Famiglia Giovani Anziani

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Domenica, 20 Febbraio 2005 18:09

Non trasferire i propri sogni nei figli

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Un pericolo in agguato.

L’emozione che la paternità porta con sé è sempre grande. Ma il genitore saggio comprende che non tocca a lui
tracciare la strada a colui al quale ha dato la vita, pena trovarselo nemico, malgrado tutto.

Un mio giovane collaboratore è preciso, attento, scrupoloso. È moderno, ma nello stesso tempo buon cattolico, osservante, politicamente corretto, molto innamorato della moglie. L'altra settimana è diventato padre per la prima volta. Per due giorni
non lo si è visto, ma tutti sapevamo perché. Quando è venuto in ufficio tutti gli hanno subito chiesto notizie della bambina. Ma lui voleva parlare d'altro.

"È stato bellissimo", raccontava. "Assistere al parto è stata davvero una cosa bellissima, emozionante, fantastica". I colleghi più anziani, due o tre volte padri, lo guardavano stupiti. Uno che è già più volte nonno disse: "Ai miei tempi non ci facevano assistere al parto. Aspettavamo fuori, fin quando non arrivava un'infermiera con quel bambolotto in braccio. Potevamo solo guardarlo, accarezzarlo con un dito".

Adesso assistere al parto è oggi cosa normale, magari davvero bellissima. Di sicuro rende più partecipi, fin
dall’inizio, di che cosa significa mettere al mondo un bambino: il dolore fisico, la gioia del primo vagito, la stanchezza di quel corpo di donna che ha ancora una volta donato amore, ma in modo diverso. A un
essere nuovo, che d'ora in poi...

Ecco, "d'ora in poi" è il primo pensiero che viene in mente dopo l'ubriacatura di gioia, dopo l'emozione, dopo l'attimo di
orgoglio (sono padre). D'ora in poi tutto, ma proprio tutto, sarà diverso. Che tu lo voglia, o non lo voglia, illudendo te stesso. Che tu lo sappia o che non te ne renda conto, nel tuo egoismo natura e di uomo giovane, al quale fino a ieri nessuno poteva imporre qualcosa non essendo in grado di chiedere niente, esattamente come quel grumo di carne rosea. Che tu ci pensi o no, sarà probabilmente quel grumo di carne rosea che un giorno ti chiuderà gli occhi, dopo che a lui (e ai
suoi fratelli, se gliene darai) tu avrai dedicato la tua vita.

Tante cose la banalità del vivere fa dire e scrivere, nella società della fitness, sui neopapà. Siccome la legge consente oggi anche ai padri assenze dal lavoro per la cura dei neonati, siccome l'eguaglianza dei sessi ha reso normali per entrambi operazioni un tempo riservate alle sole donne (preparare e reggere il biberon durante la poppata, cambiare i
pannolini, lavare quel corpicino, tenerlo in braccio quando piange la notte), i giornali specializzati si diffondono in consigli, come se non bastassero pediatri e mamme, e suocere, e zie e amici che ci sono già
passati.

In realtà niente è più facile che imparare rapidamente e praticare con sufficiente abilità quegli incarichi di genitore. Un po' più difficile è accettare altrettanto rapidamente che la propria vita è cambiata, si è capovolta, le antiche abitudini sono sconvolte. Se prima si andava a ballare ogni sabato sera, adesso non si può più; per questo inverno lasciamo gli sci in cantina; non si va al mare a luglio, fa troppo caldo; le Maldive possono aspettare; e fumare in casa, stop; e la tv all'improvviso ci si accorge che fa troppo rumore; e in macchina la prudenza non è mai troppa; forse bisognerà cambiarla, non è comoda, dove mettere il passeggino?

Ma la cosa più difficile sarà entrare in sintonia con quel bambino, e questo vuol dire capirlo fin da quando, a sei mesi, le smorfie indecifrabili del suo viso si rivelano sorrisi, riesce a star seduto nel lettino, e poi un giorno ti tende le braccia e ti dice in quel modo che ti riconosce, sei suo padre, ha fiducia in te come ne ha nella mamma. Solo a quel punto cominci a pensare a lui come a una persona altra, non un tuo clone.

Che cosa dice la narrativa

In quel romanzo che è forse il più bello di tutto il Novecento, I Buddenbrook, Thomas Mann (che lo scrisse a vent'anni, e per quanto abbia scritto poi, non ha mai più raggiunto quell'altezza vertiginosa) descrive in una scena il rapporto nuovo che si instaura poco per volta, ma insidiosamente, fra un padre - il senatore Thomas Buddenbrook - e il suo bambino ormai cresciuto, il quale rivela man mano doti e tendenze naturali della madre e ben poco, o nulla, del padre. "In cuor suo Thomas Buddenbrook non era contento del carattere e delle tendenze del piccolo Johann. Egli aveva sposato Gerda Arnoldsen, a dispetto dei filistei che scuotevano il capo e si scandalizzavano di tutto, perché si sentiva abbastanza forte e libero da poter manifestare un gusto più fine del comune senza far danno alla sua rispettabilità borghese. Ma il figlio, l'erede tanto a lungo invocato, che pure portava nel fisico tante caratteristiche della famiglia paterna, doveva proprio appartenere completamente alla madre? (...) Finora, la musica di Gerda (...) aveva costituito per Thomas un fascino di più da aggiungere alla sua personalità singolare; ma ora, vedendo che la passione per la musica, a lui incomprensibile, s'impadroniva già, così presto e così profondamente, anche di suo figlio, cominciò a considerarla come una forza ostile che s'ergeva tra lui e il ragazzo, di cui sperava di fare un vero Buddenbrook, un uomo forte e pratico, con un gagliardo istinto di potere e di conquista. E nello stato contabile in cui si trovava gli parve che quella forza ostile minacciasse di far di lui un estraneo alla propria casa". Ecco, il pericolo che i neopapà non vedono, nella gioia della nuova vita che stringono fra le braccia, ma di cui bisogna caritatevolmente avvertirli: il pericolo di trasferire sé stessi e i propri sogni nei figli, di volerli come loro, di tracciargli la strada che dovranno percorrere. È così che tante volte i figli diventano nemici dei padri, senza che lo vogliano, né gli uni né gli altri.

Beppe Del Colle

Da "Famiglia Oggi" 3/2003

Letto 2033 volte Ultima modifica il Mercoledì, 10 Luglio 2013 14:21

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