Famiglia Giovani Anziani

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Mercoledì, 02 Febbraio 2011 18:10

Le assistenti familiari in Italia: studi e ricerche.

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Tra cura degli altri e cura di sé. Percorsi di inclusione lavorativa e sociale delle assistenti familiari.

2. Le assistenti familiari in Italia: studi e ricerche


    1. Dalla comparsa del fenomeno al riconoscimento contrattuale

 

Il progressivo invecchiamento della popolazione che caratterizza l'Italia rappresenta, da un lato, una grande conquista derivante dall'allungamento della speranza di vita, dall'altro, un aspetto cui conseguono problematiche relative all'assistenza delle persone più anziane, maggiormente soggette al rischio di patologie e di perdita di autosufficienza.

 Per rispondere ad un crescente bisogno di cura, in Italia così come in altri paesi dell'Europa del sud, si è affermato un sistema di welfare basato sull'impiego diffuso di lavoratrici straniere nella cura degli anziani presso le famiglie (Caritas/Mi-grantes, 2002)[1].

 

Nonostante la rilevanza di tale fenomeno, i dati disponibili sono parziali e per ricostruire le linee di tendenza relative alle lavoratrici straniere nell'ambito assistenziale, è necessario riferirsi a differenti e complementari fonti statistiche - le elaborazioni della Caritas e dell'Inps, le stime proposte dagli studiosi del fenomeno, le statistiche relative alla cosiddetta "grande regolarizzazione" del 2002[2]. A partire dai risultati di un'indagine a campione condotta nel 2006 da un centro di ricerca dell'università Bocconi, si stima che le assistenti familiari potrebbero essere, su scala nazionale, tra 713mila e 1.134.000 unità, un numero notevolmente superiore rispetto alle 500mila persone straniere impiegate nel settore a fine 2005, secondo l'Inps (Spano, 2006). Alcuni ricercatori lombardi, di recente, hanno affermato che le assistenti sarebbero oltre 693.000 - 619.000 solo le straniere, di cui il 38% senza permesso di soggiorno (Mesini, Pasquinelli, Rusmini, 2006).

L'Inps in collaborazione con la Caritas (Caritas, Inps, 2004), invece, ha realizzato uno studio che si è posto l'obiettivo di presentare alcune evoluzioni temporali del quadro statistico rispetto a lavoro domestico e immigrazione, di cui l'assistenza costituisce una specificazione. Dal rapporto risulta che, nel corso del tempo, si è assistito ad un aumento di stranieri e di donne all'interno del settore, passando dal 1994 in cui gli addetti stranieri erano 51.000 - pari a 1/4 del totale - alla fine degli anni '90 in cui rappresentavano la metà degli impiegati nel settore. Parallelamente, le donne sono passate nel periodo 1999-2002 dai 3/4 ai 4/5 del totale, proprio perché si è diffuso il collocamento di esse, oltre che come collaboratrici domestiche anche come assistenti agli anziani.

Per quanto riguarda le nazionalità, le prime lavoratrici straniere provenivano dalle ex colonie italiane, dalle Filippine e dall'America del sud, mentre nel 2000 la situazione muta con l'arrivo massiccio delle donne dell'Europa centro orientale. Alla vigilia della regolarizzazione - al 31 dicembre 2001 - vi sono 147.328 lavoratori domestici iscritti all'Inps, di cui l'84% è costituito da donne provenienti in maggioranza da Filippine, Romania, Ucraina.

Tra il 2002 e il 2003 la visibilità delle operatrici private dell'assistenza, che si trovano ad operare con famiglie con un anziano in genere non autosufficiente, aumenta in seguito alla regolarizzazione, anche se tale provvedimento non è in grado di far emergere tutto il sommerso esistente e non pone termine all'arrivo di nuova forza lavoro irregolare (Mingozzi, 2005). Al 30 luglio 2002 vengono presentate in totale 701.906 domande di regolarizzazione, di cui il 20% si colloca nell'ambito del lavoro di assistenza, come emerge nella tabella seguente.

Tab. 1 - Domande presentate per settore lavorativo (regolarizzazione 2002)

 

 

 

 

 

Frequenza Assoluta (FA)

%

Lavoro subordinato

372.454

53,1

Lavoro domestico

189.216

26,9

Lavoro di assistenza

140.236

20

Totale domande

701.906

100

fonte: Zucchetti, 2004.

Il quadro che emerge dalla regolarizzazione evidenzia che le due regioni con il numero maggiore di addetti stranieri alla collaborazione familiare sono il Lazio e la Lombardia (intorno alle 100.000 unità); mentre nella fascia intermedia dei 30-50.000 collaboratori, si inseriscono Campania (48.000), Emilia Romagna (40.000), Piemonte (38.000) e Veneto (35.000) (Caritas, Inps, 2004).

Considerando la graduatoria delle cittadinanze, l'area dell'assistenza è caratterizzata dalla rilevanza delle donne provenienti dall'Europa centro orientale (ucraine e rumene arrivano a costituire quasi la metà delle beneficiarie della regolarizzazione, seguite da polacche, moldave, albanesi, russo e bulgare): tra le prime 10 nazionalità, ve ne sono solo 3 che non sono europee ovvero Perù, Ecuador e Marocco (De Marco, 2004). L'età media delle assistenti familiari è di 38,3 anni - tra le russe si arriva a 43,7 anni e tra le ucraine a 43,4; tra i 39 e i 42 anni si situano le moldave, le polacche e le bulgare, mentre più giovani con meno di 32 anni sono le rumene, le peruviane, le albanesi e le marocchine (Caritas, Inps, 2004).

Nonostante la dimensione notevole del fenomeno sia delineata dall'analisi dei dati precedentemente esposti, è necessario precisare che la recente approvazione di un contratto nazionale specifico per lo assistenti familiari (con una validità dal 1.3.2007 al 28.02.2011)[3] permetterà di raccogliere in futuro statistiche più precise sulle lavoratrici della cura. Mentre in precedenza, infatti, il riferimento era costituito dal generico contratto collettivo dei lavoratori domestici, il nuovo contratto prevede 4 diversi livelli di inquadramento professionale, differenziati sulla base dei soggetti a cui si rivolge l'attività di cura (persone autosufficienti e non autosufficienti) e del livello di formazione posseduta, ovvero:

  • addetto alla compagnia, che assume tale ruolo con persone autosufficienti, senza effettuare nessun'altra prestazione di lavoro;
  • assistente a persone autosufficienti, che svolge mansioni di assistenza, comprese le attività connesse alle esigenze del vitto e della pulizia della casa in cui vivono gli assistiti;
  • assistente a persone non autosufficienti (non formato);
  • assistente a persone non autosufficienti (formato).

Il trattamento economico, previsto dal contratto, varia a seconda dell'inquadramento professionale, della tipologia di prestazione fornita e annualmente verrà aggiornato in accordo tra datori di lavoro e sindacati: il nuovo contratto prevede un minimo di 850 euro mensili per la retribuzione di personale non formato che si occupa di assistenza familiare fino ad un massimo di 1.050 euro per il personale qualificato[4].

I lavoratori conviventi, inoltre, hanno diritto al vitto e all'alloggio, mentre ai non conviventi, che lavorano almeno 6 ore al giorno, spetta il riconoscimento di un pasto giornaliero. L'orario di lavoro previsto dal contratto è di 10 ore giornaliere non consecutive, per un massimo di 54 ore settimanali dei lavoratori conviventi; di 8 ore giornaliere non consecutive, per un massimo di 44 ore settimanali dei lavoratori non conviventi. Si prevede un riposo settimanale di 36 ore (di cui 24 ore relative alla domenica, mentre le residue 12 ore possono essere godute in qualsiasi altro giorno della settimana, concordato tra le parti). Qualora vengano effettuate prestazioni nelle 12 ore di riposo non domenicale, esse saranno retribuite con la retribuzione globale di fatto maggiorata del 40%, a meno che di tale riposo non si usufruisca in altro giorno della stessa settimana, diverso da quello concordato. Le ferie annuali, inoltre, devono essere pari a 26 giorni lavorativi, mentre i permessi retribuiti sono pari a 16 ore durante l'anno per i conviventi e 12 ore per i non conviventi. Sono previsti permessi aggiuntivi, fino ad un massimo di 3 giorni, per gravi problemi familiari e in caso di decesso di un familiare.

Per la frequenza a corsi di formazione professionale specifici, il contratto prevede 40 ore annue retribuite per i lavoratori a tempo pieno e indeterminato, con anzianità di servizio di almeno 12 mesi con lo stesso datore di lavoro. Quest'ultimo, inoltre, favorirà la frequenza del lavoratore a corsi scolastici per il conseguimento del diploma di scuola dell'obbligo o di uno specifico titolo professionale: anche se le ore di lavoro non prestate per tali motivi non sono retribuite, potranno essere recuperate a regime normale.

Il riconoscimento contrattuale dell'assistente familiare, in sintesi, può essere considerato il punto di approdo della graduale emersione di una nuova figura professionale, distinta nelle proprie mansioni dalle altre lavoratrici domestiche, con una progressiva tutela di condizioni di lavoro a rischio di sfruttamento e di irregolarità contrattuale e retributiva. D'altro canto, l'entrata in vigore del contratto rappresenta l'inizio di un nuovo corso che sarà opportuno monitorare e osservare in futuro, per valutare l'effettiva applicazione e il rispetto dei diritti e dei doveri sanciti a livello legislativo.

 

 

 


    2. Excursus sulle principali indagini

 

L'esperienza delle donne migranti nel lavoro domestico e di cura, descritta nel paragrafo precedente per quanto riguarda la dimensione del fenomeno e il livello contrattuale, può essere considerata uno dei primi oggetti d'indagine sui processi migratori in Italia: è stata la comparsa della figura della domestica straniera come fenomeno e oggetto di studio - alla fine degli anni '70 - ad annunciare il passaggio dell'Italia da paese di emigrazione a contesto d'immigrazione. L'attenzione degli studiosi, successivamente, si è rivolta alla funzione svolta dalle donne migranti nel nostro sistema economico, sociale e familiare; si sono approfondite, poi, tematiche tipiche dei gender studies, di denuncia delle varie forme di discriminazione e di sfruttamento di cui sono vittime le donne straniere (Zanfrini, 1998). Infine, risalgono a tempi più recenti le ricerche relative alle immigrate che lavorano con gli anziani, ambito meno esplorato rispetto a quello del lavoro domestico, ma che rappresenta una peculiarità italiana e dell'Europa del sud rispetto all'inserimento lavorativo dei flussi migratori femminili.

 

A livello internazionale, Rivas (2004) - studiosa californiana di origine messicana - è l'unica a presentare nel volume Donne globali[5] un saggio che riferisce di un'indagine relativa al lavoro di assistenza. La ricercatrice ha intervistato - tra il 1999 e il 2001 - 21 persone, di cui 13 caregiver e 8 persone disabili (in genere bianchi, laureati, colpiti da gravi handicap in età lavorativa) che si avvalevano dell'aiuto di assistenti. La ricerca intendeva denunciare l'invisibilità sociale del lavoro riproduttivo delle donne, una costruzione sociale che ha contribuito a rafforzare il mito statunitense dell'uomo indipendente. In un contesto in cui autonomia e autosufficienza sono orientamenti di valore dominanti, il ruolo dell'assistente è quello di confermare tale visione: rendendosi invisibile a causa della sua marginalità socio-professionale, il caregiver rende possibile la rappresentazione di una persona con handicap come un soggetto indipendente. Rivas, nel suo testo, cita ulteriori ricerche svolte negli Stati Uniti, nelle quali emerge che la categoria professionale dei caregiver, sebbene in crescita rapida nel contesto statunitense e con una componente rilevante di donne immigrate, non si contraddistingue per un profilo formativo e professionale predefinito, aspetto che ne evidenzia la vulnerabilità sociale.

Primi studi sulle assistenti familiari in Italia

 

 

 

Nel contesto italiano, una ricerca promossa dallo Cnel in collaborazione con la fondazione Andolfi (2003), ha fornito una prima fotografia delle lavoratrici straniere presenti nelle famiglie italiane[6], assunte come colf, assistenti familiari e baby-sitter, mediante la distribuzione di un questionario sul territorio nazionale a 400 donne provenienti da Filippine, Perù, Polonia, Capo Verde, Somalia, Etiopia, Eritrea. Circa il 26% di esse svolge un lavoro di assistenza agli anziani: nonostante la precarietà, la subordinazione e la discriminazione che sperimentano nella condizione di lavoro, le donne del campione considerano l'emigrazione una scelta positiva nel proprio percorso. La loro qualità di vita, infatti, è migliorata in seguito all'esperienza migratoria: per tali motivi, le donne contattate nell'indagine propendono verso una stabilizzazione in Italia (Cnel, Fondazione Silvano Andolfi, 2003). Dai risultati della ricerca e dalla lettura dei dossier statistici sull'immigrazione della Caritas, emerge inoltre il ruolo rilevante della famiglia italiana, nell’assumere una funzione di medium dell'integrazione lavorativa e sociale delle nuove venute (Caritas/Migrantes, 2003).

 

 

La questione dell’accesso al lavoro di cura

 

 

 

Molteplici sono le indagini di tipo qualitativo, realizzate negli ultimi anni in diversi contesti locali, che contribuiscono a delineare un ritratto delle assistenti familiari, ponendo l'accento su differenti aspetti della loro condizione di vita e di lavoro.

 

Due ricerche, in particolare, analizzano i percorsi migratori delle donne, mettendo in luce il funzionamento delle reti etniche e del mercato del lavoro in una città del nord e in una del sud Italia. Nella prima indagine, svolta nel contesto milanese[7], il fine è stato quello di indagare il ruolo delle reti formali e informali nella ricerca e nell'inserimento lavorativo di donne marocchine ed albanesi (Lodigiani, Martinelli, 2003). Le autrici sottolineano il fatto che le reti informali rappresentano i canali principali attraverso cui avviene l'accesso al lavoro, ma si configurano come micro-reti su base familiare ed amicale e, quindi, risultano piuttosto deboli; in alcuni casi, è invece il privato sociale a costituire il nodo di una rete che fonde insieme legami formali e informali, mentre la formazione professionale, frequentata talvolta dalle donne, si rivela un luogo di incontro, conoscenza e scambio con la popolazione autoctona, nonché un'opportunità di professionalizzazione ed emancipazione, oltre che di transizione al lavoro.

Un'indagine simile è stata svolta a Napoli e nei comuni vesuviani della provincia[8]: le interviste hanno permesso di approfondire il ruolo giocato dai networks, sia etnici sia autoctoni, nell'inserimento di donne immigrate dalla Polonia e dall'Ucraina. Le ricercatrici hanno riscontrato che la condizione più favorevole ad un miglioramento professionale è quella vissuta da immigrate che hanno costruito o ricostruito nel nostro paese i propri reticoli affettivi, mentre la condizione più sfavorevole è quella di donne che vivono una condizione familiare di transnazionalità. Complessivamente, le connessioni delle lavoratrici con istituzioni facilitatici e centri di servizi specializzati risultano limitate, a causa del modo in cui sono organizzati i servizi, della scarsa presenza di mediatori culturali, dell'assenza di un consolidato associazionismo etnico (Spanò, Zaccaria, 2003).

 

Il volto dell'assistente familiare

 

 

Percorso migratorio, esperienza di lavoro e condizione familiare delle assistenti costituiscono il focus di varie indagini realizzate in contesti locali delle regioni del nord e del centro Italia (ad esempio, Veneto, Emilia Romagna, Toscana e Piemonte), alcune delle quali sono state pubblicate a cura dell'Istituto Cattaneo di Bologna (Caponio, Colombo, 2005).

 

L'indagine qualitativa - svolta a Padova tra 37 assistenti familiari ucraine[9] e moldave - ha consentito di ricostruire la migrazione e il successivo processo d'inserimento lavorativo. Dalla ricerca emergono: la peculiarità dell'ingresso delle donne straniere in Italia, tramite visto turistico; il progetto e le ragioni dell'immigrazione, correlate al disfacimento dell'ex Unione Sovietica e alla ricerca di un miglioramento della qualità di vita per i figli rimasti in patria; la descrizione del fenomeno della vendita del lavoro, nelle comunità studiate, che testimonia il passaggio da un modello sovietico - basato su legami di fiducia, di mutuo aiuto e di reciprocità - ad un sistema di scambio monetizzato, poiché il tipo di mansioni lavorative svolte e l'estrema instabilità della posizione lavorativa hanno impedito un investimento relazionale e la diffusione di pratiche di restituzione (Mazzacurati, 2005).

Anche i racconti di vita di lavoratrici dell'ex Unione Sovietica, presenti in Emilia Romagna nel distretto faentino, hanno contribuito a definire il profilo delle assistenti familiari co-residenti e ad indagare gli effetti della regolarizzazione del 2002, giungendo alla considerazione che, di fatto, la regolarità non ha cambiato la condizione di lavoro delle donne, poiché molti diritti di cui esse possono godere a livello formale, non vengono loro riconosciuti concretamente. Il dispositivo legislativo non ha trasformato la disagiata condizione delle assistenti e non è stato sufficiente a far emergere il sommerso (Mingozzi, 2005).

Un'ulteriore ricerca, basata su una cinquantina di interviste a peruviane residenti nella zona di Firenze, ha messo in evidenza, dal punto di vista antropologico, le differenze tra le traiettorie sociali delle donne, a seconda della presenza di figli in patria o in Italia e della durata del percorso migratorio, scegliendo un approccio che evidenzia le risorse personali, la forza e la capacità delle immigrate, che riescono spesso a sperimentare un protagonismo femminile anche in professioni subalterne (Baldisseri, 2005).

Un'indagine svolta a Torino, invece, si è posta l'obiettivo di avviare una riflessione su lavoro di cura e migrazione all'interno di un'associazione di donne immigrate e autoctone (Alma Terra), al fine di valorizzare il lavoro nella sua complessità e rilevanza sociale (Miceli, 2003). Attraverso un gruppo di lavoro di socie e di psicologhe, è stata realizzata un'osservazione partecipante ad un corso di socializzazione ai modelli italiani del lavoro domestico e di cura; inoltre sono state raccolte 21 interviste semistrutturate a donne italiane e straniere e familiari che hanno usufruito del lavoro domestico o di assistenza. Dalle interviste è emersa una figura di prestatrice di cure complessa, consapevole, portatrice di una professionalità che mette in gioco competenze di ordine cognitivo-operativo e affettivo-relazionale.

Infine, un'indagine recente promossa da Cespi e Fieri (2007) ha analizzato i legami familiari transnazionali delle madri migranti e lavoratrici della cura: attraverso un centinaio di interviste qualitative a donne rumene ed ucraine residenti a Torino e Roma e ai loro familiari rimasti in patria, sono state esplorate le strategie adottate dalle assistenti familiari, valutando le conseguenze di un sistema informale di welfare transnazionale sulle donne migranti, ma anche sulle società di accoglienza e di provenienza. I ricercatori hanno scelto di intervistare donne separate dai figli a causa dell'evento migratorio, al fine di esaminare i modi di gestione della famiglia a distanza: dall'analisi di due gruppi nazionali, sono emersi strategie e modelli migratori specifici per le rumene e le ucraine. Le differenze non sono attribuibili solo a fattori culturali, ma piuttosto alla diversità nei percorsi migratori caratterizzati da:

  • una maggiore facilità di movimento attraverso le frontiere per le ru
mene, che ha reso possibile forme di mobilità temporanea o brevi visite 
a casa. Le rumene hanno, in genere, legami più forti e più informazioni
 rispetto alla sistemazione in Italia e al lavoro, cui consegue una maggio
re mobilità occupazionale e un possibile ricongiungimento familiare;
  • un'età maggiore e una rete familiare e di conoscenti in Italia più debole
 per Io ucraine, oltre che un'immobilità occupazionale maggiore che contraddistingue donne che restano più a lungo nel lavoro di cura co-residenziale e sono maggiormente orientate al ritorno in patria.

Il punto di vista dei datori di lavoro

 

 

 

 

 

Nonostante il fiorire degli studi sulle lavoratrici della cura, di cui si sono riportate alcune riflessioni sintetiche senza pretese di completezza, lo studio di Ambrosini e Cominelli (2005) è uno dei primi ad analizzare la relazione tra donne straniere, famiglie italiane e anziani, nonché ad esplorare il mondo delle agenzie formali e informali che si occupano della mediazione tra domanda e offerta di lavoro[10].

 

 

Tra i risultati della ricerca, di indubbio interesse è l'individuazione di quattro principali profili relativi alle assistenti familiari. Il primo profilo, definito esplorativo, è tipico di giovani donne senza responsabilità familiari, che considerano il lavoro di assistenza come una prima esperienza per cogliere le opportunità che la società italiana può offrire; senza progetti chiari, le ragazze arrivano per curiosità, spirito di avventura, sostenute da reti parentali o legami sentimentali, e sono orientate a stabilirsi in Italia.

L'orientamento utilitarista è, invece, diffuso tra donne non più giovani che provengono in prevalenza dall'Europa centro orientale e che vivono condizioni familiari complesse, in quanto vedove, divorziate o separate. Esse manifestano una visione strumentale del lavoro, funzionale al risparmio e all'invio di rimesse in patria, e un'esperienza migratoria concepita come temporanea, cui consegue uno scarso interesse a migliorare la propria condizione lavorativa.

Il profilo familista concerne donne tra i 25 e i 45 anni con famiglie transnazionali, in quanto i figli piccoli e i mariti sono spesso rimasti in patria: provenienti principalmente dall'America Latina (Ecuador e Perù, in primo luogo), si impegnano per giungere ad un'autonomia abitativa e ad un lavoro senza co-residenza, esperienze che possono consentire il ricongiungimento del resto della famiglia in Italia.

Infine, un atteggiamento promozionale è specifico di giovani adulte, sui 25-40 anni e con alto livello di istruzione, che considerano il lavoro di cura come un primo lavoro, ma che sviluppano strategie di mobilità sociale, partecipando ad attività di formazione o ad un associazionismo formale. Queste immigrate hanno, in genere, progetti di insediamento definitivo, che implicano l'emancipazione dai vincoli familiari e una mobilità occupazionale verso posizioni più qualificate (Ambrosini, 2005a).

Tra le ricerche che propongono un'analisi sull'offerta e sulla domanda di lavoro di cura, si sottolinea la peculiarità dello studio di Lagomarsino che propone un'analisi dettagliata e approfondita dei flussi tra America Latina ed Europa, Ecuador e Italia, trascurati e poco considerati dalle ricerche a livello europeo (Lagomarsino, 2006). Il volume, sebbene non sia interamente dedicato all'assistenza familiare, prende spunto da una complessa indagine sociologica sviluppata anche nel contesto in cui si origina la migrazione, che permette di cogliere non solo il punto di vista degli immigrati ecuadoriani in Italia, ma anche le rappresentazioni di chi è rimasto al paese di origine, di coloro che intendono partire e dei familiari degli emigrati. In particolare, il fenomeno dell'attuale esodo ecuadoriano appare nella sua specificità attraverso l'analisi della dimensione di genere, in quanto sono le donne a partire per prime e a giungere in alcune città del nord Italia - come Genova e Milano - proprio perché esiste una richiesta di manodopera femminile in alcuni settori lavorativi a bassa qualificazione, tra cui lavoro domestico e di cura.

La camera del lavoro di Milano ha promosso, invece, un'indagine campionaria, per comprendere, da un lato, le motivazioni che spingono le donne straniere a intraprendere questa particolare professione e, dall'altro, le necessità che esprimono le famiglie milanesi e la popolazione anziana, proponendo riflessioni sulla difesa sindacale di questo importante ambito del mondo del lavoro e sulla tutela dei bisogni di cura e di supporto degli anziani. La ricerca ha sottolineato la necessità di fare riferimento ad un sistema di tutele e di assistenza valido per tutti gli attori coinvolti, che dovrebbe garantire una regolamentazione del mercato, facilitando la gestione amministrativa del rapporto di lavoro regolare e mettendo le lavoratrici nelle condizioni di decidere come acquisire e spendere le proprie qualifiche (Fondazione Cesar, 2006).

Un'altra ricerca che studia la natura della domanda di lavoro di cura - realizzata dal 2002 al 2004 dall'area di programma Politiche sociali dell'Agenzia sanitaria regionale dell'Emilia Romagna - si è basata sulla realizzazione di circa 60 interviste a soggetti di nuclei familiari che hanno fatto ricorso alle prestazioni di assistenti stranieri e a 37 lavoratrici. Dall'analisi si è evidenziato che il processo decisionale, relativo alle scelte effettuate per la cura dell'anziano non autosufficiente, è profondamente vincolato ad aspetti affettivi, culturali ed economici. Quando l'anziano presenta forme di non autosufficienza gravi, la famiglia che ha attivato in precedenza le proprie risorse interne, affronta un problema di sostenibilità del lavoro di cura e considera In possibilità di un aiuto esterno. Emerge così una domanda espressa dalle famiglie, che ricercano personale in grado di garantire la presenza, durante tutto l'arco della giornata e a costi sostenibili: è questa una domanda a cui risponde l'esistenza di uno specifico flusso migratorio femminile (Aa. Vv., 2005)[11].

Si può ricordare ancora un'indagine che utilizza metodologie qualitative e quantitative svolta nel comune di Verona, sulla presenza di assistenti agli anziani e sul loro contributo al sistema di welfare locale (Spanò, 2006): una prima parte della ricerca, basata su un'indagine telefonica realizzata su un campione rappresentativo di 862 famiglie residenti a Verona, ha avuto l'obiettivo di ricostruire il profilo della persona assistita e delle assistenti, la tipologia del servizio, gli aspetti problematici o le motivazioni del mancato utilizzo delle assistenti; una seconda fase ha coinvolto testimoni privilegiati del contesto locale attraverso focus group. La ricerca si è conclusa presentando tre modelli possibili di organizzazione del lavoro di cura delle assistenti familiari, quali: il modello dell'agenzia interinale che assume l'assistente offrendola al richiedente, ma che presenta alti costi di gestione; un collegamento effettivo con i centri per l'impiego; la promozione di cooperative di assistenti[12].

Atteggiamenti delle lavoratrici nei confronti della formazione

Le condizioni problematiche di lavoro delle assistenti familiari, emerse dalle ricerche sul campo, mettono in evidenza la necessità di una riflessione sul ruolo della formazione come strumento strategico per promuovere percorsi di riconoscimento socio-professionale delle lavoratrici. In tal senso, la rilevanza dei percorsi formativi - mediante certificazione delle competenze, esperienze di formazione a distanza, politiche di empowerment, cooperazione internazionale - è testimoniata, tra l'altro, dai numerosi progetti Equal in corso in molte regioni d'Italia, finanziati dal Fondo Sociale Europeo - tra cui si colloca anche il progetto SolidAssistenza che ha promosso la ricerca presentata nella seconda parte di questo volume - che trattano la questione della qualificazione del lavoro di cura[13]. Alcuni di questi progetti hanno previsto la realizzazione di indagini relative agli atteggiamenti delle lavoratrici nei confronti della formazione, da cui sono scaturite proposte di azione e di intervento.

 

In Lombardia, ad esempio, è stata svolta una ricerca nell'ambito del progetto Equal "Qualificare il lavoro privato di cura", che attraverso 354 interviste realizzate con assistenti familiari nelle province di Milano e Brescia, si è posta l'obiettivo di rilevare la propensione delle lavoratrici a qualificare il proprio intervento, a formarsi e ad emergere dal mercato irregolare (Mesini, Pasquinelli, Rusmini, 2006).

Rispetto alla formazione, tra le donne del campione prevale un atteggiamento secondo cui il lavoro di cura non richiede specifiche competenze e l'interesse a partecipare a corsi di formazione risulta piuttosto circoscritto: solo un'assistente su tre ha frequentato corsi di formazione in Italia, spesso slegati però dall'ambito della cura, mentre la disponibilità a qualificarsi riguarda poco più della metà dei casi. Il lavoro di assistenza, inoltre, non è un'aspirazione diffusa e la metà delle assistenti vorrebbe svolgere un altro lavoro, anche se esiste una segregazione occupazionale delle lavoratrici in questo settore e si rileva quindi una notevole difficoltà a uscire da tale ambito.

Infine, l'assenza di un regolare contratto, che riguarda circa il 20% delle assistenti con permesso di soggiorno contattate nell'ambito dell'indagine, è dettata da interessi economici convergenti del lavoratore e del datore di lavoro. Emerge una consistente zona grigia tra regolarità e irregolarità: problematica è, in effetti, l'applicazione dei diritti dei lavoratori e per 1/3 del campione non è rispettato pienamente il contratto.

Secondo i risultati della ricerca, nel complesso, i fattori centrali che appaiono incidere sulla predisposizione alla formazione sono: il paese di provenienza, gli aspetti economici (costo della formazione, riduzione dello stipendio, costi della regolarizzazione), la disponibilità del datore di lavoro a sostenere le donne nella formazione. Dall'indagine emerge che le donne giovani e intenzionate ad un ricongiungimento familiare in Italia sono le assistenti più propense alla formazione e alla regolarizzazione. Trattandosi di una ricerca-azione, infine, vengono avanzate alcune linee di intervento che riguardano la ridefinizione del quadro istituzionale in tema di immigrazione e di assistenza familiare, nonché si auspica un'integrazione del mercato privato dell'assistenza con il sistema dei servizi pubblici, a livello di welfare locale. Le diverse iniziative locali, i corsi di formazione e gli sportelli per l'intermediazione tra domanda e offerta, secondo gli autori, dovrebbero trovare spazi di legittimazione, confronto e progettazione all'interno del sistema dei servizi pubblici e privati (Mesini, Pasquinelli, Rusmini, 2006)[14].

 

    3. Il nodo della formazione

 

 

 

 

 

È importante evidenziare, tra i risultati delle indagini, che le immigrate non esprimono solo bisogni primari - legati al lavoro, all'abitazione e alla salute - e bisogni secondari relativi ad una buona qualità relazionale, ma anche bisogni formativi, socio-educativi e culturali (Susi, 1991), in quanto "per prendersi cura di qualcuno non basta la natura: ci vogliono tempo, sentimento, azione e riflessione" (Hochschild, 2006, p. 218). Rispetto al lavoro di cura, infatti, la rilevanza della formazione è dimostrata in questi ultimi anni dal fiorire di numerosi corsi indirizzati alle assistenti agli anziani in molte realtà italiane[15]. Tali corsi, gestiti da enti locali, agenzie di formazione, sindacati, associazioni, privato sociale, pur con un contenuto variegato poiché progettato dalle singole organizzazioni, hanno perseguito due obiettivi di fondo:

 

 

  • favorire una maggiore integrazione socio-relazionale delle lavoratrici, attraverso lezioni di lingua italiana e diffondendo una conoscenza dei propri diritti e doveri;
  • garantire una qualificazione professionale, anche in considerazione del fatto che spesso il lavoro richiede conoscenze di base di natura sanitaria e psicologica[16].

Per le lavoratrici straniere, pertanto, la formazione assume un significato cruciale per l'apprendimento della lingua italiana come presupposto per l'ingresso nel mercato del lavoro, per la formazione di competenze specifiche e per lo sviluppo di una riflessività professionale, in modo da rielaborare e riflettere sul proprio ruolo ed instaurare una corretta relazione con l'assistito[17].

Tuttavia, dal momento che a livello nazionale è recente il riconoscimento della figura dell'assistente familiare[18], in campo formativo è mancato fino ad ora un unico percorso: le Regioni fino a questo momento hanno scelto di formalizzare dei corsi, con il rilascio di certificazioni di competenze e crediti formativi. Ad esempio, la Regione Emilia Romagna ha istituito nel 2004 un percorso formativo di 120 ore per assistenti familiari, la Campania ne ha avviato uno con lo stesso numero di ore, mentre il Piemonte prevede 200 ore, la Toscana 300 e la provincia di Bolzano arriva addirittura a 600 ore (Pasquinelli, 2005). Non essendoci specifiche direttive nazionali, i corsi sono progettati diversamente, anche se i temi affrontati sono simili. Alcune Regioni prevedono corsi per la qualifica di operatore socio-sanitario (OSS), con un primo modulo formativo che certifica le competenze di aiuto domestico, supporto e accompagnamento della famiglia e della persona[19]: il modulo è dedicato alla formazione di assistenti accreditate in Emilia Romagna e in Piemonte, mentre la Lombardia prevede nel piano sociale regionale una figura di operatore della cura domiciliare (OCD), con una formazione di 100-150 ore; la Liguria utilizza l'iscrizione a liste territoriali di collaboratori familiari, che abbiano frequentato corsi di almeno 60 ore di formazione (Tomolo Piva, 2002). Innovativa nel panorama nazionale, è la proposta della Regione Friuli Venezia Giulia che ha approvato un finanziamento per la realizzazione di corsi di 200 ore finalizzati a formare assistenti alla persona in Moldavia.

Nella riflessione sulle proposte che nascono in risposta ad un bisogno di formazione nell'ambito del lavoro di cura, può risultare di un certo interesse la sperimentazione del progetto Equal Aspasia[20], che si è proposto di contribuire alla definizione del profilo professionale dell'assistente familiare, attraverso la comparazione di diversi percorsi formativi realizzati dalle regioni Piemonte, Lombardia, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Campania. L'assistente familiare viene definito, nell'ambito del progetto, come un operatore di sostegno, integrazione e sostituzione delle funzioni di cura della famiglia, in grado di assistere le attività della vita quotidiana di una persona anziana fragile e, più in generale, di una persona priva di autonomia in modo temporaneo o permanente: l'assistente svolge la sua attività, a ore o in un regime di convivenza, presso il domicilio della persona accudita e il suo ruolo consiste nell'occuparsi della persona e dell'ambiente in cui vive, attivando in caso di necessità risorse del territorio e dei servizi.

Attraverso una sintesi delle proposte formative delle 6 regioni considerate, il progetto ha individuato numerose funzioni svolte dall'assistente nel suo lavoro con l'anziano[21]. Ha previsto, inoltre, la realizzazione di un percorso di formazione a distanza, che ha utilizzato strumenti multimediali per l'erogazione di contenuti formativi e per la verifica della comprensione degli stessi, mettendo a disposizione materiali didattici in formato audio/video in diverse lingue, test di verifica, esercitazioni, forum di discussione, assistenza on line, al fine di risolvere le problematiche delle lavoratrici legate alla mancanza di tempo da dedicare alla formazione. In rete è stato reso disponibile per le assistenti un dizionario (con traduzioni dall'inglese, francese, spagnolo, portoghese, rumeno), con 251 vocaboli specialistici relativi al lavoro di cura.

Nonostante questi sviluppi avanzati seppur sperimentali, risulta ancora necessario un miglioramento nella qualità dei percorsi formativi, attraverso l'istituzione di un coordinamento periodico delle organizzazioni promosso dagli enti locali, al fine di avere uno scambio su esperienze e metodi, con l'obiettivo di costruire un profilo comune di assistente familiare.

Alcuni interventi successivi al percorso formativo

La maggior parte dei corsi di formazione prevede il rilascio di un attestato di frequenza e la possibilità per le assistenti di essere inserite in un elenco, che potrà essere utilizzato per fornire nominativi alle famiglie che ne faranno richiesta. La certificazione del percorso formativo delle assistenti familiari può costituire, quindi, il punto di partenza per la creazione di un albo, permettendo l'accesso per le lavoratrici in regola ad un registro che gli enti pubblici potranno mettere a disposizione della rete informativa cittadina, rappresentando così una referenza indispensabile per le famiglie e gli anziani (Toniolo Piva, 2002)[22].

 

 

Si può osservare che gli interventi conseguenti alla riqualificazione si collocano ad un livello informativo ed hanno la funzione di rendere trasparente e regolare l'incontro tra domanda e offerta di lavoro. Tra le proposte si evidenziano: la creazione di albi e registri comunali e provinciali in cui inserire i nominativi delle assistenti qualificate; l'istituzione di servizi informativi per l'intermediazione tra domanda e offerta; la pubblicazione di vademecum relativi al contratto di lavoro e alle mansioni lavorative.

Per quanto riguarda la creazione di albi, è interessante accennare, a titolo di esempio[23], all'esperienza del Comune di Roma che, come evoluzione del percorso formativo proposto e realizzato negli ultimi anni e risultato di un progetto dell'assessorato alle politiche sociali, ha attivato a partire dal marzo 2005 il "registro cittadino per assistenti familiari per anziani", con lo scopo di facilitare la ricerca di lavoratrici qualificate e sostenerne la crescita professionale. Il registro raccoglie i nominativi di persone che, avendo svolto un percorso formativo specifico attinente l'area dell'assistenza alla persona, sono disponibili a tale lavoro. Tra i requisiti per l'iscrizione è imprescindibile la frequenza ad un corso formativo di 120 ore oppure il possesso di una qualifica o di un titolo di studio inerente i servizi sociosanitari[24]. Nel caso del Comune di Milano, invece, verso la fine del 2005 è nato l'elenco delle assistenti qualificate, cui possono iscriversi anche persone con un'esperienza di almeno sei mesi sul campo o che abbiano frequentato un corso di formazione, presenti regolarmente in Italia e con una conoscenza sufficiente dell'italiano.

A livello di servizi informativi, è interessante l'esperienza di "Infobadanti", progetto realizzato dalla Regione Veneto e Caritas in collaborazione con il Ministero del lavoro, poi diffuso anche in Friuli e Lombardia. Il progetto realizzato da Italia Lavoro, agenzia tecnica del ministero, ha previsto la creazione di un servizio informativo che si struttura in un call center per famiglie, assistenti familiari ed operatori dei servizi, e in un sito con finalità informative. Nell'ambito dello stesso progetto sperimentale, sono stati creati in Veneto, Friuli e Lombardia una trentina di sportelli informativi relativi a "occupazione e servizi alla persona", con la finalità di inserimento lavorativo nell'assistenza familiare e di intermediazione tra domanda e offerta[25].

Anche la Regione Lazio ha promosso la creazione di sportelli informativi a Roma e Latina, sempre nell'ambito dell'assistenza, sviluppando una cooperazione con II Cairo e Bucarest, città in cui sono stati attivati progetti di informazione degli aspiranti migranti, con l'intermediazione delle organizzazioni sindacali, al fine di orientare i lavoratori interessati a migrare in Italia, facilitando così l'incontro internazionale tra domanda e offerta di lavoro. Numerosa, infine, è la produzione di documenti informativi e vademecum, curati da comuni, province, regioni, sindacati, enti pubblici e reperibili su Internet, di cui tuttavia non si conosce l'effettiva distribuzione tra le assistenti regolari e non: i materiali si pongono la finalità di illustrare la normativa di riferimento, il contratto di lavoro, il rapporto lavorativo, i compiti e le mansioni dell'assistente, le opportunità formative i diritti le tutele, l'accesso ai servizi[26].

di Mariagrazia Santagati 
 




[1] Tra l'altro, anche l'indagine multiscopo sulle famiglie dell'Istat, citata in Colombo (2003) ha mostrato che in Italia oltre il 7% delle famiglie con un "grande anziano" ricorre al settore privato dell'assistenza. Secondo il rapporto del Censis (2004), nel momento in cui si presentii la necessità di un aiuto per gli anziani, il supporto decisivo fornito dai familiari (i figli nel 40,8% dei casi, il coniuge nel 29,4% e da altri parenti nel 7,6%) è seguito dal sostegno offerto dalle assistenti familiari, una risorsa sempre più importante (18,6%), mentre gli operatori dei servizi pubblici vengono indicati solo dal 5,5% del campione. Inoltre, nella recente indagine realizzata dal Censis in collaborazione con l'Associazione Italiana Malattia di Alzheimer (Censis, Aima, 2007), il 40% circa delle famiglie di malati di Alzheimer, al momento dell'intervista, ha dichiarato di avvalersi dell'aiuto di assistenti familiari, in prevalenza straniere e conviventi con l'anziano. Tale dato potrebbe essere, secondo gli autori, sottodimensionato a causa delle condizioni di irregolarità di molte lavoratrici straniere, tuttavia, evidenzia la centralità crescente di questo tipo dì assistenza nel panorama italiano, anche per anziani con patologie molto gravi.

 

[2] I dati relativi alle assistenti familiari si inseriscono e vanno considerati nell'ambito del quadro riguardante l'immigrazione, più in generale. L'ultimo rapporto sull'immigrazione della Caritas, sulla base delle rilevazioni del Ministero dell'Interno alla fine del 2005, sostiene che attualmente risiedono in Italia circa 3.035.000 stranieri regolari, una presenza che presenta un'incidenza del 5,2% sulla popolazione totale, divisi equamente tra uomini e donne: a livello di nazionalità, ogni 10 presenze, 5 sono europei, 2 africani, 2 asiatici, 1 americano. I gruppi principali tra le nazionalità europee sono Romania (11,9%), Albania (11,3%), Ucraina (5,2%); notevole è inoltre la presenza di persone provenienti dal Marocco (10,3%), mentre dal continente asiatico proviene circa il 17,4% dei migranti e dall'America Latina il 10,6% (Caritas/Migrantes, 2006).

Nel rapporto della Fondazione Ismu (2007), il bilancio dell'immigrazione straniera regolare e irregolare in Italia risulta prossimo alla soglia dei 4 milioni di persone, il che significa che si registrano quasi 7 presenze ogni 100 abitanti. A livello di distribuzione territoriale, il nord Italia, alla fine del 2006, accoglie circa il 60% degli stranieri presenti nel contesto nazionale (e il 66% circa delle donne residenti in Italia), mentre il 27% degli immigrati risiede nel centro e il 13% circa nel sud e nelle isole. Inoltre il fatto che la maggior parte sia presente per motivi di lavoro o di famiglia e la metà circa sia costituito da persone coniugate - anche se non tutti tra questi hanno i propri figli in Italia - indica una presenza straniera che si configura sempre più come familiare e stabile.

 

[3] Il testo completo del nuovo contratto si può trovare, ad esempio, sul sito www.anolf.it/ download/CCNL_lavoro_domestico_2007.pdf

[4] Sulla base delle ricerche effettuate, emerge che attualmente i livelli retributivi oscillano tra 
600 e 830 euro mensili e un'assistente regolare costa 8/10 euro l'ora, mentre una irregolare 
costa il 30-40% in meno (Tognetti Bordogna, 2006). Considerando inoltre che un'assistente
 ha un costo orario ridotto della metà rispetto ad un operatore di una cooperativa, ciò implica 
una notevole concorrenza a partire dai costi sostenuti dalle famiglie. Nonostante il livello 
più basso dei costi delle assistenti straniere, la Caritas ha di frequente sottolineato la predi
sposizione all'evasione contributiva parziale in questo settore, definendolo un "fenomeno 
carsico" (Fucilitti, 2005).

[5] Nel capitolo successivo più ampio sarà il riferimento allo studio di Ehrenreich e Hochs-
child (2004) che descrive la relazione tra flussi migratori femminili e lavoro di cura
all'interno del processo di globalizzazione.

 

[6] Alcune ricerche esplorative, descritte in articoli comparsi sulla rivista Studi Emigrazione,
accennano anche alla questione dell'assistenza agli anziani, ma trattano principalmente del
lavoro domestico, analizzando le relazioni, i conflitti e gli scambi interculturali che scaturi
scono tra collaboratrici immigrate e datrici di lavoro italiane, nel tentativo di delineare il la
voro svolto da esse (Casella Paltrinieri, 2001 ; Miranda, 2002).

 

[7] Si tratta di un'indagine qualitativa con finalità esplorative, basata su 24 interviste in profondità a donne e testimoni privilegiati.

 

[8] Sono state realizzate complessivamente 39 interviste a donne occupate nella collaborazione domestica, 10 interviste a datori di lavoro e 10 a operatori di enti locali, responsabili sindacali e coordinatori di associazioni, attivi nel settore dei servizi degli immigrati.

 

[9] A livello quantitativo, durante la regolarizzazione del 2002 è comparsa l'importanza dell'immigrazione dall'Ucraina: è stata quindi avviata un'indagine esplorativa promossa dalla Chiesa greco-cattolica ucraina e dal coordinatore pastorale degli ucraini in Italia. La ricerca è stata realizzata nel 2003 attraverso la somministrazione di circa 2000 questionari a persone incontrate nelle parrocchie e nei principali punti di incontro in 13 regioni italiane: grazie ad essa, si sono delineate le caratteristiche di questa comunità femminile, occupata prevalentemente nella collaborazione familiare e nell'assistenza agli anziani (Shehda, Horo-detsky, 2004).

 

[10] Anche in questo caso, l'indagine è di tipo qualitativo e comprende una cinquantina di interviste svolte nelle province di Milano e di Brescia.

 

[11] La Regione Emilia Romagna ha promosso un'altra indagine, basata su circa 300 interviste 
telefoniche a anziani o caregiver, nonché 42 interviste a donne migranti, fornendo un quadro 
generale sull'assistenza agli anziani, rappresentato come un sistema di convenienze incro
ciate (Da Roit, Castegnaro, 2004).

 

[12] La cooperazione è proposta in quanto favorisce la distribuzione dei carichi di lavoro e 
un'organizzazione flessibile dei compiti di cura e di assistenza; la promozione di auto im
prenditorialità e l'investimento su un lavoro duraturo e sostenibile; la formalizzazione, la 
professionalizzazione e la trasmissione delle esperienze.

 

[13] L'elenco dei progetti è presentato nel sito www.qualificare.info.

 

[14] Anche il ministro delle politiche per la famiglia Rosy Bindi, nel giugno del 2006, discu
tendo della promulgazione di una legge quadro sulle assistenti familiari, propone corsi di
formazione organizzati dalle Regioni, in collaborazione con il privato sociale che da tempo
si occupa di assistenti familiari, prevedendo l'insegnamento della lingua italiana e delle re
gole primarie dell'assistenza, in cui il tirocinio potrebbe essere svolto presso le famiglie.

 

[15] Per i dati e le informazioni sui progetti attivi in Italia - tra cui corsi di formazione, albi e
sistemi di accreditamento, agenzie dedicate all'incontro tra domanda e offerta, sportelli - si
fa riferimento alla newsletter "Qualificare" (www.qualificare.info), che intende divulgare le
molteplici iniziative relative a sostegno, qualifica e tutela del lavoro di cura.

 

[16] II lavoro di cura richiama, dal punto di vista psicologico ed educativo, a specifiche competenze cognitivo-emotive, tra l'essere e il fare, che si riferiscono alla dimensione degli affetti e dei valori: l'affettività, le emozioni e i sentimenti rappresentano una struttura fondamentale del prendersi cura (Capello, Fenoglio, 2006; lori, 2006).

 

[17] Al termine dei corsi, talvolta, vengono programmati altri cicli di incontri di tutoring,
informazione e aggiornamento, che permettono di creare un gruppo che si incontra ripetu
tamente nel tempo. Nannini (2006) sottolinea, a questo proposito, l'importanza per le donne
di riconoscere i sintomi del bum out, al fine di evitare lo stress lavorativo che si traduce in
logoramento, esaurimento e depressione che, per la maggior parte degli operatori del so
ciale, si affronta lavorando in équipe, ma che per questa professione va affrontato con dispo
sitivi specifici.

 

[18] Il riconoscimento è avvenuto con l'approvazione del contratto, entrato in vigore il
1.3.2007, di cui si è trattato nel primo paragrafo del capitolo.

 

[19] In alcune ricerche (Pasquinelli, 2005), si ipotizza che un certo numero di assistenti fami
liari che iniziano il percorso formativo proseguano per ottenere profili professionali come 
l'ausiliario socio-assistenziale o l'operatore socio-sanitario: è necessario considerare che, in 
genere, le assistenti, familiari hanno titoli di studio elevati ottenuti in patria che spesso hanno 
fatto discutere di brain waste, uno spreco di cervelli legato al fatto che donne con un così
 alto livello di istruzione sono impiegate in professioni poco qualificate (Chiswick, Miller,
2007). Risulta essere importante, quindi, anche in un percorso formativo di assistenza fami
liare, tenere conto delle caratteristiche specifiche delle persone inserite nei corsi, attraverso 
un bilancio di competenze e una valutazione dei percorsi pregressi (Cambi, Campani, Uli
veti, 2003).

 

[20] Si veda il sito www.equalaspasia.it.

 

[21] Le funzioni individuate sono le seguenti: svolgimento di attività domestiche e aiuto alla
persona; capacità di controllo delle emozioni, rispetto e cortesia nelle relazioni; orienta
mento nel contesto organizzativo di riferimento; cura della casa; segnalazione dei mutamenti
nello stato di salute dell'assistito ai familiari; controllo dell'assunzione di farmaci; supporto
all'igiene personale; gestione della casa; preparazione e assunzione dei pasti; attività con
nesse con l'alimentazione; accompagnamento ai servizi o altro; compagnia dentro e fuori
dalla casa; facilitazione delle relazioni sociali dell'assistito; lavoro di rete con familiari e
altre figure di riferimento; interazione positiva con altri operatori.

 

[22] Alcune regioni (Toscana, Emilia Romagna) prevedono incentivi all'assunzione di assistenti familiari formate: la qualificazione professionale viene favorita, a livello economico, con bonus che si pongono anche l'obiettivo di una sensibilizzazione culturale delle famiglie.

[23] Si fa riferimento nel testo ai comuni di Roma e Milano, in quanto hanno in termini di valori assoluti il numero di assistenti familiari più elevato in Italia e sono tra i primi comuni ad essersi dotati di strumenti di gestione dell'incontro tra domanda e offerta in tale settore.

 

[24] È possibile comprendere meglio la proposta formativa del Comune di Roma, analizzando
le linee guida per la sperimentazione del registro cittadino di accertamento degli assistenti
familiari per anziani, presentate sul sito www.insiemesipuo.net.

 

 

 

 

 

 

 

 

[26] Si fa riferimento a pubblicazioni reperibili su Internet come: ABC dell'assistente fami liare, Italia Lavoro, 2004; Il lavoro delle badanti. Vademecum ad uso delle famiglie, Co
mune di Schio, 2003; Breve guida per le donne immigrate in Italia e Breve guida al lavoro domestico in Italia per le lavoratrici e i lavoratori stranieri immigrati, CISL, 2004; Assi stenti familiari straniere: diritti, opportunità e doveri, Regione Emilia Romagna; Il lavoro domestico, Inps; Vivere in Piemonte. Guida ai servizi per i cittadini stranieri, Regione Piemonte 2004.


Tratto da:
 Lazzarini G., Santagati M., Bollani L., 2007 -
Tra cura degli altri e cura di sé. Percorsi di inclusione lavorativa e sociale delle assistenti familiari.
pp 25-40. Ed. FrancoAngeli. Milano. 

Letto 4892 volte Ultima modifica il Giovedì, 19 Maggio 2011 14:27

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