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Mercoledì, 04 Novembre 2015 18:54

Mc 14, 1 - 31

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Le ultime schede di Marco sono più lunghe ed impegnative, ma sono schede importanti, il Vangelo commentato racconta l'epilogo della vita di Gesù, e molti sono gli aspetti da affrontare, i punti da commentare o chiarire.

Si avvicina la Pasqua, e i sacerdoti e gli scribi complottano contro Gesù: ennesima decisione, ma questa volta è quella definitiva. Giuda, subito dopo l'episodio che descriviamo qui sotto, decide di consegnare loro Gesù: ogni discepolo, se non entra pienamente nella logica di Gesù, può arrivare fino al tradimento.

Gesù si trova a Betania, e mentre si trova in casa di un certo Simone il lebbroso (indizio che la comunità di Gesù è una comunità che accoglie gli emarginati, che non frequenta i salotti bene, ma le case degli appestati) arriva una donna con un vasetto di profumo di nardo "fedele" (traduzione esatta, e come vedremo, sta ad indicare amore e fede autentica in Cristo), e unge il capo di Gesù, rompendo anche il vaso.

Qui il simbolismo è profondo, vediamo cosa ci vuol comunicare Marco.

Il profumo del nardo è simbolo dell'amore della sposa per lo sposo, come vediamo nel Cantico dei Cantici (1, 12), e viene anche richiamata l'unzione regale. Quando veniva consacrato un re, il sacerdote o il profeta prendeva un olio profumato e glielo cospargeva sulla testa; quindi è la donna che nella comunità di Gesù svolge la funzione profetica, sacerdotale; riconosce in Gesù il re e questo profumo significa che la comunità sposa riconosce in Gesù lo sposo. Gesù tra poco sarà messo a morte: è la comunità rappresentata da questa donna che dà adesione a Gesù ed è disposta a fare la stessa fine di Gesù, fare dono della propria vita. E la donna spezza il vaso, perché simboleggia la sua vita che è spezzata per amore.

I discepoli non accettano la morte di Gesù, non sono solidali come la donna, vedono nella morte di Gesù la sconfitta di tutto e ragionano dicendo che si poteva venderlo a caro prezzo per darlo ai poveri: 300 denari è un'esagerazione simbolica, è un anno di paga dell'epoca! E dicono letteralmente: "Perché questa perdita di profumo?". In questo caso, l'espressione "perdita" è la stessa presa dalla frase di Gesù: "Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà" (Mc 8,35): tutto il discorso è sul dono della vita.

Nella comunità dei credenti, i poveri non rappresentano un oggetto esteriore verso il quale dirigere un'azione benefica, ma fanno parte integrante della comunità con la quale e nella quale viene condiviso tutto. Ma i discepoli non hanno ancora capito questo insegnamento di Gesù e pensano ai poveri come a qualcuno da beneficare.

L'azione compiuta dalla donna, anonima, è l'unica azione che Gesù chiede che venga annunziata al mondo intero. Il significato profondo di questa unzione è che chi fa del­la propria vita un dono perché altri abbiano vita, non incontra la morte, il puzzo della putrefazione, ma va incontro alla pienezza di vita simboleggiata dal profumo.

Qui vediamo che, ad eccezione di due figure (la moglie e la figlia di Erode) le donne nel vangelo fanno sempre una figura nettamente migliore degli uomini, e questo in una società in cui le donne valevano nulla! Ma Gesù ridà loro il giusto valore.

Inizia quindi il racconto della cena del Signore, che possiamo vedere come un "trittico", una scena in tre parti: la prima inizia al versetto 12 con la preparazione della cena, la seconda parte, centrale, è quella dove troviamo il tradimento, nella terza dal versetto 22 al 26, troviamo l'istituzione dell'eucarestia.

Prima scena: Gesù manda i suoi discepoli a preparare la cena, e vediamo che ci sono alcuni particolari rivelatori di quel che Marco vuole dirci.

Siamo al giorno precedente la Pasqua, quando si preparava la cena ebraica. Sono i discepoli che chiedono a Gesù di preparare la cena: Gesù acconsente, ma farà capire loro cosa è la "nuova" cena, che sostituisce quella "vecchia" della tradizione ebraica.

Marco ci dà alcune indicazioni 'strane': i discepoli devono seguire un uomo che porta l'acqua, ma all'epoca era la donna che portava l'acqua, non l'uomo. Seguire è il verbo tipico del discepolo, e l'uomo che ha a che fare con l'acqua in Marco è Giovanni il Battista. L'insegnamento di Giovanni era "convertitevi, cambiate mentalità, atteggia­mento": Marco vuol dire che senza conversione non si celebra la nuova Pasqua.

E il luogo dove celebrare la Pasqua è (traduzione letterale) "il mio alloggio": la méta del cammino di Gesù. Il Battista prepara la strada, e il punto d'arrivo di questa strada è quell'alloggio, a Gerusalemme, dove Gesù celebra la Pasqua con i suoi, ma non la Pasqua ebraica, ma la sua Pasqua.

Marco mette altre indicazioni non necessarie, ma teologicamente importanti: la stanza in alto ci ricorda il Sinai, dove in alto sul monte c'è stata la prima alleanza; e ricorda anche che Gesù sarà messo a morte in alto, sulla croce. E' una stanza grande, dove quindi c'è posto per tutti, il luogo dove Gesù manifesta il suo amore; la stanza è già pronta, preparata, ma poi anche i discepoli "preparano": vuol dire che anche noi dobbiamo contribuire alla preparazione di questo luogo, dove dobbiamo anche noi contribuire a manifestare l'amore che non esclude nessuno.

Inizia la seconda scena.

"Venuta la sera, egli arrivò con i dodici": Marco ha appena parlato di discepoli, e poi dice "i dodici". Gesù è seguito da discepoli provenienti dall'ebraismo e dai pagani, e dicendo "i dodici", numero che rappresenta Israele, vuole indicare che il discorso si rivolge in modo particolare a coloro che provengono dall'ebraismo, ancora legati ai modelli di pensiero dell'Antico Testamento.

E l'indicazione della sera indica anche l'oscurità, il buio, che nei Vangeli è sempre un elemento negativo, di incomprensione: è in questa occasione infatti che avverrà il tradimento, ed è questo il punto centrale della seconda scena. Gesù, che già sapeva dell'incomprensione dei discepoli e che sapeva dell'intenzione omicida di Giuda, non si tira indietro, ma va fino in fondo a manifestare questa sua capacità di amore.

Gesù sta andando in un ambiente dove vuole manifestare tutta la comunione con i discepoli, ma essi hanno istinti omicidi nei suoi confronti. Questa è la grandezza dell'amore, quello che rende Gesù uomo-Dio, capace di amare come Dio ci ama.

Ecco perché è la scena centrale, il messaggio fondamentale è l'amore di Dio che non viene meno nonostante tutto, anche a fronte del tradimento dei suoi intimi.

"Mentre erano adagiati a tavola" (traduzione letterale) : a quell'epoca solo le persone libere potevano mangiare così, non gli schiavi, e la Pasqua si mangiava così, ricordando la liberazione dall'Egitto. Con questo accenno alla modalità di mangiare Marco ci indica che è Gesù quello che sta per realizzare la vera liberazione.

Non c'è nessun altro accenno alla cena pasquale ebraica: non le erbe amare, non gli azzimi, non le diverse coppe ed i racconti della tradizione: Marco non ricorda la liberazione dall'Egitto, è un fatto ormai scaduto, finito, non ha più valore ora.

Mangiano tutti nello stesso piatto, non in piatti singoli come nella pasqua ebraica: era una consuetudine tra persone con una grande intimità, ed in questo racconto Gesù dice che uno degli intimi lo tradirà: sappiamo che Giuda si è messo d'accordo con i giudei, ma qui non c'è nessun nome. Tutti i discepoli che mangiavano con lui si rattristano e chiedono "sono forse io?" Nessuno è così sicuro di garantire della propria fedeltà, continuano a ragionare con la mentalità di 'chi è il più grande' (cap. 9, 34). Se si fanno prendere da questo dubbio, vuol dire che gli insegnamenti di Gesù non sono calati dentro di loro nel profondo, e si sentono in una grande inquietudine.

E di nuovo compare "... uno dei dodici" : come dire "questo Israele", cui Gesù aveva manifestato così tanto l'amore di Dio, lo tradirà. Al momento di intingere nello stesso piatto, simbolo di unione e intimità, la mano non attinge per prendere vita, quella offerta da Gesù, ma per toglierla, per dare morte.

"Il Figlio dell'Uomo parte, come sta scritto di lui": l'unico testo biblico che può essere ricordato è Geremia (trad. LXX 43,19), dove dice "Non sappia un uomo per dove parti". L'uomo che ti tradisce non sa dove vai a finire veramente, quello non sa che non vai a un destino infame, ma alla gloria ed alla pienezza di vita.

E di nuovo leggiamo "Ahi ...", abbiamo visto che non è "Guai", ma è un lamento funebre, per Gesù costui è già morto perché si chiude alla proposta di vita di Gesù, l'unica che garantisce la vita eterna, la vita piena oltre la morte. Chi vuole Gesù morto non se la prende con lui, ma con quello che ha voluto manifestare, come unica possibilità per diventare uomini pienamente riusciti.

Oggi abbiamo tanti esempi nella nostra realtà. Non si vuole la promozione umana, si preferisce l'armamento o lo sfruttamento dei poveri perché ci si deve arricchire, l'importante è guadagnare anche se devono morire di fame altre persone o addirittura popoli, il povero che si avvicina disturba, interessa solo il proprio profitto.

L'uomo, quando fa la scelta sbagliata, si chiude a questa proposta di vita e frustra qualsiasi possibilità di sviluppo. Quindi è come un aborto: meglio per questo uomo se non fosse mai nato perché è stato uno spreco totale.

Nella terza scena abbiamo già la concretizzazione di quello che Gesù ha voluto far capire ai suoi discepoli, cioè un'alleanza nuova che non si fa più con il sangue di un animale e ordinando di obbedire alla legge, ma un'alleanza nuova che si fa prendendo in mano un pane (non si dice un pane azzimo, quello della tradizione, ma un pane normale) e dicendo: "Questo pane è il mio corpo".

Il corpo in quella cultura significa tutto quello che rende identificabile una persona, non solo la parte materiale dell'uomo: Gesù con questo vuole dire "questo pane rappresenta me, tutto quello che ho fatto, tutto quello che mi distingue come persona che si è relazionata con voi e che vi ha insegnato uno stile di vita particolare".

E dice: "prendete, mangiate", cioè voi, se volete entrare in questa alleanza, dovete assimilare questo mio modo di comportarmi".

E poi c'è il gesto della coppa, la coppa come destino, quindi una prova dolorosa da affrontare. Ma è una coppa piena di vino: il vino è amore, il vino è l'amore della sposa con lo sposo in tutta la tradizione biblica.

Prendere il pane e il vino e darlo ai discepoli vuol dire: questo significa la mia vita, una vita che si offre fino in fondo per amore, e chi è capace di assimilarla ha anche l'impegno di ripeterla nelle stesse cose.

Quando noi celebriamo l'eucaristia, non stiamo facendo un atto pio, ma stiamo dicendo: "Signore, noi vogliamo vivere come tu sei vissuto, è possibile riuscire ad essere uomini, anche noi possiamo dare noi stessi come cibo per gli altri".

Notiamo che mentre per il pane l'evangelista usa il verbo "benedire", per il calice usa "rendere grazie": Marco si rifà alle due moltiplicazioni dei pani. Nella prima, in terra ebraica, Gesù benedì il pane (Mc 6,41); nella seconda, in terra pagana, Gesù rese grazie (Mc 8,6). Nell'Eucaristia sono radunati questi due elementi: l'Eucarestia non è soltanto per il popolo d'Israele, ma è per tutta l'umanità.

Poi Gesù "rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti". Non basta accogliere Gesù come modello di comportamento, ma bisogna anche bere al calice, simbolo di morte, di donazione completa. Allora soltanto, nell'accettazione di un impegno di vita che va fino alla morte, c'è la completezza dell'Eucaristia.

Tutti gli evangelisti indicano l'azione di Gesù come colui che battezza in Spirito Santo, però, stranamente, nessun evangelista ci dice 'dove', 'quando' e 'come' Gesù battezzi in Spirito Santo: è l'eucarestia il momento in cui la comunità, il credente, riceve questa effusione nello Spirito Santo, il battesimo nello Spirito Santo.

Non è un sangue, come quello dei tori, asperso esternamente all'uomo, ma "questo è il mio sangue dell'alleanza", la nuova alleanza, una comunicazione interiore della stessa vita divina, della capacità di amare di Dio stesso.

E questo sangue, dice Gesù, "è versato per molti". Nella cena pasquale ebraica si leggeva il salmo 79 in cui troviamo che "l'ira di Dio veniva versata sui pagani". Ma per Gesù è cambiato il rapporto con Dio, non viene più versata l'ira di Dio, ma il suo sangue, un amore che accoglie tutti (molti, le moltitudini, vuol dire 'tutti').

Gesù esce verso il monte degli ulivi con i discepoli, annunciando loro che saranno scandalizzati: lo scandalo sarà provocato dalla sua passione e morte. La comunità cristiana rischia di lasciare il cammino della fede tutte le volte che si allontana dal cammino della croce percorso da Gesù fino in fondo.

Pietro dichiara la sua fedeltà, è convinto, sincero, ma manca di umiltà, ha uno slancio genuino, ma non ha misurato se stesso di fronte alle difficoltà. E Gesù gli predice il suo abbandono. Il gallo a quei tempi era considerato un animale demoniaco, perché canta di notte, e la notte, il buio, è il regno del male. Allora comprendiamo quello che Gesù dice a Pietro: "In questa stessa notte, prima che il gallo canti due volte, mi rinnegherai tre volte". Tre volte vuol dire "completamente", cioè Pietro rinnegherà completamente Gesù; ma il gallo non canta tre volte, soltanto due volte: cioè la vittoria del male, rappresentato dal gallo, non sarà completa.

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