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Lunedì, 04 Luglio 2005 18:29

Evangelizzare la Chiesa, popolo di Dio

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Evangelizzare la Chiesa, popolo di Dio

 

· I documenti del Vaticano II presentano un messaggio originale per la Chiesa: una vera e propria «nuova» evangelizzazione · Questa nuova evangelizzazione riguarda in particolare la concezione di Chiesa che dobbiamo imparare a ripensare e rileggere come «popolo di Dio» · Accogliere e vivere la novità è sempre molto importante per il cristiano: Dio, infatti, è colui che «ha fatto nuove tutte le cose» · Per metterci in questa disposizione di accoglienza del nuovo occorre ascoltare, ricordare, convertirsi.

 

Questo nostro contributo può avere senso e assumere significato solamente se si conosce la nuova strada che, illuminata dallo Spirito Santo, la Chiesa ha tracciato con i messaggi e le provocazioni contenute nei documenti del Vaticano II e che potremmo definire «nuova evangelizzazione». 

Noi possiamo solo pregare e invitare ogni essere umano, ogni membro del popolo di Dio, a leggere i documenti, meditarli e metterli in pratica nella vita della Chiesa e della società. 

Ci limitiamo ad alcune semplici riflessioni con la speranza che quanto è stato seminato in 50 anni sia coltivato e giunga il tempo del raccolto. «Uno semina e uno miete» (Gv 4,37).

Nuova strada, nuova evangelizzazione. Il termine «nuova» non deve spaventare o destare sospetto. È Dio stesso che dice: «Io faccio nuove tutte le cose». Si scoprirà che il Concilio riattualizza la parola che Dio Padre, nel Figlio Gesù (il Verbo), dice dall'origine del mondo e che lo Spirito d'amore ripete e rende comprensibile nel tempo e nei tempi dell'uomo, creatura storica: «...Ascolta, ricorda, convertiti...».

 

«Ascolta...»

Al centro di questo ascolto sta la Parola di Dio, Cristo («Cristocentrismo» - cf LG 1).

La Chiesa è sacramento visibile di Cristo se è segno dell'amore di Dio per tutta l'umanità e quindi fonte e inizio dell'intima unione di tutto il genere umano. La Chiesa avvia la realizzazione dell'unità promovendo, con l’annuncio e le opere di carità e giustizia, il disegno di Dio: «ricapitolare in Cristo tutte le cose, riappacificare gli esseri della terra e quelli del cielo» (cf Col 1,15-20).

La Chiesa è chiamata ad introdurre il Regno rimanendo in attento, fedele e ubbidiente ascolto dello Spirito che la provvede e dirige con diversi doni gerarchici e carismatici (cf LG 1-8).

Non deve insorgere alcuna disputa. Gesù insegna ai discepoli che nel Regno non si discute su chi è il primo o il più grande, ma ciascuno si fa servo di tutti (cf Mt 9,33-40).

L'amore in cui è radicato il buono, il bello e lieto annuncio non stabilisce criteri di priorità. Si ama gratuitamente e ci si lascia amare, il «respiro» dello Spirito soffia dove vuole e ogni uomo può solo coglierlo ed accoglierlo e renderlo vivo e operante nella Chiesa. nel mondo.

L'amore che la Chiesa è chiamata a vivere si diffonde non per imposizione, legge o prescrizioni, ma per mezzo della carità, giustizia, abnegazione, umiltà. In questa prospettiva d'amore la Chiesa diventa, tra l'altro, immagine di «popolo di Dio» e «famiglia di Dio». «Popolo di Dio», come da sempre si è riconosciuto il popolo dell'alleanza che è stato scelto gratuitamente da Dio, come è scritto dalla Genesi all'Apocalisse. Nel libro dei Salmi, risposta orante alla chiamata di Dio, sia nella prima che nella seconda alleanza, il riferimento a «popolo di Dio» ricorre circa cinquanta volte (e oltre duecento nella intera Bibbia).

Dio vuol santificare e salvare gli uomini non individualmente, ma costituendo un popolo (cf LG 9). In Abramo sono benedette tutte le famiglie della terra (cf Gn 12,3). Mosè si rivolge a Dio dicendo: «considera che questa gente è il tuo popolo... » (Es 33,13). Paolo proclama che in Cristo vi è un solo popolo perché «Egli… è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l'inimicizia… e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo dello croce...» (cf Ef 2,14-18): e aggiunge: «Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti» (Ef 4,6). Paolo, evidentemente, non indulge all'anarchia, all’individualismo, al soggettivismo, ma propone attenzione, accoglienza, ascolto e discernimento da parte di tutti.

Il Figlio di Dio facendosi uomo ha incarnato tutta l'umanità passata, presente, futura. Non ha escluso nessuno dalla chiamata, arrivando al punto - realtà inconcepibile per gli israeliti – di toccare i lebbrosi.

Il popolo di Dio, se vuol seguire l'esempio dell'unico Maestro, deve comportarsi nel quotidiano in modo analogo, continuare l'incarnazione nella celebrazione eucaristica, nella preghiera comunitaria e personale, e nel farsi pellegrino d'amore nel mondo, nel sociale e nel politico (cf GS 31 e 44).

Può, forse, aiutare la nostra riflessione l'immagine di «famiglia di Dio»: lo sposo, la sposa, i figli, il prossimo. Nella famiglia il buon funzionamento e il raggiungimento dello scopo finale, che è l'umanizzazione e la salvezza di ogni componente, si realizza con il reciproco ascolto, la partecipazione, la condivisione, l'autorevolezza della testimonianza. L'autoritarismo e il paternalismo non ottengono risultati, anzi provocano schizofrenie, frustrazioni, fughe o esclusioni.

 

(...e dialoga!)

Il dialogo, che accetta anche la critica, il dubbio, la contestazione e non si accontenta di una supina falsa accettazione delle regole familiari, prepara veri uomini, veri figli di Dio, disposti a sostenere le proprie buone ragioni (l'educazione è bidirezionale: genitori-figli, figli-genitori), ma anche capaci di riconoscere i propri limiti, superare le crisi, comporre i conflitti, chiedere e dare perdono per le reciproche colpe e incomprensioni. Si promuove, in tal modo, una dinamica che fa sviluppare e crescere un rapporto d'amore, partecipazione, collaborazione. (Nella comunità ecclesiale, tale dinamica è bene espressa da At 18,1-4).

Il popolo di Dio - Gerarchia e laici - deve educarsi ad un continuo confronto al suo interno. A volte, in buona fede, si crede che, per il bene di tutti, le verità e le scelte calate dall'alto evitino fratture e appartenenze parziali, ma l’unità è una conquista a cui tutti devono collaborare con i propri carismi, non può essere imposta. 

La Parola di Dio è sempre tradotta dal linguaggio umano con sensibilità e culture diverse, con possibili fraintendimenti. Non è quindi mai accessibile nella sua splendida e luminosa verità. È necessario che lo Spirito intervenga continuamente nella storia per «condurci alla verità tutta intera» (Gv 16,13). Il dono di Dio la rende sempre viva e appropriata al tempo storico in cui deve realizzarsi. È quindi necessario che tutti i membri della Chiesa, presbiteri o laici, prendano coscienza e conoscenza delle situazioni concrete e storiche dell'uomo, non per modificare e adattare la Parola, ma per renderla appropriata e sempre viva nell'oggi. 

Ascoltiamo Giovanni Paolo II: «la Bibbia esercita la sua influenza nel corso dei secoli. Un processo costante di attualizzazione adatta l'interpretazione alla mentalità e al linguaggio contemporanei... Bisogna dunque costantemente ritradurre il pensiero biblico in un linguaggio contemporaneo perché sia espresso in maniera adatta agli uditori» (...).

La Parola di Dio non è parola «congelata» da tirar fuori nelle «feste comandate», servirla, e servirsene... Deve essere parola d'amore che fa innamorare. Parola di tutto il popolo, di ogni famiglia, non solo di specialisti (cf DV 8). Certo, vi sono pericoli, accentuazioni diverse, errori di espressione ecc., ma solo accettando il rischio il popolo di Dio diventa familiare con la Parola, e la Parola può trasformarsi in annuncio, azione vivente, operante e santificante nella quotidianità. Se la Parola è solo predicata e ascoltata in modo anonimo e non entra nel contesto vitale di un popolo diventa «lingua morta».

Il rischio che tanto impensierisce chi ha responsabilità pastorali deve invece sollecitare a trasmettere questa parola con autenticità ed entusiasmo. La Chiesa educa così «realmente» il popolo in cammino, in continuo esodo.

Compiere il dovere pastorale è indispensabile, farlo con attenzione e continuo sforzo di aggiornamento è doveroso, cogliere i «segni dei tempi» è fruttuoso, ma... il Signore, Creatore e Padre, ha accettato il rischio di creare l'uomo libero e ha quindi previsto la possibilità di non essere riconosciuto ed amato. Si può avere la presunzione di fare di più e meglio?

 

«Ricorda…»

Facendo memoria («Ricorda, Israele... ») delle grandi, meravigliose, impensabili opere compiute da Dio nella storia, il popolo di Dio è fondamentalmente ottimista e fiducioso. Tutto concorre al bene finale che Dio ha posto come traguardo della creazione: senso della vita, senso della storia.

Le tappe intermedie o di transizione, come è definita quella attuale, possono presentare zone d'ombra, pericoli, sofferenze, dolore e morte, ma vi è sempre «un resto» che ricondurrà l'umanità alla casa del Padre.

Fra Dio e il suo popolo vi è una reciprocità di «ricorda…».

Dio si ricorda del suo popolo, da Noè (Gn 8,1) al canto del Magnificat: «Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia» (Lc 1,54) e nel «Benedictus»: «...si è ricordato della sua santa alleanza» (Lc 1,72).

Cristo è l'«Amen», la roccia su cui si radica il popolo di Dio, la famiglia di Dio che - quando è fedele al Suo amore e al suo modo di viverlo (dando la vita) - diventa «la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui... voi che un tempo eravate non popolo, ora invece siete il popolo di Dio» (1 Pt 2,9-10).

Dio già a Mosè si era fatto conoscere come «il sempre presente». Gesù è l'incarnazione dell'Emmanuele, «Dio con noi nella storia». La Chiesa, popolo messianico (LG 9), con il dono del «senso della fede» che procede dall'unzione dello Spirito, diventa popolo profetico che esorta con dolcezza e mansuetudine alla conversione.

 

«Convertiti…»

Tutto il popolo, dal primo all'ultimo dei fedeli, secondo il ministero di ciascuno, è corresponsabile della risposta alla vocazione, che è un continuo convertirsi all'«Amore» legge fondamentale contenuta nell'annuncio evangelico.

La nostra conversione di coppia ci impegna a:

· Vivere il coraggio di essere noi stessi, nella autenticità, coerenza, lealtà; essere al servizio della comunione e della edificazione della Chiesa (cf 1 Cor 14,4ss; Rm 12,5ss) da portare a compimento nella carità che è il vincolo della perfezione (cf LG 13).

· Vivere l'umiltà, non sovrastimarci e crederci i detentori della verità tutta intera. Accettare e praticare la correzione fraterna (cf LG 37). Porci sempre in ascolto, essere in relazione con tutti, specialmente con «i piccoli, i poveri, i semplici». Come dice Paolo, non è la sapienza che avvicina a Dio e ai fratelli, ma l'amore gratuito (cf 1 Cor 13).

· Vivere l'audacia dell'indignazione contro gli scandali, e della protesta contro gli uomini e i poteri che non perseguono la giustizia e la pari dignità di tutte le persone.

· Vivere senza la paura dell'«altro», del «diverso» che incontriamo, «sentirlo» in ricerca e in cammino come noi, per rispondere in modo personale e originale alla «chiamata» (...chi sono i «lebbrosi», qui da noi, oggi?).

· Vivere l'obbedienza e la disobbedienza per dare sempre il primato (la preferenza) alla voce di Dio che parla alla coscienza di ogni uomo libero da schiavitù e idoli. Gesù è stato obbediente perché ha «con-sentito» sempre con il Padre.

· Vivere la libertà come responsabilità reciproca e condivisa per crescere insieme. In noi vi è il seme del bene, e siamo segnati dal male, dal limite, dalla fragilità. Dobbiamo impegnarci per realizzarci sempre più come persone capaci di comprendere, valutare, discernere, scegliere. Avere una fede adulta in una comunità adulta.

· Vivere sapendo che siamo stati schiavi in Egitto, deportati in Babilonia, perseguitati dal razzismo, profughi ed emigranti nel mondo intero. Accogliere senza discriminazioni. 

· Vivere pregando. Ogni tempo è tempo di preghiera, lavoro, riposo, liturgia, divertimento; non manchi mai la lode e il ringraziamento a Dio di farci vivere in un tempo così interessante, e la richiesta di renderci capaci e desiderosi del dono della conversione. 

 

Conclusione… provvisoria

L'evangelizzazione della Chiesa come popolo di Dio si realizza quando la Parola di Dio, incarnata in Gesù, diventa tessuto vitale nel quotidiano del credente fedele, nella famiglia, nella comunità, nella società.

Tessuto vitale è l'intreccio strettissi tuo, creato e voluto, tra la verticalità del rapporto Dio-uomo e l'orizzontalità delle relazioni tra gli uomini che imparano a riconoscersi fratelli.

In un messaggio di Paolo VI si legge: «Si tratta di creare un clima nel quale le diverse voci abbiano cittadinanza per un confronto sempre, per una sintesi possibile, per una scelta se necessaria. Scelta che porta temporaneamente un sacrificio che rimane sempre illuminante e fecondo. In questo senso va intesa la collaborazione e per la collaborazione il dialogo».

Edificare la Chiesa come popolo di Dio è opera gradita a Dio, e ascende «con soave odore» come vero sacrificio, e discende «come benedizione» sulle genti perché - dice il Signore - «Io troverò la mia gioia nel far loro del bene» (Ger 32,41).

 

Tina e Michele Colella

Genova

Da “Famiglia domani” 1/2001

 

Letto 2607 volte Ultima modifica il Lunedì, 28 Novembre 2005 21:07

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