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Sabato, 07 Novembre 2015 12:18

Mc 14, 32 - 72

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"La Messa, occasione di ...

catechesi della Parola"


Dopo la notte dell'amore, dell'Eucarestia, ecco la notte della solitudine.

Gesù sa cosa lo aspetta, e si prepara all'estrema prova con la preghiera.

Inizia a sentire paura ed angoscia, e prende con sé i tre discepoli che lo avevano accompagnato e visto nel momento della manifestazione della sua gloria, la trasfi­gurazione, e lo accompagnano ora nel momento dell'angoscia.

"Restate qui e vegliate" : i discepoli non possono fare nulla, ma possono essere presenti, essergli accanto 'svegli', partecipi anche se non attivi

E Gesù cade a terra, il male che era venuto a debellare e che distrugge l'uomo, gli si rivolge contro e lo 'svuota', gli toglie le forze. E per un attimo chiede al "papà" (abbà) di essere esonerato dal calice: abbiamo visto che il calice era simbolo della propria sorte, del destino. Ma è un attimo di debolezza, si riprende subito e accetta la volontà del padre, cioè la fedeltà e la testimonianza del suo messaggio fino in fondo.

Torna dai discepoli: "Simone ..." : ecco che chiama Pietro con l'appellativo familiare, quello che indica amicizia e vicinanza (vedi scheda 14, inizio 2^pagina).

Più che un rimprovero è una amara constatazione: i discepoli non reggono, sono prostrati dall'attesa di questi fatti che devono accadere anche se non hanno ancora ben chiaro cosa stia per capitare. Gesù l'ha annunziato più volte, ma non hanno capito.

"Vegliate e pregate per non cedere al momento della prova": la prova è l'arresto di Gesù, la sua condanna e la sua crocifissione. Gli avevano detto di essere tutti pronti a morire per lui, ma quando vedranno le luci delle guardie fuggiranno e lo lasceranno solo; al momento della prova e della persecuzione fuggono, cedono.

La diagnosi di Gesù è chiara : nella nostra umanità lo slancio è genuino (versetto 29), ma questo è intaccato dalla debolezza della "carne", se non siamo forti e vigili.

Per tre volte va dai discepoli: il tre, simbolo di completezza, indica che la loro debolezza è totale, non sono pronti alla prova, i suoi appelli a vegliare sono stati inutili, stanno arrivando gli aggressori ed il tradimento sta per compiersi, arriva il momento della notte del tradimento.

Il "Figlio dell'uomo" (*) sta per essere consegnato nelle mani dei peccatori, non degli uomini: il peccatore per Marco è colui che rifiuta il modello di umanità che Gesù ha proposto. E sono infatti coloro che lo hanno rifiutato, scribi, farisei ed anziani, che hanno mandato, grazie a Giuda, un folla armata a catturarlo.

Notiamo un particolare della cattura: uno dei presenti, certo un discepolo, estrae la spada taglia l'orecchio del servo del sommo sacerdote. E' scritto "il" servo, non un servo qualunque, il rappresentante del sommo sacerdote; per servo in quel tempo si indicava anche un funzionario, un dipendente, il figlio stesso del re. E in Giovanni è scritto che è Pietro che taglia "il lobo dell'orecchio". Un difetto all'orecchio impediva la nomina di un pretendente alla carica di sommo sacerdote. Questo servo potrebbe quindi essere colui che aspirava alla carica, e con questo danno fisico non può succedere al sommo sacerdote: l'evangelista ci vuole far capire che non c'è più il successore, la carica di sommo sacerdote termina qui, non ha più senso dopo Gesù.

Gesù aveva dichiarato che i sommi sacerdoti sono dei briganti (cap. 11,17), e questi si vendicano e trattano Gesù da brigante: convincono anche la folla di ciò, possono convincerla ed aizzarla perché detengono le leve del potere e della persuasione.

xxx

Il tradimento aumenta la solitudine: tutti i discepoli fuggono, come predetto da Gesù.

E troviamo un altro piccolo episodio, ma molto significativo, quasi mai chiarito nei suoi veri termini: l'episodio del giovanetto.

Marco quando parla della morte di Gesù mette sempre un annuncio di vita: vediamo che anche questo episodio è un annuncio di vita, di resurrezione. Non è neces­sariamente una cronaca di un avvenimento come la intendiamo noi, ma è la presentazione della profonda verità dell'avvenimento.

"E un certo giovanetto lo accompagnava" (traduzione letterale): accompagnare era il termine più giusto per il discepolo, non è sufficiente "seguire", accompagnare indica piena immedesimazione con Gesù.

E questo ragazzo è "rivestito": la parola usata dall'evangelista compare solo due volte, qui e nell'episodio della resurrezione: abbiamo visto che gli evangelisti voglio­no in questo modo mettere in relazione due episodi.

Ed è rivestito di un "sudario" (anche qui, usiamo la traduzione esatta): il lenzuolo usato per avvolgere i defunti per deporli nel sepolcro.

"... lo afferrarono" : lo stesso verbo usato per la cattura di Gesù.

E infine "giovanetto" è lo stesso termine usato da Marco per il giovane che troveremo vicino alla tomba dopo la resurrezione.

Attraverso questo giovane l'evangelista vuole presentare la realtà di Gesù che sfugge alla morte. Questo giovane che non è altro che la figura di Gesù, che viene preso, ma lascia in mano ai suoi catturatori il telo funebre, cioè il suo corpo mortale. Continua a fuggire nudo, ma vedremo che non resterà nudo: lo ritroveremo vestito di una tunica bianca, il colore della risurrezione.

In questo modo l'evangelista, già al momento della cattura di Gesù, prima ancora della sua morte, ci anticipa il finale, quello della risurrezione di Gesù.

Portano quindi Gesù dal sommo sacerdote, davanti ai capi dei sacerdoti, agli anziani e agli scribi: le tre classi che formavano il sinedrio, riunite per dare forma legale al processo. Pietro riesce a seguire Gesù fin dentro il palazzo, nel cortile.

Ma al processo non ci sono testimonianze concordanti; alcune citano la distruzione del tempio, senza capire che Gesù si riferiva al suo corpo. E Gesù per una parte del processo si comporta come descritto dal profeta Isaia (53,7), quando parlava del Servo del Signore.

Nel corso dell'interrogatorio emerge infine la risposta alla domanda che era stata posta all'inizio del Vangelo di Marco: chi è Gesù?

Nei due versetti, 61 e 62, che richiamano alcune immagini viste al capitolo 13, in particolare 13,26 , Gesù risponde ad una domanda per la quale non possono essere portate testimonianze (false) di altri: e anche se sa di porgere agli avversari il motivo per ucciderlo, non si tira indietro. Gesù non esita nell'affermare la verità, mettendosi in collisione frontale con l'ebraismo.

Risponde infatti: "Io sono" , e "... seduto alla destra della Potenza ..." : due frasi che i giudei non possono accettare.

La prima, 'Io sono', è il nome stesso di Dio: Mosè, nell'episodio del roveto ardente, sente rispondere non un nome, che descrive una realtà che è pur sempre limitata, ma per Dio non c'è termine che lo possa descrivere, e si manifesta attraverso il suo essere: "Io sono colui che sono".

L'altra frase di Gesù mette insieme il salmo 110,1 con la profezia di Daniele 7,13, dove sostituisce 'mio Signore' con 'Figlio dell'uomo'. I giudei conoscono molto bene le scritture, e questa dichiarazione di 'sedere alla destra della Potenza (di Dio) e venire con le nubi' è una dichiarazione di divinità: inaccettabile per essi.

E tutto il popolo viene trascinato in questa volontà di punire con la morte Gesù perché ha bestemmiato: ha decretato la fine del tempio, si è sostituito alla Bibbia nel dare il vero senso della legge e del sabato, e si proclama Messia e Figlio di Dio.

Tutto il popolo si è messo contro il Nuovo Testamento, rinnegando quello che diceva l'Antico Testamento sul Messia; tutti chiusero l'intelletto alle parole dei profeti che annunciavano un Messia purificatore, sostituendo a questa immagine la loro, mettendo in primo piano le loro tradizioni, annullando la Parola di Dio (vedi 17,13); erano otri vecchi destinati a cedere sotto la pressi0one del vino nuovo (2,22).

"I servi lo schiaffeggiavano": ritratto anche psicologico di coloro che sono sotto­messo, che possono sfogare la loro repressione con il più debole, facendosi anche "belli" al cospetto dei loro capi e padroni: la natura umana è sempre la stessa.

Pietro intanto rinnega Gesù, come gli era stato predetto (vedi scheda 21).

Abbiamo visto Pietro che seguiva Gesù "da lontano" (versetto 54), non era ancora capace di seguirlo "da vicino", denota sì un attaccamento a Gesù, ma non così forte, tant'è che lo rinnega.

Sembra di cogliere un'evoluzione nel rinnegare di Pietro: alla prima domanda cerca di resistere, di sviare con abilità la domanda e di non essere costretto a essere chiaro nella risposta, ripiega su un compromesso che non gli faccia dire né sì né no; poi man mano si lascia prendere dalla paura fino a dichiarare "non lo conosco".

Marco, l'evangelista discepolo di Pietro, conobbe questo episodio da Pietro stesso, ed ha avuto il coraggio e le lealtà di narrare questo fatto, e anche in maniera più chiara degli altri evangelisti: tra le altre osservazioni possibili, vediamo che questa onestà depone a favore della veridicità di tutto il suo racconto, dell'intero Vangelo.

Il gallo canta, Pietro si "risveglia" dal suo momento di menzogna, al canto del gallo si riprende e gli si presenta davanti la realtà: esce da questo luogo ormai insopportabile, piange per il pentimento. Da "lontano" che era, questo pianto e questo pentimento lo riavvicinano a Gesù, anche se deve ancora fare un po' di strada per la completa adesione a Gesù.

 

Filippo Giovanelli

Parrocchia di San Giacomo – Sala - Giaveno

 

 

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