EDUCARE AL CAMBIAMENTO
· Interrogativi per un’educazione al cambiamento · Quale cambiamento? · Che cosa significa educare? · Educazione diretta o indiretta? · Quali le difficoltà? · Pro-memoria per ogni educatore.
Prima Parte
Oggi il mondo cambia a vista d’occhio sotto
l'aspetto economico, tecnico-scientifico, politico, sociale, culturale
secondo un ritmo addirittura vertiginoso. E’ possibile non proporsi di
cambiare personalmente in una società che cambia? Anche, se uno lo
sceglie. Il prezzo, però, è la progressiva estraniazione dalla società,
e per i nostri figli di trovarsi nel domani più prossimo del tutto
impreparati ad affrontare la vita, finendo nel disadattamento, con
tutto quello che solitamente ne consegue. E’ quindi un atto di lucidità
e di preveggenza scegliere di educare (ed educarsi!) al cambiamento. Quale,
però? Secondo quale concezione della vita? In vista di quali obiettivi?
Consapevoli dei rischi che certi cambiamenti comportano a livello
umano? Questioni da capogiro eppure urgenti, urgentissime. Altrimenti
il cambiamento si limiterà a preparare gente capace di riciclarsi per
trovare qualche lavoro, riducendo la persona a rotella della macchina
produttiva e conformista.
Quale cambiamento, dunque, in
quell'ambito delicatissimo dell'educazione? Per chiarezza, preciso
subito di ispirarmi ad una visione personalistico-relazionale e penso
ad un futuro cittadino che sia anzitutto un uomo capace di discernere quello che lo costruisce da quanto lo distrugge. Una riflessione, quindi, non neutrale, bensì orientata. 
QUANDO DICO EDUCARE
Distinguo, anzitutto, istruire dall'educare.
Anche se il primo può avere riflessi più ampi e significativi
sull'educando attraverso la personalità dell'insegnante, di per sé, e
nel caso migliore, è una comunicazione di conoscenze che mira, insieme
col rigore del dati conoscitivi, alla formazione del senso critico in
un determinato settore, il secondo ha una dimensione più vasta e direi
più profonda.
A mio avviso, educare è l’arte di accompagnare l’altro in modo che diventi adulto e questo si realizza instaurando con lui relazioni sane e significative attraverso la chiarezza dei ruoli.
È una caratterizzazione (non una definizione perché non sono un
pedagogista) nata dalla esperienza e dallo studio, dove i vari termini
sono almeno ambivalenti ed è quindi indispensabile precisarne il senso.
- Arte, implica la
 conoscenza dei suoi principi e regole, ma pure fantasia, intuito,
 creatività, come già accade per un buon artigiano.
- Accompagnarepresuppone da un lato il rifiuto della pretesa e tentazione di plasmare
 l'educando secondo un modello rigido e precostituito, e, dall'altro, di
 conseguenza, la scelta e la capacità di modulare l'agire educativo
 sulla reale persona in fieri che si ha di fronte,
 sollecitandola ed orientandola perché tiri fuori progressivamente le
 proprie potenzialità (educare, dal latino "educere", appunto estrarre)
 affinché fiorisca il proprio essere originale. Questo "farsi compagno",
 naturalmente, cambia secondo l'età dell’educando: ai bimbi, per
 esempio, si comunicano regole, dei "no", pochi, precisi, su cui essere
 fermissimi affinché facciano presto l'esperienza del "limite come
 ordine", e dei "si" sollecitanti ed appaganti; a un ragazzo si
 motiveranno e si parlerà anche di "valori", ad un adolescente si
 tratterà di ascoltare con estrema attenzione inquietudini e
 contestazioni…
- In modo, è forse una delle parole più decisive perché indica la qualità della presenzaall’altro. Se fosse sbagliato, se comunque provocasse rifiuti continui
 sarebbe sterile e diseducativa. Richiede certo competenza tecnica, ma
 pure qualcosa che di per sé nessun metodo può dare, appunto una fine
 sensibilità umana, il senso forte dell’altro come persona.
- Diventi è un
 verbo che richiama al fatto che l'evoluzione psicologica naturale del
 piccolo dell'uomo non perviene automaticamente allo stadio adulto. Alla
 nascita l'umano è in noi una potenzialità che si svilupperà al meglio
 unicamente se immersa in un sistema di relazioni significative e se
 orientata e stimolata da presenze autorevoli. Umani lo si diventa
 attraverso un processo che, a rigore, dura forse tutta la vita.
- Adulto,
 probabilmente, è il punto più controverso e dove maggiormente si coglie
 l'influenza della filosofia, esplicita o meno, cui ci si riferisce. A
 mio avviso, e tenendo conto degli apporti di alcune psicologie, si
 arriva allo stadio adulto quando si raggiunge un buon livello di autonomia, quindi di libertà interiore, il presupposto per assumere la responsabilitàdella propria vita, acquisire la capacità di individuare qua e ora
 quale sia la decisione da prendere per costruire se stessi e realizzare
 relazioni sane, ossia non possessive e dominatrici (almeno come
 atteggiamenti prevalenti, di nessun purismo angelicante).Questo
 richiede la costruzione di una identità aperta: io sono me
 stesso, consapevole di me e mi incontro con te senza con-fondermi con
 la tua persona e proprio perché sono chiaro con me, saldo in me,
 separato da te (io sono io e tu sei tu) posso venire da te senza mire
 conquistatrici o di sottomissione a te; e ti do qualcosa della mia
 ricchezza, ricevo qualcosa dalla tua, poi ciascuno riprende il suo
 cammino personale, animato e vivificato da questa presenza
 interiorizzata, in attesa di un altro incontro. In fondo, l’orizzonte è pervenire alla gioia di essere sé.Non è individualismo, è consapevolezza umile del proprio valore.
 Evangelicamente è la gioia di essere un dono che Dio fa anzitutto a me
 (sono figlio!) e congiuntamente per l’altro verso cui andrò o la cui
 iniziativa accoglierò.
- Relazioni sane e significative, è
 congiuntamente la sostanza e la via dell’educare. La persona è
 relazione costitutivamente. Ma, di solito, la relazione educativa,
 l’inter-agire tra educatore ed educando, sarà costruttiva, infonderà
 all’altro fiducia, stima di sé, amore per la vita, voglia di crescere
 quando sperimenterà di essere trattato così dall’educatore.
- Chiarezza dei ruoli: è
 un aspetto oggi a mio parere da ribadire. L’educatore, sia insegnante o
 genitore, è qualcuno con una responsabilità e compito precisi,
 l’autorità, se non sa di vecchiume questa parola (autorità, dal latino
 "augeo" significa "far crescere", non dominare!); i ruoli
 dell’educando, alunno o figlio, sono di accogliere e mettere in pratica
 indicazioni e suggerimenti dell’educatore, e, in certi casi, di
 "ubbidire" alle sue decisioni, anche se non gli piacciono, perché la
 responsabilità educativa è del primo. Genitori o insegnanti "amiconi"
 provocano disastri. Confondono l’altro perché lasciano pensare ad una
 parità di capacità e di "potere" che non c’è, lasciano l’educando
 nell’insicurezza perché egli ha bisogno di figure adulte di
 riferimento, amorevoli, ma adulte; poi, magari, le contesterà, è
 fisiologico, ma da loro ha attinto atteggiamenti e valori che, in
 seguito, riscoprirà in modo personalizzato, adatti a sé.
CARLO CAROZZO
Direttore de IL GALLO – Genova
(Famiglia domani 1/99)

