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Per quanto riguarda i sette grandi sacramenti, la liturgia non si accontenta di osservare le norme minimali per la loro "validità" giuridica, cioè la verità della materia e l'esatta pronuncia della formula che l'accompagna; sebbene tutto questo sia determinante per fare ciò che intende fare la Chiesa. La liturgia si preoccupa anche (ed è la sua caratteristica specifica) della validità o efficacia pastorale. Infatti, la liturgia comunica il deposito della fede «attraverso i riti e le preghiere» (cf SC 48). La partecipazione alla liturgia non solo deve essere attiva, ma anche consapevole perché sia fruttuosa (cf SC 11). Per questa ragione i riti devono splendere per nobile semplicità, essere chiari per brevità, senza inutili ripetizioni; siano adatti alla capacità di comprensione dei fedeli e non abbiano, generalmente, bisogno di molte spiegazioni (cf SC 34). Tutto questo vale anche per la cresima. Mi sembra importante richiamare queste caratteristiche della celebrazione liturgica in un momento in cui c'è chi tende a identificare il mistero cristiano semplicemente con ciò che non si capisce affatto, confondendo la realtà soprannaturale invisibile con i segni visibili che intendono comunicarla.

La crismazione con la formula che l'accompagna è il cuore del sacramento della cresima. Per questo Paolo VI, affinché fosse chiaro il significato del sacramento, sostituì la formula invalsa nel medio evo (XII sec), che non faceva alcun riferimento allo Spirito se non nella benedizione conclusiva della formula stessa con il segno di croce (= Ti segno con il segno della croce e ti confermo con il crisma della salvezza. Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo).

L'attuale formula (= Accipe signaculum doni Spiritus Sancti) risale al V secolo ed è comune alla Chiesa bizantina. Non solo un segno di grande valore ecumenico attingendo all'antica e comune eredità della Chiesa indivisa, ma anche una presa di posizione dottrinale sul significato specifico della confermazione: il dono dello Spirito che conferma e porta a compimento la nascita dall'acqua e dallo Spirito Santo per essere conformati a Cristo e partecipi della sua missione.

La rubrica che precede il momento culminante della confermazione prevede come preferenziale che i cresimandi si accostino processionalmente al vescovo. Questo è certamente il gesto più significativo, come del resto si fa normalmente anche per accostarsi alla mensa eucaristica. Il movimento processionale nella liturgia esprime infatti l'identità e la missione della Chiesa: un popolo in cammino nel tempo, sulle strade del mondo, verso la pienezza della vita in Cristo.

Non è certo la celebrazione in atto il momento per fare un'articolata catechesi sulla cresima. Le opportune monizioni non sono lezioni. La dottrina dovrebbe essere oggetto degli incontri catechistici, specie nell'anno che prepara a questo evento. Se poi alla confermazione segue immediatamente, nella stessa celebrazione, la prima partecipazione all'eucaristia. tanto meglio. I due sacramenti si integrano perfettamente, non l'uno a scapito dell'altro, come qualcuno obietta, ma integrandosi reciprocamente recuperando la loro originaria sequenza. Si tratta, infatti, di quella particolare unzione che abilita il battezzato a partecipare alla mensa eucaristica, anzi, a identificarsi a quel Gesù che ha portato a compimento il suo sacerdozio offrendo se stesso (cf Eb 7,27).

Il cresimato è abilitato a unire l'offerta della propria vita all'offerta unica e irripetibile di Cristo. Non è senza ragione che fin dal 1971 «i cresimati e, secondo l'opportunità, i loro padrini, genitori, coniugi e catechisti possono ricevere la comunione sotto le due specie» (Rito della confermazione 37). Si tratta di sottolineare l'importanza del sacramento, dando alla celebrazione tutta la ricchezza possibile della sua ritualità. Il segno di pace, che conclude il rito del sacramento, sostituisce lo "schiaffetto" che, di quel gesto originario, era diventato, per così dire, un semplice organo-testimone, così da assumere lungo i secoli interpretazioni, se non del tutto improprie, certamente parziali e marginali come, ad esempio, il coraggio di professare la propria fede anche a prezzo della derisione e persecuzione. Impegno di ogni vero cristiano, ma non legato a questo gesto.

Silvano Sirboni

 

(Vita Pastorale, n. 9, 2015, p. 53)

 

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