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Domenica, 18 Ottobre 2015 20:57

Mc 13, 3 - 37

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"La Messa, occasione di ...

catechesi della Parola"

Abbiamo visto che Gesù non guarda con ammirazione quelle che sembrano magnifi­cenze,

e dice "di questo tempio non rimarrà qui pietra su pietra". E stranamente i discepoli non si allarmano, gli chiedono solamente: "... quando accadrà questo?". C'era la credenza che nel momento del massimo pericolo per Gerusalemme ed il tempio, Dio sarebbe intervenuto e avrebbe sbaragliato i nemici.

Invece Gesù dice di allarmarsi: "che nessuno v'inganni... molti... trarranno in inganno", e usando il linguaggio profetico parla di "nazione contro nazione", di terremoti, guerre e carestie che erano conseguenze dei terremoti, e "questo è l'inizio dei dolori del parto" (che è l'esatta traduzione del termine usato dall'evangelista), dolori che portano alla gioia della nascita.

Ma i discepoli annuncino il Vangelo in tutto il mondo, saranno aiutati dallo Spirito Santo ad agire e parlare anche nelle persecuzioni che l'annuncio del messaggio di Gesù comporta, e saranno salvati.

Inizia ora la parte più difficile da capire correttamente, e qui l'evangelista raccomanda "e il lettore comprenda" come spiegato nella scheda precedente, la 19.

L'evangelista adopera l'espressione del profeta Daniele "l'abominio della devasta­zione" (vedi 9,27; 11,31; 12,11) che descriveva i segni dei culti pagani, "abominio", che erano stati installati nel tempio di Gerusalemme: nel tempio in passato c'erano stati culti pagani e questo era il sacrilegio devastante.

Ma la profanazione più grave del tempio di Gerusalemme avverrà a causa degli stessi giudei che – ricordiamo la denuncia di Gesù nel tempio "l'avete fatto diventare una spelonca di briganti" – litigano fra di loro per conquistare il potere e spartirsi il bottino: potere e denaro sono sempre causa di lotte, divisioni, oppressione.

Allora, Gesù mette in guardia: quando nel tempio cominceranno queste lotte intesti­ne, l'unica cosa che bisogna fare è fuggire. La Giudea, e in particolare Gerusalemme, erano state sempre considerati i luoghi dove potersi rifugiare per avere salva la vita, ora invece bisogna abbandonarli in quanto diventano luoghi di morte.

"Quelli che sono in Giudea fuggano sui monti." Questa indicazione richiama la prima volta che nella Bibbia si trova l'invito a fuggire sui monti in seguito alla distruzione di Sodoma, la città peccatrice per eccellenza (Gen 19,17): per l'evangelista Gerusa­lemme, la città santa, è ormai equiparata a Sodoma, la città maledetta

Gesù raccomanda "quando vedrete i primi accenni di queste lotte intestine nel tempio, scappate immediatamente via", scappate via sui monti, non badate ad altro, non perdete tempo. E mostra la sua commozione per le vittime eslamando: "Ahi". I traduttori di solito mettono "Guai!": ma non è una minaccia, è un pianto sulla loro sorte: la volontà di Dio non è la distruzione, al contrario: infatti Gesù dice "chiedete affinché non avvenga d'inverno".

E aggiunge "... quelli saranno giorni di tribolazione quale non vi è mai stata ...", e ci sembra un'esagerazione: la storia ha registrato devastazioni più terribili di quella di Gerusalemme. La gravità della tribolazione non dipende dalla sua potenza, ma dalla qualità di quello che viene distrutto: il popolo che il Signore si era curato, con cui aveva stretto l'alleanza, viene colpito e disperso per la sua infedeltà.

Gesù continua dicendo che il Signore ha già previsto di abbreviare i giorni del dolore: "a causa degli eletti che scelse, ha amputato i giorni", a causa di quelli che sono stati fedeli all'alleanza.

Mette poi in guardia dai falsi profeti, nei momenti di crisi spunta sempre un "unto del Signore" che promette miracolose soluzioni, ma "voi non credeteci": le cose cambieranno solo con la conversione interiore, non con un intervento dall'alto.

"Voi però fate attenzione! Io vi ho predetto tutto." Tutto il discorso finora esposto è rivolto ai discepoli come risposta alla loro domanda iniziale "quando avverrà tutto questo?" Gesù conferma che non c'è un segno straordinario da attendere, né una fine imminente, ma la caduta di un sistema contrario al bene dell'uomo.

Ed ecco un versetto che, se non viene interpretato mediante i segni culturali dell'epo­ca, rischia di far dire all'evangelista il contrario di quello che voleva dire: "... dopo quella tribolazione il sole si oscurerà, e la luna non darà più il suo splendore".

L'espressione di Gesù è una citazione di Isaia (13, 9-10): "Ecco il giorno del Signore implacabile: ... il sole si oscurerà al sorgere e la luna non diffonderà la sua luce".

Non si tratta del giudizio finale, né tanto meno della fine del mondo. Marco presenta un testo che suscita speranza, come Luca (21,28) che aggiunge "quando comince­ranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo perché la vostra liberazione è vicina": quindi non è un messaggio che incute paura, ma infonde una grande speranza nella vittoria del Signore.

Sole, luna e stelle erano considerate dai popoli pagani delle divinità e, in quanto tali, venivano adorate; per stella (astro) si indicavano tutti i potenti, i capi del popolo.

Gesù assicura che la vera luce di Dio, l'annunzio (la Buona Notizia) del Regno da parte dei discepoli, chiamati da Gesù ad essere loro stessi "luce del mondo", porterà a un'eclissi delle false divinità, "gli astri cadranno dal cielo". Non è un messaggio che invita alla rassegnazione, ma all'attività: più brilla la luce del Vangelo e più il mondo migliora. Tutti i sistemi di potere che dominano e sfruttano l'uomo, cadranno uno dopo l'altro. " ... e le potenze dei cieli saranno sconvolte".

E allora, dice Gesù "vedranno": queste potenze nel momento della loro caduta vedranno "il Figlio dell'Uomo venire nelle nubi con grande potenza e gloria".

"Venire nelle nubi": nel libro del profeta Daniele (7, 13s) riguardo al Figlio dell'Uomo si legge "io guardavo nelle visioni notturne ed ecco sulle nubi del cielo venire uno simile a un figlio di uomo": le nubi del cielo indicano la condizione divina.

La venuta del Figlio dell'Uomo, cioè della condizione divina dell'uomo, può essere percepita attraverso le situazioni e dai movimenti che l'accompagnano, cioè: ogni volta che cade un sistema oppressore viene il Figlio dell'Uomo.

Gesù ha annunziato la distruzione di Gerusalemme, e assicura che ogni forma di potere, ogni forma di regime, è destinata a fallire. Per questo, però, chiede la collaborazione dei suoi discepoli.

E a questo punto Gesù dice: "«Fate attenzione, vegliate»", letteralmente "state svegli", "«perché non sapete quando è il momento»" . Il termine greco usato qui (kairos) indica l'occasione, il momento opportuno, e con questo Gesù vuole raccomandarci di stare attenti: la vita e l'amore ogni giorno ci vengono incontro per essere accolti in una forma nuova, originale e creativa. C'è il rischio che, distratti da tante cose, non ci accorgiamo di quell'occasione che, una volta che si è presentata, non ritorna più. Questo era il significato di kairos, l'occasione opportuna, il momento opportuno che passa e poi non si ripresenta. Bisogna stare attenti a quelli che ci stanno intorno, alle loro esigenze di vita e di amore, non negare o anche solo rimandare il nostro aiuto e la nostra vicinanza.

E Gesù continua: "«E' come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato ...»". E qui la traduzione corretta dice: "la sua autorità ai servi" (non il potere, che è sempre negativo): Gesù ha dato la sua autorità che è il dono dello Spirito, la capacità di esercitare un'azione divina, che in questo vangelo indica il perdono dei peccati, la comunicazione di vita. E poi : "«a ciascuno il suo compito»": c'è uno Spirito, un unico Spirito che anima la comunità, ma le funzioni sono molteplici. "«E ha ordinato al portiere di vegliare»". Il portiere era colui che era incaricato della sicurezza di quanti stavano nella casa: vegliare per non perdere il momento opportuno, e proteggere chi sta nella casa.

Per tre volte appare il verbo "vegliare" che riapparirà ancora nel Getsemani, sempre per tre volte. Sappiamo che il numero tre indica quello che è completo, e questo "vegliare" significa essere completamente solidali nella prova, accettare l'inevitabile persecuzione che l'annuncio della buona notizia porterà.

E c'è un nuovo invito di Gesù, "«Vegliate, non sapete quando il padrone di casa tornerà»". E qui Gesù divide la notte in quattro parti, secondo l'uso romano. Questo fa capire che il suo messaggio non è destinato o riservato soltanto al popolo giudaico, ma è aperto a tutta l'umanità, il quattro è un simbolo di universalità: anche noi diciamo "ai quattro venti" per dire dappertutto, a tutti.

E fate in modo che, giungendo all'improvviso»", che significa un arrivo inaspettato che non lascia tempo per cambiare, per rettificare, "«non vi trovi addormentati»", come invece accadrà nel Getsemani, dove proprio i discepoli, che si erano detti pronti a morire con lui, nel pericolo lo hanno abbandonato.

Quindi l'evangelista, che ricorda il fallimento della comunità per non essere stata solidale con Gesù, pone in questo annunzio di Gesù l'invito ad essere sempre pronti ad accogliere anche l'inevitabile persecuzione che l'annunzio della buona notizia comporta.

Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!»". Quindi quello che era l'incarico del portiere, cioè essere responsabile della felicità di quanti stavano nella casa, è il compito di ogni persona all'interno della comunità cristiana.

Riassumendo, questo brano non tratta di una seconda venuta del Figlio dell'uomo che metterà fine alla storia del mondo, come alcune interpretazioni ci presentano, ma espone, con pochi tratti intensi, le caratteristiche del processo che porterà alla liberazione e alla salvezza della umanità e il destino finale di quanti si impegnano per portarlo avanti.

Parrocchia di San Giacomo – Sala
Filippo Giovanelli

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