Vita nello Spirito

Attenzione

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Sabato, 30 Aprile 2005 22:19

UNA STORIA TUTTA DISCREZIONE

UNA STORIA TUTTA DISCREZIONE

 

Spesso un rapporto di coppia si infrange perché, nella ricerca della gioia e della fedeltà, scambiamo le virtù del partner con la proiezione delle nostre necessità. Ma un rapporto ha la possibilità di durare solo se su di esso siamo disposti ad interrogarci senza infingimenti. E se abbiamo la volontà di migliorarci.

 

«L'amore, che è un fanciullo, si ostina a volere ciò che gli viene vietato». (P. Duryer)

 

Ci sono delle prerogative, che si rivestono della qualifica di attributi caratterizzanti, che fanno la differenza tra un matrimonio e una qualunque altra relazione di coppia. Se dovessimo prendere in esame tutti i tipi di vincoli che hanno legami con la nostra esperienza, scopriremmo che alcuni di questi sono sostenuti da una naturale attrazione; altri sono legami tenuti in trazione da una forza di repulsione. Così noi, riferendoci ad una condotta che ha come polarità estreme l'amore e l'odio, parliamo di fiducia, abbandono, confidenza, familiarità, condivisione, stima, complicità, attrazione, erotismo, competizione, interesse, diffidenza, timore, dubbio, sospetto, circospezione e, a seconda delle circostanze, diamo una particolare coloritura e identifichiamo il tipo di relazione. Ma il matrimonio ha una vastità che non può essere contenuta in queste categorie, anche se, paradossalmente, i parametri entro i quali le doti che stanno alla base della relazione si stemperano sono soltanto due. La loro presenza nella quotidianità è tanto discreta da non far rumore, ma è tanto essenziale che, anche per un osservatore distratto, sarebbe fin troppo facile avvertirne la mancanza. Sto parlando della gioia e della fedeltà.

La fabbrica dei sogni

II mondo fragoroso che ci siamo costruiti con la nostra modernità, fa di tutto per abituarci ad un abbattimento della soglia dello stupore. Le novità più sconvolgenti che ci raggiungono in tempo reale da ogni parte del pianeta, le invenzioni e le scoperte che cantano l'incontenibile creatività dell'uomo, il sovvertimento dei costumi e delle abitudini che spazzano, come un uragano, usanze e tradizioni consolidate nei secoli, alzano dei giganteschi polveroni nei quali la sola cosa che sopravvive è l'eco del rumore. Anche il nostro linguaggio si è evoluto: ormai noi facciamo uso solo di assoluti o di superlativi. Forse è per questo che, nelle relazioni, una volta constatata la perdita di senso per la protezione della verginità, si assiste ad un progressivo anticiparsi dell'iniziazione sessuale senza che una adeguata preparazione affettiva - e non un deterrente! - garantisca una felicità capace di sfidare la difficoltà delle prove. Al primo incontro che ci coinvolge si dà sempre tutto, al massimo delle nostre potenzialità, per la paura che una simile, preziosa occasione possa non ripresentarsi. Le storie, allora, al pari delle grandi passioni, si riducono al rango di quegli appartamenti che per mascherare la mediocrità dei loro interni, espongono nell'ingresso ogni sorta di lusso e di richiamo.

Le trame che portano al matrimonio iniziano con momenti singolari la cui caratteristica è legata alla curiosità della scoperta. La gioia arriva quasi subito e va di pari passo con l'entusiasmo. Come accade per tutte le cose preziose, si dovrebbe capire ben presto che una simile fortuna ha bisogno di essere dosata, vissuta e protetta senza soffermarsi agli aspetti superficiali e consumistici. Ma la scoperta dell'altro è talmente ricca e copiosa di novità che non giunge mai ad esaurire la nostra curiosità. Qui i sogni conoscono il primo impatto con la delusione. C'è una frase che, più di altre, viene ripetuta con una certa passionalità: «II mio partner ha tutte le qualità!»... e la risposta più opportuna a tanta magniloquenza potrebbe essere questa: «Non l'hai guardato bene e per questo scambi le sue virtù con la proiezione delle tue necessità!» In questo caso, sono i primi appuntamenti con gli impegni a costituire le barriere che vedono i sogni infrangersi malamente. Sono quegli stessi appuntamenti a far rimpiangere la perduta libertà e a far avvertire il vincolo del matrimonio come la minaccia di un capestro opprimente. E se scompare la gioia, la tristezza che prende il suo posto non è altro che la misura del nostro attaccamento a noi stessi. Ci sono persone che vedono nel matrimonio la fuga dalla solitudine e, di conseguenza, la garanzia della loro gioia. È una illusione; peggio ancora: una tentazione. Una storia è bella se si stabilisce che non finisca mai. Il matrimonio pretende che ogni giorno, prima di coltivare i sogni, ci sappiamo mettere in discussione e chiederci come possiamo migliorarci per essere buoni compagni dell'altro. L'interrogativo non è sulle buone qualità del partner, ma sulla nostra inettitudine e sullo sforzo che siamo disposti a fare per migliorarci.

Piacere e fecondità

È sempre parlando di paradossi che ci si accorge che i concetti di libertà e fedeltà non sono in contrasto, ma complementari. Se è vero - come ci ammoniscono gli antropologi - che la libertà è la capacità di scoprire la nostra dimensione ulteriore e non affidarci ad una norma costituita che di fatto, nell'intento di garantirci, ci limiterebbe, è altrettanto evidente che la fedeltà, presentandosi come vincolo, ci fa assaporare la preziosità di un rapporto da proteggere. Sul suo significato e sulle implicazioni che la sua etimologia ci trasmette si sono imbastiti troppi equivoci. Il primo senso scaturisce dalla parola fede, ma proprio qui appare chiaro come la relazione con Dio o con una persona siano equidistanti ed equivalenti. Se infatti da un lato, a causa di un cattivo uso, la nostra libertà si trasforma nella peggiore schiavitù perché toglie a Dio il potere di trasformarci in anime del Paradiso, dall'altro dobbiamo prendere atto che troppi cristiani si sentono dispensati dal farsi guidare da una coscienza, perché hanno i Comandamenti. L'equivoco più grande consiste nel vedere il senso dell'obbligo e del divieto (ci sarai solo tu, non avrò altri amori), piuttosto che l'orizzonte aperto per una creatività inarrestabile, anche se ogni traguardo presuppone dei percorsi imposti.

Quello della fedeltà pone al primo posto l'obbligo di essere vivi. È vero: ci si accorge di essere invecchiati quando si è costretti a fare i conti con un passato, ma la coppia ha comunque un avvenire e in questo tutte le fantasie, a iniziare dalle più complici, nascondono l'ebbrezza dell'ignoto, l'esaltazione del miracolo, le incontenibili malignità della gioia. Subito dopo viene la comprensione. Nell'amore fedele si fa credito e si cerca di dimenticare, cancellandole, le azioni che l'egoismo umano compie, sporcando con pochi gesti un'intera vita spesa per crearsi un'identità. Anche la convinzione di essere ormai in possesso di tutti gli elementi che ci permettano di conoscere l'altro è una tentazione contro la capacità di far credito. Quando ci sentiamo dispensati dall'osservare, dal capire, dall'interpretare, dobbiamo ammettere che il nostro amore si è spento. Un altro particolare insostituibile, legato alla fedeltà, è quello della fecondità. Sicuramente riduttiva appare l'analogia con la fertilità. Per un amore fecondo il più dolce dei desideri sa trasformarsi in un languore struggente che non conosce appagamento. L'amore fecondo esalta le attese e l'assenza di rumori, perché un animo allenato alla riflessione è capace di percepire anche i rumori del silenzio. C'è un ultimo aspetto che mi viene in niente parlando della fedeltà: il profumo della incorruttibilità. Non c'è retorica in questa immagine, perché la bellezza non è comunicabile: da lei si può essere solo stregati. Le cose belle sono così, senza che nessuno abbia insegnato loro che sono tali. Così accade per il profumo che emana dalla fedeltà; così accade alla luna, alla quale nessuno ha insegnato il suo percorso nei cicli, ma che nel suo peregrinare senza una mèta apparente, non fa distinzione, dalla sua altezza, tra la pietà di una tomba e i fiori di un matrimonio.

Di Giovanni Scalera

Tratto da “famiglia Domani – aprile 2002”

Sabato, 30 Aprile 2005 22:14

GIR0T0NDO TRA I PORTALI

GIROTONDO TRA I PORTALI

 

Ecco una selezione dei migliori portali italiani dedicati ai bambini, scelti per la qualità della grafica e dei contenuti.

 

 www.nascondino.it

È un portale "misto": offre opportunità di intrattenersi con giochi autoprodotti, di imparare grazie agli argomenti monografici e di cercare nella Rete utilizzando gli indici di link organizzati per categoria. Regolarmente aggiornato, si apre con una home page dalla grafica molto colorata anche se un po' confusa, C'è una sezione dedicata ai bambini (ad esempio "Giochi", "Tempo libero") e un'altra riservata ai genitori.

 

 www.babyonweb.com

È un portale molto ricco, costantemente aggiornato, che ha il solo difetto di risultare graficamente un po' confuso. La quantità e la qualità degli argomenti proposti ripagano però lo sforzo di prendere confidenza con la home e stimolano l'utilizzo anche da parte dei più piccoli. Il portale è organizzato in una serie di sezioni che introducono altrettanti percorsi di ricerca. Ogni area monografica (ad esempio Animali, Colora, Figurine, Divertimenti, Viaggia e scopri, Computer) propone contenuti autoprodotti oppure link a siti esterni.

 

www-vivaibimbi.it

È un portale che dietro a una grafica un po' datata nasconde una ricchezza di contenuti. Il sito è organizzato in una serie di percorsi accessibili dalla home (ad esempio Arti, Intrattenimento, Salute, Scuola) che introducono altrettante sotto-sezioni con i link. Il

portale è dotato di un efficace motore di ricerca che lavora all'interno dei siti selezionati.

 

a cura di Barbara Uglietti

I maggiori condizionamenti che oggi subisce la famiglia e i disagi conseguenti

 

Le profonde trasformazioni che hanno investito la nostra società nel corso degli ultimi anni hanno avuto notevoli ripercussioni sul sistema familiare, producendo una serie di condizionamenti che tuttora ne influenzano l’evoluzione.

Tali trasformazioni hanno difatti generato un contesto sociale “rischioso”, sottoposto a continui rapidi mutamenti che richiedono sempre nuovi sforzi di adattamento. Si pensi, ad esempio, all’aspetto economico: recenti indagini statistiche rivelano come in Italia stiano rapidamente aumentando le famiglie che vivono al di sotto della soglia minima di povertà, che si trovano in difficoltà anche in quello che concerne il soddisfacimento delle più elementari esigenze, come il pagamento dell’affitto o delle spese medico-sanitarie... Ebbene, i condizionamenti economici costituiscono un’indubbia fonte di disagio all’interno del contesto familiare.

Un ulteriore condizionamento emerge nel rapporto tra la famiglia e il mondo del lavoro, sempre più frequentemente caratterizzato da un “conflitto di lealtà” tra ruoli lavorativi e familiari e dalla difficile costruzione di un equilibrio tra tempo di vita e tempo lavorativo. Le attuali trasformazioni del mercato del lavoro impongono infatti, all’interno del contesto familiare, nuove fratture fra il bisogno di stabilità affettiva e quelle esigenze di indipendenza ed autorealizzazione che nella famiglia tradizionale non trovavano pieno appagamento.

Ad una serie di condizionamenti di carattere socio-culturale si può infine attribuire un ruolo non trascurabile nelle trasformazioni demografiche (calo della natalità, riduzione della nuzialità, aumento della disgregazione familiare...) che oggi caratterizzano il sistema famiglia.

Dinanzi a queste sfide, ed alle molte altre che si apriranno, la famiglia dovrà porsi ancora una volta in maniera flessibile, studiando risposte “adattive” che le consentano di affrontare e risolvere problemi.

Maurizio Andolfi

Sabato, 30 Aprile 2005 21:41

Famiglia, modello di Chiesa

Famiglia, modello di Chiesa

 

· Il rapporto tra l’uomo e la donna uniti in matrimonio è immagine del rapporto che unisce Cristo con la sua Chiesa · Si tratta di un rapporto d’amore in cui la Chiesa, sposa di Cristo, ne diventa il «corpo» · Grazie allo Spirito di Cristo, operante nel sacramento del matrimonio, la famiglia è immagine della Chiesa · Incarnata nel quotidiano, nella realtà, proprie della vita familiare.

 

Il matrimonio cristiano, come Sacramento, nato dal Mistero della Redenzione, e rinato nell'amore sponsale di Cristo con la Chiesa, è una delle espressioni più significative della potenza salvifica di Dio.

Il rapporto tra l'uomo e la donna uniti nel matrimonio costituisce, quindi, immagine modellata del rapporto tra Cristo e la sua Chiesa nell'efficace analogia di San Paolo nella Lettera agli Efesini in cui Gesù è il capo di un Corpo mistico rappresentato dalla Chiesa che vive in Lui: «…Tutto, infatti, ha sottomesso ai Suoi piedi e lo ha costituito su tutte le cose a capo della Chiesa la quale è il Suo corpo, la pienezza di colui che si realizza in tutte le cose…» (Ef 1,22-23).

La Chiesa, come tale, nella sua essenza è formata da Cristo in unione con i Suoi come il corpo è unito al capo, in analogia diretta con l'unione corporea dell'organismo umano.

 

Un amore che santifica

L'amore di Cristo nei confronti della propria Chiesa, nell'ambito dell'anzidetta analogia paolina del capo con il corpo, ha come obiettivo fondamentale la santificazione della Chiesa stessa.

Alla base ditale santificazione si trova il battesimo: primo ed essenziale frutto della donazione di sé che Gesù ha raccolto per la propria Chiesa e che realizza la purificazione fondamentale attraverso la quale l'Amore di Gesù stesso verso la Chiesa medesima assume, a tutti gli effetti, carattere propriamente sponsale.

Pertanto, chi riceve il battesimo in virtù dell'Amore, diviene, al tempo stesso, sposo della Chiesa. L'amore naturale di Gesù nei confronti della propria Chiesa, quale di Lui corpo, costituisce immagine, quindi modello plasmato, appunto dell'amore che gli sposi si donano e si rivolgono reciprocamente nel nome di Cristo a propria volta «sposo» della Chiesa: «...E voi, mariti, amate le vostre mogli come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per Lei, per renderla santa...» (Ef 5,25-26).

In questa dimensione la Chiesa acquista il ruolo di «grande Sacramento» e diventa, quindi, il nuovo simbolo dell'Alleanza e della Grazia che viene a posarsi sul rapporto coniugale, santificandolo.

Il sacramento del matrimonio, con il quale i coniugi cristiani significano e partecipano al mistero di unità e di amore fecondo che intercorre tra Cristo e la Chiesa, diventa quindi vera presenza sacramentale del mistero Cristo-Chiesa nella famiglia cristiana.

In tal senso, come scrivono i vescovi italiani in «Comunione e comunità nella chiesa domestica (n. 5)», la famiglia cristiana si pone nell'ambito della società e della storia come un segno efficace della Chiesa e quindi come una «rivelazione» che la manifesta e la annuncia diventandone vera e propria «attualizzazione» che ne rappresenta e ne incarna, a suo modo, il mistero di salvezza.

 

Una dinamica di comunione

Questa specifica missione della famiglia, che diventa di fatto la vera realizzazione del proprio naturale ruolo, risulta possibile nel momento in cui tra Chiesa e famiglia, riesce a crearsi quella relazione vicendevole intercorrente tra il «modellante» ed il «modellato» che divengono l'uno riflesso dell'altro e viceversa.

Come e dove può la famiglia cristiana essere segno nella storia quotidiana degli uomini?

Nella risposta a questo interrogativo sta la chiave per l'individuazione delle responsabilità della coppia e della famiglia cristiana, appunto, in un mondo come quello odierno caratterizzato da un emergere sfrenato delle soggettività tale da rendere spesso incomunicabili ed incompatibili tra loro le esperienze ed i linguaggi.

Di fatto, essere segno per la coppia e per la famiglia cristiana non implica, soprattutto, un «fare» ma un «essere».

Il primo e fondamentale compito della coppia e della famiglia cristiana è, pertanto, secondo una nota espressione di Giovanni Paolo II, di «diventare ciò che ei si è» e di proporsi per questa via come «il luogo primario della umanizzazione della società» (Christi Fideles Laici, n. 40; ma cf anche Familiaris Consortio, nn. 42ss).

Solo nell’insistenza in questa irrinunciabile priorità la famiglia cristiana è in grado di vivere come modello e riflesso della Chiesa divenendo, in questo modo, la testimonianza più bella e più vera della Chiesa stessa.

Scoprire giorno per giorno la propria nativa vocazione ad «essere per gli altri» significa per la famiglia cristiana articolare la propria esistenza nei due fondamentali momenti in cui si realizza tale imperativo, imparare quotidianamente a diventare sempre più compiutamente se stessi anche come coppia e imparare a giocare con la propria esistenza personale e coniugale per gli altri.

La strada da percorrere è, quindi, quella del costruirsi come segno mediante un rapporto di coppia da sviluppare in tutte le sue modalità espressive, in tutta la sua ricchezza, in tutte le sua potenzialità.

È questo un impegno al quale le coppie e le famiglie cristiane possono compiutamente adempiere con l'ausilio attento, disponibile ed instancabile di quella stessa Chiesa di cui esse sono immagine per vocazione originale.

Trattasi di un impegno che può esprimersi secondo varie direzioni e, comunque, vari livelli.

Il compito in un certo senso tradizionale della famiglia consiste, per la famiglia stessa, nell'essere «comunità di vita e di amore» (G.S. n. 48).

Fare della famiglia una comunità è diventato sempre più difficile in una società che ha spazzato via ogni antico vincolo comunitario assumendo l’individuo come proprio unico punto di riferimento.

 

La famiglia riproduce e riflette la struttura della Chiesa, e viceversa…

In questo percorso la Chiesa può e deve inserirsi facendo in modo che le coppie e le famiglie cristiane non perdano mai di vista il primo e fondamentale segno della propria esistenza in Cristo; l'amore.

Amarsi, continuare puramente e semplicemente ad amarsi, nella buona e nella cattiva sorte, quando si è realizzati e quando ci si sente irrealizzati: è questo il primo segno di testimonianza della coppia e della famiglia cristiana.

Ad un siffatto amore è connaturata l'esperienza forte della fedeltà da intendersi non semplicemente come rifiuto dell'adulterio o di quant'altro ad esso simile, ma anche e soprattutto come incontro vitale con il Dio fedele della Bibbia. Qui la fedeltà dell'uomo diventa paradigma esemplare della fedeltà di Dio.

In un mondo in cui la fedeltà in genere e la stessa fedeltà coniugale sembrano essere travolte dalla teorizzazione della mutevolezza strutturale dei sentimenti e dei radicamenti, l'attitudine tipica della coppia cristiana a vivere nella fedeltà immette nella storia una chiara e ferma testimonianza della presenza di Dio.

Di fronte a migliaia di famiglie che si frantumano alla luce dell'odierno individualismo ed egoismo e, molto spesso, a causa dell'incapacità ad amarsi, che poi diventa il motivo di fondo di quasi tutti i fallimenti matrimoniali, moda della società di oggi, la Chiesa non può permettersi di demordere rispetto all'infondere alle coppie ed alle famiglie cristiane in modo incessante, ma sereno al tempo stesso, il senso profondo dell'Amore, come un continuo rinnovarsi del Sacramento.

Non ci sono missioni, funzioni, celebrazioni, assemblee, associazioni, volontariati che tengano rispetto a tale compito della Chiesa che è il più naturale, il più antico e quello che le è veramente proprio: educare all'Amore.

Nella società del consumismo nulla è più inutile dell'amore: esso non trova posto nella bilancia commerciale e non produce reddito.

Testimoniare questa apparente inutilità, mostrarne e rivelarne tutta la fecondità, tutta la forza, tutta la capacità critica, è il servizio eminente che può rendere al proprio tempo quel segreto microcosmo che è la coppia cristiana e con essa la Chiesa di cui la stessa è parte imprescindibile.

Maria Paola e Marco Iurilli

Genova

Da “Famiglia domani” 1/2001

 

Sabato, 30 Aprile 2005 21:34

L’ACCOGLIENZA NELLA CARITÀ

PRIMA PARTE

APRIRSI ALL’ACCOGLIENZA

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Imparare le parole dell’accoglienza

L’ACCOGLIENZA NELLA CARITÀ

La parabola del buon samaritano

Ascoltando la parabola del buon samaritano (Luca 10,25-37) ho chiesto a Gesù: “Fa che ti ascolti bene, che colga bene quello che mi vuoi dire”.

Cercherò quindi di estrarre dal testo una serie di parole che mi hanno toccato, hanno suscitato in me una riflessione e che v’invito a trattenere nel cuore anche quando quest’incontro sarà finito.

GESÙ RISPOSE: "UN UOMO...”

L’uomo vittima dei briganti è descritto da Luca con questa semplice parola: “un uomo”, di lui non sappiamo nulla, e ancora meno sanno di lui coloro che gli passano accanto, i briganti 1’hanno spogliato e percosso e non è più possibile capire se si tratta di un uomo ricco o povero, sano o malato. Gesù ci chiede di interessarci all’altro così com’è, senza pretendere di conoscere la sua storia.

Dio, nel racconto di Genesi, quando crea l’uomo dice che ciò che ha creato è “cosa molto buona”. Nonostante il peccato l’uomo resta buono, qualunque cosa abbia fatto, tocca a noi tirare fuori da quest’uomo quello che c’è di buono; su questo punto, sia come società sia come cristiani, siamo molto deboli.

"NE EBBE COMPASSIONE"

Il samaritano ha compassione di quell’uomo e per aiutarlo si ferma, scende dalla sua cavalcatura, rinuncia alle sue sicurezze anche se corre a sua volta il pericolo di essere assalito dai briganti. Egli è riuscito a vedere in quell’uomo quello che gli altri passanti non sono riusciti o non hanno voluto vedere.

Noi confondiamo sovente compassione con emozione, ci sono molti fatti che i mass media ci propongono che suscitano in noi emozione. Ma se il nostro cuore è chiuso alla compassione continueremo a guardare l’altro con occhi di uomo e non con gli occhi di Dio, vedremo nell’uomo a terra solo le ferite, le vesti lacere, il pericolo e non “l’altro”.

“GLI SI ACCOSTÒ”

Proviamoci a mettere nei panni del samaritano: ne ha del coraggio! Quante volte noi abbiamo paura ad avvicinarci all’altro; provate a girare nella zona di Porta Palazzo1 e poi ditemi se non avete paura! Ci vuole tanta preghiera per superare la paura di avvicinare “l’uomo” perché il Signore ci chiede, come al dottore della legge, “Va e anche tu fa lo stesso”.

"VERSÒ OLIO”

Non solo il samaritano si avvicina ma lo tocca, lo cura, non ha paura di sporcarsi le mani, di rimboccarsi le maniche. L’accoglienza è partire dalle necessità e dalle esigenze della persona e non dare o fare solo quello che ci fa comodo, quando ci fa comodo.

“LO CARICÒ SULL’ASINO”

Non basta essere compassionevoli, ci è chiesto anche di condividere quello che abbiamo con l’altro; per il samaritano si tratta dell’asino, per noi si tratta di condividere il tempo, la salute, le ricchezze materiali e spirituali, ecc.

“FECE TUTTO IL POSSIBILE PER AIUTARLO”

Quando quello che facciamo non basta, allora siamo invitati a rivolgerci a coloro che lo possono meglio aiutare: nella parabola ciò è indicato dalla locanda e dall’albergatore, nel nostro caso dal parroco, dall’ospedale, dai centri di accoglienza, ecc. Ma non è ancora finito: “ciò che spenderai di più lo pagherò al mio ritorno”; non possiamo limitarci a scaricare ad altri le situazioni difficili, ci è chiesto di continuare ad amare, a pensare, ad interessarsi all’altro anche quando lo abbiamo affidato a mani più esperte delle nostre.

“AL MIO RITORNO”

Luca non ci dice cosa avverrà in questa circostanza, non ci dice se il samaritano sarà ringraziato da quell’uomo oppure no; questo è l’insegnamento di Gesù: non aspettiamoci nessun grazie per il bene che facciamo perché sappiamo che lo facciamo per Lui!

Guido Morganti, SERMIG

Domande per la Revisione di Vita

·        Cosa mi frena nel donarmi? Cosa ho paura di perdere?

  • Ho bisogno della gratitudine altrui per essere soddisfatto del mio operare? Quando e perché?

Brani per la Lectio Divina

·        Matteo 25, 31-46 (Il giudizio finale).

1 Quartiere di Torino con una forte presenza di immigrati extra comunitari

Sabato, 02 Aprile 2005 13:23

COMPUTER CHE PASSIONE

COMPUTER CHE PASSIONE

 

Venti milioni di italiani nella “ragnatela”

 

Oltre il 60 per cento delle famiglie italiane possiede un computer e lo usa tra le mura domestiche. Le stime più recenti stabiliscono che tra il 2004 e il 2005 saranno almeno 20 milioni gli italiani collegati alla Rete da casa. Una crescita che coinvolge anche i minori, come dimostrano i dati di una ricerca su bambini e Internet realizzata per conto del ministero dell’innovazione tecnologica e presentata nel maggio scorso. I dati della ricerca indicano che oggi in Italia su circa 7 milioni di bambini di età compresa tra i 2 e i 13 anni, ben 2.4 milioni – pari al 35 per cento – hanno la possibilità di connettersi alla Rete da casa. Di questi, almeno 1 milione (il 14 per cento del totale) sono navigatori attivi. La situazione italiana, comunque, non è nemmeno paragonabile a quella esistente in Paesi come Germania e Regno Unito, dove la quota di bambini collegati alla Rete supera il 50 per cento.

Altri dati dicono che i bambini italiani si connettono preferibilmente tra le 19 e le 20, soprattutto di sabato e di domenica. Più in particolare, gli scolari delle elementari navigano quasi sempre in compagnia di un adulto e preferiscono i siti ludici. I ragazzi delle medie, invece, usano internet anche per studiare, scaricare dati, chattare o per la posta elettronica, e spesso lo fanno sa soli. La costante crescita del numero di bambini presenti in Rete, ha commentato il ministro per l’innovazione, Lucio Stanca, in occasione del convegno, rende il tema dell’uso consapevole di Internet di assoluta rilevanza.

 

MAI CON UNO SCONOSCIUTO

Dieci consigli doc perché i figli non si “perdano”: non digitare informazioni personali, non rispondere a e-mail volgari, stabilire i tempi massimi di navigazione.

  1. controllate ciò che i vostri figli fanno quando sono collegati e quali sono i loro interessi; trasmettete loro il vostro interessamento per ciò che imparano in Internet e, se fossero più bravi di voi a usare il computer, fatevi insegnare come funziona.
  2. collocate il computer in una stanza di accesso comune della vostra casa, piuttosto che nella camera dei ragazzi, e rendete l’uso di internet un’attività di famiglia, oppure usate il computer insieme ai vostri figli.
  3. proponete ai vostri figli mete e percorsi interessanti da seguire insieme e passate del tempo on line con loro. Abituateli a riflettere e a discutere con voi su quello che hanno visto in Rete; aiutateli a non considerare Internet un mondo completamente staccato dal reale.
  4. aiutate i vostri figli a ricordare che un amico frequentato in Rete non sostituisce un vero amico. Ricordategli anche che queste regole valgono anche quando accedono a internet fuori casa; a scuola, in biblioteca, o dai loro amici. Soprattutto, comunicate con i vostri figli a proposito di questioni legate al mondo della Rete.
  5. insegnate loro a non dare informazioni personali (nome, cognome, età, indirizzo, numero di telefono, reddito familiare, nome e orari di scuola, nome degli amici) e a  non usare la vostra carta di credito senza il vostro permesso.
  6. insegnate ai vostri figli a non accettare mai di incontrarsi personalmente con chi hanno conosciuto in Rete, spiegando loro che gli sconosciuti così incontrati possono essere pericolosi tanto quanto quelli in cui ci si imbatte per strada.
  7. dite loro di non rispondere quando ricevono messaggi di posta elettronica di tipo volgare, offensivo, pericoloso o che comunque li mettano a disagio. Allo stesso tempo, spiegate loro quali sono le regole di buona condotta sulla Rete (la cosiddetta “netiquette”), ricordando di non usare un linguaggio scurrile o inappropriato e di comportarsi correttamente.
  8. spiegate ai vostri figli che può essere pericoloso compilare moduli on line e di farlo solo dopo essersi consultati con voi. Prima di dare l’assenso alla compilazione di qualsiasi modulo, verificate le condizioni di tutela della privacy elencate dal sito.
  9. stabilite quanto tempo i vostri figli possono passare navigando si Internet e, soprattutto, non considerate il computer un surrogato della baby-sitter o della televisione, tenendo presente che Internet comporta molti più pericoli, essendo interattiva.
  10. potete ricorrere ai cosiddetti “filtri”, particolari prodotti software che hanno lo scopo di impedire l’accesso ai siti non desiderati (violenza e pornografia, per esempio). I filtri possono essere attivati introducendo parole-chiave o un elenco predefinito di siti da evitare. Se decidete di installare questo genere di software, è opportuno verificare periodicamente che funzioni correttamente.

 

Questo decalogo è stato compilato a cura dell’Associazione Digital Kids sulla base di numerosi suggerimenti e consigli reperiti in Rete. Digital Kids (Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.) , fondata nel 1998 da Giuseppe Romano e Stefania Garassini, è attiva nella promozione della creatività multimediale per i più giovani e lo scorso anno ha curato, in collaborazione con la regione Lombardia, il volume “Digital Kids. Guida ai migliori siti web, cd-rom e videogiochi per bambini e ragazzi”, pubblicato da Raffaello Cortina Editore. Internet e, se fossero più bravi di voi a usare il computer, fatevi insegnare come funziona, trasmettete loro il vostro interesse

 

Sabato, 02 Aprile 2005 13:17

UN SALTO NEL VUOTO. LEGISLATIVO

UN SALTO NEL VUOTO. LEGISLATIVO

 

La (difficile) tutela delle leggi. Negli Usa ancora bloccato il provvedimento che garantisce finanziamenti pubblici solo a scuole e biblioteche che installano software-filtro E in Italia? In arrivo nelle famiglie un vademecum "per l'uso intelligente dei nuovi media".

 

 Di Stefania Garassini

                       co-fondatrice di Digital Kids

 

Contenuti illegali, dannosi, inadatti al pubblico dei più piccoli. Negli Stati Uniti, dove Internet è nata.e cresciuta,

termini del genere ricorrono ormai di fre­quente nel dibattito sugli utilizzi e sulle potenzialità della Rete. Proprio da Oltreo­ceano arrivano le prime leggi che tentano di regolamentare la difficile materia, tra accuse di censura e ricorsi alla Corte Suprema per sospetto di incostituzionalità. Quando si parla di limitare l'accesso a contenuti on line entra in gioco infatti la difesa del Primo Emendamento della Costituzione america­na, che tutela la libertà di espressione. Già: libertà fino a che punto?

Al centro dell'attenzione da qualche mese c'è il Cipa (Children Internet Protection Act), un provvedimento presentato al Congresso Usa nel 2000 che impone a biblioteche e scuole che vogliano ottenere finanziamenti federali l'installazione di software filtro per escludere siti inadatti dalla navigazione in Rete. La normativa è oggetto di attacchi con­tinui da parte delle organizzazioni libertarie americane, che puntano il dito contro l'ina­deguatezza di programmi informatici in gra­do di bloccare siti inadatti solo a patto di escluderne anche molti altri perfettamente leciti.

Emblematico a questo proposito è stato il caso del candidato repubblicano al Congres­so Jeffrey Pollock, convinto sostenitore del Cipa, fino a quando non si è accorto che uno dei software filtro più utilizzati includeva anche il suo sito elettorale nella propria lista nera. Il Cipa, che sarebbe dovuto entrare in vigore nel luglio scorso, è ancora bloccato. Il Tribunale di Filadelfia di recente si è pronunciato contro la sua costituzionalità, accogliendo di fatto le critiche al funzionamento dei programmi filtro. È innegabile, d'altra parte, che tali software siano da perfezionare sotto molti aspetti.

 

LE POLEMICHE NEGLI USA CHI DECIDE COSA E’ INADATTO AI MINORI ?

 

Ancora più accese le polemiche intorno a un altro provvedimento, il Copa (Child 000­ne Protection Act), proposto nel 1998, che ritiene vada punito chi rende accessibile in Rete ai minori materiale considerato per loro dannoso e inappropriato. Al centro del dibattito qui non c'è un problema mera­mente tecnologico come è quello relativo alle prestazioni dei filtri, ma una questione di carattere etico e sociale: ovvero con che crite­ri e da parte di chi sia lecito stabilire cosa è inadatto ai minori.

Dopo numerosi ricorsi, la Corte Suprema ha rimandato il caso ai Tribunali dei singoli Sta­ti, stabilendo che non è incostituzionale l'ap­pello, contenuto nel testo della normativa, a una serie di community standards, criteri condivisi, per determinare cosa sia nocivo per un pubblico di bambini e giovani. Si tratta, com'è evidente, di una materia estremamente delicata, ma allo stesso tempo ineludibile, se l'obbiettivo è fare di Internet il luogo di un' autentica "vita sociale", che si basi su valori comuni. L’insegnamento che possiamo trarre dall' esperienza americana è intanto proprio il coraggio di mettere all' or­dine del giorno questioni decisive per lo svi­luppo della Rete.

 

L'USO CONSAPEVOLE DI INTERNET: IL NEONATO COMITATO GOVERNATIVO

 

E in Italia? Se il dibattito normativo attual­mente si concentra per lo più sulla legge antipedofilia e sulle proposte per renderla più efficace, stanno nascendo le prime ini­ziative che intendono promuovere un uso di Internet rispettoso del pubblico dei piccoli. Nel luglio scorso presso il ministero per l'In­novazione e le Tecnologie è stato creato il "Comitato per l'uso consapevole di Inter­net", con l'obbiettivo di incoraggiare tutte le attività che rendono gli utenti più abili nel­l'utilizzare la Rete e quindi in grado di valu­tare e scegliere i contenuti.

La strategia migliore, secondo il ministro Lucio Stanca, resta quella di preparare gli utilizzatori. Allo stesso modo, per citare un paragone dello stesso ministro, il miglior sistema per evitare rischi in piscina è inse­gnare ai propri figli a nuotare. Dal medesi­mo spirito è animata l'iniziativa promossa dalla commissione parlamentare per l'infan­zia presieduta da Maria Burani Procaccini: un "Vademecum per l'uso intelligente di tv e nuovi media, appena messo a punto, che sarà distribuito a tutte le famiglie italiane con figli di età compresa fra i 6 e i 15 anni. Si tratta di una sorta di gioco "interattivo" che ­illustra opportunità e rischi dei vari stru­menti di comunicazione. «Il primo passo - ­spiega la parlamentare, promotrice anche di un disegno di legge che dovrebbe integrare l'attuale normativa antipedofilia - è un' edu­cazione all'uso del mezzo. I genitori dovreb­bero sentire la responsabilità di non lasciare i propri figli soli davanti al computer, ma di imparare insieme a loro a padroneggiarlo».

 

 

 

PICCOLO VOCABOLARIO

 

 

SITO PER I BAMBINI. Un sito Web è un ipertesto, ossia un testo immagazzinato in un computer che consente allettare di seguire percorsi personali di lettura “navigando”  tra le componenti delle pagine, senza una sequenza obbligatoria ma in base agli scopi e interessi del lettore. Un sito per bambini offre contenuti ed immagini adatte ai più piccoli.

 

 PORTALE PER BAMBINI. Il portale è un insieme organizzato di siti, una specie di grande magazzino diviso in reparti nei quali trovare prodotti dello stesso tipo. Il portale è quindi una forma di testo composta da blocchi di scrittura e immagini unite tra di loro attraverso una rete di collegamenti. Nei portali dedicati ai  bambini questi percorsi portano tutti a siti per i più piccoli.

 

MOTORI DI RICERCA. A disposizione del navigatore ci sono dei motori di ricerca, ossia degli strumenti che permettono la ricerca di documenti sul Web mediante parole chiave: inserendone una, vengono indicati centinaia di siti nei quali essa è contenuta. I motori di ricerca sono strumenti poco adatti ai bambini perché non discriminano i contenuti dei siti. Alcuni offrono dei "blocchi" per Ie pagine a contenuto pornografico o violento. Esistono alcuni motori di ricerca espressamente costruiti per i ragazzi.

 

FILTRI. Sono dei programmi sottware che discriminano tra siti per bambini e non individuando parole o immagini "pericolose". Si possono scaricare da Internet o acquistare e possono essere gratuiti o a pagamento.

 

INTERNET PROVIDER PER BAMBINI. Sono fornitori di collegamento a Internet filtrato. Accedendo cioè alla Rete attraverso questi "connettori" si naviga in un ambiente protetto. I più noti provider dispongono di soluzioni a pagamento dedicate ai bambini. Davide.it è invece l'unico Internet provider gratuito per le famiglie.

 M.G.

 

 

Mercoledì, 30 Marzo 2005 21:26

L’ACCOGLIENZA NELLA COMUNITA’

PRIMA PARTE

APRIRSI ALL’ACCOGLIENZA

 

- 2 -

Accogliersi per saper accogliere

L’ACCOGLIENZA NELLA COMUNITA’

Farsi prossimo a coloro che ci vivono accanto

 

Quando sono arrivato qualcuno mi ha accolto con un sorriso dandomi un foglio, un altro si è fatto avanti accogliendomi in nome del parroco: posso quindi affermare che stasera sono stato accolto tra voi, non mi sono sentito uno di passaggio.

La riflessione di stasera si svilupperà in cinque punti intorno ad una considerazione di base: “Una comunità cresce se cresce l’accoglienza”. Gesù, nostro maestro, nel Vangelo ci ha dato tanti esempi di accoglienza: “Venite a me, voi che siete affaticati e oppressi, e io vi darò ristoro”,…impariamo da Lui!

 

CONOSCENZA TRA PARROCCHIANI

Il primo passo da compiere per diventare una comunità accogliente è quello di conoscerci tra noi. Stasera, per esempio, ci conosciamo tutti? Se ci guardiamo intorno, vediamo solo volti noti o anche persone con cui non abbiamo mai scambiato neanche un saluto?

In una grande parrocchia è difficile conoscersi tutti  ma , almeno tra noi che frequentiamo la chiesa, sarebbe importante crescere nell’accoglienza. Le occasioni non ci mancano: trasformare il segno di pace con il vicino di banco in un’occasione d’incontro, non temere di parlare sottovoce, prima dell’inizio della funzione, con chi ci sta accanto, non scappare di corsa alla fine della Messa ma attardarsi a salutare chi già conosciamo e anche chi non conosciamo. Perché i Movimenti hanno così successo? Per tanti motivi ma anche perché chi vi partecipa si sente accolto, è riconosciuto con il proprio nome. Impariamo da loro!

 

I GRUPPI COME COMUNITA’…

Nella parrocchia

 

 

...APERTE A TUTTI...

Ma non basta. La comunità cresce se chi fa parte di un gruppo riesce ad essere accogliente verso chi non ne fa parte, non vede un nuovo arrivato come un intruso ma come un fratello; se, chi vi partecipa per la prima volta, non si sente accolto non torna più. Se un gruppo non si apre, è destinato a morire perché il suo obiettivo deve essere quello di diventare una piccola comunità aperta agli altri.

 

...E PARTE VIVA DELLA PARROCCHIA

Una parrocchia: tanti gruppi che funzionano, ogni gruppo partecipa quasi al completo alle attività o agli impegni che lo riguardano, ma quando il parroco propone un’iniziativa aperta a tutti, che coinvolge l’intera comunità, i gruppi si squagliano, partecipa solo una piccola minoranza. Quante volte ho vissuto questa esperienza come parroco! I gruppi devono sentirsi parte della comuni-tà, non isola felice e appartata, e il momento comunitario per eccellenza è l’Eucarestia domenicale. La parrocchia deve essere sentita e vissuta come co-munità di tante piccole comunità!

 

PARROCCHIA CHE SI FA PROSSIMO

Questa comunità, che è la parrocchia, cresce se è attenta non solo ai suoi, a coloro che partecipano, ma se sa farsi prossimo a tutti coloro che abitano nel suo territorio. Occorre che i cristiani sappiano vedere e farsi carico delle situa-zioni di disagio delle persone che abitano vicino a loro e si facciano portavoce in parrocchia di chi soffre, di chi è ammalato o sta morendo, di chi è solo. La parrocchia deve diventare punto di convergenza delle esigenze del territorio. Guardiamo a Gesù che, nel suo agire, è attento alle persone, ai discepoli, alla gente tutta e chiediamogli l’aiuto per far diventare questa parrocchia una vera comunità d’accoglienza!

don Guido Fiandino della diocesi di Torino

 

 

Domande per la Revisione di Vita

· Come sono stato accolto nel gruppo cui faccio parte? Ne sono stato soddi-sfatto, o si sarebbe potuto fare meglio?

·    Nel gruppo c’è la stessa attenzione verso tutti i componenti? Se qualcuno è messo in disparte come possiamo fare per accoglierlo meglio?

·   

Brani per la Lectio Divina

· 1 Corinzi 12, 4-27 (diversità e unità dei carismi);

·         Giacomo 2,1-13 (accoglienza alle agapi).

 

Mercoledì, 30 Marzo 2005 20:24

Famiglia e ricchezza

FAMIGLIA E RICCHEZZA

(Itinerari verso la povertà...)

TONY PICCIN

Vallà (Treviso)

- Il godere delle cose è uno dei messaggi che la famiglia è tenuta a dare al mondo - Ma le cose sono di tutti e servono a tutti per una vita più serena - Le cose possono diventare causa di profonde discordie se non servono per creare il bene di tutti e a coltivare un amore reciproco - Un itinerario verso la povertà da percorrere in famiglia, sapendo che «poveri non si nasce, si può nascere poeti, ma non poveri, poveri si diventa» (Tonino Bello)

Sono andato di recente con mia moglie in casa di due sposi in occasione del loro primo anniversario di matrimonio. L'abitazione si trovava in una nuova zona residenziale circondata da una curata vegetazione. L'arredamento di ogni stan­za era lussuoso, l'ordine meticoloso, l'il­luminazione, il riscaldamento, la zona cottura con gli accorgimenti più sofisti­cati; tutto curato con gusto straordinario e naturalmente una spessa porta blindata munita di antifurto non poteva mancare all'ingresso. Nel tempo trascorso in quella casa non ho sentito una sola volta squil­lare il telefono o il citofono, non sono riu­scito a vedere da nessuna parte un libro od una rivista di qualsiasi genere… Poveri­ni, come dovevano sentirsi soli lì dentro in quella mostra d'avanguardia del mobi­le; e probabilmente saranno pure oggetto d'invidia da parte di vicini e conoscenti.

«Poveri» non si nasce, si diventa...

Eppure il Signore ha creato le cose per la felicità degli uomini; i beni di questo mondo, proprio perché usciti dalla ma­no generosa di Dio, sono «cose buone» che dovrebbero rendere contento il cuo­re dell'uomo.

L'uomo rincorre queste cose, cerca in tutti i modi di accaparrarle per sé e per la sua famiglia e alla fine si accorge di avere, di amare, di cercare continuamente e soltanto «cose» che non potranno mai soddisfare la sua sete di felicità.

La situazione in questo nostro mo­mento storico non è per molte famiglie molto rosea: il lavoro scarseggia, gli sti­pendi perdono del loro valore d'acquisto, le tasse aumentano di continuo; a volte le situazioni diventano drammatiche, spesso sono di grave disagio o di pesante sacrificio in stridente contrasto con una minoranza di persone che abbonda e sperpera.

La povertà materiale è una strada si­cura verso la felicità? O al contrario è la ricchezza che ci fa davvero «star bene» in famiglia?

Un noto proverbio afferma che «il de­naro non fa la felicità» ... e qualcuno con sottile ironia aggiunge: «figuriamoci la miseria!». La frase così scherzosamente completata ci fa intravedere che la tran­quillità di un'economia materiale permet­te di essere più sereni, permette di colti­vare valori intellettuali, sociali, spiritua­li, permette infine di poter avere dei mo­menti di relax e di svago che rendono si­curamente la vita più bella ed interessan­te. Il cielo, il mare, le montagne... sono fatti perché qualcuno li veda e ne gioisca; la casa, l'auto, la TV... sono realtà altret­tanto utili e buone per la nostra vita, ma ogni «cosa» non è fine o scopo della vita bensì un mezzo che ci permette di amare di più le persone e di renderle felici.

Il godere delle cose è uno dei messag­gi che la famiglia è tenuta a dare al mon­do. Infatti in famiglia possono servire per rendere migliori i rapporti tra le persone: le cose sono di tutti e servono a tutti per una vita più serena. Tuttavia esse posso­no anche diventare causa di profonde di­scordie se non servono per creare il bene di tutti, se non contribuiscono a coltiva­re un amore reciproco. La famiglia allo­ra può diventare esempio vivo di come te­nere ed usare la poca o molta ricchezza che vi può essere sia al suo interno sia nel nostro paese.

Ora che sono caduti gli ideali socio-politici comunisti o socialisti costruiti su fredde teorie filosofiche dovrebbe final­mente prendere piede il giusto comuni­smo che è quello basato sull'amore che Cristo ha riacceso in questo mondo. Cre­do che la famiglia sia uno dei luoghi più adatti per esperimentare la condivisione dei beni, la loro destinazione ed insieme la loro relatività rispetto ai valori fonda­mentali dei quali sono a servizio.

Si tratta allora di coltivare uno stile di vita familiare orientato alla povertà perché «poveri non si nasce, si può na­scere poeti, ma non poveri; poveri si di­venta (...) richiede un tirocinio difficile» (Tonino Bello). Si può nascere nell'indi­genza e nella miseria, ma queste riguar­dano la condizione economica, la pover­tà invece è una virtù del cuore.

La povertà come virtù del cuore, come stile di vita, nasce da alcune convinzioni...

Uno stile di vita «povero» prende mo­tivo da alcune convinzioni profonde:

- La netta supremazia della persona sul creato.

Verrà un tempo in cui questo mondo finirà, crollerà come un castello di sabbia ma ognuno di noi è destinato a vivere per l'eternità. Il più limitato degli operai e più im­portante della macchina su cui lavora, lo scolaro è più importante della lezione che deve imparare, l'emarginato seduto sui gradini a chiedere l'elemosina supera di gran lunga l'importanza del duomo di S. Maria del Fiore che gli sta sopra la testa. E questo la famiglia lo sa bene quan­do ogni giorno è costretta a recuperare i suoi membri feriti dall'impatto con l'e­sterno in cui fanno testo uomini che dan­no troppo valore alle cose;

- Il valore assoluto dell'«essere» ri­spetto all'«avere».

Anche il Vangelo ci sprona a cercare delle amicizie con il de­naro della iniquità. Si tratta di coltivare ciò che serve ad arricchire lo spirito, ciò che è utile a scuotere l'intelligenza, a sviluppare le doti personali.

La famiglia ha esperienza di quanta pressione viene fatta dall'uno o dall'al­tro dei suoi membri per spese inutili e a volte assurde soltanto perché «gli altri ce l'hanno», e come è difficile orientare gli acquisti in senso opposto alla mentalità consumistica;

- Filtrare l'entrata di messaggi errati attraverso una grande capacità di dialo­go e di critica.

E' l'antidoto più efficace che riesce a togliere l'ansia della ricerca di beni e soddisfazioni immediate rispet­to invece ai valori meno appariscenti ma veri. Solo perché c'è amore tra gli sposi e con i figli si riesce a «scherzare» e perciò a smontare il culto esagerato del corpo, del vestito e gli atteggiamenti stereotipa­ti assorbiti dalle varie agenzie di turno. Insomma a disappiccicare le persone pic­cole e grandi da modelli che non aiutano sicuramente a creare la semplicità dei rap­porti;

- Il valore delle scelte di vita.

Non è facile vivere con coerenza la tensione ver­so occasioni e momenti arricchenti piut­tosto che lasciarsi trascinare dalla folla che corre allo stadio, alle discoteche, al­le più sciocche forme di divertimento.

Il proverbio ci suggerisce che «il tem­po è denaro», forse in altra chiave lo po­tremmo meglio tradurre in: «il tempo è occasione di crescita personale e familia­re» per chi ne vuole approfittare;

- La ricchezza è un bene per tutti, non destinato a ristagnare in tasca a qualcu­no.

L'attuale situazione economica rap­presenta un grave scandalo contro il quale tutti noi, che siamo Chiesa, dovremmo fortemente protestare: l'uso a scopi per­sonali ed egoistici del denaro pubblico, le troppo consistenti disparità di salario, la cattiva amministrazione... sono scandali ai quali non ci si deve rassegnare. Ogni grave disordine o distorsione del piano del Creatore è destinato ad esplodere in for­me violente. La famiglia vive fortemente il suo di­sagio davanti alle pressioni provocate da queste ingiustizie e tiene a fatica il con­traccolpo.

...e si attua attraverso qualche esercizio pratico

Per imparare l'arte della povertà fa­miliare è utile fare anche qualche eserci­zio pratico come:

- soccorrere o accogliere chi è nel bi­sogno. Vivere il problema così da vicino lasciandoci coinvolgere aiuta a relativiz­zare la nostra sete di avere, e a dare la giu­sta importanza al denaro;

- evitare lo spreco per non impoverire ulteriormente chi è nell'indigenza a causa di certo sconsiderato sfruttamento e per non inquinare ulteriormente l'ambiente;

- accostarsi ad esperienze di essenzia­lità a misura di famiglia, forme che van­no moltiplicandosi in questi ultimi anni per opera di gruppi e movimenti. Convi­venze di breve durata che aiutano a met­tere in comune con altre famiglie il pane e il sorriso, senza tutte le abituali como­dità che ognuno si è creato nella propria casa. Queste occasioni servono a riscopri­re tutta una serie di valori che il nostro «benessere» tiene assopiti.

Tutto questo può formare il piedestal­lo su cui costruire un rapporto sereno tra famiglia e ricchezza e diventa motivo di maggior serenità per quelle famiglie che si trovano in difficoltà. Ma l'ultima paro­la è di Gesù che vuole espressamente no­minare come primi «beati» i «poveri in spirito», ossia coloro che la povertà la cercano e la coltivano come virtù perché egli regna in loro e attraverso loro. 

Tony Piccin

Sabato, 19 Marzo 2005 14:37

LA FAMIGLIA LUOGO DI ACCOGLIENZA

PRIMA PARTE:

APRIRSI ALL’ACCOGLIENZA

 

- 1 -

 

Accoglienza: dialogo tra diversità

LA FAMIGLIA LUOGO DI ACCOGLIENZA

Aprirsi agli altri e allo Spirito

 

In questo periodo grava sulla famiglia qualcosa di paragonabile ad una cappa di piombo. Dopo i fatti di Novi Ligure e altri analoghi non stupisce trovare genitori che si interroghino sulla loro capacità di educare i propri figli.

Tralasciando l’emotività che questo tipo di avvenimenti inevitabilmente provoca, chiediamoci che cosa dovrebbe significare l’accoglienza in famiglia e, per aiutarci, vi propongo tre spunti di riflessione.

 

AFFETTO SENZA DIALOGO

Che tipo di comunicazione c’è nelle nostre famiglie? Dobbiamo ammetterlo: la comunicazione non è il nostro forte, c’è molto affetto ma c’è poco dialogo, in famiglia c’è silenzio su molti argomenti che non si affrontano perché ciò vorrebbe dire discutere, litigare, quindi si preferisce tacere.

Dovremmo invece superare l’affetto, anche se è un elemento indispensabile per la vita familiare, per arrivare al confronto, anche se ciò porta inevitabilmente a scoprire la diversità delle opinioni e dei punti di vista.

Ma la diversità, che sovente ci spaventa, è invece un valore positivo, non possiamo pensare che i nostri figli condividano sempre le nostre idee, i nostri valori; sono di un’altra generazione, hanno modelli diversi dai nostri. Anche come coppia dobbiamo saper apprezzare il valore della diversità, come lo scoprire che non siamo più gli stessi di quando ci siamo sposati ma siamo cresciuti, maturati, cambiati.

 

FAMIGLIA APERTA…

La prima apertura della famiglia è quella verso la vita nascente e la vita verso il suo termine. Purtroppo la nostra società ci spinge a non fare più figli: li fa sentire come un onere, come un limite alla libertà e trascura volutamente tutti gli aspetti positivi della paternità e della maternità. Anche sul fronte degli anziani il discorso è analogo.

Ci sono anche altri modi per aprirsi come famiglia: il volontariato, l’affido, ecc…, tutti validi ma senza dubbio impegnativi. Ma ce ne sono anche tanti altri molto più semplici e a portata di mano: sono quelli che investono la sfera del quotidiano e coinvolgono le persone che ci sono vicino, nella casa dove abitiamo, a scuola, in ufficio.

Siamo chiamati ad un’accoglienza ordinaria ma continua verso coloro con cui condividiamo il nostro tempo, non basta un “buon giorno, buona sera” per diventare prossimo agli altri.

 

…AI RICHIAMI DELLO SPIRITO

Come cristiani poi siamo chiamati ad aprirci allo Spirito, a non essere sordi ai suoi richiami.

Come per l’esperienza di coppia, dove il matrimonio non è che il punto di partenza di un cammino da fare insieme, così nell’esperienza religiosa non c’è mai un punto di arrivo.

La fede non è acquisita una volta per sempre ma è un cammino che si snoda nel tempo e nella vita e che può portarci a mete impensate, se ci lasciamo guidare dallo Spirito.

Come cogliere la sua voce nel rumore del quotidiano? E’ molto più facile quando stacchiamo la spina regalandoci una settimana di ritiro ma, come laici, il nostro posto è nel mondo ed è proprio in mezzo al suo fragore che siamo chiamati, ogni giorno, a scoprire cosa vuole da noi il Signore.

 

prof. Franco Garelli, sociologo

 

Domande per la Revisione di Vita

·        Sappiamo conversare con l’altro, ascoltando e accogliendo il suo punto di vista, senza voler imporre il nostro? Oppure, attraverso le parole e l’atteggiamento, combattiamo un duello? In quali casi il suo punto di vista diverso ci è stato di aiuto?

·        Riusciamo a vedere Cristo nel fratello che incontriamo? Quali incontri, quali presenze, ci disturbano maggiormente? Perché?

Brani per la Lectio Divina

·        1 Samuele 24,1-22 (Davide risparmia Saul);

·        Efesini 5,21-6,4 (morale domestica).

 

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