Famiglia Giovani Anziani

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Martedì, 22 Novembre 2011 13:21

Influenzare la scelta degli amici dei figli

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I genitori nutrono non poche difficoltà ad accettare tutte le amicizie che i figli intrecciano con i loro coetanei. Minacce e intrusioni sono all'ordine del giorno, come pure ribellione e incomprensioni.

Alcune indicazioni, semplici e incisive, suggeriscono come captare le esigenze di libertà nella scelta degli amici avanzate dai figli, e come trasformarle in occasioni di crescita.

Ma è solo un'amicizia! », urla rabbiosa Iris, all'interrogatorio di mamma e papà. «Non è vero - questa volta si espone il padre - mi sono informato, il leader del tuo gruppo, quello che ti piace tanto, è uno che spaccia e che pure è legato a clan mafiosi!». «Ma tu hai le paranoie! Di' ai tuoi informatori che si aggiornino: una volta spacciava, ora non più». «Ti proibisco - subentra la madre - di frequentare questo gruppo e in particolare quello lì!». «Tu non mi proibisci proprio niente, io faccio quello che mi pare».

Iris, 23 anni, laureanda in ingegneria, pare assolutamente certa che questa è la volta in cui non lascerà vincere la madre, non si lascerà convincere come ha sempre fatto. La madre pare altrettanto certa che è ora di finirla di lasciar fare alla figlia i suoi colpi di testa. E questa volta, finalmente, il padre si è schierato, grazie anche al suo amico in questura che lo ha messo in guardia dal lasciarsi rovinare la figlia (e la famiglia) da gente fuori dalla legalità. Ma, più i genitori limitano, proibiscono, predicano, più Iris è «irrecuperabile» (parola della madre); più controllano i suoi rientri, più lei li «sfida» (parola del padre) a fare le ore piccole, fino a star fuori intere notti a cellulare spento per evitare di essere «tampinata» (parola di Iris). Ma come si è arrivati a questo punto? Perché per Iris il frequentare un gruppo "proibito" è diventato una sorta di proclamazione di identità? E ancora: c'entra la famiglia con la scelta di questi amici così "pericolosi" e poco rispettabili agli occhi dei genitori? Va da sé che non vogliamo mettere in dubbio le ragioni dei genitori che legittimamente tentano di dissuadere la figlia dal fare scelte amicali sbagliate, che possono trascinarla in un vortice che lei nemmeno vede; e va da sé che a Iris non può essere tolto il diritto di sbagliare, in ragione della sua libertà. Ciò che è a tema qui è l'influenza della famiglia nelle scelte amicali; influenza che vorremmo mettere sotto la lente di ingrandimento, ben sapendo che non esiste genitore - per quanto esperto - che possa incidere a tal punto da cancellare la libertà del figlio. Partiamo dunque da lontano, tenendo in controluce la storia di Iris e le scelte della sua famiglia.

«Fuori il mondo è cattivo!»
Diciamolo in modo un po' perentorio: gli amici portano in casa il "mondo". Dalla scuola materna, cioè fin da quando il bambino vive relazioni in proprio: coetanei, amici, figli degli amici dei genitori, cugini e parenti, che magari condividono varie attività come pure le vacanze, rappresentano una situazione "protetta". E ben venga. La situazione del bambino che non potesse invitare a casa nemmeno gli amici "sicuri" sarebbe ben più deprivata. Ma questo non basta. A scuola, all'oratorio, in situazioni informali il bambino ha contatti che la famiglia non può del tutto controllare, fortunatamente. Al di fuori del controllo (buono) dei genitori, il bambino prova simpatie, intese, feeling che vengono dal "mondo". E qui viene in primo piano ciò che la famiglia - consapevolmente o no - pensa del mondo: quasi per contagio il bambino lo capta e tenderà ad agire secondo le "prevenzioni" che gli provengono dal suo sistema familiare.

Facciamo qualche esempio, quasi incredibile ma prescrittivo per il bambino che lo vive: «Non gioco con te, tu sei del Don Guanella» (comunità per minori problematici). Oppure: «Se vieni a casa mia, mi rovini i giochi, me lo ha detto la mia mamma». Oppure: «Sei troppo nero». I bambini di questi esempi sono ormai orientati a selezionare i possibili compagni di gioco che poi diventano "amici" secondo le attese più o meno esplicite dei genitori. Come sappiamo, i bambini hanno le antenne e, nella cosiddetta età della latenza (anche se per certi versi oggi si parla di slatentizzazione) tendono a conformarsi a ciò che genitori pensano del "mondo". Magari a parole, gli adulti sono disponibili a fare dichiarazioni ineccepibili di valori (tipo: «Devi essere amico di tutti») poi, quando il figlio porta a casa un coetaneo, lo squadrano e lo pesano, per vedere che non sia pericoloso per il figlio o perfino che sia degno di diventare amico; e non solo, sono disposti a gettar sulle spalle del figlio i possibili disordini che in casa siano derivati da amici un po' turbolenti. Possiamo immaginare che la madre di Iris -e così è stato secondo la sua ricostruzione anamnestica - abbia ben sorvegliato le amicizie della figlia, fin dalla più tenera età. Amicizie selezionate e basta: con questa coetanea puoi essere amica, con l'altra no. Il mondo è un luogo da cui guardarsi, da chiudere fuori, se appena non rientra nei canoni. Negli anni '70 Cat Stevens in Wild Worldcantava: «Oh baby baby it's a wild world»; l'innamorato lasciato ripeteva alla sua lei una cantilena genitoriale: «Oh, piccola, là fuori c'è un mondo feroce, stai attenta!».

 

La palestra relazionale

E così si trasmette l'idea che l'area di casa sia un'area barricata, dove si entra col passo E magari si vieta a possibili piccoli "samaritani" di far le prove per una socialità aperta. Un ricordo personale: alla maestra che gli diceva turbata: «Non essere amico di Fabio, è aggressivo, è cattivo», un nostro figlio di l0 anni rispose: «Ma se nessuno gioca con lui, sarà sempre più cattivo!». Non stiamo dicendo che non si debbano aiutare i figli a scegliere gli amici, stiamo sottolineando che il bambino capta ciò che i genitori pensano del mondo e ne resta in qualche modo "segnato". Un figlio che porta a casa compagni in modo un po' facilone, poco discriminato, è un bambino che ha fiducia che la sua casa sia un territorio buono, dove l'acqua sporca -passi la metafora -può essere filtrata.

Se i genitori non hanno paura del mondo esterno, se accolgono benevolmente le scelte -provvisorie - del figlio, lo aiutano a imparare a discernere; e così può capitare che un figlio porti a casa il bulletto della classe, dal quale ha ricevuto perfino angherie, ma che così "conquista" condividendo con lui il suo territorio, offrendogli un maggior contatto; e se l'operazione (spontanea, non calcolata) non gli riesce, sarà lui a imparare a lasciarlo perdere. Insomma, fino alla pubertà, l'area delle "prove d'amicizia", se sostenuta con larghezza e con poche paure dal sistema familiare, è una buona palestra per le scelte future.

Amicizie e adolescenza

Scoppia poi la prima adolescenza dove attraverso gli amici, specie quelli più lontani dalle regole familiari, il figlio tenta di scrivere varie "autobiografie", immedesimandosi in amici diversi che non sono ancora un "tu". Ebbene, qui non c'è controllo familiare che tenga: basta una paninoteca, un invito a un happy hour, perfino una banale festa di compleanno e spuntano "amicizie" come funghi. Prima musica trasgressiva e un certo abbigliamento, prima sigaretta, primo spinello, oggi spesso primo uso del porno ... e del sesso. E i genitori sono pronti ad attribuire tutti i cambiamenti in negativo che vedono nel figlio. Scoppiano così sequele di accuse agli amici: «I tuoi amici ti mangiano il cervello, non ti riconosco più, non hai più interessi, è colpa del tale e del tale ... ». E quanto più i genitori praticano da Pubblico Ministero, tanto più tirano il figlio a praticare da Difensore d'Ufficio. quanto più genitori ansiosi spiano slealmente le tracce delle influenze negative da parte degli amici, tanto più inducono il figlio - che lo percepisce meglio di quanto i genitori credano - a sottrarre loro le tracce della sua vita, delle sue prime sintonie con i coetanei, dalle quali, solo poi, sbocceranno vere e proprie amicizie. Ben diverso sarebbe che il genitore dicesse esplicitamene e in maniera autorevole; "Vengo a fare ispezioni in camera tua perché sono allarmato da questo o quel tuo comportamento». In questo caso il figlio, per quanto reclami, si sentirà sanamente controllato e ... si sentirà anche protetto!

Gli amici, anche qui provvisori, nel senso che dopo una scelta "spontanea" ne rimarranno pochissimi in età adulta, sono anche fonte di rassicurazione, di confronto, di dialogo, di sane "prove ed errori", di fare qualcosa assieme, di darsi un progetto. Se - in forza delle lagne e delle paure degli adulti - i figli sono in qualche modo obbligati a non discriminare, a vedere gli amici come un "tesoro contro" gli affanni degli adulti e a chiudere gli occhi di fronte ai loro limiti, diventano più vulnerabili ai diktat dei gruppi che si formano, fino ad arrivare a chiamare "amicizia" vere e proprie regole di sottomissione al gruppo. È ciò che può essere successo a Iris, che ha fatto tentativi per nascondere le tracce degli amici (nella lingua materna: «Hai sempre fatto di testa tua») e che non ha imparato a discriminare, tutta presa a usare gli amici come scudo e paravento dalle intrusioni dei suoi.

Ma ci sono anche giovanissime adolescenti che si chiudono alle amicizie o si accontentano del mondo virtuale dove "non accade nulla", se non una, apparentemente sicura, simulazione della realtà. Di solito, sono sottoposti a istruzioni quanto mai deleterie, da parte di genitori di nuovo ansiosi per motivi opposti a quelli che abbiamo sopra descritti: «Ma perché non esci? Perché non ti fai degli amici? Ma come fai a stare sempre attaccato al PC?». L'analisi relazionale-sistemica ci avverte che questo figlio senza amici non è timido, non è chiuso, come sua proprietà soggettiva, ma che assai probabilmente si è ritirato nella timidezza e chiusura in base a un suo bilancio relazionale più "economico" che coincide con il non esporsi; e in simile bilancio possono essere entrate anche le paure e le ansie degli adulti di riferimento. Adulti "sbilanciati" che, da una parte, lo avevano allevato a calcoli e misure e, dall'altra, ora gli rinfacciano la sua solitudine e, dal canto loro ora lo lancerebbero allo sbaraglio. Come è capitato a un sedicenne che "si arrese" a fare la festa di compleanno invitando una decina di conoscenti, in maggioranza compagni di classe, per far contenti i suoi che volevano «spingerlo fuori». E ci riuscirono bene: gli affidarono per un weekend le chiavi di una loro casetta in montagna, dove il figlio doveva festeggiare. Ma egli tornò più scontento di prima e per giunta furioso. Spiegò: «Avevo chiuso a chiave vino e liquori che erano in giro; ma quelli arrivarono carichi di roba da bere e non fecero che sbronzarsi, occupare i letti e combinare casini. io sono rimasto da solo a tentare di rimettere a posto in qualche modo». Per colmo di insipienza i genitori caricarono sulle spalle del sedicenne l'insuccesso: «Dovevi farti rispettare!». È stupefacente come proprio nell'ambito delle amicizie dei figli venga a galla tutta l'inadeguatezza educativa di genitori!

La "nostra" compagnia

Superata la boa della prima adolescenza, si passa poi all'avere una propria compagnia o "il mio gruppo", come dice la nostra Iris. Se la comunicazione in famiglia è difficile, o magari interrotta; se il giovanissimo adulto si comporta in casa come un estraneo che usufruisce di servizi (gratuiti!) cui ritiene di aver diritto, allora può darsi che "il gruppo" divenga un nuovo utero nel quale rifugiarsi, nel quale "comunicare": ma in un simile gruppo che vive sulla contrapposizione del "mondo degli altri", a ben vedere, non esiste una comunicazione adulta, un vero e proprio confronto di idee; si fa largo piuttosto un bisogno di conformismo, un desiderio di sintonizzarsi sugli altri, un adeguamento a comportamenti e idee del gruppo (leggi: del leader) che man mano si percepiscono come propri. Le stesse frasi, le stesse idee dette "fuori dal gruppo" cambierebbero colore: in altre parole, i significati diventano sempre più gergali, privati, non esportabili. E ciò che sta succedendo alla nostra Iris: affermare che l'amico-capo è un ex spacciatore non ha la tinta dell'ammissione di ciò che ha scoperto il padre, ma un significato normalizzante, rassicurante: «E’ un ex, e allora!?». Come se dicesse: prima aveva i capelli biondi, ora li ha neri, non c'è niente di male, disposta come è a credere alle "favole" del gruppo. Nel nostro primo libro, Ritorno a casa, solo molto tempo dopo la protagonista dirà di quel suo gruppo: «Non passava niene tra noi, stavamo vicini, stretti come tanti stupidi koala». Finalmente vede con occhi nuovi quelle amicizie «tra tossici», in cui aveva creduto tanto.

Ci viene da fare ora una prima annotazione pedagogica: non serve tirare figli come Iris fuori dalla compagnia "tossica", serve piuttosto cambiare il clima di casa, mostrare calore, vicinanza: anzitutto tra i due genitori e poi verso il figlio / a che si vuole aiutare, poiché egli non può rinunciare al caldo acquiescente del gruppo se, a casa, trova solo ostilità e rimproveri. E poi serve anche qualche colpo di fortuna: per Iris il colpo si chiamò Erasmus di sei mesi. Il padre la accompagnò nella città straniera, mostrandosi disponibile a una nuova vicinanza per qualche giorno e le promesse degli amici di raggiungerla si rivelarono inconsistenti, né Iris le sollecitò più.

Una seconda annotazione: fratelli e sorelle possono essere di notevole aiuto, ma non nel senso - che viene così spontaneo a genitori ansiosi - di usarli come mediatori o perfino come possibili delatori, ma nel senso di farsi aiutare a interpretare i gesti del figlio che si percepisce in pericolo. Un fratello o una sorella "sani" non spifferano mai che cosa stia facendo il fratello o sorella, a meno che non abbiano bisogno di fare il "terzo genitore" per accaparrarsi valutazione e amore da parte dei genitori (e ciò sarebbe davvero deleterio per tutto il sistema familiare). Fratelli e sorelle possono essere buoni consiglieri per i genitori che correttamente e direttamente chiedano istruzioni e consigli ai figli più grandi: riscopriranno magari che già fratello e sorella, lontani dagli oc¬chi dei genitori, sono intervenuti e, in ogni caso, sono competenti a leggere i comportamenti del fratello o sorella in questione.

Un'ultima annotazione che riprende la tematica iniziale: gli amici dei figli sono una risorsa: possono far scoprire chi è il figlio/a, possono aprire nuovi canali, possono "portare il mondo in casa", proprio perché sono imprevedibili, non reclutati dai genitori, talora o spesso incomprensibili. Occorre non socchiudere la porta di casa a questi amici, ma spalancarla, a costo di sopportare qualche disordine o baccano. E senza comode fughe da parte di genitori che si credono in dovere di lasciare la casa ai figli per lasciarli più liberi. La casa comprende i genitori, essi non sono un optional, anche se la loro presenza sarà discreta e non giudicante; in questo modo i genitori imparano a guardare gli amici dei figli con gli occhi dei figli, e così questi impareranno a guardare gli amici con gli occhi dei genitori. Uno scambio che fa bene a tutti e prepara le scelte di libertà e di fiducia.

Mariateresa Zattoni e Gilberto Gillini (Consulenti, Formatori e Docenti presso il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su matrimonio e famiglia) Famiglia Oggi N. 6 anno 2010

 

BIBLIOGRAFIA

  • Dunn J., L'amicizia tra bambini, La nascita dell'intimità, Cortina, Milano 2007;
  • Epstein J., Amicizia, Il Mulino, Bologna 2008;
  • Garzonio M" La vita come amicizia, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2007;
  • Kahn M" Lewis K.G. (a cura di), Fratelli in terapia, edizione italiana curata da M. Viaro , Cortina, Milano 1992;
  • Pellai A., "La sessualità nel villaggio globale", in Psicologia contemporanea, sett-ott 2010, pp. 29-37;
  • Petter G, Amicizia e innamoramento nell'adolescenza, Giunti Editore, Firenze 2007;
  • Zattoni M, Gillini G., Il grande libro dei genitori, Un manuale per il ciclo di vita della famiglia, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2004;
  • Zattoni M., Ritorno a casa, La nascita di una coscienza, Queriniana, Brescia 1990. 
Letto 6666 volte Ultima modifica il Lunedì, 13 Febbraio 2012 14:55

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