non fossero alle nostre spalle, ma davanti a noi?
di Vladimir Zelinskij
I tanti anni di ricerca di una rapida e visibile unità ci hanno convinto che non esiste ancora un unico grande ponte che possa unire le due estremità del burrone che da mille anni separa l’Oriente dall’Occidente. Ma si può trovare o, piuttosto, costruire di nuovo dei piccoli ponti – se non ancora tra le Chiese storiche, almeno tra le persone, le culture, le iniziative, gli slanci dello spirito che cercano uno spazio comune nelle realtà divise. Uno di questi ponti porta il nome di San Clemente, papa e confessore della fede del I secolo, morto nel 101 (secondo la tradizione, martire) a Chersones sul Mar Nero. Nella stessa città, quasi 9 secoli dopo, ha ricevuto il battesimo il gran principe di Kiev San Vladimir, il quale ha trasportato a Kiev una parte delle reliquie del papa. Un’altra parte del corpo del Santo fu portata da San Metodio a Roma. Oggi, 19 secoli dopo la morte, San Clemente, presente nelle sue reliquie a Roma e a Kiev, può fare un lavoro – discreto, ma miracoloso – per la costruzione di quei piccoli legami di unità che a volte si mostrano più resistenti e duraturi di tanti ambiziosi progetti.
L’ultimo di questi miracoli è stata l’apertura del Centro “San Clemente” a Kiev l’8 dicembre scorso (proprio nel giorno del Santo, secondo il calendario giuliano e della festa dell’Immacolata per la Chiesa Cattolica). Il Centro è stato inaugurato da una parte dal cardinale Walter Kasper, presidente della Commissione Pontificia per l’unità dei cristiani e dall’altra, dall’arcivescovo di Poltava Filippo, presidente della Commissione per l’educazione religiosa, il catechismo ed il lavoro missionario della Metropolia ucraina del Patriarcato di Mosca. Questa iniziativa ha ricevuto il pieno appoggio e la benedizione anche dal capo della Chiesa Ucraina, il metropolita Vladimir Sabodan e del capo della Chiesa greco-cattolica in Ucraina, il cardinale Lubomir Husar.
“Con la vostra benedizione – ha detto il cardinal Kasper durante la sua omelia davanti al pubblico riunito nella sala – l’importante Centro ecumenico, come speriamo, sarà un punto di riferimento, per lo studio, il dialogo e l’incontro fraterno tra le Chiese. Sembra che questo sia un albero piccolo, ma con l’aiuto di Dio e con il vostro sostegno, esso potrà portare buoni frutti”.
Certo, l’apertura in un appartamentino di tre stanze a Kiev dove si trova il nuovo Centro, non è avvenimento che possa attirare l’attenzione dei grandi quotidiani in Occidente. Ma chi conosce dall’interno la situazione ecumenica nell’Est dell’Europa capisce che anche le piccole cose possono acquistare un significato simbolico. Prima di tutto è significativo il contesto storico di oggi, condizionato da due avvenimenti che non sono legati fra di loro. Il primo è l’incontro di Ravenna (dove la Chiesa Russa non ha partecipato) e nel quale si è fatto un grande passo verso la riscoperta della lingua comune del primo millennio cristiano. La lingua comune presto o tardi aprirà la strada anche alla piena comunione – e pur se il cammino sarà lungo e difficile, un passo importante è stato fatto. Un altro avvenimento o, meglio, processo – molto meno visibile per l’Occidente, che si sta svolgendo proprio nei nostri giorni – è “l’ucrainizzazione” graduale della Chiesa Russa in Ucraina. Processo che si esprime anche nella sua crescente indipendenza, se non canonicamente, di certo nella sua “linea” ecumenica e pratica. Davvero, bisogna avere un po’ di fantasia per immaginare nelle condizioni attuali che un cardinale della Chiesa Romana insieme al nunzio apostolico abbiano partecipato ad ogni azione comune – specialmente all’apertura comune del Centro ecumenico – con un arcivescovo ortodosso. Anzi, con il responsabile degli affari interni della Chiesa Ucraina, l’arcivescovo Mitrofan Yurchuk, accanto al nunzio apostolico Ivan Yurkovic, con il rettore dell’Università Cattolica di Lviv, Boris Gudziak ed il presidente dell’Università nazionale Pietro Mohila, Vyacheslav Briuchovetsky e con tanti altri. Basta ricordare la visita recente del patriarca Alessio in Francia, accolto con grande entusiasmo a Notre Dame di Parigi, ma sospettato in Russia dai fondamentalisti ortodossi per il “reato” di aver pregato per qualche istante insieme con i cattolici. I fondamentalisti non mancano, certo, anche in Ucraina, ma non sono loro a dare il là. Così l’ultimo Concilio della Metropolia Ucraina ha condannato senza mezzi termini la cosiddetta “Unione dei cittadini ortodossi”, il bastione dell’integralismo locale.
Il Centro di San Clemente, secondo il progetto del suo promotore e direttore Constantin Sigov, è destinato a costruire – attraverso gli incontri, le conferenze, i corsi teologici, i seminari – un altro ponte che possa mettere in comunicazione l’educazione nelle scienze umane con la formazione propriamente religiosa – la quale rappresenta il nucleo di ogni conoscenza autentica dell’uomo. Il Centro stesso è collegato al Campus Universitario Politecnico, la più importante fra le università ucraine. Tutti i paesi dell’Est europeo soffrono della totale mancanza del sapere più elementare in materia spirituale, a causa del vuoto lasciato in eredità dall’epoca sovietica.
Un altro scopo del Centro è la fondazione, in un futuro abbastanza vicino, di una nuova casa editrice, la “San Clemente”, la quale pubblicherà nella traduzione ucraina e russa degli agevoli volumetti (che presenteranno alcuni classici del pensiero teologico del nostro tempo). Una collana del tipo “Farsi un’idea”, dedicata proprio all’ambito del pensiero spirituale. Fra gli autori previsti ad essere pubblicati per primi: Yves Congar, Hans Urs von Balthasar, Jean Danielou, Tomas Spidlik, Enzo Bianchi ed altri ancora...
Ma lo scopo, se dobbiamo formularlo in una frase, è la creazione di un clima per la comunione, proprio nel suo senso originale di koinonia – oggi si potrebbe chiamare anche “ecumenismo nello spirito”. “Possa lo Spirito di Cristo risorto, - ha detto il cardinale Kasper durante l’apertura, - consentire al nostro cuore e alla nostra mente di recare i frutti dell’unità nelle relazioni tra le nostre Chiese, affinché possiamo servire insieme l’unità e la pace di tutta la famiglia umana. Possa lo stesso Spirito condurci alla piena espressione del mistero della comunione ecclesiale, che noi riconosciamo con gratitudine come un dono meraviglioso di Dio al mondo, un mistero la cui bellezza rifulge specialmente nella santità alla quale siamo tutti chiamati. Ed il centro di San Clemente dovrebbe diventare un segno di speranza”.
Nello stesso giorno durante il ricevimento a casa del metropolita Vladimir, il metropolita stesso ha fatto un brindisi per coloro che lavorano per l’unità. Il suo tono era sobrio, ma pieno di speranza. “Noi lavoriamo per l’unità, ma non riusciremo a fare tutto durante la nostra vita. Tuttavia il nostro lavoro sarà compiuto da coloro che attraverseranno i ponti costruiti da noi”.
Il buddismo offre attraenti metodi di lavoro su di sé. Ma è sempre ben compreso dagli Occidentali che tendono ad applicarvi delle categorie che non sono necessariamente le sue?
I. LA MISTICA MEDIEVALE IN INGHILTERRA
Anche in Inghilterra la mistica ha vissuto nel medioevo un eccellente periodo di fioritura. Qui ricevette un impulso decisivo allorché monaci cistercensi vennero inviati dal loro abate Bernardo di Chiavaralle sull’isola, per diffondervi quella nuova religiosità «affettiva» che considerava come vertice della vita cristiana la dedizione d’amore dell’anima alla persona del Dio fatto uomo. Ancora oggi chi viaggia per l’Inghilterra può ammirare le rovine impressionanti delle abbazie cistercensi di Byland, Fountains e Rievaulx (tutte nella contea dello Yorkshire).
«Andate, battezzate nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo tutte le genti» (Mt 28, 19).
Due brevi precisazioni sulla terminologia di questa frase. Battezzare è sommergere qualcuno nell’onda vivificante e purificatrice. L’onda in cui i credenti son chiamati a sommergere l’umanità è il Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Cos’è il Nome? Per gli antichi, il nome non era un qualcosa di convenzionale o di secondario, definiva l’essenza della cosa o della persona che lo portava. Per noi che valutiamo il nome dal punto di vista delle nostre lingue esclusivamente fonetiche, è molto difficile capire questa particolarità. Il nome divino specificato nelle sue tre personali componenti, sulle labbra di Cristo indica la viva realtà di Dio, avente un legame diretto con tutta la realtà cosmica, come Creatore, come animatore di vita e di ascesa, come compimento del faticoso e glorioso cammino della creazione nello sconfinato oceano dell’Amore.
Siamo chiamati a immergerci e a immergere in quest’onda divina tutto il creato! A vivere cioè nella consapevolezza che la creazione non è la risultante di un cieco impulso di cellule e di facoltà, ma il frutto di un intervento costante, a-temporale, sempre nuovo, la cui natura, pur sfuggendo alla coscienza razionale - tributaria com’è del tempo e dello spazio - è avvertita e creduta per la fede. A vivere nella certezza profonda che il tribolato cammino del creato non è abbandonato a se stesso, ma accompagnato da una Presenza che prende su di sé gli errori, i peccati, la morte, bruciandoli per trasformarli in germinazione di vita. A muoverci nella fiducia che l’esistenza creata, nonostante le sue tragiche ombre, le sue dure chiusure, le sue disperanti esperienze, un giorno sarà illuminata da una luce, una pace, una pienezza di gioia e di amore inimmaginabili.
Sì, il cammino è duro. La mèta sognata dalle più profonde esperienze umane è in contraddizione con l’esperienza normale. Immersi in una forma di coscienza embrionale, tortuosa, avida, aneliamo al possesso di Dio; legati a una mente incerta e oscura, sogniamo una luminosa e completa conoscenza; lacerati da guerre, ingiustizie, bramiamo trasformare le lance in aratri; aneliamo a una libertà assoluta e costruiamo delle società sempre più condizionanti; avendo un corpo fragile e caduco, nutriamo la speranza che la nostra mortalità si rivesta d’immortalità. La ragione, constatando il divario insormontabile tra l’ideale e la realtà, diffida degli elevati sogni e preferisce l’umile e dolorosa realtà, chiudendosi in più limitati orizzonti e in uno, apparentemente giustificato, scetticismo.
Noi che crediamo, che per la nostra fede vivente siamo chiamati ad accendere nei cuori i più folli sogni, ad annunciare la parola magica della speranza, a comunicare a tutti la coppa del vino migliore, non possiamo che continuare ad attendere e ad annunciare il compimento del miracolo della trasmutazione della morte nella vita, della coscienza imperfetta nella luminosa pienezza della coscienza vivente in Dio, della carne nello Spirito.
Nell’insufficienza dell’esistenza c’è il germe della redenzione e della pienezza della vita. Nelle tenebre esiste la luce che le consumerà, nelle strutture limitatrici un’energia liberante.
Sono sogni di una mente esaltata? Proviamoci ad avere pensieri immensi come l’immensità divina, rompiamo i nostri piccoli amori in un amore sempre più vasto, dilatiamo le nostre piccole libertà nella sconfinata libertà dei figli di Dio. E vedremo che la realizzazione di Dio, nell’intimo e nell’esteriore, è il più alto e legittimo senso della vita umana.
«L’annuncio trinitario», Ascensione del Signore, Anno A; in Risveglio della coscienza, Sotto il Monte (BG) ed. CENS, Milano 1984, pp. 81-82