Famiglia Giovani Anziani

Fausto Ferrari

Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

Come leggere la Bibbia

del Vescovo Kallistos di Diokleia

Tutta la Scrittura è ispirata da Dio (2 Tim 3:16)

"Se un re terreno, il nostro imperatore," scriveva San Tikhon di Zadonsk (1724-83), "ti scrivesse una lettera, non la leggeresti con gioia? Certamente, con grande esultanza, cura e attenzione." Ma qual'è, egli chiede, la nostra attitudine verso la lettera che ci è stata spedita niente meno che da Dio stesso? "Ti è stata spedita una lettera, non da qualche imperatore terreno, ma dal Re dei Cieli. Eppure quasi disprezzi un tale dono, un tesoro senza prezzo." Aprire e leggere questa lettera, dice San Tikhon, vuol dire entrare in una conversazione personale faccia a faccia con il Dio vivente. "Tutte le volte che leggi il Vangelo, Cristo stesso ti sta parlando. E mentre leggi, tu sei in preghiera e in conversazione con lui."

Esattamente questa è la nostra attitudine ortodossa verso la lettura delle Scritture. Devo vedere la Bibbia come la lettera personale di Dio inviata in modo specifico a me. Le parole non sono intese solo per altri, vissuti lontano e molto tempo fa, ma sono scritte particolarmente e direttamente a me, qui e ora. Ogni volta che apriamo la nostra Bibbia, entriamo in un dialogo creativo con il Salvatore. Mentre ascoltiamo, rispondiamo. "Parla, perché il tuo servo ti ascolta," rispondiamo a Dio (1 Samuele 3:10); "Eccomi" (Isaia 6:8).

Due secoli dopo San Tikhon, alla Conferenza tenuta a Mosca nel 1976 tra gli ortodossi e gli anglicani, la vera attitudine verso le Scritture è stata espressa in modo differente ma in termini ugualmente validi. Questa dichiarazione congiunta, firmata da delegati di entrambe le tradizioni, forma un eccellente riassunto del punto di vista ortodosso: "Le Scritture costituiscono un insieme coerente. Esse sono allo stesso tempo divinamente ispirate e umanamente espresse. Portano testimonianza autorevole a Dio che si rivela - nella creazione, nell'Incarnazione del Verbo, e nell'intera storia della salvezza. E come tali esprimono la parola di Dio in linguaggio umano. Noi conosciamo, riceviamo e interpretiamo le Scritture attraverso la Chiesa e nella Chiesa. Il nostro approccio alla Bibbia è un approccio di obbedienza."

Combinando le parole di San Tikhon e la dichiarazione di Mosca, si possono distinguere le quattro caratteristiche chiave che contrassegnano la "mente scritturale" ortodossa. Primo, la nostra lettura delle scritture è obbediente. Secondo, è ecclesiale, in unione alla Chiesa. Terzo, è cristocentrica. Quarto, è personale.

Leggere la Bibbia con obbedienza

Prima di tutto, vediamo le Scritture come ispirate da Dio, e ci accostiamo a loro in spirito di obbedienza. L'ispirazione divina della Bibbia è sottolineata allo stesso modo da San Tikhon e dalla Conferenza di Mosca del 1976: Le Scritture sono una "lettera" che viene dal "Re dei Cieli," scrive San Tikhon; "Cristo stesso ti sta parlando." La Bibbia, dice la Conferenza, è la "testimonianza autorevole" che Dio dà di Se stesso, che esprime "la parola di Dio in linguaggio umano." La nostra risposta a questa parola divina è, giustamente, una risposta di obbediente ricettività. Mentre leggiamo, siamo al servizio dello Spirito.

Poiché è divinamente ispirata, la Bibbia possiede un'unità fondamentale, una coerenza totale, poiché lo stesso Spirito parla in ogni pagina. Non ci riferiamo ad essa al plurale come "i libri," ta biblia. La chiamiamo "la Bibbia," "il libro," al singolare. Si tratta di un libro, una Sacra Scrittura, con lo stesso messaggio generale - una storia composita e allo stesso tempo singola dalla Genesi all'Apocalisse.

Allo stesso tempo, tuttavia, la Bibbia è anche umanamente espressa. È un'intera biblioteca di scritti distinti, composti in vari tempi, da persone differenti, in situazioni ampiamente diverse. Troviamo qui Dio che parla "in molti tempi e in molti modi" (Ebrei 1:1). Ogni libro della Bibbia riflette il carattere dell'epoca in cui fu scritto e il particolare punto di vista dell'autore. Dio infatti non abolisce la nostra individualità ma la esalta. La grazia divina coopera con la libertà umana: noi siamo "collaboratori," cooperatori di Dio (1 Corinzi 3:9). Nelle parole della Lettera a Diogneto del secondo secolo, "Dio persuade, non obbliga; la violenza è infatti contraria alla natura divina." Precisamente così avviene nella composizione delle Scritture ispirate. L'autore di ogni libro non era solo uno strumento passivo, un flauto suonato dallo Spirito, un dittafono che registra un messaggio. Ogni autore delle Scritture vi contribuisce con i propri particolari doni umani. A fianco dell'aspetto divino, c'è anche un aspetto umano nelle Scritture, e noi dobbiamo dare valore a entrambi.

Ciascuno dei quattro evangelisti, per esempio, ha il suo punto di vista particolare. Matteo è il più "ecclesiastico" e il più ebraico dei quattro, con il suo speciale interesse alla relazione tra il vangelo e la legge ebraica, e la sua comprensione del cristianesimo come "nuova legge." Marco scrive in un greco meno forbito, vicino al linguaggio della vita quotidiana, e include vividi dettagli narrativi che non si trovano negli altri Vangeli. Luca insiste sull'universalità dell'amore di Cristo, sulla sua onnicomprensiva compassione che si estende in pari misura all'ebreo e al gentile. Il quarto vangelo esprime un approccio più interiore e mistico, e fu ben definito da San Clemente di Alessandria "un vangelo spirituale." Esploriamo anche noi e godiamo pienamente questa vivifica varietà nella Bibbia.

Dato che le Scritture sono in questo modo la parola di Dio espressa in linguaggio umano, c'è spazio per un'onesta ed esigente ricerca critica quando si studia la Bibbia. Il nostro cervello e la sua facoltà di ragionamento sono un dono di Dio, e non dobbiamo avere paura di usarli pienamente quando leggiamo le Scritture. Come cristiani ortodossi, trascuriamo a nostro rischio e pericolo i risultati della ricerca accademica indipendente sulle origini, le datazioni e gli autori della Bibbia, anche se vorremo sempre mettere alla prova questi risultati alla luce della Santa Tradizione.

A fianco di questo elemento umano, tuttavia, dobbiamo sempre vedere l'aspetto divino. Questi testi non sono semplicemente opera degli autori individuali. Ciò che ascoltiamo nelle Scritture non sono semplici parole umane, caratterizzate da una maggiore o minore abilità e percezione, ma l'eterna, increata Parola di Dio stesso - il Verbo del Padre che "esce dal silenzio," per usare la frase di Sant'Ignazio di Antiochia - il Verbo divino della salvezza. Accostandoci alla Bibbia, dunque, non proveniamo da una posizione di mera curiosità, o per ottenere informazioni storiche. Veniamo con una domanda specifica: "Come posso essere salvato?"

La ricettività obbediente alla parola di Dio significa soprattutto due cose: un senso di meraviglia e un'attitudine di ascolto.

(1) La meraviglia si estingue facilmente. Non proviamo anche troppo spesso, leggendo la Bibbia, che essa è divenuta troppo familiare, perfino noiosa? Non abbiamo forse perso la nostra vigilanza, il nostro senso di aspettativa?

Dobbiamo continuamente ripulire le porte della nostra percezione e guardare con occhi nuovi, con timore reverenziale e stupore, il miracolo che ci viene proposto - il miracolo sempre presente della parola divina di salvezza espressa in linguaggio umano. Come faceva notare Platone, "l'inizio della verità è la meraviglia di fronte alle cose."

Alcuni anni fa ho fatto un sogno che ancora ricordo chiaramente. Ero di nuovo nella casa dove da bambino, per tre anni, avevo vissuto in convitto. Un amico mi portava attraverso le camere che mi erano familiari dai ricordi di vita cosciente della mia infanzia. Poi, nel sogno, entravamo in altre camere che non avevo mai visto prima - spaziose, eleganti, piene di luce. Infine, arrivammo in una cappella piccola e scura, con mosaici dorati che brillavano alla luce di candele. "Che strano," dissi al mio compagno, "che io sia vissuto qui per tanti anni, e senza mai sapere dell'esistenza di tutte queste camere." Ed egli replicò: "Ma è sempre così." Mi svegliai, e mi accorsi che era un sogno.

Non dovremmo forse reagire in presenza della Bibbia esattamente con la stessa sorpresa, con lo stesso senso di gioia e di scoperta che avevo sperimentato nel mio sogno? Ci sono così tante stanze nelle Scritture nelle quali ancora non siamo neppure entrati. C'è ancora così tanto da esplorare.

(2) Se l'obbedienza significa meraviglia, significa anche ascolto. Tale è per la verità il significato della parola "obbedire" in greco e in latino: ascoltare. Il problema è che per la maggior parte noi siamo più capaci di parlare che di ascoltare. Lo dimostra fin troppo bene un episodio del Goon Show, che io ascoltavo regolarmente alla radio nei miei giorni di studente. Suona il telefono, e uno dei personaggi alza il ricevitore. "Pronto," esclama, "pronto, pronto." Il volume della sua voce cresce. "Chi parla? Non riesco a sentire. Pronto, chi parla?" Una voce all'altro capo dice: "Ma sei tu che parli." "Ah," risponde il protagonista "ecco perché la voce mi sembrava familiare." e riappende il ricevitore.

Uno dei requisiti primari, se vogliamo acquisire una "mente scritturale," è quello di smettere di parlare e iniziare ad ascoltare. Quando entriamo in una chiesa ortodossa decorata nel modo tradizionale, e guardiamo in alto verso il santuario, vediamo nell'abside la figura della Madre di Dio con le mani levate al cielo - l'antico modo scritturale di pregare che molti usano ancora oggi. Tale deve essere la nostra attitudine verso le Scritture - un'attitudine di apertura e di attenta ricettività, con le nostre mani invisibilmente protese verso il cielo.

Leggendo la Bibbia, dunque, dobbiamo conformarci in tal modo al modello della Beata Vergine Maria, come a colei che ascolta in modo supremo. All'Annunciazione, ascoltando l'angelo, risponde con obbedienza: "Sia fatto di me secondo la tua parola" (Luca 1:38). Se non avesse prima ascoltato la parola di Dio ricevendola spiritualmente nel suo cuore, non avrebbe mai portato corporalmente la Parola di Dio nel suo grembo. L'ascolto ricettivo continua a essere la sua attitudine lungo tutta la storia dei Vangeli. Alla natività di Cristo, dopo l'adorazione da parte dei pastori, "Maria custodiva tutte queste cose meditandole nel suo cuore" (Luca 2:19). Dopo la visita a Gerusalemme quando Gesù aveva dodici anni, "Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore" (Luca 2:51). L'importanza vitale dell'ascolto è pure indicata nelle ultime parole attribuite alla Theotokos nelle Sacre Scritture, alla festa di nozze a Cana di Galilea: "Fate tutto quello che vi dirà" (Giovanni 2:5), ella dice ai servitori - e a tutti noi.

In tutto ciò la Vergine serve come uno specchio e un'icona vivente del cristiano biblico. Ascoltando la parola di Dio, dobbiamo essere come lei: meditare, custodire tutte queste cose nel nostro cuore, fare tutto ciò che Egli ci dice. Dobbiamo ascoltare in obbedienza mentre Dio parla.

Comprendere la Bibbia attraverso la Chiesa

Come afferma la Conferenza di Mosca, "Noi conosciamo, riceviamo e interpretiamo le Scritture attraverso la Chiesa e nella Chiesa." Il nostro approccio alla Bibbia non è solo obbediente ma ecclesiale. Le parole della Scritture, che ci sono rivolte a titolo personale, ci sono rivolte allo stesso tempo in quanto membri di una comunità. Libro e Chiesa non vanno separati.

L'interdipendenza tra Chiesa e Bibbia è evidente almeno in due modi. Dapprima, noi riceviamo le Scritture attraverso la Chiesa e nella Chiesa. È la Chiesa a dirci che cosa fa parte delle Scritture. Nei primi tre secoli di storia cristiana, fu necessario un lungo processo per passare al setaccio, mettere alla prova e distinguere ciò che era autenticamente parte delle Scritture "canoniche," e che portava un messaggio autorevole della persona e del messaggio di Cristo, e di ciò che era "apocrifo," forse utile per l'insegnamento, ma non una fonte normativa di dottrina. Perciò, è la Chiesa che ha deciso quali libri formano il Canone del Nuovo Testamento. Un libro non è parte delle Sacre Scritture a causa di qualche particolare teoria sulla sua datazione e autorevolezza, ma poiché è la chiesa che lo tratta come canonico. Supponiamo, per esempio, che potesse essere provato che il Quarto Vangelo non sia stato scritto di fatto da San Giovanni, il discepolo amato da Cristo - a mio parere, ci sono invece forti ragioni per continuare ad accettare l'attribuzione a Giovanni - e tuttavia, anche in tal caso, ciò non altererebbe il fatto che noi consideriamo il Quarto Vangelo come parte delle Scritture. Come mai? Perché il Quarto Vangelo, chiunque sia il suo autore, è accettato dalla Chiesa e nella Chiesa.

In secondo luogo, noi interpretiamo le Scritture attraverso la Chiesa e nella Chiesa. Se è la Chiesa che ci dice che cosa fa parte delle Scritture, allo stesso modo è la Chiesa che ci dice come le Scritture vanno comprese. Giungendo dall'Etiope mentre questi leggeva l'Antico Testamento nel suo carro, l'Apostolo Filippo gli chiese, "Comprendi ciò che stai leggendo?"

"E come potrei," rispose l'Etiope, "se qualcuno non mi guida?" (Atti 8:30-31).

La sua difficoltà è pure la nostra. Le parole delle Scritture non si spiegano sempre da sole. La Bibbia ha un filo conduttore di meravigliosa semplicità, ma quando è studiata in dettaglio può risultare un libro difficile. Invero, Dio parla direttamente al cuore di ciascuno di noi mentre leggiamo la nostra Bibbia - come dice San Tikhon, la nostra lettura è un dialogo personale tra ciascuno di noi e Cristo stesso - ma noi abbiamo bisogno anche di una guida. E la nostra guida è la Chiesa. Possiamo usare pienamente la nostra comprensione personale, assistita dallo Spirito. Possiamo usare pienamente i commentari biblici le scoperte della moderna ricerca. Ma sottomettiamo le opinioni individuali - siano esse le nostre o quelle degli studiosi - al giudizio della Chiesa.

Leggiamo la Bibbia in modo personale, ma non come individui isolati. Non diciamo "io", ma "noi." Leggiamo come membri di una famiglia, la famiglia della Chiesa Cattolica Ortodossa. Leggiamo in comunione con tutti gli altri membri del Corpo di Cristo in ogni parte del mondo e in tutte le generazioni. Questo approccio comunitario o cattolico è riassunto in una delle domande poste a un convertito nell'ufficio di ricezione usato nella Chiesa Russa: "Riconosci che le Sacre Scritture devono essere accettate e interpretate in accordo con la fede che è stata tramandata dai Santi Padri, fede che la Santa Chiesa Ortodossa, nostra madre, ha sempre mantenuto e tuttora mantiene?" Il criterio decisivo per la nostra comprensione del significato delle Scritture è la mente della Chiesa.

Per scoprire questa "mente della Chiesa," da dove dobbiamo incominciare? Un primo passo consiste nel vedere come le Scritture sono utilizzate nel culto. Come, in particolare, si scelgono i passi biblici da leggere nelle diverse feste? Un secondo passo consiste nel consultare gli scritti dei Padri della Chiesa, soprattutto San Giovanni Crisostomo. Com'è che essi analizzano e applicano il testo delle Scritture? Un modo ecclesiale di leggere la Bibbia è in tal modo sia liturgico che patristico.

Per illustrare che cosa significhi interpretare le Scritture in modo liturgico, consideriamo le letture dall'Antico Testamento al Vespro della Festa dell'Annunciazione (25 Marzo), e al Vespro del Sabato Santo, la prima parte dell'antica Vigilia Pasquale. All'Annunciazione ci sono cinque letture:

(1) Genesi 28:10-17: Il sogno di Giacobbe di una scala che si eleva dalla terra al cielo.

(2) Ezechiele 43:27-44:4: la visione che il profeta ha del tempio di Gerusalemme, con la porta chiusa attraverso la quale nessuno può passare, se non il Principe.

(3) Proverbi 9:1-11: uno dei grandi passi sofianici dell'Antico Testamento, che inizia con le parole "La sapienza si è costruita la casa."

(4) Esodo 3:1-8: Mosè al roveto ardente.

(5) Proverbi 8:22-30: Un altro passo sofianico, che descrive il posto della Sapienza nell'eterna provvidenza di Dio: "Dall'eternità sono stata costituita, fin dal principio, dagli inizi della terra."

In questi passi dall'Antico Testamento, abbiamo una serie di potenti immagini per indicare il ruolo della Theotokos nello sviluppo del piano di salvezza di Dio. Ella è la scala di Giacobbe, poiché per mezzo suo, Dio discende ed entra nel nostro mondo, assumendo la carne da lei fornita. Ella è sia Madre che Sempre-Vergine; Cristo è nato da lei, eppure ella rimane ancora inviolata, e la porta della sua verginità sigillata. Ella fornisce l'umanità, o la casa che Cristo la Sapienza di Dio (1 Corinzi 1:24) si prende come propria dimora; in alternativa, ella stessa va considerata come Sapienza di Dio. Ella è il roveto ardente, che contiene nel suo grembo il fuoco increato della Divinità, eppure non è consumata. Da tutta l'eternità, "dagli inizi della terra," ella fu prescelta da Dio per essere sua Madre.

Leggendo questi passi nel loro contesto originale nell'Antico Testamento, potremmo non accorgerci subito che essi prefigurano l'Incarnazione del Salvatore dalla Vergine. Ma esplorando l'uso che il lezionario della Chiesa fa dell'Antico Testamento, possiamo scoprire molteplici strati di significati che sono tutt'altro che ovvi a una prima lettura.

La stessa cosa accade quando consideriamo l'uso delle Scritture al Sabato Santo. Qui non vi sono meno di quindici letture dall'Antico Testamento. Purtroppo, in molte delle nostre parrocchie la maggioranza di queste letture viene omessa, così il popolo di Dio viene privato del suo appropriato nutrimento biblico. Questa lunga sequenza di letture ci mette di fronte il significato più profondo del "passaggio" di Cristo attraverso la morte verso la risurrezione. La prima delle letture è il resoconto della creazione (Genesi 1:1-13): la Risurrezione di Cristo è una nuova creazione (2 Corinzi 5:17; Apocalisse 21:5), l'inaugurazione di una nuova età, l'età ventura. La terza lettura descrive il rituale ebraico del pasto pasquale: Cristo crocifisso e risorto è la nuova Pasqua, l'Agnello pasquale che solo può prendere su di sé il peccato del mondo (1 Corinzi 5:7; Giovanni 1:29). La quarta lettura comprende tutto il libro di Giona: i tre giorni del profeta nel ventre del pesce prefigurano la risurrezione di Cristo dopo tre giorni nella tomba (Matteo 12:40). La sesta lettura racconta il passaggio del Mar Rosso da parte degli israeliti (Esodo 13:20-15:19), Cristo ci guida dalla schiavitù dell'Egitto (il peccato), attraverso il Mar Rosso (il battesimo), nella terra promessa (la Chiesa). La lettura finale è la storia dei tre Santi Fanciulli nella fornace infuocata (Daniele 3), ancora una volta un "tipo" o prefigurazione della risurrezione di Cristo dalla tomba.

Come possiamo sviluppare questo modo ecclesiale e liturgico di leggere le Scritture nei gruppi di studio biblico all'interno delle nostre parrocchie? A una persona si può dare il compito di notare quando un passo particolare è usato per una festività o per il giorno di un santo, e il gruppo può quindi discutere assieme le ragioni per cui è stato scelto così. Ad altri nel gruppo possono essere assegnati i compiti di ricerca tra i Padri, riferendosi soprattutto alle omelie di San Giovanni Crisostomo. All'inizio possiamo essere delusi: il modo di pensare e di parlare che hanno i Padri è spesso nettamente differente dal nostro di oggi. Ma c'è molto oro nei testi patristici, se solo abbiamo sufficiente pazienza e immaginazione per scoprirlo.

Cristo, il cuore della Bibbia

Il terzo requisito per la nostra lettura delle Scritture è che essa sia cristocentrica. Se siamo d'accordo con la Conferenza di Mosca del 1976, che dice che "le Scritture costituiscono un insieme coerente," dove dobbiamo situare la loro completezza e coerenza? Nella persona di Cristo. Egli è il motivo unificante che passa attraverso l'intera Bibbia, dalla prima all'ultima frase. Gesù si incontra con noi in ogni pagina. Tutto ha un senso a causa sua. "Tutte le cose sussistono in lui" (Colossesi 1:17).

Molto dello studio delle Scritture da parte degli studiosi occidentali moderni ha adottato un approccio analitico, scomponendo ogni libro in quelle che vengono viste come le sue fonti originarie. I legami di connessione vengono sciolti, e la Bibbia è ridotta a una serie di unità isolate. Recentemente vi è stata una reazione a questo approccio, e i critici biblici in occidente hanno dato maggiore attenzione al modo in cui queste unità primarie sono state unite assieme. A ciò, come ortodossi, possiamo sicuramente essere favorevoli. Dobbiamo vedere l'unità delle Scritture tanto quanto la diversità, la coesione globale della fine così come le dispersioni degli inizi. L'Ortodossia preferisce per la maggior parte uno stile di ermeneutica "sintetico" a uno analitico, dato che vede la Bibbia come un insieme integrato, e Cristo, ovunque, come il suo legame d'unione.

Precisamente questo, come abbiamo appena visto, è l'effetto della lettura delle Scritture nel contesto del culto della Chiesa. Come è reso chiaro dalle letture dell'Annunciazione e del Sabato Santo, ovunque nell'Antico Testamento troviamo segnali e indicazioni stradali che fanno riferimento al mistero di Cristo e di Maria sua Madre. Interpretando l'Antico Testamento alla luce del Nuovo, e il Nuovo alla luce dell'Antico - come il lezionario della Chiesa ci incoraggia a fare - scopriamo come tutta la Scrittura trovi il suo punto di convergenza nel Salvatore.

L'Ortodossia fa un uso esteso di questo metodo "tipologico" di interpretazione, in cui i "tipi" di Cristo, i segni e i simboli della Sua opera, vanno scoperti attraverso tutto l'Antico Testamento. Per esempio Melchisedek, il re-sacerdote di Salem, che offrì pane e vino ad Abramo (Genesi 14:18), è considerato un "tipo" di Cristo non solo dai Padri ma anche nel Nuovo Testamento stesso (Ebrei 5:6; 7:1). La roccia da cui fluì acqua nel deserto del Sinai (Esodo 17:6; Numeri 30:7-11) è allo stesso modo un simbolo di Cristo (1 Corinzi 10:4). La tipologia spiega la scelta delle letture, non solo al Sabato Santo, ma in tutta la seconda parte della Quaresima. Perché le letture della Genesi nella sesta settimana sono dominate dalla figura di Giuseppe? Perché si legge dal libro di Giobbe nella Settimana Santa? Perché Giuseppe e Giobbe, che soffrirono entrambi da innocenti, prefigurano la sofferenza redentiva di Cristo sulla Croce.

Possiamo scoprire molte altre corrispondenze tra l'Antico e il Nuovo Testamento usando una concordanza biblica. Spesso il miglior commentario è semplicemente una concordanza, o un'edizione della Bibbia che abbia a margine una scelta ben fatta di riferimenti incrociati. Limitandosi a connettere, tutto si lega assieme. Nelle parole di Padre Alexander Schmemann, "Un cristiano è colui che, ovunque guarda, trova Cristo e si rallegra in Lui." Ciò è vero in particolare del cristiano biblico. Dovunque guarda, in ogni pagina, dappertutto trova Cristo.

La Bibbia come lettura personale

Secondo San Marco il Monaco ("Marco l'Asceta", del quinto/sesto secolo): "Colui che è umile nei suoi pensieri e attivo nel lavoro spirituale, quando legge le Sacre Scritture, applicherà tutto a se stesso e non al suo prossimo." Dobbiamo guardare a tutte le Scritture per un'applicazione personale. La nostra domanda non è semplicemente "Che cosa significa?" ma "Che cosa significa per me?" Come insiste San Tikhon, Cristo stesso sta parlando a te. Le Scritture sono un dialogo diretto, intimo tra il Salvatore e me stesso - Cristo che si rivolge a me, e il mio cuore che risponde. Questo è il quarto criterio nella nostra lettura della Bibbia.

Devo vedere tutte le narrazioni delle Scritture come parte della mia storia personale. la descrizione della caduta di Adamo, allo stesso modo , è un resoconto di qualcosa che rientra nella mia stessa esperienza. Chi è Adamo? Il suo nome vuol dire semplicemente "uomo," "umano": Adamo sono io. E a me che Dio chiede, "Dove sei?" (Genesi 3:9). Noi spesso chiediamo "Dov'è Dio?" Ma la vera domanda è quella che Dio pone all'Adamo che è in ognuno di noi: "Dove sei tu?"

Chi è Caino, l'assassino del proprio fratello? Sono io. La sfida di Dio, "Dov'è Abele, tuo fratello?" (Genesi 4:9), è rivolta al Caino in ognuno di noi. La via a Dio passa per l'amore alle altre persone, è non c'è altra via. Rinnegando la mia sorella o il mio fratello, sostituisco l'immagine di Dio con il marchio di Caino, e nego la mia umanità essenziale.

La stessa applicazione personale è evidente negli offici quaresimali, e soprattutto nel Grande Canone di Sant'Andrea di Creta. "Io sono l'uomo caduto tra i briganti," diciamo (v. Luca 10:30) "Ero il tuo figlio più giovane, e ho sperperato le ricchezze che mi hai dato... e ora sono vuoto e affamato" (v. Luca 15:11-14). "Chi sono le pecore, e chi sono i capri?" erano soliti chiedere i Padri del Deserto d'Egitto (v. Matteo 25:31-46) "Le pecore sono note a Dio," rispondevano. "Quanto ai capri - significano me."

Ci sono tre passi da fare nella lettura delle Sacre Scritture. Per prima cosa, riflettiamo sul fatto che ciò che abbiamo nelle Scritture è storia sacra: la storia del mondo dalla Creazione, la storia del popolo eletto di Dio, la storia di Dio stesso incarnato in Palestina, la storia delle "grandi opere" (Atti 2:11) dopo Pentecoste. Non dobbiamo mai dimenticare che ciò che troviamo nella Bibbia non è un'ideologia, né una teoria filosofica, ma una fede storica.

Quindi, osserviamo la particolarità, la specificità di questa storia sacra. Nella Bibbia troviamo che Dio interviene in tempi specifici e in luoghi particolari, entrando in dialogo con esseri umani individuali. Vediamo davanti a noi le distinte chiamate fatte da Dio a ciascuna persona differente, ad Abramo, Mosè e Davide, a Rebecca e a Rut, a Isaia e ai profeti. Vediamo Dio che si incarna una sola volta, in un particolare angolo della terra, in un momento particolare e da una Madre particolare. Non dobbiamo considerare questa particolarità come uno scandalo, ma come una benedizione. L'amore divino è universale nel suo scopo, ma sempre personale nella sua espressione.

Questo senso di specificità della Bibbia è un elemento vitale nella "mente scritturale" ortodossa. Se amiamo davvero la Bibbia, ameremo le genealogie e i dettagli nella datazione e nella geografia. Uno dei migliori modi per ravvivare lo studio delle Scritture è quello di andare in pellegrinaggio in Terra Santa. Camminate dove ha camminato Cristo. Scendete presso il Mar Morto, salite sul monte delle Tentazioni, osservate le terre desolate, provate ciò che deve avere provato Cristo durante i suoi quaranta giorni di solitudine nel deserto. Bevete dal pozzo presso il quale Gesù parlò con la donna samaritana. Prendete una barca e uscite sul Mare di Galilea, chiedete ai pescatori di fermare il motore, e guardate in silenzio attraverso le acque. Andate di notte al Giardino del Getsemani, sedetevi al buio sotto gli antichi ulivi, e guardate attraverso la valle le luci della città. Gustate appieno il "sapore" caratteristico dell'ambientazione storica, e riportate quell'esperienza nella lettura quotidiana delle Scritture.

Dobbiamo quindi fare un terzo passo. Dopo avere vissuto nuovamente la storia biblica in tutta la sua particolarità, dobbiamo applicarla direttamente a noi stessi. Dobbiamo dire a noi stessi, "questi non sono solo luoghi distanti, eventi di un remoto passato. Appartengono al mio incontro con il Signore. Le storie includono me."

Il tradimento, per esempio, è parte della storia personale di ciascuno. Non abbiamo forse tradito tutti qualcuno in qualche momento della nostra vita, e non abbiamo conosciuto tutti che cosa significhi essere traditi? La memoria di questi momenti non ci lascia forse profonde e continue cicatrici sulla nostra psiche? Leggendo, pertanto, il racconto del tradimento di Cristo da parte di San Pietro, e della sua reintegrazione dopo la Risurrezione, possiamo vedere ciascuno di noi come un attore nella storia. Immaginando ciò che provarono sia Pietro che Cristo nel momento immediatamente successivo al tradimento, facciamo nostre le loro percezioni. Io sono Pietro; nella situazione del tradimento, posso anche essere Cristo? Riflettendo allo stesso modo sul processo di riconciliazione - vedendo come il Salvatore risorto, con un amore totalmente privo di sentimentalismo, reintegra dopo la sua caduta Pietro alla comunione, e vedendo come Pietro dal canto suo abbia il coraggio di accettare tale reintegrazione - chiediamoci: quanto simile a Cristo sono io, con coloro che mi hanno tradito? E, dopo i miei stessi tradimenti, quanto sono in grado di accettare il perdono degli altri: sono capace di perdonare me stesso?

Prendiamo, come un altro esempio, la "donna peccatrice," che versò il vaso d'olio sui piedi di Cristo (Luca 7:36-50), e che alcuni identificano con Santa Maria Maddalena, anche se questa non è l'interpretazione ortodossa consueta. Posso vederla rispecchiata in me stesso? Condivido la sua generosità, la sua spontaneità e la sua amorevole impulsività? "I suoi peccati, che sono molti, le sono perdonati, poiché molto ha amato." Oppure sono calcolatore, meschino, reticente, mai pronto a impegnarmi in alcunché di buono o di cattivo? Come dicono i Padri del Deserto, "Meglio qualcuno che ha peccato, se sa di avere peccato e si pente, piuttosto che una persona che non ha peccato, e pensa di essere giusta."

Un approccio personale di questo tipo significa che nel leggere la Bibbia noi non siamo semplicemente osservatori distaccati e obiettivi, che assorbono informazioni e prendono nota di fatti. La Bibbia non è meramente un'opera letteraria o una collezione di documenti storici, anche se ci si può certamente accostare ad essa a questo livello. Si tratta di qualcosa di molto più fondamentale, di un libro sacro, rivolto a credenti, da leggere con fede e amore. Non avremo un pieno profitto dalla lettura dei Vangeli se in noi non c'è amore per Cristo. "Il cuore parla al cuore:" io entro nella verità viva delle Scritture solo quando il mio cuore risponde con amore al cuore di Dio.

Leggendo le Scritture in questo modo - in obbedienza, come membri della Chiesa, trovando ovunque Cristo, e vedendo ogni cosa come parte della nostra storia personale - percepiremo qualcosa della forza e della guarigione che si trovano nella Bibbia. Eppure nel nostro viaggio biblico di esplorazione siamo sempre al principio. Siamo come persone che si lanciano in una piccola barca su un oceano senza limiti. Ma per quanto grande sia in viaggio, possiamo imbarcarci oggi, in questa stessa ora, in questo stesso momento.

Al culmine della sua crisi spirituale, mentre era in lotta con se stesso in un giardino, Sant'Agostino udì la voce di un bambino che diceva "Prendi e leggi, prendi e leggi." Egli prese la sua Bibbia e lesse, e ciò che lesse cambiò tutta la sua vita. Facciamo anche noi lo stesso: prendiamo e leggiamo.

"Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino" (Salmo 118 [119]:105).

Sabato, 02 Febbraio 2008 23:39

Cristiani russi in cifre

Cristiani russi in cifre





Sotto la guida di Alessio II, eletto nel 1990 patriarca di Mosca, la Chiesa ortodossa russa conta attualmente 132 diocesi (136 con la Chiesa ortodossa autonoma del Giappone), più di 26.600 parrocchie (di cui 12.665 in Russia), 175 vescovi, 688 monasteri (di cui in Russia 207 maschili e 226 femminili); 5 Accademie teologiche, due Università ortodosse, 34 seminari.

Per quanto riguarda la Chiesa cattolica in Russia, stabilita nel 1782 con la diocesi di Moghilev per la cura pastorale dei sudditi cattolici dell’Impero russo, alla vigilia della Rivoluzione contava 150 parrocchie con più di 250 preti, per un totale di circa mezzo milione di fedeli. Attualmente la Chiesa cattolica, di cui nel 1991 veniva ristabilita la struttura gerarchica con un Amministratore apostolico (...), conta quattro arcidiocesi, 225 parrocchie (di cui circa un quarto non dispone ancora di una propria chiesa), un seminario, 270 preti e 250 religiose, in maggioranza stranieri, provenienti da 22 Paesi diversi (solo il 10 per cento del clero è di origine russa). I fedeli cattolici presenti nel territorio della Federazione russa sono circa 600 mila.

(da Mondo e Missione, gennaio 2007)







Le Chiese dell'oriente cristiano

La Chiesa Ortodossa di Grecia

di John Nellykullen


La rivoluzione greca contro il regime turco cominciò nel 1821, e culminò, dopo l’intervento europeo, con il riconoscimento dell’indipendenza di un piccolo stato greco da parte della Turchia nel 1832. La Chiesa ortodossa ebbe un grande ruolo nella rivoluzione, e pagò un prezzo elevato per questo. Il Patriarca di Costantinopoli Gregorios V ed un certo numero dei metropoliti furono accusati di tradimento e subito dopo l’inizio della rivoluzione, furono impiccati dai turchi.

Il nuovo governo di Grecia, a dispetto della tradizionale, era riluttante al fatto che la Chiesa Ortodossa in Grecia rimanesse sotto la giurisdizione della Patriarca di Constantinopoli, la cui sede era rimasta nel territorio dell’impero ottomano. Per questo ragione nel 1833 la Chiesa di Grecia fu dichiarata autocefala, e posta sotto l’autorità di cinque membri del Sinodo dei vescovi e del re. Il re fu dichiarato come capo della chiesa. Lo stato di autocefalia della Chiesa di Grecia fu riconosciuto da Costantinopoli nel 1850 con un tomos patriarcale in cui si specificava che l’arcivescovo di Atene sarebbe stato il capo permanente del Sinodo dei vescovi.

Un nuovo territorio fu incorporato alla Grecia a spese dell’Impero Ottomano e nuove Diocesi ortodosse furono aggiunte alla nuova Chiesa di Grecia. Gli ortodossi del territorio, della parte nord, riconquistato dai turchi rimasero direttamente sotto la giurisdizione del Patriarca Ecumenico fino al 1928, quando con un accordo furono posti provvisoriamente sotto l’amministrazione della Chiesa di Grecia.

Il controllo dello stato sulla Chiesa di Grecia fu gradualmente ridotto con l’implementazione delle regolarizzazioni posteriori, benchè la costituzione del 1975 riconoscesse l’Ortodossia come la religione predominante in Grecia. Si riconosce anche il diritto delle altre religioni ad esercitare il culto senza interferenze statali. Però il culto dei non-ortodossi non deve disturbare l’ordine pubblico. Ogni proselitismo è stato proibito. Al contrario delle costituzioni passate, il Presidente della Grecia non necessariamente deve essere un cristiano ortodosso e non è più richiesto di giurare di proteggere la religione di Stato. La costituzione dice anche che la Chiesa ortodossa di Grecia è autocefala ed è governata da il Santo Sinodo dei vescovi in carica, e dal Santo Sinodo Permanente che è composto da alcuni membri del primo. La struttura rispetta le provisioni del tomos del 1850 riguardo l’autocefalia. Oggi il Santo Sinodo Permanente è composto da 13 membri, incluso l’arcivescovo di Atene che lo presiede . Nel 1955 la Chiesa e lo Stato hanno iniziato un dialogo sulla possibilità di cambiamenti nei loro rapporti. Però nel 1996 il governo annunciò che i dati costituzionali già in atto non dovevano essere cambiati. La statistica ufficiale ci mostra che il 96% della popolazione di Grecia è ortodossa, l’1% è composto di cattolici e di protestanti, ed il 2% di musulmani.

Le diocesi ortodosse in Grecia sono piccole. Ve ne sono 80 in Grecia, 8 a Creta e 4 nelle isole del Dodecanneso che è sotto la giurisdizione del Patriarca Ecumenico.

Il monachesimo, che era in costante decadenza dal dicianovessimo secolo, ha avuto recentemente una ripresa. Nel 1986 c’erano 2.000 monaci ortodossi e 2.000 monache nella chiesa di Grecia. La republica monastica del Monte Athos, benchè sia in Grecia, è sotto la giurisdizione del Patriarca Ecumenico.

C’è stato un movimento significativo di rinnovamento nella chiesa di Grecia dopo la secondo guerra mondiale. Questo è stato causato da un nuovo tipo di monachesimo, composto da fraternità di laici che sono nate all’inizio del secolo. Il più emergente di questi gruppi, Zoè, ha avuto un particolare sviluppo nella metà di 1960 anni. Ha avuto 130 membri, tutti teologi, di cui 34 preti. La comunità ha lavorato per riformare l’atteggiamento dei Greci verso la Chiesa Ortodossa dando importanza alla devozione personale. Zoè ha unito la spiritualità monastica all’apostolato attivo, e in qualche modo è stata simile alle comunità apostoliche che si sono sviluppate nella chiesa occidentale. Nel 1960 i membri di Zoè più tradizionalisti si sono separati dalla Zoè per formare una piccola nuova fratellanza, che si chiama Sotir. Benchè oggi questi movimenti siano in decadenza e tanti membri siano anziani, hanno dato un modello nuovo di vita religiosa ortodossa ed hanno avuto un’influenza profonda sulla Chiesa di Grecia.

La Chiesa Ortodossa Greca è coinvolta nell’attività filantropica, non soltanto con dichiarazioni pubbliche sulla giustizia sociale, anche avendo cura di orfanotrofi, case per anziani, ospedali, etc.

L’erudizione teologica in Grecia è centrata su due facoltà teologiche erette nelle Università di Atene e di Tessalonica. Ci sono anche altri seminari per la formazione dei preti. Un gran numero di teologi della chiesa Greca sono laici.

L’arcivescovo Christodoulos di Atene e di tutta la Grecia è stato eletto nell’aprile del 1998 per succedere all’arcivescovo Seraphim, che aveva guidato la chiesa dal 1974. Il nuovo arcivescovo è stato intronizzato il 9 maggio, ed ha subito dichiarato di voler accrescere il ruolo della chiesa nella società, di voler combattere le manifestazioni di xenofobia e di razzismo, di voler far crescere il rapporto della Chiesa con il mondo giovanile, di voler migliorare i rapporti con il Patriarca Ecumenico, e di affermare il ruolo della Grecia in Europa sostenendone il pieno ingresso nell’Unione Europea.

Gli ortodossi greci della diaspora sono sotto la giurisdizione del patriarca di Costantinopoli.


Guida: l’Arcivescovo Ieronimos II

Titolo: Arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia

Residenza: Atene, Grecia

Membri: 9.025.000.

Sito Web: http://www.ecclesia.gr

Dialogo per "superare ogni divisione"

intervista a Samuel Kobia *


Il dialogo? “Più si è vicini alla vetta più bisogna fare attenzione perché nessuno rimanga indietro”. Anche perché “le questioni morali, più che le questioni teologiche classiche, stanno minacciando di dividere le Chiese e le comunioni mondiali cristiani”. E per questo bisogna parlarsi, con calma. Perché qualche traguardo è vicino. Il reverendo Samuel Kobia per il dialogo ha speso una vita. Pastore metodista, 61 anni, dal 2004 è segretario del World Council of Churches (Wcc), il Consiglio ecumenico delle Chiese che annovera trecentoquarantasette fra Chiese e comunità religiose. Il 16 giugno del 2005 ha fatto visita a Papa Benedetto XVI, pochi giorni prima di recarsi in Russia per incontrare il patriarca Alessio II. Dall'inizio degli anni Ottanta è attivo nel favorire il dialogo e l'unità, a partire dal Consiglio nazionale delle Chiese del Kenya, il Paese dove è nato. Un impegno costante, in ogni angolo del mondo. Oggi dunque il reverendo Kobia ritiene che il dialogo passi anche attraverso il confronto sui temi etici, oltre che teologici. Le sfide della globalizzazione inoltre chiedono alle Chiese di dare risposte convincenti all'individualismo e al capitalismo esasperato, tenendo conto delle difficoltà poste dalla rinascita di movimenti nazionalisti e fondamentalisti. Compiti difficili ma non proibitivi, perché il reverendo Kobia ha due sogni: approfondire i rapporti con Roma e vedere entro la metà del secolo ogni cristiano “benvenuto alla mensa del Signore in ogni chiesa”.

Osservatore Romano: Per la prima volta il giornale del Papa intervista il segretario del Consiglio ecumenico delle Chiese. E accade in occasione dei 100 anni della settimana di preghiera per l'unità. Cento anni passati con quale bilancio?

Samuel Kobia: Cento anni fa, la Settimana di preghiera per l'Unità dei Cristiani sfidava l'odio e l'ostilità che avrebbe spinto i paesi cosiddetti cristiani verso la Prima guerra mondiale. La cooperazione ecumenica e la ricerca di unità tra le Chiese ha certamente svolto un ruolo nel superare il retaggio di due guerre mondiali e costruire rapporti pacifici in Europa.
Chi avrebbe pensato, all'inizio dello scorso secolo, che solo pochi decenni dopo ortodossi, anglicani, luterani, riformati, metodisti, battisti e Chiese di altra tradizione avrebbero lavorato insieme nel Consiglio Mondiale delle Chiese? Certamente il Concilio Vaticano II è stato uno spartiacque e ha aperto le porte a una cooperazione ecumenica significativa tra la Chiesa cattolica romana e molti membri del World Curch Council.

O.R. Parlando di ecumenismo sono in molti a sottolineare ciò che ancora divide e le difficoltà da superare. Perché di solito si mettono meno in evidenza i passi compiuti e gli obiettivi raggiunti?

S.K. Cercare l'unità visibile della Chiesa è come scalare una montagna. Il cammino diventa più erto e difficile più ci si avvicina alla vetta. Qualcuno vorrebbe fare una sosta prima di procedere, altri vorrebbero affrettarsi, forse perché ritengono che la meta sia vicina; ma sottovalutano la distanza che ancora rimane e i rischi che corrono arrampicandosi troppo in fretta. Più si è vicini alla vetta, più occorre fare attenzione affinché arriviamo tutti insieme e nessuno venga lasciato indietro o precipiti.

O.R. Si pensa in alcuni ambiti ecumenici, ma anche tra i cattolici, che il dialogo tra Roma e il Wcc sia più difficile rispetto al dialogo con le Chiese ortodosse. È fondata questa impressione, quali sono i motivi di questa maggiore difficoltà?

S.K. Il Wcc è una associazione di trecentoquarantasette Chiese membro, di tradizione ortodossa, protestante e anche di altre tradizioni. Non è facile paragonare il dialogo tra la Chiesa cattolica romana e quelle ortodosse con il dialogo multilaterale che il Wcc persegue attraverso la Commissione Fede e Costituzione. Le persone alle quali lei si riferisce forse non sanno che il Pontificio consiglio per la Promozione dell'unità dei cristiani partecipa pienamente al lavoro di questa commissione. Naturalmente, sia la Chiesa ortodossa sia quella cattolica romana sottolineano il ruolo centrale del vescovo e della successione apostolica. Non tutte le Chiese membro del Wcc concordano con ciò. Questo rimane uno degli ostacoli sul cammino verso l'unità della Chiesa.

O.R. In ambito ecumenico ora si cerca di andare in profondità. Dopo il dialogo della carità ora si punta a considerare il dialogo teologico. Pensa che potranno sorgere nuove difficoltà?

S.K. In effetti, il dialogo teologico sull'insegnamento e sulle pratiche delle Chiese è sempre stato una dimensione fondamentale del movimento ecumenico e del Wcc. Inoltre, il Wcc ha sempre considerato l'unità, la testimonianza e il servizio congiunto come tre dimensioni correlate della vita e della missione della Chiesa. Oggi le tensioni sorgono non tanto intorno alle questioni teologiche classiche dell'unità della Chiesa, quanto su convinzioni etiche e morali. Le questioni morali stanno minacciando di dividere le Chiese e le comunioni mondiali cristiane. Secondo alcuni è in gioco la verità del Vangelo. Dicono che bisogna scegliere fra unità e verità. Questa situazione riguarda molte Chiese, a prescindere dalla loro tradizione teologica.

O.R. Benedetto XVI ha trovato un generale riscontro positivo nell'ambito ecumenico quale interlocutore affidabile ed esperto dei problemi sul tappeto. Ci sono delle attese particolari da parte del Wcc nei suoi confronti?

S.K. Abbiamo grande rispetto per l'impegno ecumenico di Sua Santità Papa Benedetto XVI. All'inizio del suo pontificato il Papa ha ribadito il suo pieno impegno per l'ecumenismo e ha detto che il cammino verso l'unità visibile è irreversibile. Ciò ci è servito come grande incoraggiamento e ispirazione. Siamo molto grati per il sostegno che offre al cardinale Kasper e al Pontificio consiglio per la Promozione dell'unità dei cristiani.

O.R. Può delineare un bilancio di massima nel dialogo tra Roma e Wcc? Ci sono speranze per nuovi progressi?

S.K. Permettetemi di dare un esempio dei risultati del dialogo e della cooperazione tra il Vaticano e il Wcc. Ai tempi del Concilio Vaticano II la Chiesa cattolica romana non era membro di nessun consiglio di Chiese nazionale o regionale. Tuttavia, nel 1971, solo sette anni dopo la promulgazione del decreto sull'ecumenismo Unitatis redintegratio, la Chiesa era entrata a far parte dei consigli nazionali delle Chiese in undici Paesi. Nel 2003 questo numero era salito a settanta. La Chiesa cattolica romana ora fa parte di tre organizzazioni ecumeniche regionali su sette. Le Chiese membro del Wcc e la Chiesa cattolica romana devono affrontare molte sfide comuni nel contesto sociale, politico, culturale e religioso e nel panorama ecclesiale in rapido cambiamento.

O.R. Che significato assume per il Wcc la Settimana di preghiera per l'unità che quest'anno festeggia il suo centesimo anniversario?

S.K. La Settimana di preghiera per l'Unità dei Cristiani offre un'opportunità a ogni congregazione e alle Chiese locali di praticare insieme l'ecumenismo in maniera fondamentale ed essenziale. Spesso non raggiungiamo le Chiese locali con le nostre pubblicazioni e gli altri mezzi di comunicazione; il materiale per la Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani invece le raggiunge. La pagina dedicata alla Settimana di preghiera è tra le più visitate nel sito internet del Wcc.

O.R. Quali sono le iniziative del Wcc per la Settimana?

S.K. Abbiamo celebrato il centenario la scorsa domenica a Ginevra, insieme con le Chiese locali della regione ginevrina e con i rappresentanti delle Chiese provenienti da diversi parti del mondo. Volevamo dimostrare che la Settimana di preghiera ha un profondo significato per l'ecumenismo locale e per la cooperazione ecumenica in tutto il mondo.
Abbiamo volutamente programmato l'incontro del gruppo congiunto di lavoro della Chiesa cattolica romana e del Wcc a Roma durante il periodo della Settimana di preghiera. Venerdì parteciperò, insieme con i membri del gruppo, alla celebrazione ecumenica in occasione del centenario che si terrà nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, presieduta da Papa Benedetto.

O.R. Il Wcc celebra quest'anno anche i suoi sessanta anni di vita. Può tracciare un bilancio dei risultati e delle difficoltà registrati in questi decenni?

S.K. Il Wcc è cresciuto molto in questi 60 anni. Mentre la maggior parte delle Chiese fondatrici hanno sede in Europa e in Nord America, il Wcc è diventata un'associazione di Chiese veramente mondiale nel 1961, quando molte Chiese del sud si sono unite ad essa insieme con il Consiglio Missionario Internazionale. E un numero rilevante delle Chiese ortodosse orientali degli ex Paesi comunisti potrebbero entrare a far parte del Wcc durante l'assemblea che si terrà a New Delhi. Un altro importante passo avanti è stato la partecipazione di osservatori ecumenici al Concilio Vaticano II e l'istituzione del Segretariato per l'unione dei cristiani, poi diventato il Pontificio consiglio per la Promozione dell'unità dei cristiani. Si sono sviluppati vincoli strutturali tra il Wcc e la Chiesa cattolica romana. L'Assemblea di Uppsala nel 1968 ha segnato una svolta nella testimonianza sociale del Wcc. L'impegno per la giustizia e contro il razzismo venne messo in cima all'agenda. Negli ultimi venti anni la globalizzazione ha cambiato il contesto in cui viviamo a tutti i livelli. I profondi cambiamenti dopo la caduta del muro di Berlino hanno inciso sui rapporti con le Chiese membro ortodosse. Ci siamo dovuti confrontare con una crisi profonda nel 1997, subito prima dell'assemblea di Harare. Oggi ringraziamo Dio perché questa crisi ha messo in evidenza alcune delle nostre debolezze fondamentali. La Commissione speciale sulla partecipazione ortodossa al Wcc ha avviato cambiamenti importanti nell'ethos e nei processi decisionali del Wcc. Ritengo che le Chiese vedono sempre più e di nuovo l'importanza e la necessità della cooperazione ecumenica attraverso il Wcc.

O.R. Quali sono i principali impegni e obbiettivi che attendono il Wcc nei prossimi mesi?

S.K. Nel programma abbiamo introdotto una nuova enfasi sull'accompagnamento delle Chiese nelle situazioni di conflitto. Ci stiamo preparando a inviare «lettere viventi» — vale a dire delegazioni delle Chiese membro che visitano una Chiesa membro che deve affrontare sfide difficili — nel mio paese natale, il Kenya, e anche in Sudan. Le «lettere viventi» contribuiscono al Decennio per superare la violenza che culminerà in una Convocazione Ecumenica Internazionale per la Pace nel 2011. Con il tema «Gloria a Dio e pace in terra», questo evento è inteso a rafforzare la testimonianza di riconciliazione e di pace giusta delle Chiese.
Un'altra priorità per le Chiese membro del Wcc è la situazione nel Medio Oriente e la necessità urgente di pace nell'intera regione. Attraverso il Forum Ecumenico Israele Palestina, costituito di recente, possiamo accompagnare le Chiese a un livello più profondo, aumentando la loro capacità di contribuire ai processi di pace in loco. Molte delle nostre Chiese membro e dei nostri interlocutori ecumenici hanno anche intensificato il lavoro nell'ambito dei cambiamenti climatici, riconoscendo le gravi conseguenze del riscaldamento globale su molti aspetti della vita.

O.R. Quali aree di conflitto interreligioso la preoccupano maggiormente?

S.K. Abbiamo osservato conflitti mortali di dimensioni etniche e interreligiose nascere in troppi posti negli ultimi anni, talmente tanti che non posso nemmeno elencarli. Uno degli sviluppi recenti che mi incoraggia è la lettera firmata da centotrentotto religiosi e studiosi musulmani. È un'iniziativa notevole e sfida le Chiese a rispondere con voce coerente.

O.R. Di fronte alla modernità e alle sfide della secolarizzazione secondo alcuni osservatori il Wcc si sente meglio attrezzato della Chiesa cattolica e delle Chiese ortodosse. È un'opinione fondata?

S.K. È quello che si diceva in passato. Molti pensavano che le Chiese non avessero altra scelta che adattarsi al mondo moderno secolarizzato. Non credo più che ciò sia vero. Abbiamo visto la rinascita della religione e nuove politiche d'identità in risposta alla globalizzazione. Le comunità in molte parti del mondo si oppongono al forte individualismo e all'egemonia dei valori liberali occidentali. Questa è una delle ragioni per il crescente fondamentalismo. Osservo però anche l'emergere di nuove risposte al contesto che cambia, specialmente tra i giovani. Tutti noi dovremo adattarci alle nuove realtà del ventunesimo secolo, ma spero che possiamo farlo senza essere troppo relativistici. Dobbiamo rimanere saldamente radicati nei nostri valori cristiani fondamentali.

O.R. La figura di Gesù Cristo è diventata una delle questioni attuali anche nell'ambito della cultura laica. Esiste un comune sentire tra i cristiani su Gesù rispetto alla sensibilità laica e secolarizzata?

S.K. Papa Benedetto XVI ha scritto un libro molto istruttivo su Gesù. Gesù Cristo, figlio di Maria e figlio di Dio, che è una cosa sola con il Padre e con lo Spirito Santo, è l'origine e il centro della nostra fede cristiana. Mentre una simile affermazione è incompatibile con una mentalità secolarizzata, è il terreno comune per le Chiese membro del Wcc e per molte altre comunità cristiane. Unisce i cristiani attraverso l'ampio spettro delle denominazioni. Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari, ci ha sempre ricordato che Gesù crocifisso e abbandonato è al centro della spiritualità dell'unità. Sono lieto di andarla a trovare sabato.

O.R. Quali sono i risultati emersi dalla tavola rotonda di Ginevra in occasione della settimana di preghiera per l'unità?

S.K. Quando ai partecipanti alla tavola rotonda all'inizio della Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani a Ginevra è stato chiesto di dare esempi concreti dei risultati della mancanza di unità delle Chiese, la risposta di suor Sheila Flynn, religiosa domenicana che opera tra persone che convivono con hiv e aids nei pressi di Johannesburg, è stata: «Il risultato della mancanza di unità nel nostro contesto è la morte!». Questa affermazione mostra che l'unità della Chiesa non è soltanto una domanda o un concetto che qualche teologo o funzionario ecclesiastico potrebbe considerare importante. No, è un interrogativo che riguarda ogni singolo cristiano, poiché è una questione sulla vita o sulla morte. L'unità è imperativa per la credibilità della testimonianza della Chiesa nel nostro mondo.

O.R. Quali sono le basi per un dialogo fecondo tra le Chiese? In che modo la cultura e l'economia influenzano questo dialogo?

S.K. Il dialogo non può ignorare le condizioni contestuali delle Chiese. La cultura e l'economia sono fattori importanti che incidono sulla vita dei cristiani e sul loro reciproco percepirsi. Per molto tempo, i cosiddetti «fattori non teologici» non sono stati presi sufficientemente sul serio. La credibilità degli interlocutori nel dialogo soffrirà se lo scandalo del crescente divario tra ricchi e poveri o l'egemonia della cultura consumistica, che va di pari passo con l'espansione dell'economia globale, non verranno affrontati. La credibilità è un presupposto per la fiducia e la confidenza reciproche, necessarie per un dialogo fecondo.

O.R. Trecentoquarantasette fra Chiese e comunità religiose fanno parte del Wcc. Quale di queste sta portando contributi nuovi e/o nuovi impegni per l'organizzazione?

S.K. L'appartenenza al Wcc è stata ripetutamente definita come il desiderio delle Chiese membro di essere «insieme sul cammino» verso l'unità visibile e la testimonianza comune. In questo modo, le Chiese membro sono preparate a portarsi avanti reciprocamente, ognuna offrendo un dono particolare all'associazione, un dono che aiuta tutti noi a riconoscere la nostra unità in Cristo.

O.R. Qual è la sua visione personale dei futuri rapporti con Roma e del cammino ecumenico in generale?

S.K. La mia visione del movimento ecumenico è che entro la metà del ventunesimo secolo avremo raggiunto un livello di unità tale che i cristiani ovunque, a prescindere dalla loro affiliazione confessionale, potranno pregare e venerare insieme e sentirsi i benvenuti alla Mensa del Signore in ogni chiesa; e che attraverso questo esempio la Chiesa potrà aiutare l'umanità a superare ogni divisione e i popoli del mondo a riuscire a vivere insieme in pace e armonia, indipendentemente dal loro sfondo culturale e dalla loro identità. A tal fine, sono convinto che i rapporti tra il Wcc e Roma saranno più forti e profondi negli anni a venire. Personalmente sono impegnato a portare questo rapporto verso vette più alte.


* L’intervista con Samuel Kobia, segretario generale del Consiglio
ecumenico delle Chiese, è stata realizzata da Marco Bellizi e pubblicata da L’Osservatore
Romano’
il 24-01-2008.

Il rituale offre un'ampia scelta di letture bibliche


Rito del matrimonio: i testi biblici

di Giovanni Giavini



Nel nuovo rituale i testi biblici proposti sono moltissimi, più o meno ampi, completi o ridotti, scelti con criteri presentati in modo sintetico (troppo) nelle premesse, senza indicazioni sul modo di accorparli in una specifica celebrazione (lasciato alla libertà del celebrante o dei nubendi); i testi si aprono a diversi utilizzi e a varie interpretazioni (magari sfruttando solo una frase).

Essere ortodosso in Occidente

di Vladimir Zelinskij




Il tema che mi è stato proposto non solo non si potrebbe esprimere nel quarto d'ora che mi è stato accordato, ma neppure in quella che è la mia lingua madre. “Essere ortodosso in Occidentecome argomento, forse, corrisponde perfettamente allo spazio di un quarto d'ora, ma tutto quello che può essere abbracciato dalle parole russe “byt' pravoslavnym na Zapade” [essere ortodosso in Occidente] basterebbe a scrivere un libro intero “di fredde osservazioni della mente e dolenti note del cuore” (Puškin). La differenza tra la frase italiana e il suo legnoso calco russo è simile alla differenza tra la russa “confessione di un cuore ardente” (Dostoevskij) e la conferenza cortesemente distaccata, che si mantiene entro precisi argini. Tuttavia lo stile del nostro discorso spesso ne condiziona la sostanza e perciò, se vogliamo mantenerci fedeli al tema, dobbiamo trovare una via intermedia, che operi un compromesso fra queste due tonalità, esprimendo in russo un'esperienza italiana, vissuta tra due realtà e per lo meno in due lingue.

Com'è noto la terra d'esilio - esprimiamo con questo elevato termine puškiniano la strana sensazione di strappo fisico dal nostro stesso passato - ci condanna a tornare in noi. Per questo “essere ortodosso in Occidente” prima di tutto ha voluto dire per me cercare di esserlo di nuovo, tornare all'ortodossia ricco di una nuova esperienza, compiere un pellegrinaggio interiore “nel paese d'Oriente” (Hesse) pur restando in Occidente, mantenendo contatti quotidiani, culturali, amicali e spesso di preghiera con la Chiesa cattolica. E questo mio ritorno non ha voluto dire in alcun modo dissociarsi dalla nuova esperienza occidentale, ma ricercare la comune origine spirituale. Poiché in questa origine, ortodossia e cattolicesimo rimangono nel profondo, nonostante tutto ciò che li divide, rivolti l'uno verso l'altra, direi che segretamente si cercano. Segretamente, perché nessuna delle due parti ancora si rende conto del bisogno che ha.

Innanzitutto, come ben sappiamo, le due Chiese confessano se stesse negli stessi identici termini, proclamando di essere una, santa, conciliare o cattolica, basata sulla comune eredità apostolica. E questo rivendicare un'unica verità indivisibile, ferme restando le sue diverse interpretazioni, crea ad un tempo il terreno per un secolare conflitto e per una riconciliazione nell'unica fede, riconciliazione che dobbiamo ancora scoprire o meglio lasciare che si rinnovi, come può rinnovarsi un icona in risposta alle preghiere umane. Anche per questo non bisogna parlare della necessità di trovare una verità comune, quanto della necessità di un nuovo incontro nella verità eterna che “da tempo è stata trovata” (Goethe), ma che si cela sotto la coltre delle nostre tradizioni e neanche in primo luogo delle tradizioni ma delle forme, delle ombre storiche e confessionali che una Chiesa getta sull'altra.

Tuttavia la divisione tra Oriente e Occidente non corre solo tra le diverse forme della verità ma anche, per dirla con le parole di Buber, “tra due tipi di fede”, che naturalmente, oltre al fondamento dogmatico, ne hanno anche uno umano. L’Occidente visto da Oriente, così come l'Oriente visto in proiezione da Occidente manifestano spesso il nostro segreto desiderio di guardare l'altro come vorremmo vederlo, o meglio, il desiderio di non guardarlo affatto, a seconda che lo consideriamo con simpatia o con ostilità. La libertà che è esplosa in Oriente - e non parlo solo della Russia - ha dato via libera a questi desideri ed oggi si sono delineate per lo meno due immagini “ortodosse” di Europa, che continuano a respingersi l'una l'altra.

In un caso l'immagine ortodossa dell'Europa si leva come un baluardo per respingere l'ininterrotta aggressione occidentale contro l'ortodossia. È una sorta di linea Maginot psicologica posta a salvaguardare l'ultimo sostegno dell'autentica pietà, mentre quest'ultima, più si sente dolorosamente circondata da ogni lato più si spinge verso l'alto, arrivando ormai fino al cielo, anzi “nel più alto dei cieli”, per suddividerlo in settori, quello aperto per noi, e quello chiuso per gli altri. È pur vero che l'Europa e l'America, in certi casi, servono da spauracchio preso a prestito da agitare davanti al nemico di casa, e la stessa parola Occidente non è altro che il simbolo della tentazione occidentalista, che agisce e corrode oppure che si accinge a rinnovare l'ortodossia dal di dentro. Capita che l'antiecumenismo più sfegatato in Oriente, anche se si atteggia a san Giorgio che uccide il drago, possa tranquillamente instaurare rapporti amichevoli e persino cordiali col drago, che gli renda visita nella sua stessa tana in Occidente, e arrivi persino a fargli dono dei propri libelli anti-drago. In realtà, il mostro cattolico, per quanto astuto e ostile possa essere, resta per chi lo combatte un oggetto di scarso interesse; del resto anche la diaspora ortodossa in Occidente spesso lo considera un vicino seccante e poco simpatico (che per di più occupa tutto lo spazio a disposizione) e gli volta le spalle. Di conseguenza, nella prospettiva dell'unità, l'antiecumenismo ortodosso freddo e rigido qui in Europa è ben peggiore e senza rimedio degli anatemi orientali. Ma qui si aprirebbe un altro discorso.

Esiste, a dire il vero, anche un'altra immagine ecumenica, o piuttosto antiantiecumenica dell'Occidente che ha solide radici in Oriente, immagine che parte più o meno consapevolmente dal presupposto che il cattolicesimo sia appunto l'ortodossia ideale, tornata finalmente al Vangelo, liberatasi dallo spirito mercantile moscovita, dalla pesantezza imperiale, dall'iraconda intolleranza da Avvakum e dall'abbietta adulazione untuosa. Ricordo come si crea quest'immagine in base alla mia esperienza personale, ma ora so anche che le Chiese ideali non si edificano cercando di eliminare con un'operazione mentale determinati difetti della propria Chiesa, poiché la strada dell'unità non incomincia dalle nostre proiezioni, ma deve prendere corpo organicamente dal terreno, dallo spazio spirituale in cui sussistiamo.

UNA CHIESA RIDOTTA A MUSEO

Ma se l’Oriente, nei riguardi dell'Occidente, come dice Blok, “scruta, scruta e scruta, con odio e con amore”, l'Occidente, dal canto suo, spesso incapace persino di immaginare un tale ribollire di sentimenti, prende le distanze dall'Oriente, posto che vogliamo chiamare convenzionalmente con questo nome l'ortodossia, con una scelta più conciliante, più amichevole e soprattutto più astuta. L'Occidente non costruisce baluardi, però circonda l'Oriente con una sorta di recinto invisibile ma impenetrabile, alle cui porte sta scritto “museo delle credenze orientali”. Su queste porte fa bella mostra di sé la chiesa di San Basilio, imponente come un lustro samovar, copiato dai dépliant turistici. E dietro al San Basilio-samovar incomincia subito quello che io chiamo “la più vieta Zagorsk” (perché, bene o male, in Occidente hanno assimilato il concetto che la Lituania e la Georgia non fanno più parte della Russia, ma quasi nessuno ce la fa a pronunciare il nome della “Lavra della Trinità di san Sergio”).

A Zagorsk dunque (nella Lavra vera e propria o più o meno là attorno), le lampade davanti alle icone tremolano in modo così intimo e misterioso, il popolo canta così a lungo, in modo incomprensibile ma tanto, tanto devoto, che sembra venuto fuori dritto dalla santa Rus'; insomma qui spira, scintilla e alita quello che è definito dalla misteriosa parola spiritualità. La spiritualità (non troveremmo un termine analogo che sia adeguato nell'uso linguistico russo) viene spesso concepita come una sorta di lusso orientale un po' eccessivo nella vita cristiana normale; è questa spiritualità che si mette in mostra e si onora talvolta proprio come un reperto del museo di Zagorsk.

Qualche volta, non avendo sottomano il famoso popolo o un bel pellegrino vecchio stile, mi invitano come massimo esperto di Zagorsk che c'è in circolazione, ai più svariati incontri e conferenze per sentirsi raccontare in quindici minuti che là a Zagorsk le vicende ecumeniche, la riconciliazione tra le Chiese e l'amore per tutta l'umanità stanno andando a gonfie vele. Chissà perché ogni volta, dopo queste conferenze, mi vien voglia di controproporre un mio tema non troppo conciliante però tipicamente zagorskiano e discutere, ad esempio, dei chiari, sinistri e indiscutibili segni della venuta dell'anticristo in questo mondo, oppure della cerimonia per accogliere nell'ortodossia un eretico e secondo quale Rituale scacciare da lui i demoni. Il tentativo di disfarsi dell'Occidente tradisce una specie di reazione di difesa dell'Oriente, il quale continua a pensare, per quanto si cerchi di farlo ricredere, che l'altro lo voglia rendere totalmente uguale a sé. In compenso in Occidente si coltiva viceversa la molteplicità più rigogliosa, la dissimiglianza, l'insistita orientalità di tutto ciò che non è Occidente, e nel complesso, si ammette con assoluta tranquillità che le fedi debbono essere tante, che sono tutte “belle e buone”, e che ognuno può averne una sua personale.

Ricordo che la redattrice di una famosa rivista, una signora praticante e colta, nel commissionarmi un articolo sull'ortodossia mi ha chiesto con estrema benevolenza di spiegare ai lettori, i quali “non sanno assolutamente nulla”, che differenza passa tra la mia religione e il cristianesimo. Nella sua domanda non c’era nessun sottinteso complesso di superiorità cattolica, ma piuttosto la coscienza che tutte le religioni sono buone e quelle orientali, nella loro stranezza, sono ancor meglio; ma ammetto che ogni volta, davanti a questo genere di interesse verso l'ortodossia, mi viene da rispondere come il Mancino leskoviano (1): “Che differenza? Semplice: che i nostri libri contro i vostri sono più grossi, e che abbiamo anche le icone fatte dalla mano di Dio, e le teste che stillano tomba, e i monaci veggenti, e i Zosima di Dostoevskij, e i pope col barbone...”. Fate del Mancino un dottore in teologia e la sua risposta diventerà esattamente come quella che si aspettano da me, basta solo aggiungere un pizzico di ecumenismo dolciastro. Infatti la benevolenza occidentale verso il museo di Zagorsk, mi par di capire, deriva in sostanza da una segreta, strettissima parentela con l'intolleranza di Zagorsk; che l'una e l'altra usino maniere ben differenti è evidente, ed ha il suo peso, ma per quel che concerne l'unità cristiana non sono di alcuna utilità.

IL RICHIAMO PROFONDO DELL'UNITÀ

Essere ortodosso in Occidente, se non ti vuoi seppellire da solo in un ghetto dorato e non scegli di stare in un perenne stato di guerra fredda con l'Occidente, vuol dire sentire ogni tanto che la tua ortodossia non solo è chiusa a sette mandate dietro alle spesse mura della vera Zagorsk, costruite contro gli eterodossi, ma è anche difesa da un'ampia cancellata da museo, dietro alla quale si trovano diverse “riserve religiose”, comprese le più esotiche e le più intolleranti.

Tuttavia, questa mentalità è resa un tantino retrograda dal fatto che prende in considerazione un'immagine del mondo che sta scomparendo a vista d'occhio. Per questo l'Occidente, se parliamo delle masse popolari, della gente della strada, non si accorge affatto dell'ortodossia che ha in casa, non dico del mosaico delle più diverse Chiese nazionali, ma appunto della fede che è già nata, che ha messo radici e intende svilupparsi qui. All'ortodossia si trova un posto solo nella “riserva indiana”, russa, greca o romena che sia. Del resto, la maggioranza dei parrocchiani e tutti i sacerdoti del Patriarcato di Mosca in Italia, tanto per fare un esempio, ormai sono di nazionalità italiana; tra i monaci del Monte Athos si possono trovare anche giovani francesi; le Chiese ortodosse locali (ovvero la diaspora ortodossa) crescono a poco a poco ma costantemente negli Stati Uniti, in Inghilterra, in Finlandia, in Polonia, eccetera. Io sono in corrispondenza con un predicatore carismatico ortodosso del Kenya; ad ascoltarlo, a vedere nelle foto la popolazione locale che prega genuflessa davanti a un icona della Madre di Dio, viene involontariamente da pensare: guarda dov'è andata a finire la Santa Rus'. La vecchia geografia confessionale cambia ogni giorno e la fede della Chiesa bizantina, estinta da tempo immemorabile, dopo tutti gli uragani e i turbini che l'hanno colpita nel nostro secolo (e che non l'avevano risparmiata neppure nei secoli precedenti), ha manifestato all'improvviso un’insolita vivacità e inaspettatamente, contro la propria volontà e quasi inosservata, si è diffusa per i sei continenti. E penso che l'esistenza di un’ecumene ortodossa sia un bene non soltanto per l'ortodossia stessa, ma anche per il mondo cristiano che la circonda e che interagisce con essa, dato che dopo l'epoca delle escursioni nei musei dell'ecumenismo che le Chiese si sono scambiate fino ad ora, incomincia finalmente il tempo di un autentico scambio di doni.

Esattamente allo stesso modo, non si può non vedere che il nascere e il diffondersi del cattolicesimo nell'Oriente ortodosso è un processo altrettanto irreversibile ed organico, forse parzialmente forzato, ma certo non totalmente impiantato dall'esterno. Il cosiddetto cattolicesimo russo, e sottolineo questo aggettivo, affonda le sue radici non solo in personalità come Čaadaev e Solov'ëv, come Leonid Fëdorov e il vescovo Varfolomej Remov, ma anche nella persona di padre Sergij Bulgakov, benché questi, dopo il suo improvviso avvicinamento a Roma, continuò poi a polemizzare con essa per tutta la vita. Il fatto è che la cattolicità (kafoličnost', come diciamo noi rifacendoci al greco), o universalità, è il tema o piuttosto uno dei temi dell'anima religiosa russa. L’impulso spontaneo di padre Sergij Bulgakov, che trova espressione nell'opera Alle mura di Chersoneso, anche se ripudiato e rimosso subito dopo, ha messo a nudo meglio di qualsiasi altra cosa, per un istante ma con chiarezza penetrante, questa aspirazione all'universalità, o la “ricerca universale della verità” che talvolta si nasconde nell'anima ortodossa, in quella russa in particolar modo, anche se spesso ne viene scacciata come una “tentazione dell'Occidente”. E si troveranno sempre degli uomini, in terra ortodossa, che si comporteranno come se non avessimo mai litigato e non cercassimo cospirazioni esterne, per i quali questa ricerca della cattolicità-universalità e della “Città Nuova” prenderà le forme di un pellegrinaggio spirituale e confessionale dalla Terza Roma alla Prima.

D'altro canto, in Occidente non fa che crescere il numero delle persone che, nelle proprie confessioni occidentali sente la mancanza della viva tensione al mistero, della sacralità, della tradizione, dell'opera della preghiera, della ricchezza simbolica. Esiste una particolare nostalgia dell'ortodossia anche nell'anima cattolica (quella protestante, in particolare di tendenza fondamentalista, in questo senso è un po' più corazzata), esiste una passione che non è solo per il museo religioso e le esposizioni di icone, ma per la sorgente spirituale da cui nasce l'icona, per la quale si compie l'Eucaristia, da cui cresce tutta la struttura ascetica e spiritualizzatrice della Chiesa orientale. E questo interesse ha sotto di sé un fondamento eucaristico. Se qualche anno fa avrei potuto percepire solo intuitivamente questa sete e questa ricerca reciproca fra le nostre Chiese-sorelle, ora la mia sensazione ha trovato conferma nell'esperienza del rapporto con una moltitudine di cattolici, sacerdoti e laici, non soltanto in Italia. Essere ortodosso in Occidente vuol dire portare in sé l'esperienza e l'annuncio che la divisione in confessioni su base nazionale ha fatto il suo tempo, che il mondo cerca una Chiesa universale o plerodossa, come dice Vjačeslav Ivanov, aperta al mistero di Dio e al mistero dell'uomo, dove una non può sussistere senza l'altra.

E tuttavia, se in un caso questo mistero fa di tutto per seppellirsi dietro alle mura di Zagorsk (sia in senso letterale che figurato), nell'altro spesso si desacralizza in quel culto sconfinato e addirittura fanatico dell'uomo che sotto i nostri occhi si fa religione. La tolleranza e l'interesse per l'ortodossia come oggetto da museo, di cui ho parlato, ha alle spalle un fondamento filosofico ben preciso, anche se non sempre consapevole. Lo si potrebbe esprimere con la formula con la quale Reinhold Niebuhr una volta ha cercato di definire la sostanza del protestantesimo liberale americano: “un Dio senza ira conduce un uomo senza peccato in un Regno di Dio senza giudizio, tramite un Cristo senza croce”. In questa religione senza spigoli tutto assume le forme della cultura e del folclore, e la cultura stessa porta in sé la propria salvezza e la propria forma di religiosità. In tale religiosità l'uomo talvolta si permette, senza tanti complimenti, di giudicare e decidere di cose di cui non sempre ha il diritto e la capacità di giudicare e decidere. A questo punto incomincia una fede personale, che non saprei se si possa ancora chiamare cristiana.

SENTIRE IL DRAMMA DELLA DIVISIONE

Per finire vorrei raccontarvi una storia tipica, che mi ha alquanto sorpreso. Nella scuola frequentata da mio figlio l'insegnante di religione ha trattato, come si usa dire, il tema della morte. E ha deciso di prendere come esempio la storia di un ragazzo drogato, con spiccate doti d'artista, che è vissuto nella nostra città ed è morto un paio d'anni fa di Aids. Dopo aver raccontato della sua morte, ha chiesto agli alunni di dieci-undici anni di scrivere una poesia. E tutti i bambini dal primo all'ultimo, ispirati dal suo racconto e toccati dal mistero della morte che si era un po' rivelato loro, anche se non come una cosa terribile ma familiare, hanno scritto dei versi su questo Fabio. La cosa sorprendente è che la maggioranza ha scritto delle poesie non brutte (poi sono state pubblicate e donate al padre del pittore), dimostrando che persino nell'anima di calciatori sfegatati, quali sono quasi tutti i bambini italiani, ancora albergano dei rivoli di poesia. Queste poesie sono state lette sul palcoscenico, messe in musica e dotate di coreografia. Fra l'altro tutte le poesie, in base al tema assegnato, non parlavano del Fabio che era vissuto recentemente ma di quello che vive adesso, nell'aldilà. I bambini, per lo più provenienti da normali famiglie cattoliche, ci avevano messo tutto quello che pensavano dell'aldilà, quello che gli hanno insegnato a scuola, a casa, al catechismo, e cioè che dopo la tomba c'è un paradiso fantastico, allegro, dove si sta bene, e Fabio in special modo. Qualsiasi accenno di riflessione inquietante o anche serena veniva spazzata via dalla censura scolastica. In questa visione non c'era il minimo posto né per la preghiera, né per il suffragio, e neppure per qualche dubbio sulla gloria celeste e la pace eterna preparate per tutti e per ciascuno, al punto che poteva persino nascere il desiderio di non fermarsi troppo in questa vita per correre subito dietro al defunto, cantando e ballando. A dire il vero, qualcosa che assomigliava a una preghiera si è sentito, tuttavia non era una preghiera per Fabio ma a Fabio; nella scena finale, tutti insieme (si era arrivati a una vera e propria messa in scena teatrale) i ragazzi, presisi per mano, gridavano verso il cielo: Fabio sei il nostro fiore, il nostro sole, la nostra cometa, la nostra fonte di luce, Fabio sei tu il nostro azzurro!.

In sostanza, se con la bocca dei lattanti e della povera maestra, nel nostro caso, non è affermata tutt'intera la verità, forse questa risuonerà allora per bocca del presidente della Società teologica italiana il quale, nella presentazione di un suo libro sulla Chiesa, ha esordito chiedendosi a cosa serva la Chiesa se comunque sono già tutti salvati senza eccezione. Risposta: perché esiste la via regale, ampia, mentre ci sono sentieri e viottoli d'ogni tipo, e comunque, alla fine, tutte le strade portano al cielo. Sarebbe troppo bello, ho pensato io, e la mia testarda memoria ortodossa mi ha richiamato immediatamente alcune citazioni del Vangelo, il quale non è altrettanto indulgente al riguardo e non afferma assolutamente che la via più ampia ci porta sempre dove vogliamo. Se la Chiesa viene strappata dal contesto della salvezza (che sarebbe per tutti indistintamente), allora effettivamente per quanto ancora sarà necessaria? Per contro, nelle ultime pubblicazioni ortodosse di stretta osservanza che ho portato da Mosca e tengo in biblioteca, non si fa che ribadire con accanita esultanza, con gusto direi, il concetto che la sola idea dell'apocatastasi (cioè che l'inferno e le sue pene potranno un giorno, dopo un tempo interminabile, avere fine) è chiaramente demoniaca, e che l'ecumenismo è di per sé l'eresia delle eresie, che va colpito da anatema, e che al di fuori della vera Chiesa si spalanca la geenna, dove non si può neppur pensare alla salvezza... Da una parte una crescente e diffusa insensibilità verso il “mistero dell'iniquità” che opera nel mondo e nell'uomo, e dall'altra quasi l'ossessione delle tenebre che incominciano subito, senza alcuna gradualità, oltre il cerchio magico dell'ortodossia da noi tracciato...

Essere ortodosso in Occidente vuol dire sentire il continuo richiamo di voci che non si sentono l'una l'altra; vuol dire sentire sulla pelle e nello spirito la differente temperatura spirituale e confessionale di due mondi religiosi che non confluiscono l'uno nell'altro. Vuol dire scoprire di nuovo, non solo nelle ricerche ma nel profondo del cuore, quello che si chiama “il dramma della divisione”, che non è affatto tolto ma solo leggermente anestetizzato dalle facili fraternizzazioni e dall'ecumenismo ufficiali. La drammaticità di questa divisione consiste nel fatto che gli attori stessi, nella gran maggioranza, in sostanza non sentono alcuna divisione; le loro verità, a dispetto del bisogno e della nostalgia reciproci, stanno rinchiuse nelle loro corazze protettive, e ciascuno conserva la propria ricchezza, la propria memoria, l'unica visione del mondo giusta, che è la sua. E se una di queste verità ha trattenuto fermamente in sé le parole “quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio” (Gv l6,8) sul destino di ogni singola anima che sta davanti a Dio, l'altra, almeno nelle intenzioni iniziali, si fonda sulla concezione dell'unità sostanziale, ontologica del genere umano, raccolto e redento da Cristo. E tuttavia, la differenza di misura e il contrasto nel modo di interpretare e di vivere queste verità in “Occidente” e in “Oriente” (temo non mi bastino le virgolette per sottolineare l'assoluta convenzionalità di questa distinzione geografica) confermano appunto che prima o poi questi due mondi dovranno intersecarsi come i due bracci della croce del Signore; che alla fine dei conti non potranno fare a meno di incontrarsi e di ritrovarsi nel mistero comune, nell'annuncio comune e nel calice condiviso.

Nota

1) Protagonista dell’omonimo racconto di Leskov (Levša). La citazione parafrasa comicamente dei lughi comuni della devozione ortodossa.

Una parola comune tra noi e voi.
Lettera aperta e appello

138 guide religiose musulmane




I Firmatari della lettera aperta (in ordine alfabetico):

sultano Muhammadu Sa'ad Ababakar, 20o sultano di Sokoto e leader dei musulmani della Nigeria; sceicco Hussein Hasan Abakar, imam dei musulmani del Ciad e presidente dell'Alto consiglio per le questioni islamiche del Ciad; Abdul-Salam Al-Abbadi, preside dell'Università «Aal Al-Bayt» e già ministro per le questioni religiose della Giordania; Taha Abd Al-Rahman, presidente del Circolo della saggezza per intellettuali e ricercatori del Marocco e direttore della rivista Al-Umma Al-Wasat dell'Unione internazionale degli studiosi musulmani; Feisal Abdul Rauf, co-fondatore e presidente del gruppo dirigente dell'Iniziativa di Cordoba, fondatore della Società americana per lo sviluppo dell'islam, imam di Masjid Al-Farah, New York (USA); sceicco Muhammad Nur Abdullah, vicepresidente del Consiglio Fiqh dell'America del Nord (USA); sceicco Abd Al-Quddus Abu Salah, presidente della Lega internazionale per l'etica islamica e direttore del Journal for Islamic Ethics (Riyadh); Abd Al-Wahhab bin Ibrahim Abu Solaiman, membro della Commissione degli ulema anziani (Arabia Saudita); Lateef Oladimeji Adegbite, segretario e consulente legale del Consiglio supremo nigeriano per le questioni islamiche; Akbar Ahmed, cattedra Ibn Khaldun di Studi islamici presso l'Università americana di Washington D.C.; Bola Ajibola, già giudice internazionale, già ministro nigeriano della giustizia; già procuratore generale della Nigeria, fondatore dell'Università della Mezzaluna di Abeokuta (Nigeria) e del Movimento islamico africano; Kamil Al-Ajlouni, direttore del Centro nazionale giordano per il diabete, fondatore dell'Università giordana per la scienza e la tecnica, già ministro e già senatore; sceicco Mohammed Salim Al-'Awa, segretario generale dell'Unione internazionale degli studiosi musulmani; presidente dell'Associazione egiziana per la cultura e il dialogo; Nihad Awad, direttore esecutivo nazionale e co-fondatore del Consiglio per le relazioni islamo-americane (USA); Al-Hadi Al-Bakkoush, già primo ministro tunisino e autore; sceicco Al-islam Allah-Shakur bin Hemmat Bashazada, gran muftì dell'Azerbaigian e direttore dell'Amministrazione musulmana caucasica; Issam El-Bashir, segretario generale del Centro internazionale per la moderazione (Kuwait) e già ministro per le questioni religiose del Sudan; sceicco allamahAbd Allah bin Mahfuz bin Bayyah, docente presso l'Università ReAbdul Aziz(Arabia Saudita); già ministro della giustizia, già ministro dell'educazione e già ministro per le questioni religiose della Mauritania, vicepresidente dell'Unione internazionale degli studiosi musulmani; fondatore e presidente del Centro globale per il rinnovamento e la guida; Mohamed Bechari, presidente della Società federativa dei musulmani di Francia, segretario generale della Conferenza islamica europea (Francia), membro dell'Accademia internazionale Fiqh; Ahmad Shawqi Benbin, direttore della biblioteca Hasaniyya (Marocco); sceicco allamah Muhammad Sa'id Ramadan Al-Buti, decano del Dipartimento per le religioni dell'Università di Damasco (Siria); Mustafa Çaðrici, muftì di Istanbul (Turchia); sceicco Mustafa Ceri, gran muftì e leader degli ulema di Bosnia ed Erzegovina; Ibrahim Chabbuh, direttore generale del Regio istituto Aal al-Bayt per il pensiero islamico (Giordania), presidente dell'Associazione per la salvaguardia della città di Kairouan (Tunisia); Mustafa Cherif, intellettuale musulmano, già ministro per l'educazione superiore e già ambasciatore dell'Algeria; Caner Dagli, assistente presso il College Roanoke (USA); ayatollah seyyed Mostafa Mohaghegh Damad, decano del Dipartimento per gli studi islamici dell'Accademia iraniana delle scienze (Iran), docente di Diritto e Filosofia islamica presso l'università di Teheran; membro dell'Accademia iraniana delle scienze, già ispettore generale; ayatollah seyyed Abu Al-Qasim Al-Deebaji, imam della moschea Zayn Al-Abideen (Kuwait); Shakir Al-Fahham, preside dell'Accademia per la lingua araba (Damasco), già ministro per l'educazione; sceicco seyyed Hani Fahs, membro della Commissione suprema della Shia (Libano), membro fondatore del Comitato arabo per il dialogo islamo-cristiano e del Comitato permanente per il dialogo libanese; sceicco Salim Falahat, direttore generale della Fratellanza musulmana (Giordania); capo Abdul Wahab Iyea Folawiyo, membro del Consiglio supremo per le questioni islamiche della Nigeria, vicepresidente dellaJamaat Nasril Islam; sceicco Ravil Gainutdin, gran muftì di Russia; Ibrahim Kolapo Sulu Gambari, giudice presso la Corte d'Appello nigeriana; vicepresidente nazionale dell'Associazione calcistica nigeriana; Abd Al-Karim Gharaybeh, storico e senatore della Giordania; Abdullah Yusuf Al-Ghoneim, direttore del Centro per la ricerca e gli studi kuwaitiani, già ministro dell'educazione; Bu Abd Allah bin al-Hajj Muhammad Al Ghulam Allah, ministro algerino per le questioni religiose; Alan Godlas, associato di Studi islamici all'Università della Georgia (USA), caporedattore di Sufi News e Sufism World Report; direttore del gruppo di discussione online Sufis Without Borders; sceicco Nezdad Grabus, gran muftì di Slovenia; sceicco Al-Habib Ahmad bin Abd Al-Aziz Al-Haddad, muftì capo di Dubai(Emirati arabi uniti); sceicco Al-Habib Ali Mashhour bin Muhammad bin Salim bin Hafeeth, imam della moschea e leader del Consiglio per la fatwa di Tarim (Yemen); sceicco Al-Habib Umar bin Muhammad bin Salim bin Hafeeth, decano di Dar Al-Mustafa di Tarim (Yemen); Farouq Hamadah, docente di Scienze della tradizione presso l'Università Mohammad V del Marocco; sceicco Hamza Yusuf Hanson, fondatore e direttore dell'Istituto Zaytuna (CA, USA); sceicco Ahmad Badr Al-Din Hassoun, gran muftì della Repubblica siriana; sceicco sayyed Ali bin Abd Al-Rahman Al-Hashimi, consigliere del presidente per le questioni giudiziarie e religiose (Emirati arabi uniti); Hasan Hanafi, intellettuale musulmano presso il Dipartimento di filosofia dell'Università del Cairo; Kabir Helminski, sceicco dell'ordine dei Mevlevi,co-direttore della Fondazione per il libro (USA); sceicco Sa'id Hijjawi, primo studioso del Regio istituto Aal al-Bayt per il pensiero islamico; già gran muftì della Giordania; sceicco Ahmad Hlayyel, giudice supremo (Giordania), imam della corte hashemita; già ministro per le questioni religiose; Murad Hofmann, autore e intellettuale musulmano (Germania); Anwar Ibrahim, già vice-primoministro della Malaysia; presidente onorario di AccountAbility; sceicco Izz Al-Din Ibrahim, consigliere culturale del primo ministro (Emirati arabi uniti); Ekmeleddin Ihsanoglu, segretario generale dell'Organizzazione della conferenza islamica; Omar Jah, segretario del Consiglio degli studiosi musulmani (Gambia), docente di Pensiero e civiltà islamici presso l'Università del Gambia; Abbas Al-Jarari, consigliere del re del Marocco; sceicco Al-Habib Ali Zain Al-Abidin Al-Jifri, fondatore e direttore dell'Istituto Taba (Emirati arabi uniti); sceicco Ali Jum'a, gran muftì della Repubblica d'Egitto; Yahya Mahmud bin Junayd, segretario generale del Centro per la ricerca e gli studi islamici Re Faisal (Arabia saudita); Ibrahim Kalin, direttore della Fondazione per la politica, l'economia e la ricerca sociale (Ankara), assistente all'Università Georgetown (USA); Aref Kamal, intellettuale musulmano (Pakistan); 'Abla Mohammed Kahlawi, decano di Studi arabi e islamici presso il Collegio femminile dell'Università di Al-Azhar (Egitto); Said Hibatullah Kamilev, direttore dell'Istituto moscovita per la civiltà islamica (Russia); hafiz Yusuf Z. Kavakci, studioso residente dell'Associazione islamica del Texas del Nord, fondatore e docente dell'Accademica coranica dell'Associazione islamica del Texas del Nord; decano fondatore del Seminario islamico Al-Suffa (Dallas); Nuh Ha Mim Keller, sceicco dell'ordineShadhili(USA); Mohammad Hashim Kamali, decano e docente presso l'Istituto internazionale per il pensiero e la civiltà islamici dell'Università internazionale della Malaysia; sceicco Amr Khaled, missionario islamico, predicatore radiofonico (Egitto), fondatore e presidente della Fondazione internazionale Giusto inizio; Abd Al-Karim Khalifah, presidente dell'Accademia giordana per la lingua araba; già preside dell'Università della Giordania; sceicco Ahmad Al-Khalili, gran muftì del Sultanato di Oman; seyyed Jawad Al-Khoei, segretario generale della Fondazione internazionale Al-Khoei; sceicco Ahmad Kubaisi, fondatore dell'Organizzazione degli ulema dell'Iraq; M. Ali Lakhani, fondatore e direttore di Sacred Web: A Journal of Tradition and Modernity (Canada); Joseph Lumbard, assistente pressol'Università Brandeis (USA); sceicco Mahmood A. Madani, segretario generale della Jamiat Ulama-i-Hind, parlamentare indiano; Abdel-Kabeer Al-Alawi Al-Madghari, direttore generale dell'Agenzia Bayt Mal Al-Quds(Fondo Gerusalemme), già ministro per le questioni religiose (Marocco); imam sayyed Al-Sadiq Al-Mahdi, già primo ministro, leader del movimento Ansar (Sudan); Rusmir Mahmutcehajic, docente presso l'Università di Sarajevo, presidente del Forum internazionale per la Bosnia, già vicepresidente del governo della Bosnia Erzegovina; sceicco allamahsayyed Muhammad bin Muhammad Al-Mansour, autorità suprema (Marja') per i musulmaniZeidi(Yemen); Bashshar Awwad Marouf, già rettore dell'Università islamica dell'Irak; Ahmad Matloub, già ministro per la cultura, presidente dell'Accademia irachena per le scienze; Ingrid Mattson, docente di Studi islamici e Relazioni islamo-cristiane, direttore del programma per la cappellania musulmana del Seminario di Hartford, presidente della Società islamica per l'America del Nord; Yousef Meri, professore straordinario invitato presso l'Istituto regio Aal al-Bayt per il pensiero islamico, Giordania; Jean-Louis Micron, autore, studioso musulmano, architetto, già esperto per l'UNESCO, Svizzera; sceicco Abu Bakr Ahmad Al-Milibari, segretario generale dell'Associazione Ahl Al-Sunna, India; Pehin dato Haj Suhaili bin Haj Mohiddin, vice-gran muftì del Brunei; ayatollah sceicco Hussein Muayad, presidente e fondatore del Forum per la conoscenza, Baghdad; Izzedine Umar Musa, docente di Storia islamica presso l'Università re Sa'ud, Arabia Saudita; Mohammad Farouk Al-Nabhan, già direttore di Dar Al-Hadith Al-Hasaniya, Marocco; Zaghloul El-Naggar, docente presso l'Università re Abd Al-Aziz di Gedda (Arabia Saudita), capo-commissione sui dati scientifici del glorioso Corano del Consiglio supremo per le questioni islamiche (Egitto); Sohail Nakhooda, caporedattore di Islamica Magazine (Giordania); Hisham Nashabeh, presidente del gruppo dirigente per l'educazione superiore, decano di Educazione presso l'Associazione Makassed (Libano); seyyed Hossein Nasr, docente di Studi islamici presso l'Università George Washington (Washington D.C.); Aref Ali Nayed, già docente presso il Pontificio istituto per gli studi arabi e islamici (PISAI, Roma), già docente pressol'Istituto internazionale per il pensiero e la civiltà islamici(Malaysia); consigliere anziano per il Programma interreligioso di Cambridge presso la Faculty of Divinity dell'Università di Cambridge (Inghilterra); sceicco Sevki Omarbasic, gran muftì di Croazia; datoAbdul Hamid Othman; consigliere del primo ministro della Malaysia; Ali Ozak, presidente del Patrimonio degli studi scientifici musulmani (Istanbul); imam Yahya Sergio Yahe Pallavicini, vicepresidente della Comunità religiosa islamica (Co.Re.Is.) italiana, presidente del Comitato per l'educazione e la cultura in Occidente dell'Organizzazione per l'educazione, la scienza, la cultura islamiche, consigliere per le questioni islamiche del Ministero degli interni italiano; sceicco Nuh Ali Salman Al-Qudah; gran muftì del Regno hashemita di Giordania; sceicco Ikrima Said Sabri, già gran muftì di Gerusalemme e di tutta la Palestina, imam della santa moschea di Al-Aqsa, e presidente dell'Alto consiglio islamico della Palestina; ayatollah Al-Faqih seyyedHussein Ismail Al-Sadr, Baghdad; Muhammad Al-Sammak, segretario generale del Consiglio nazionale per il dialogo islamo-cristiano, segretario generale del Summit sull'islam spirituale (Libano); sceicco seyyed Hasan Al-Saqqaf, direttore di Dar Al-Imam Al-Nawawi (Giordania); Ayman Fuad Sayyid, storico ed esperto di manoscritti, già segretario generale di Dar al-Kutub Al-Misriyya (Il Cairo); Suleiman Abdallah Schleifer, già docente presso l'Università americana del Cairo; seyyedReza Shah-Kazemi, autore e studioso musulmano (Inghilterra); Anas Al-Shaikh-Ali, presidente dell'Associazione degli scienziati sociali musulmani, presidente del Forum contro l'islamofobia e il razzismo, consigliere accademico dell'Istituto internazionale per il pensiero islamico (Inghilterra); imam Zaid Shakir, lettore e studioso invitato presso l'Istituto Zaytuna (CA, USA); Ali Abdullah Al-Shamlan, direttore generale della Fondazione kuwaitiana per il progresso delle scienze, già ministro per l'Educazione superiore del Kuwait; seyyedHasan Shariatmadari, leader del Partito nazionale repubblicano iraniano; Muhammad Alwani Al-Sharif, presidente dell'Accademia europea per la cultura e le scienze islamiche (Bruxelles); Mohammad Abd Al-Ghaffar Al-Sharif, segretario generale del Ministero per le questioni religiose (Kuwait); Tayba Hassan Al-Sharif, funzionario per la protezione internazionale presso l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Darfur); Muhammad bin Sharifa; già rettore dell'Università di Wajda (Marocco),membro della Regia accademia marocchina; Muzammil H. Siddiqui a nome dell'intero Consiglio Fiqh dell'America del Nord, studioso musulmano e teologo, presidente del Consiglio Fiqh dell'America del Nord; sceicco Ahmad bin Sa'ud Al-Siyabi, segretario generale del direttorio del gran muftì (Oman); Al-Haji Yusuf Maitama Sule; già rappresentante permanente della Nigeria presso le Nazioni Unite, già ministro nigeriano per la guida nazionale; Muhammad Abd Al-Rahim Sultan-al-Ulama, vicedecano per la ricerca scientifica dell'Università degli Emirati arabi uniti; sceicco Tariq Sweidan, direttore generale del canale satellitare Risalah; sceicco Ahmad Muhammad Muti'i Tamim, presidente dell'Amministrazione religiosa dei musulmani ucraini e muftì dell'Ucraina; sceicco Izz Al-Din Al-Tamimi, senatore, presidente della Corte suprema islamica, ministro per le questioni religiose e gran muftì della Giordania; sceicco Tayseer Rajab Al-Tamimi; presidente della Corte suprema islamica,presidente del Centro palestinese per il dialogo tra religioni e civiltà; principe Ghazi bin Muhammad bin Talal, inviato particolare e consigliere speciale del re Abdullah II, presidente del gruppo dirigente del Regio istituto Aal al-Bayt per il pensiero islamico (Giordania); Ammar Al-Talibi, già membro del Parlamento, docente di Filosofia presso l'Università dell'Algeria; ayatollah sceicco Muhammad Ali Taskhiri, segretario generale dell'Assemblea mondiale per il riavvicinamento delle scuole di pensiero islamiche (Iran); sceicco Ahmad Muhammad Al-Tayeb, presidente dell'Università Al-Azhar, già gran muftì dell'Egitto; Muddathir Abdel-Rahim Al-Tayib, docente di Scienze politiche e studi islamici presso l'Istituto internazionale per il pensiero e la civiltà islamici(Malaysia); Abdel-Hadi Al-Tazi, membro della Regia accademia marocchina; sceicco Naim Trnava, gran muftì del Kosovo; Abd Al-Aziz bin 'Uthman Al-Tweijiri, direttore generaledell'Organizzazione per l'educazione, la scienza, la cultura islamiche; Nasaruddin Umar, rettore dell'Istituto superiore per gli studi coranici, segretario generale Consiglio consultivo Nahdhatul Ulama, lettore presso l'Università statale islamica Syarif Hidayatullah (Jakarta); sceicco Muhammad Hasan 'Usayran, jafari muftì di Sidone e Al-Zahrani (Libano); muftì giudice allamahMuhammad Taqi Usmani, vicepresidente del Darul Uloom (Karachi); Akhtarul Wasey, direttore dell'Istituto Zakir Husain per gli studi islamici dell'Università Jamia Milla islamica (India); sceicco Abdal Hakim Murad Winter, sceicco zayed lettore in Studi islamici presso la Faculty of Divinity dell'Università di Cambridge, direttoredel Fondo per lo studio universitario musulmano (Inghilterra); Mohammed El-Mokhtar Ould Bah, preside della Moderna università Chinguitt (Mauritania); sceicco Muhammad Sodiq Mohammad Yusuf, già gran muftì dell'Amministrazione spirituale musulmana dell'Asia centrale (Uzbekistan), traduttore e commentatore del santo Corano; sceicco Wahba Mustafa Al-Zuhayli, decano del Dipartimento per la giurisprudenza islamica dell'Università di Damasco; sceicco Mu'ammar Zukoulic, muftì di Sanjak (Bosnia).
Una parola comune tra noi e voi.
Lettera aperta e appello

138 guide religiose musulmane




«Nel nome di Dio, il Clemente, il Misericordioso,
chiama gli uomini alla via del Signore
con la saggezza e i buoni ammonimenti
e discuti con loro nel modo migliore,
perché il tuo Signore meglio di chiunque conosce
chi si allontana dalla sua via,
meglio di chiunque conosce chi è ben guidato
»

(Il sacro Corano, Al-Nahl, Sura dell'ape 16,125)

L'amore di Dio

L'amore di Dio nell'islam

Le testimonianze di fede

Il credo centrale dell'islam consiste in due testimonianze di fede o shahadah,1 che affermano: «Non c'è dio se non Iddio, Muhammad è il Messaggero di Dio». Queste due testimonianze sono il sine qua non dell'islam. Colui o colei che le testimonia è un musulmano; colui o colei che le nega non è un musulmano. Inoltre il profeta Muhammad (su di lui la pace e la benedizione divina) disse: «La migliore invocazione è: "non c'è dio se non Iddio"».2

La cosa migliore, che tutti i profeti hanno detto

Approfondendo la migliore invocazione, il profeta Muhammad (su di lui la pace e la benedizione divina) disse anche: «La cosa migliore che ho detto - io stesso, e i profeti che mi precedettero - è "non c'è dio se non Iddio, l'Unico, senza associati, suo è il Regno, sua è la lode ed egli è potente su tutte le cose"».3 Le frasi che seguono la prima testimonianza di fede si trovano nel sacro Corano e ognuna descrive un aspetto dell'amore per Dio e della devozione a lui.

La parola «l'Unico» ricorda ai musulmani che i loro cuori4 devono essere consacrati all'unico Dio, poiché Dio dice nel sacro Corano: Dio non ha posto nel corpo di nessun uomo due cuori (Al-Ahzab, Sura delle fazioni alleate 33,4). Dio è assoluto e quindi la devozione a lui deve essere totalmente sincera.

Le parole «senza associati» ricordano ai musulmani che devono amare unicamente Dio, senza eguali nelle loro anime, poiché Dio dice nel sacro Corano: «Ma vi sono uomini che danno a Dio degli eguali, che essi amano come Dio; però quelli che credono più forte di loro amano Dio...» (Al-Baqarah, Sura della vacca 2,165). Infatti, «i loro corpi e i loro cuori si addolciscono all'invocazione di Dio…» (Al-Zumar, Sura delle schiere 39,23).

Le parole «suo è il Regno» ricordano ai musulmani che le loro menti e le loro conoscenze devono essere completamente votate a Dio, il Regno corrisponde precisamente a tutto ciò che c'è nella creazione o nell'esistenza e a tutto ciò che la mente può conoscere. E tutto è nelle mani di Dio, poiché Dio dice nel sacro Corano: «Sia benedetto colui nelle cui mani è il Regno, ed egli è capace di compiere ogni cosa» (Al-Mulk, Sura del Regno 67,1).

Le parole «sua è la lode» ricordano ai musulmani che devono essere grati a Dio e confidare in lui con tutti i loro sentimenti ed emozioni. Dio dice nel sacro Corano: «E se tu domandi loro: Chi ha creato i cieli e la terra, chi ha costretto il sole e la luna (nelle loro orbite)? Ti risponderanno: Dio. Come mai allora essi si volgono altrove? / Dio provvede ampiamente di mezzi chi egli vuole fra i suoi servi e li misura a chi egli vuole. In verità Dio è di tutte le cose sapiente. / E certo se tu domandi loro: Chi ha fatto scendere acqua dal cielo vivificando la terra morta? Essi risponderanno: Dio. Di': Sia lode a Dio! Ma i più di essi nulla comprendono» (Al-'Ankabut, Sura del ragno 29,61-63).5

Per tutti questi doni e altri, gli esseri umani devono sempre essere sinceramente grati: «È Dio che ha creato i cieli e la terra, e fa scendere l'acqua dal cielo, e con essa produce frutti e cibo per voi, e ha messo al vostro servizio le navi che corrono sul mare al suo comando, e ha messo al vostro servizio i fiumi. / E vi ha soggiogato il sole e la luna costanti nel loro corso e vi ha soggiogato la notte e il giorno. / E vi ha dato tutto di quel che gli avete chiesto, che se voleste contare le grazie di Dio non riuscireste a numerarle. Ma l'uomo è in verità un peccatore, un ingrato» (Ibrahim, Sura di Ibrahim 14,32-34).6

Infatti, la Fatihah - che è la sura più importante del sacro Corano -7 inizia con la lode a Dio: «Nel nome di Dio, il Clemente, il Misericordioso. / Sia lode a Dio, il Signore dei mondi, / il Clemente, il Misericordioso, / re del giorno del giudizio. / Te noi adoriamo, te noi invochiamo in soccorso. / Guidaci sulla retta via, / la via di coloro sui quali è la tua Grazia, non di coloro sui quali ricade la tua collera, né di coloro che errano» (Al-Fatihah, Sura aprente 1,1-7).

La Fatihah, recitata almeno diciassette volte al giorno dai musulmani nelle preghiere canoniche, ci ricorda della lode e della gratitudine dovute a Dio per i suoi attributi di infinita bontà e misericordia, non semplicemente per la sua clemenza e misericordia verso di noi in questa vita ma in definitiva, nel giorno del giudizio,8 quando esse contano molto di più e quando speriamo siano perdonati i nostri peccati. Essa finisce con richieste di grazia e di guida, così che noi possiamo realizzare - tramite ciò che inizia con la lode e la gratitudine - la salvezza e l'amore, perché Dio dice nel sacro Corano: «E allora a coloro che credono e operano il bene, l'infinitamente Buono concederà loro l'amore» (Maryam, Sura di Maria 19,96).

Le parole «egli ha potere su tutte le cose» ricordano ai musulmani che essi devono essere consapevoli dell'onnipotenza di Dio e temere Dio.9 Dio dice nel sacro Corano: «Temete Dio, e sappiate che Dio è con chi lo teme. / E date i vostri beni per la causa di Dio, e non gettatevi in perdizioni con le stesse vostre mani, ma fate del bene. In verità Dio ama i virtuosi» (Al-Baqarah, Sura della vacca 2,194-195). «E temete Dio, e sappiate che Dio è severo nella punizione» (Al-Baqarah, Sura della vacca 2,196).

Tramite il timore di Dio, le azioni e le forze dei musulmani devono essere completamente votate a Dio. Dio dice nel sacro Corano: «E sappiate che Dio è con quelli che lo temono» (Al-Tawbah, Sura della conversione 9,36). «O voi che credete! Che avete che quando vi si dice: lanciatevi in battaglia sulla via di Dio, rimanete attaccati alla terra? Preferite forse la vita di questo mondo piuttosto che quella dell'altro mondo? Il godimento della vita di questo mondo è poca cosa in confronto all'altro mondo. / Se non vi lancerete in battaglia, egli vi castigherà di un castigo crudele, e sceglierà al vostro posto un altro popolo. E voi non gli farete alcun danno. E Dio è capace di ogni cosa» (Al-Tawbah, Sura della conversione 9,38-39). Le parole «suo è il Regno, sua è la lode ed egli è potente su tutte le cose», nel loro insieme, ricordano ai musulmani che come ogni cosa nella creazione glorifica Dio, ogni cosa nelle loro anime deve essere devota a Dio: «Tutto quanto è nei cieli e tutto quanto è sulla terra glorifica Dio; suo è il Regno e sua è la lode ed egli è potente su tutte le cose» (Al-Taghabun, Sura del reciproco inganno 64,1).

Infatti, tutto ciò che è nelle anime delle persone è conosciuto da Dio e nei suoi confronti ne sono responsabili: «Egli conosce ciò che è nei cieli e ciò che è sulla terra e quello che celate e quello che palesate. E Dio conosce ciò che è nei petti degli uomini» (Al-Taghabun, Sura del reciproco inganno 64,4).

Come possiamo vedere da tutti i versetti riportati sopra, le anime sono rappresentate nel sacro Corano come dotate di tre principali facoltà: la mente o l'intelligenza, che è destinata a comprendere la verità; il volere che è destinato al libero arbitrio; e il sentimento che è fatto per amare il buono e il bello.10 In altri termini, potremmo dire che l'anima dell'uomo conosce, tramite la comprensione, la verità, tramite la volontà, il bene e, tramite le emozioni virtuose e il sentimento, l'amore per Dio.

Proseguendo nella stessa sura del sacro Corano (che è quella riportata sopra), Dio ordina alle persone di temerlo il più possibile e ascoltare (e così comprendere il vero); di obbedire (e così di volere il bene) e di dare (e così di esercitare l'amore e la virtù), che, egli dice, è la cosa migliore per le nostre anime. Ingaggiando ogni elemento che costituisce le nostre anime - le facoltà di conoscenza, volontà e amore - possiamo arrivare a essere purificati e raggiungere l'ultimo successo: «Così temete Dio quanto potete e ascoltate e obbedite e donate; questo è la cosa migliore per le vostre anime. E quelli che si guarderanno dall'avarizia delle loro anime, saranno quelli che avranno successo» (Al-Taghabun, Sura del reciproco inganno 64,16).

Ricapitolando quindi, quando l'intera frase «l'Unico, senza associati, suo è il Regno, sua è la lode ed egli ha potere su tutte le cose» è aggiunta alla testimonianza di fede - «Non c'è dio se non Iddio» - ricorda ai musulmani che i loro cuori, le loro anime individuali e tutte le facoltà e capacità delle loro anime (o semplicemente anime e corpi indivisi) devono essere completamente attaccati a Dio. Così dice Dio al profeta Muhammad (su di lui la pace e la benedizione divina) nel sacro Corano: «Di': in verità la mia adorazione, il mio sacrificio, la mia vita e la mia morte appartengono a Dio, Signore dei mondi. / Che non ha associati. Questo è l'ordine che ho ricevuto e io sono il primo tra coloro che si sottomettono./ Di': dovrei cercare altri che Dio per Signore, quando lui è il Signore di tutte le cose? Ogni anima non si guadagna il male che per se stessa, e nessuno già carico di un peso porterà i pesi degli altri…» (Al-An'am, Sura delle greggi 6,162-164).

Questi versetti riassumono la totale e completa devozione a Dio del profeta Muhammad (su di lui la pace e la benedizione divina). Così nel sacro Corano Dio ordina ai musulmani che veramente amano Dio di seguire questo esempio,11 al fine di essere amati da Dio:12 «Di' (o Muhammad, al genere umano): Se amate Dio seguite me; Dio vi amerà e perdonerà i vostri peccati perché Dio è Perdonatore e Misericordioso» (Aal 'Imran, Sura della famiglia di 'Imran 3,31).

L'amore di Dio nell'islam fa quindi parte della devozione completa e totale a Dio; non è un mero sentimento, un'emozione parziale. Come si è visto sopra, Dio comanda nel sacro Corano: «Di': in verità la mia adorazione, il mio sacrificio, la mia vita e la mia morte appartengono a Dio, Signore dei mondi. / Che non ha associati». Il richiamo a essere completamente devoti a Dio anima e corpo, lungi dall'essere un richiamo a una mera emozione o stato d'animo, è, infatti, un'ingiunzione che richiede un totale, costante e attivo amore di Dio. Si tratta di un amore a cui il cuore spirituale più intimo e l'intera anima - con la sua intelligenza, volontà e sentimento - partecipano attraverso la devozione.

Nessuno ha portato niente di meglio

Abbiamo visto come la frase benedetta: «Non c'è dio se non Iddio, l'Unico, senza associati, suo è il Regno, sua è la lode ed egli è potente su tutte le cose» - che è la cosa migliore, che tutti i profeti hanno detto - rende esplicito ciò che era implicito nella migliore invocazione («Non c'è dio se non Iddio») mostrando cosa essa richiede e comporta, attraverso la devozione. Resta da dire che questa formula benedetta è in sé anche un'invocazione sacra - una specie di estensione della prima testimonianza di fede («Non c'è dio se non Iddio») - la cui ripetizione rituale può suscitare, tramite la grazia di Dio, alcune delle attitudini devozionali che essa richiede, cioè amare ed essere devoti a Dio con tutto il proprio cuore, tutta la propria anima, tutta la propria mente, tutta la propria volontà o forza e tutti i propri sentimenti. Da qui il profeta Muhammad (su di lui la pace e la benedizione divina) ordinò questa invocazione dicendo: «Coloro che ripetono cento volte al giorno: "Non c'è dio se non Iddio, l'Unico, senza associati, suo è il Regno, sua è la lode ed egli è potente su tutte le cose", questo per loro equivale alla liberazione di dieci schiavi e cento buone azioni gli vengono ascritte e cento cattive azioni gli vengono cancellate e per quel giorno è una protezione dal diavolo fino alla sera. E nessuno offre niente di meglio di questo, salvo chi fa di più».13

In altre parole l'invocazione benedetta, «Non c'è dio se non Iddio, l'Unico, senza associati, suo è il Regno, sua è la lode ed egli è potente su tutte le cose», non solo richiede e implica che i musulmani debbano essere completamente devoti a Dio e amarlo con l'intero cuore, l'intera anima e tutto ciò che è in essi contenuto. Questa invocazione permette loro, come il suo inizio (la testimonianza di fede) - tramite la sua ripetizione frequente -14 di realizzare questo amore con tutto il loro essere.

Dio dice in una delle primissime rivelazioni del sacro Corano: «Così invoca il nome del tuo Signore e votati a lui completamente» (Al-Muzzammil, Sura dell'avvolto nel manto 73,8).

L'amore di Dio come primo e più grande comandamento nella Bibbia

Lo Shemà nel libro del Deuteronomio (6,4-5), una parte centrale dell'Antico Testamento e della liturgia ebraica, dice: «Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze».15

Allo stesso modo risponde il Cristo, il Messia (su di lui la pace) nel Nuovo Testamento, quando gli viene domandato a proposito del comandamento più grande: «Allora i farisei, udito che egli aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della legge, lo interrogò per metterlo alla prova: "Maestro, qual è il più grande comandamento della legge?". Gli rispose: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipende tutta la Legge e i profeti"» (Mt 22,34-40).

E anche: «Allora si accostò uno degli scribi che li aveva uditi discutere, e, visto come aveva loro ben risposto, gli domandò: "Qual è il primo di tutti i comandamenti?" Gesù rispose: "Il primo è: Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l'unico Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. E il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c'è altro comandamento più importante di questi"» (Mc 12,28-31)

Il comandamento di amare Dio completamente è così il primo e più grande comandamento della Bibbia. Infatti può essere trovato in numerosi altri passi in tutta la Bibbia come: Deuteronomio 4,29; 10,12; 11,13 (che fa anche parte dello Shemà); 13,3; 26,16; 30,2; 30,6; 30,10; Giosuè 22,5; Marco 12,32-33 e Luca 10,27-28.

Tuttavia, in tutti questi passi della Bibbia, esso si presenta in forme e versioni leggermente differenti. Per esempio, in Matteo 22,37 («Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente»), la parola greca per «cuore» è kardia, la parola per «anima» è psyche, e la parola per «mente» è dianoia. Nella versione di Marco 12,30 («Amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente, con tutta la tua forza») la parola «forza» è aggiunta alle tre suddette, che traduce la parola greca ischys.

Le parole di un dottore della legge in Luca 10,27 (che sono confermate da Gesù Cristo [su di lui la pace] in Luca 10,28) contengono i medesimi quattro termini come Marco 12,30. Le parole dello scriba in Marco 12,32 (che sono approvate da Gesù Cristo [su di lui la pace] in Marco 12,34) contengono gli stessi tre termini kardia («cuore»), dianoia («mente»), e ischys («forza»).

Nello Shemà del Deuteronomio 6,4-5 («Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze»), in ebraico la parola per «cuore» è lev, la parola per «anima» è nefesh, e la parola per «forza» è me'od.

In Giosuè 22,5, gli israeliti ricevono da Giosuè (su di lui la pace) l'ordine di amare Dio ed essere a lui devoti come segue: «Soltanto abbiate gran cura di eseguire i comandi e la legge che Mosè, servo del Signore, vi ha dato, amando il Signore, vostro Dio, camminando in tutte le sue vie, osservando i suoi comandi, restando fedeli a lui e servendolo con tutto il cuore e con tutta l'anima» (Gs 22,5).

Ciò che tutte queste versioni hanno quindi in comune - a dispetto della lingua differente tra l'Antico Testamento in lingua ebraica, le parole originali del Cristo (su di lui la pace) in aramaico, e l'attuale trasmissione greca del Nuovo Testamento - è il comando di amare Dio completamente con anima e corpo e di essere a lui completamente devoti. Questo è il primo e più grande comandamento per gli esseri umani.

Alla luce di ciò che abbiamo visto essere implicito ed evocato dalla parola benedetta del profeta Muhammad (su di lui la pace e la benedizione divina) - «La cosa migliore che ho detto - io stesso, e i profeti che mi precedettero - è "non c'è dio se non Iddio, l'Unico, senza associati, suo è il Regno, sua è la lode ed egli è potente su tutte le cose"» -16 possiamo ora forse comprendere come le parole «la cosa migliore che ho detto - io stesso, e i profeti che mi precedettero» attribuite alla formula benedetta «non c'è dio se non Iddio, l'Unico, senza associati, suo è il Regno, sua è la lode ed egli è potente su tutte le cose» corrispondano al primo e più grande comandamento di amare Dio, completamente, anima e corpo, come si trova in vari passi della Bibbia.

Potremmo dire, in altre parole, che il profeta Muhammad (su di lui la pace e la benedizione divina), su ispirazione divina, riaffermava e richiamava al ricordo del primo comandamento della Bibbia. Dio sa meglio, ma certamente abbiamo visto la loro effettiva somiglianza nel significato. Inoltre, sappiamo anche (come si può vedere nelle note) che entrambe le formule consentono un altro notevole parallelo: si presentano in versioni e forme leggermente diverse in contesti differenti, e tutte, nondimeno, enfatizzano il primato dell'amore e della devozione a Dio.17

L'amore per il prossimo

L'amore per il prossimo nell'islam

Esistono numerose affermazioni nell'islam sulla necessità e la grande importanza dell'amore e della misericordia per il prossimo. L'amore per il prossimo è una parte essenziale e integrante della fede in Dio e dell'amore per Dio perché nell'islam senza amore per il prossimo non c'è vera fede in Dio e non c'è rettitudine. Il profeta Muhammad (su di lui la pace e la benedizione divina) disse: «Nessuno di voi avrà fede finché non amerete per vostro fratello ciò che amate per voi stessi».18 E anche: «Nessuno di voi avrà fede finché non amerete per il vostro prossimo ciò che amate per voi stessi».19

Tuttavia, empatia e simpatia per il prossimo - e anche le preghiere rituali - non sono sufficienti. Devono essere accompagnate da generosità e abnegazione. Dio dice nel sacro Corano: «La pietà non consiste nel volgere i vostri volti verso l'Oriente e l'Occidente,20 ma nel credere in Dio e nell'ultimo giorno, negli angeli, nel libri e nei profeti; nel dare dei propri beni, per amore suo, ai parenti, agli orfani, ai poveri, ai viandanti diseredati, ai mendicanti e per liberare gli schiavi, compiere l'orazione e pagare la decima, mantenere fede agli impegni presi, essere pazienti nelle avversità, nelle ristrettezze e di fronte al pericolo. Queste sono le virtù che caratterizzano i credenti pii e sinceri» (Al-Baqarah, Sura della vacca 2,177)

E anche: «Non perverrete alla pietà finché non donerete cose a cui siete affezionati: qualunque elemosina voi facciate, Iddio lo sa» (Aal 'Imran, Sura della famiglia di Imran 3,92). Se non doniamo al prossimo ciò che noi stessi amiamo, non amiamo veramente Dio né il prossimo.

L'amore per il prossimo nella Bibbia

Abbiamo già citato le parole del Messia, Gesù Cristo (su di lui la pace), a proposito della grande importanza, seconda solo all'amore per Dio, dell'amore per il prossimo: «Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti» (Mt 22,38-40).

E: «E il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c'è altro comandamento più importante di questi» (Mc 12,31).

Resta solo da notare che questo comandamento si trova anche nell'Antico Testamento: «Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello; rimprovera apertamente il tuo prossimo, così non ti caricherai di un peccato per lui. Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore» (Lv 19,17-18).

Così il secondo comandamento, come il primo comandamento, richiede generosità e abnegazione e da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i profeti.

Venite a una parola comune fra noi e voi

Una parola comune

Mentre islam e cristianesimo sono ovviamente religioni differenti - e non minimizziamo affatto le loro differenze formali -, è chiaro che i due comandamenti più grandi sono un terreno comune e un collegamento fra il Corano, la Torah e il Nuovo Testamento. Ciò che presuppongono i due comandamenti nella Torah e nel Nuovo Testamento e di cui sono il risultato è l'unità di Dio, vale a dire che c'è un solo Dio.

Lo Shemà nella Torah inizia: «Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo» (Dt 6,4). Ugualmente, Gesù (su di lui la pace) disse: «Il primo è: Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l'unico Signore» (Mc 12,29). Allo stesso modo, Dio dice nel sacro Corano: «Di': egli è Dio, l'Uno / Dio, sufficiente a se stesso» (Al-Ikhlas, Sura della sincerità 112,1-2). Così l'unità di Dio, l'amore per lui e l'amore per il prossimo formano un terreno comune su cui islam e cristianesimo (ed ebraismo) sono fondati.

Questo non poteva essere altrimenti in quanto Gesù (su di lui la pace) disse: «Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti» (Mt 22,40).

Inoltre, Dio conferma nel sacro Corano che il profeta Muhammad (su di lui la pace e la benedizione divina) non portò nulla di fondamentalmente o essenzialmente nuovo: «Niente è stato detto a te (o Muhammad) se non quello che già fu detto ai messaggeri prima di te» (Fussilat, Sura dei chiari precisi 41,43). E: «Di' (o Muhammad): Non costituisco un'innovazione rispetto agli inviati né conosco quel che avverrà a me e a voi. Non faccio che seguire quello che mi è stato rivelato. Non sono che un ammonitore esplicito» (Al-Ahqaf, 46,9). Così anche Dio nel sacro Corano conferma che le stesse verità eterne dell'unità di Dio, della necessità dell'amore e della devozione totali a Dio (ed evitando così falsi dèi), e della necessità di amare i propri simili (e così la giustizia), sono la base di ogni vera religione: «A ogni comunità inviammo un profeta [che dicesse]: "Adorate Dio e fuggite gli idoli!". Dio guidò alcuni di essi e altri furono sviati. Percorrete la terra e vedrete cosa accadde ai negatori» (Al-Nahl, Sura dell'ape 16,36). «Invero inviammo i nostri messaggeri con prove inequivocabili, e facemmo scendere con loro la Scrittura e la bilancia, affinché gli uomini osservassero la giustizia...» (Al-Hadid, Sura del ferro 57,25).

Venite a una parola comune!

Nel sacro Corano, Dio altissimo ordina ai musulmani di trasmettere il seguente richiamo ai cristiani (ed ebrei - le genti del Libro): «Di': O genti del Libro! Venite a una parola comune tra noi e voi: che non adoriamo altri che Dio, e non associamo a lui cosa alcuna, e che nessuno di noi scelga altri signori accanto a Dio. E se essi non accettano dite loro: Testimoniate che siamo coloro che si sono dati completamente a lui» (Aal 'Imran, Sura della famiglia di 'Imran 3,64).

Chiaramente le parole benedette «non associamo a lui cosa alcuna» sono riferite all'unità di Dio e le parole «non adoriamo altri che Dio», sono riferite all'essere completamente devoti a Dio. Quindi esse si riferiscono tutte al primo e più grande comandamento. Secondo uno dei più antichi e più autorevoli commentari (tafsir) del sacro Corano - il Jami' Al-Bayan fi Ta'wil Al-Qur'an di Abu Ja'far Muhammad bin Jarir Al-Tabari (morto nel 310 èra cristiana - 923 èra islamica) -, le parole «nessuno di noi scelga altri signori accanto a Dio» significano «che nessuno di noi dovrebbe ubbidire ad altri disobbedendo a ciò che Dio ha comandato, né glorificarli prostrandosi a loro nello stesso modo di come si prostrano a Dio».

In altre parole, musulmani, cristiani ed ebrei dovrebbero essere liberi di seguire ognuno quello che Dio comandò loro, e non abbiano da «prostrarsi di fronte a re e simili»,21 perché Dio dice altrove nel sacro Corano: «non c'è coercizione nella religione…» (Al-Baqarah, Sura della vacca 2,256). Questo chiaramente si riferisce al secondo comandamento, perché giustizia22 e libertà di religione sono aspetti centrali dell'amore per il prossimo. Dio dice nel sacro Corano: «Dio non vi impedisce di essere buoni e giusti nei confronti di coloro che non vi hanno combattuto per la vostra religione e che non vi hanno scacciato dalle vostre case, poiché Dio ama coloro che si comportano con giustizia» (Al-Mumtahinah, Sura dell'esaminata 60,8).

Così noi come musulmani invitiamo i cristiani a ricordarsi delle parole evangeliche di Gesù (su di lui la pace): «… il primo [comandamento] è: Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l'unico Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. E il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c'è altro comandamento più importante di questi» (Mc 12,29-31).

Come musulmani, noi diciamo ai cristiani che non siamo contro di loro e che l'islam non è contro di loro - a meno che loro non intraprendano la guerra contro i musulmani a causa della loro religione, li opprimano e li privino delle loro case (in conformità con il versetto del sacro Corano [Al-Mumtahinah, 60,8] citato sopra). Inoltre, Dio dice nel sacro Corano: «Non tutti sono uguali. Fra la gente della Scrittura c'è una comunità giusta dove sono persone che passano la notte recitando i versetti di Dio e prosternandosi. / Essi credono in Dio e nell'ultimo giorno, ordinando ciò che è raccomandabile e vietando ciò che è riprovevole, e gareggiano nelle opere buone. Questi son uomini retti. / E il bene che fanno non sarà loro misconosciuto. Dio conosce bene i timorati» (Aal-'Imran, Sura della famiglia di 'Imran 3,113-115).

Il cristianesimo è necessariamente contro i musulmani? Nel Vangelo Gesù Cristo (su di lui la pace) dice: «Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me, disperde» (Mt 12,30). «Chi non è contro di noi è per noi» (Mc 9,40). «…Chi non è contro di voi, è per voi» (Lc 9,50).

Secondo il commentario al Nuovo Testamento del beato Teofilatto,23 queste asserzioni non sono in contraddizione perché la prima (nel testo greco originale del Nuovo Testamento) si riferisce ai dèmoni, mentre la seconda e la terza si riferiscono a persone che riconobbero Gesù, pur non essendo cristiani. I musulmani riconoscono Gesù Cristo come il Messia, non nello stesso modo dei cristiani (ma i cristiani stessi comunque non sono mai stati tutti d'accordo sulla natura di Gesù Cristo), ma nel modo seguente: «… Il Messia Gesù, figlio di Maria, è un messaggero di Dio e la sua Parola che egli pose in Maria e uno Spirito proveniente da lui...» (Al-Nisa', Sura delle donne 4,171). Noi invitiamo perciò i cristiani a considerare i musulmani non contro ma con loro, in conformità con le parole di Gesù Cristo.

Per concludere, in quanto musulmani, e in obbedienza al sacro Corano, chiediamo ai cristiani di concordare con noi sulle cose essenziali delle nostre due religioni «…che non adoriamo altri che Dio, e non associamo a lui cosa alcuna, e che nessuno di noi scelga altri signori accanto a Dio…» (Aal 'Imran, Sura della famiglia di 'Imran 3,64).

Che questo terreno comune sia la base di ogni futuro dialogo interreligioso fra di noi, dato che il nostro terreno comune è quello da cui dipende tutta la Legge e i profeti (cf. Mt 22,40). Dio dice nel sacro Corano: «Dite (o musulmani): Crediamo in Dio e in quello che è stato fatto scendere su di noi e in quello che è stato fatto scendere su Abramo, Ismaele, Isacco, Giacobbe e sulle tribù, e in quello che è stato dato a Mosè e a Gesù e in tutto quello che è stato dato ai profeti da parte del loro Signore. Non facciamo differenza alcuna tra di loro e a lui siamo sottomessi. / E se crederanno nelle stesse cose in cui voi avete creduto, saranno sulla retta via; se invece volgeranno le spalle, saranno nell'eresia, e Dio basterà contro di loro. Egli è colui che tutto ascolta e conosce» (Al-Baqarah, Sura della vacca 2,136-137).

Fra noi e voi

Trovare il terreno comune fra musulmani e cristiani non è semplicemente una questione di corretto dialogo ecumenico fra i vari capi religiosi. Il cristianesimo e l'islam sono rispettivamente la più numerosa e la seconda più numerosa religione nel mondo e nella storia. Cristiani e musulmani costituiscono rispettivamente, secondo le statistiche, oltre un terzo e oltre un quinto dell'umanità. Insieme formano più del 55% della popolazione mondiale; ciò fa della relazione tra queste due comunità religiose il più importante fattore per il mantenimento della pace in tutto il mondo. Se musulmani e cristiani non sono in pace, il mondo non può essere in pace. Con il terribile armamento del mondo moderno e con musulmani e cristiani interconnessi ovunque mai come ora, nessuna parte può vincere unilateralmente un conflitto che coinvolga più della metà degli abitanti del mondo. Così il nostro comune futuro è in pericolo. È forse in gioco la stessa sopravvivenza del mondo.

E a quelli che ciononostante provano piacere nel conflitto e nella distruzione, o stimano che alla fine riusciranno a vincere, noi diciamo che anche le nostre anime eterne sono in pericolo se non riusciremo a fare sinceramente ogni sforzo per la pace e giungere a un'armonia condivisa. Dio dice nel sacro Corano: «In verità Dio ha ordinato la giustizia e la benevolenza e la generosità nei confronti dei parenti, e ha proibito la dissolutezza e ciò che è riprovevole e la ribellione. Egli vi ammonisce affinché ve ne ricordiate» (Al Nahl, 16,90). Gesù Cristo (su di lui la pace) disse: «Beati gli operatori di pace…» (Mt 5,9), e anche: «Qual vantaggio infatti avrà l'uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima?» (Mt 16,26).

Facciamo quindi in modo che le nostre differenze non provochino odio e conflitto tra noi. Gareggiamo gli uni con gli altri solamente in rettitudine e in opere buone. Rispettiamoci, siamo giusti e gentili, e viviamo in pace sincera, nell'armonia e nella benevolenza reciproca. Dio dice nel sacro Corano: «E su di te abbiamo fatto scendere il Libro secondo verità, a confermare le Scritture precedenti e preservarle da ogni alterazione. Giudica tra loro secondo quello che Dio ha fatto scendere, non conformarti alle loro passioni allontanandoti dalla verità che ti è giunta. A ognuno di voi abbiamo assegnato una regola e una via. E se Dio avesse voluto, avrebbe fatto di voi una sola comunità, ma ha voluto provarvi con l'uso che farete di quel che vi ha donato. Gareggiate dunque nelle opere buone: voi tutti ritornerete a Dio ed egli allora vi informerà a proposito delle cose sulle quali siete discordi» (Al-Ma'idah, Sura della tavola imbandita 5,48).

Wal-Salaamu 'Alaykum, pax vobiscum.

Anno 2007 dell'èra cristiana - 1428 dell'èra islamica.

Seguono le firme

* La lettera è indirizzata a: papa Benedetto XVI; Bartolomeo I, patriarca di Costantinopoli; Teodoro II, papa e patriarca di Alessandria e di tutta l'Africa; Ignazio IV, patriarca d'Antiochia e di tutto l'Oriente; Teofilo III, patriarca di Gerusalemme; Alessio II, patriarca di Mosca e di tutta la Russia; Paolo, patriarca di Belgrado e della Serbia; Daniele, patriarca di Romania; Massimo, patriarca della Bulgaria; Ilia II, arcivescovo di Mtskheta-Tbilisi, catholicos-patriarca di tutta la Georgia; Crisostomo, arcivescovo di Cipro; Christodoulos, arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia; Sawa, metropolita di Varsavia e di tutta la Polonia; Anastasio, arcivescovo di Tirana, Durazzo e di tutta l'Albania; Cristoforo, metropolita delle Repubbliche Ceca e Slovacca; Shenouda III, papa d'Alessandria e patriarca di tutta l'Africa sul trono apostolico di s. Marco; Karekin II, patriarca supremo e catholicos di tutta l'Armenia; Ignatius Zakka I, patriarca d'Antiochia e di tutto l'Oriente, capo supremo della Chiesa siro-ortodossa universale; marthoma Didymos I, catholicos d'Oriente sul trono apostolico di s. Tommaso e metropolita di Malankara; abuna Paulos, quinto patriarca e catholicos d'Etiopia, echege della sede di san Tekle Haymanot, arcivescovo di Axum; mar Dinkha IV, catholicos-patriarca della Chiesa assira dell'Oriente; Rowan Williams, arcivescovo di Canterbury; Mark S. Hanson, vescovo presidente della Chiesa evangelica luterana in America e presidente della Federazione luterana mondiale; George H. Freeman, segretario generale del Consiglio metodista mondiale; David Coffey, presidente dell'Alleanza battista mondiale; Setri Nyomi, segretario generale dell'Alleanza riformata mondiale; Samuel Kobia, segretario generale del Consiglio ecumenico delle Chiese; e le guide delle Chiese cristiane in tutto il mondo….

1 In arabo: «La illaha illa Allah Muhammad rasul Allah». Le due shahadah effettivamente si trovano entrambe (quantunque separate) come frasi nel sacro Corano (rispettivamente in Muhammad, Sura di Muhammad 47,19, e in Al-Fath, Sura della vittoria 48,29).

2 Sunan Al-Tirmidhi, Kitab Al-Da'awat, 462/5, n. 3383; Sunan Ibn Majah, 1249/2.

3 Sunan Al-Tirmidhi, Kitab Al-Da'awat, Bab al-Du'a fi Yawm 'Arafah, hadith n. 3934. È importante notare che le frasi seguenti, «l'Unico, senza associati, suo è il Regno, sua è la lode ed egli è potente su tutte le cose», provengono tutte dal sacro Corano, esattamente in queste forme, quantunque in passaggi differenti. «Lui l'Unico» - riferito a Dio (sia egli esaltato) - si trova nel sacro Corano almeno sei volte (7,70; 14,40; 39,45; 40,12; 40,84 e 60,4). «Lui senza associati», si trova in questa forma nel sacro Corano almeno una volta (Al-An'am, Sura delle greggi 6,173). «Suo è il Regno, sua è la lode ed egli ha potere su tutte le cose» si trova esattamente in questa forma nel sacro Corano almeno una volta (Al-Taghabun, Sura del reciproco inganno 64,1), e parti di essa si trovano numerose altre volte (per esempio le parole «Egli è potente su tutte le cose» si trovano almeno cinque volte: 5,120; 11,4; 30,50; 42,9 e 57,2).

4 Il cuore. Nell'islam il cuore (spirituale, non fisico) è l'organo della percezione spirituale e della conoscenza metafisica. In una delle più grandi visioni del profeta Muhammad (su di lui la pace e la benedizione divina) Dio dice nel sacro Corano: «Il cuore intimo non smentì (nella visione) ciò che vide» (al-Najm, Sura della stella 53,11). Effettivamente, in altre parti del sacro Corano, Dio dice: «Infatti non già gli occhi loro sono ciechi, ma ciechi sono i loro cuori, che hanno nel petto» (Al-Hajj, Sura del pellegrinaggio 22,46; cf. tutto il versetto e anche: 2,9-10; 2,74; 8,24; 26,88-89; 48,4; 83,14 et al. C'è in effetti nel sacro Corano oltre un centinaio di menzioni del cuore e di suoi sinonimi).

Ci sono differenti interpretazioni tra i musulmani riguardo la visione diretta di Dio (in contrapposizione alle realtà spirituali in quanto tali), sia in questa vita sia nell'altra. Dio dice nel sacro Corano (del giorno del giudizio): «In quel giorno vi saranno volti splendenti, / con lo sguardo immerso nel loro Signore» (Al-Qiyamah, Sura della risurrezione 75,22-23); Dio dice ancora nel sacro Corano: «Ecco chi è Dio, il vostro Signore. Non c'è altro dio che lui, il Creatore di tutte le cose, adorate dunque lui che si prende cura di tutte le cose. / Non lo afferrano gli sguardi ma egli tutti gli sguardi afferra. Egli è il Sottile, colui che tutto conosce. / Prove vi sono giunte dal vostro Signore, così chi ha la visione l'ha per il suo bene, chi è cieco lo è a suo danno. E io non sono il vostro custode» (Al-An'am, Sura delle greggi 6,102-104).

Nondimeno, è evidente che la concezione islamica del cuore (spirituale) non è molto differente dalla concezione cristiana del cuore (spirituale), come vediamo nelle parole di Gesù (su di lui la pace) nel Nuovo Testamento: «Beati i puri di cuore perché vedranno Dio» (Mt 5,8); e le parole di Paolo: «Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto» (1Cor 13,12).

5 Cf. anche Luqman,Sura di Luqman 31,25.

6 Cf. anche Al-Nahl,Sura dei poeti 16,3-18.

7 Sahih Bukhari, Kitab Tafsir Al-Qur'an, Bab ma Ja'a fi Fatihat Al-Kitab (hadith n.1); anche: Sahih Bukhari, Kitab Fada'il Al-Qur'an, Bab Fadl Fatihat Al-Kitab, (hadith n. 9), n. 5006.

8 Il profeta Muhammad (su di lui la pace e la benedizione divina) disse: «Dio ha diviso la misericordia in cento parti. Egli ne ha fatto discendere una tra i jinn e gli esseri umani e le bestie e gli animali perché condividano reciprocamente i loro sentimenti; e per questo essi hanno misericordia l'un l'altro; e tramite essa gli animali selvatici provano affetto per i loro cuccioli. E Dio ha conservato novantanove misericordie con le quali avrà misericordia per i suoi servi il giorno del giudizio» (Sahih Muslm, Kitab Al-Tawbah; 2109/4; n. 2752; cf. anche Sahih Bukhari, Kitab Al-Riqaq, n. 6469).

9 Il timore di Dio è il principio della saggezza. Si riporta che il profeta Muhammad (su di lui la pace e la benedizione divina) disse: «La parte principale della saggezza è il timore di Dio - sia egli esaltato» (Musnad al-Shahab, 100/1; Al-Dulaymi, Musnad Al-Firdaws, 270/2; Al-Tirmidhi, Nawadir Al-Usul; 84/3; Al-Bayhaqi, Al-Dala'il e Al-Bayhaqi, Al-Shu'ab; Ibn Lal, Al-Makarim; Al-Ash'ari, Al-Amthal, et al.). Questo è chiaramente simile alle parole del profeta Salomone (su di lui la pace) nella Bibbia: «Fondamento della sapienza è il timore di Dio…» (Pr 9,10); e: «Il timore del Signore è il principio della scienza…» (Pr 1,7).

10 L'intelligenza, la volontà e il sentimento nel sacro Corano. Così Dio nel sacro Corano dice agli esseri umani di credere in lui e di invocarlo (tramite l'uso dell'intelligenza) con timore (che motiva la volontà) e con la speranza (e quindi con il sentimento): «Poiché credono nei nostri segni coloro soli che, quando questi vengono loro recitati, cadono prostrati, che esaltano le lodi del loro Signore, e si liberano di ogni orgoglio / che lasciano i loro giacigli per invocare il loro Signore in timore e speranza, ed elargiscono di quello che noi abbiamo loro donato. / Nessuna anima conosce quale grande gioia è in serbo nascosta per loro in premio per le loro buone azioni» (Al-Sajdah, Sura della prosternazione 32,15-17).

«Invocate il vostro Signore in umiltà e in segreto. Egli non ama i trasgressori. / E non portate la corruzione sulla terra dopo che fu da Dio creata giusta e invocatelo in timore e speranza. Ché la misericordia di Dio è vicina ai virtuosi» (Al-A'raf, Sura del limbo 7,55-56).

Ugualmente, lo stesso profeta Muhammad (su di lui la pace e la benedizione divina) è descritto in termini che manifestano la conoscenza (e quindi l'intelligenza), che incoraggiano la speranza (e quindi il sentimento) e che ispirano il timore (e quindi motivano la volontà): «O Profeta! Noi ti abbiamo inviato come testimone e nunzio e ammonitore» (Al-Ahzab, Sura delle fazioni alleate 33,45). «In verità noi ti abbiamo inviato (o Muhammad) come testimone e nunzio e ammonitore» (Al-Fath, Sura della vittoria 48,8).

11 Un eccellente esempio. L'amore e la totale devozione del profeta Muhammad (su di lui la pace e la benedizione divina) a Dio è per i musulmani il modello che essi cercano di imitare. Dio dice nel sacro Corano: «In verità nel messaggero di Dio voi avete un eccellente esempio per colui che spera in Dio e nell'ultimo giorno; e invoca molto Dio» (Al-Ahzab, Sura delle fazioni alleate 33,21).

La totalità di questo amore esclude la mondanità e l'egoismo ed esso è in se stesso bello e caro ai musulmani. Dio dice nel sacro Corano: «E sappiate che il messaggero di Dio è tra di voi. Se egli dovesse darvi retta in molte questioni voi sicuramente cadreste in disgrazia; ma Dio vi ha fatto amare la fede e l'ha resa bella nei vostri cuori, e vi ha reso odioso il rifiuto ribelle, l'empietà e la disobbedienza. Così sono coloro che sono ben guidati» (Al-Hujurat, Sura delle stanze intime 49,7).

12 Questo «amore particolare» si aggiunge alla misericordia universale di Dio «che comprende tutte le cose» (Al-A'raf, Sura del limbo 7,156); ma Dio sa meglio.

13 Sahih Al-Bukhari, Kitab Bad' al-Khalq, Bab Sifat Iblis wa Junudihi; hadith n. 3329.

Altre versione della formula sacra. Questa formula sacra del profeta Muhammad (su di lui la pace e la benedizione divina), si trova in una dozzina di hadith (i detti del profeta Muhammad [su di lui la pace e la benedizione divina]) in differenti contesti e in versioni leggermente differenti.

Quella che abbiamo citato in questo testo («Non c'è dio se non Iddio, l'Unico, senza associati, suo è il Regno, sua è la lode ed egli è potente su tutte le cose») è infatti la versione più breve. Si può trovare in Sahih al-Bukhari: Kitab al-Adhan (n. 852); Kitab al-Tahajjud (n. 1163); Kitab al-'Umrah (n. 1825); Kitab Bad' al-Khalq (n. 3329); Kitab al-Da'awat (nn. 6404, 6458, 6477); Kitab al-Riqaq (n. 6551); Kitab al-I'tisam bi'l-Kitab (n. 7378); in Sahih Muslim: Kitab al-Masajid (nn. 1366, 1368, 1370, 1371, 1380); Kitab al-Hajj (nn. 3009, 3343); Kitab al-Dhikr wa'l-Du'a' (nn. 7018, 7020, 7082, 7084); in Sunan Abu Dawud: Kitab al-Witr (nn. 1506, 1507, 1508); Kitab al-Jihad (n. 2772); Kitab al-Kharaj (n. 2989); Kitab al-Adab (nn. 5062, 5073, 5079); in Sunan al-Tirmidhi: Kitab al-Hajj (n. 965); Kitab al-Da'awat (nn. 3718, 3743, 3984); in Sunan al-Nasa'i: Kitab al-Sahw (nn. 1347, 1348, 1349, 1350, 1351); Kitab Manasik al-Hajj (nn. 2985, 2997); Kitab al-Iman wa'l-Nudhur (n. 3793); in Sunan Ibn Majah: Kitab al-Adab (n. 3930); Kitab al-Du'a' (nn. 4000, 4011); e in Muwatta' Malik: Kitab al-Qur'an (nn. 492, 494); Kitab al-Hajj (n. 831).

Una versione più lunga che include le parole «yuhyi wa yumit» («Non c'è dio se non Iddio, l'Unico, senza associati, suo è il Regno, sua è la lode. Egli dà la vita e dà la morte e ha potere su tutte le cose») si può trovare in Sunan Abu Dawud: Kitab al-Manasik (n. 1907); in Sunan al-Tirmidhi: Kitab al-Salah (n. 300); Kitab al-Da'awat (nn. 3804, 3811, 3877, 3901); e in Sunan al-Nasa'i: Kitab Manasik al-Hajj (nn. 2974, 2987, 2998); Sunan Ibn Majah: Kitab al-Manasik (n. 3190).

Un'altra versione più lunga che include le parole «bi yadihi al-khayr» («Non c'è dio se non Iddio, l'Unico, senza associati, suo è il Regno, sua è la lode. Nelle sue mani detiene il bene e ha potere su tutte le cose») si può trovare in Sunan Ibn Majah: Kitab al-Adab (n. 3931); Kitab al-Du'a' (n. 3994).

La versione più lunga che include le parole «yuhyi wa yumit wa Huwa Hayyun la yamut bi yadihi al-khayr» («Non c'è dio se non Iddio, l'Unico, senza associati, suo è il Regno, sua è la lode. Egli da la vita e dà la morte. Egli è il Vivente, che non muore. Nelle sue mani detiene il bene e ha potere su tutte le cose») si può trovare in Sunan al-Tirmidhi: Kitab al-Da'awat (n. 3756) e in Sunan Ibn Majah: Kitab al-Tijarat (n. 2320), con la differenza che quest'ultimo hadith recita: «bi yadihi al-khayr kuluhu» («nelle sue mani detiene tutto il bene»).

È importante tuttavia notare che il profeta Muhammad (su di lui la pace e la benedizione divina), descrive solo la prima (e più breve) versione come: «La cosa migliore che ho detto - io stesso, e i profeti che mi precedettero», e solo di questa versione il Profeta (su di lui la pace e la benedizione divina) disse: «E nessuno ha portato niente di meglio, salvo chi fa di meglio».

Le citazioni sopra riportate si riferiscono al sistema numerico di The Sunna Project's Encyclopaedia of Hadith (Jam' Jawami' al-Ahadith wa'l-Asanid), preparato in collaborazione con i docenti dell'al-Azhar, che include Sahih al-Bukhari, Sahih Muslim, Sunan Abu Dawud, Sunan al-Tirmidhi, Sunan al-Nasa'i, Sunan Ibn Majah, e Muwatta' Malik.

14 Il ricordo frequente di Dio nel sacro Corano. Il sacro Corano è pieno di ingiunzioni a invocare e ricordare frequentemente Dio: «Invoca il nome del tuo Signore al mattino e alla sera» (Al-Insan, Sura dell'uomo 76,25). «Così invoca Dio in piedi, seduto e sdraiato» (Al-Nisa, Sura delle donne 4,103). «Invoca (o Muhammad) il tuo Signore nel tuo intimo, in umiltà e reverenza e a bassa voce, il mattino e la sera. E non essere di coloro che trascurano Dio» (Al-'Araf, Sura del limbo 7,205). «… Invoca molto il tuo Signore e pregalo all'inizio della notte e al mattino» (Aal 'Imran, Sura della famiglia di 'Imran 3,41). «O voi che credete, invocate Dio invocatelo molto. / E glorificatelo all'alba e al crepuscolo» (Al-Ahzab, Sura delle fazioni alleate 33,41-42). Cf. anche: 2,198-200; 2,203; 2,238-239; 3,190-191; 6,91; 7,55; 7,180; 8,45; 17,110; 22,27-41; 24,35-38; 26,227; 62,9-10; 87,1-17, et al.

Il sacro Corano è ugualmente pieno di versetti che evidenziano la capitale importanza del ricordo di Dio (cf. 2,151-157; 5,4; 6,118; 7,201; 8,2-4; 13,26-28; 14,24-27; 20,14; 20,33-34; 24,1; 29,45; 33,35; 35,10; 39,9; 50,37; 51,55-58; e 33,2; 39,22-23 e 73,8-9 come già citati, et al.), e le terribili conseguenze di non praticarlo (cf. 2,114; 4,142; 7,179-180; 18,28; 18,100-101; 20,99-101; 20,124-127; 25,18; 25,29; 43,36; 53,29; 58,19; 63,9; 72,17 et al.; cf. anche 107,4-6). Per cui Dio dice infine nel sacro Corano: «Non è forse arrivato il tempo per i credenti che i loro cuori in tutta umiltà debbano ingaggiarsi nell'invocazione di Dio...?» (Al-Hadid, Sura del ferro 57,16); «…. Non dimenticate di invocarmi» (Taha, Sura Ta-ha 20,42), e: «Ricorda il tuo Signore ogni volta che lo dimentichi» (Al-Kahf, sura della caverna 18,24).

15 Nella versione inglese del testo le citazioni bibliche sono tratte dalla Bibbia New King James Version, Thomas Nelson, Inc, Nashville (TN, USA) 1982. Per la versione italiana esse sono tratte da La Bibbia di Gerusalemme, EDB, Bologna 2007 (ndr).

16 Sunan Al-Tirmithi, Kitab Al-Da'wat, Bab al-Du'a fi Yawm 'Arafah, hadith n. 3934, cit.

17 La forma più perfetta. Il cristianesimo e l'islam hanno concezioni paragonabili sul genere umano creato nella forma più perfetta e dal soffio divino. Il libro della Genesi dice: «Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò» (Gen 1,27). E: «Allora il Signore Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente» (Gen 2,7).

E il profeta Muhammad (su di lui la pace e la benedizione divina) disse: «In verità Dio creò Adamo a sua immagine» (Sahih Al-Bukhari, Kitab Al-Isti'than, 1; Sahih Muslim, Kitab Al-Birr 115; Musnad Ibn Hanbal, 2, 244, 251, 315, 323 ecc. et al.).

«E vi abbiamo creati, poi vi abbiamo formati, poi abbiamo detto agli angeli: Prostratevi davanti ad Adamo! E si prostrarono tutti, eccetto Iblis, che fra i prostrati non fu» (Al-A'raf, Sura del limbo 7,11).

«Per il fico e l'olivo / e per il monte Sinai / e per questa contrada sicura. / In verità noi creammo l'uomo delle forme la più perfetta / e poi lo riducemmo degli abbietti il più abbietto / salvo coloro che credono e che operano il bene, che riceveranno una ricompensa che non sarà mai rinfacciata. E cosa mai potrà, allora, spingerti a negare il dì del giudizio? / Non è Dio il più giusto dei giudici?» (Al-Tin, Sura del fico 95,1-8).

«Dio è Chi ha fatto per voi della terra un luogo di soggiorno e del cielo una volta, e vi modellò e perfezionò le vostre forme e vi ha dato cose buone. Così è Dio, il vostro Signore. Benedetto sia Dio, il Signore dei mondi!» (Al-Ghafir, Sura del Perdonatore, 40,64).

«Anzi, quelli che sbagliano seguendo le loro passioni senza sapere. Chi potrà guidare chi Dio ha traviato? Essi non avranno chi li soccorra. / Così indirizza la tua intenzione (o Muhammad) verso la religione come un uomo dalla natura retta - la natura (formata) di Dio, nella quale egli ha creato l'uomo. Non c'è alterazione (delle leggi) della creazione di Dio. Questa è la retta religione, ma la maggior parte degli uomini non sa» (Al-Rum, Sura dei Romani 30,29-30).

«E quando l'avrò plasmato e avrò soffiato in lui il mio spirito, allora prosternatevi davanti a lui» (Sad, Sura del Sad 38,72).

«E quando il tuo Signore disse agli angeli: Ecco! Sto per porre un vicario sulla terra, essi dissero: vuoi porvi uno che farà del male e verserà del sangue, mentre noi cantiamo le tue lodi e ti santifichiamo? Egli disse: Io so ciò che voi non sapete. / Ed egli insegnò ad Adam i nomi di tutte le cose, poi le mostrò agli angeli dicendo: ditemi i nomi di queste, se siete sinceri. / Essi dissero: Sia gloria a te! Noi non sappiamo altro che quello che tu ci hai insegnato. Tu, solo tu sei il Sapiente il Saggio. / Egli disse: O Adam di' loro i nomi, e quando egli disse loro i nomi, egli disse: E non vi dissi che io conosco i segreti dei cieli e della terra? E conosco ciò che manifestate e ciò che celate. / E quando noi dicemmo agli angeli: prosternatevi davanti ad Adam, essi si prosternarono salvo Iblis. Egli rifiutò orgoglioso e così divenne un negatore.../ E noi dicemmo: O Adam abitate tu e la tua sposa nel giardino e mangiate liberamente (dei frutti) dove voi volete; ma non vi avvicinate a questo albero affinché non diventiate dei peccatori» (Al-Baqarah, Sura della vacca, 2,30-35).

18 Sahih Al-Bukhari, Kitab al-Iman, hadith n. 13.

19 Sahih Muslim, Kitab al-Iman, 67-1, hadith n. 45.

20 I commentatori classici del sacro Corano (cf. Tafsir Ibn Kathir, Tafsir Al-Jalalayn) concordano generalmente nell'affermare che questo si riferisce alla posizione finale della preghiera del musulmano.

21Abu Ja'far Muhammad Bin Jarir Al-Tabari, Jami' al-Bayan fi Ta'wil al-Qur'an, (Dar al-Kutub al-'Ilmiyyah, Beirut [Libano] 1992/1412,) tafsir di Aal-'Imran, 3,64; vol. 3, pp. 299-302.

22 Secondo i grammatici citati da Tabari (cit.) il termine «comune» (sawa) in «una parola comune fra noi e voi» significa anche «giusta», «chiara» (adl).

23 Il beato Teofilatto (1055-1108 èra cristiana) fu arcivescovo ortodosso di Ocride e Bulgaria (1090-1108 era cristiana). La sua lingua materna era il greco del Nuovo Testamento. Il suo Commentario è attualmente disponibile in inglese presso Chrysostom Press.


Riflessioni psicologiche per i momenti di crisi (1)


Quando uno ci ripensa

di Aldo Basso



La crisi in se stessa non è né negativa né positiva. Una personalità sufficientemente matura non evade di fronte alla crisi; essa è segno di una personalità che si evolve. È il modo con cui il soggetto l’affronta che può rappresentare un approccio costruttivo e positivo oppure negativo.

Il documento di Ravenna
Commissione mista cattolici-ortodossi




Cattolici e ortodossi concordano sul fatto che «il vescovo di Roma è... il protos tra i patriarchi... La conciliarità a livello universale, esercitata nei concili ecumenici, implica un ruolo attivo del vescovo di Roma, quale protos tra i vescovi delle sedi maggiori, nel consenso dell'assemblea dei vescovi». Queste affermazioni costituiscono «un positivo e significativo progresso» nel dialogo tra cattolici e ortodossi portato avanti dalla Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica romana e la Chiesa ortodossa nel suo insieme, che riunitasi a Ravenna dall'8 al 14 ottobre 2007 per la sua X Sessione plenaria ha approvato il documento intitolato Le conseguenze ecclesiologiche e canoniche della natura sacramentale della Chiesa. Comunione ecclesiale, conciliarità e autorità («Documento di Ravenna»).

Pubblichiamo qui di seguito la traduzione italiana del Documento di Ravenna discusso e approvato all'unanimità dai membri della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica romana e la Chiesa ortodossa durante la X sessione plenaria della Commissione a Ravenna, 8-14.10.2007.

Il documento è pertanto emanazione di una Commissione e non deve intendersi come una dichiarazione magisteriale. Il progetto base e la stesura finale del documento sono in lingua inglese. La traduzione italiana è stata curata dal Pontificio consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani. Cf. Regno-att. 20,2007,664ss.

Introduzione

1. «Perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv17,21). Rendiamo grazie al Dio trino che ci ha riuniti - noi, i membri della Commissione mista per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica romana e la Chiesa ortodossa nel suo insieme - affinché possiamo rispondere insieme in obbedienza a questa preghiera di Gesù. Siamo consapevoli che il nostro dialogo prende un nuovo avvio in un mondo che nei tempi recenti è profondamente cambiato. Il processo di secolarizzazione e di globalizzazione, come anche le sfide poste da nuovi incontri tra i cristiani e i credenti di altre religioni, richiedono con rinnovata urgenza ai discepoli di Cristo di dare testimonianza della loro fede, del loro amore e della loro speranza. Possa lo Spirito di Cristo risorto consentire al nostro cuore e alla nostra mente di recare i frutti dell'unità nelle relazioni tra le nostre Chiese, affinché possiamo servire insieme l'unità e la pace di tutta la famiglia umana. Possa lo stesso Spirito condurci alla piena espressione del mistero della comunione ecclesiale, che noi riconosciamo con gratitudine come un dono meraviglioso di Dio al mondo, un mistero la cui bellezza rifulge specialmente nella santità alla quale siamo tutti chiamati.

2. Secondo il «Piano» adottato nel primo incontro di Rodi nel 1980, la Commissione mista aveva iniziato a trattare il mistero della koinonia ecclesiale alla luce del mistero della santa Trinità e dell'eucaristia. Ciò aveva permesso di comprendere più profondamente la comunione ecclesiale, sia a livello della comunità locale radunata attorno al suo vescovo, che a livello delle relazioni tra i vescovi e tra le Chiese locali sulle quali ciascun [vescovo] presiede in comunione con la Chiesa una di Dio che si estende attraverso l'universo (cf. Documento di Monaco, 1982). Nell'intento di chiarire la natura della comunione, la Commissione mista aveva sottolineato la relazione esistente tra fede, sacramenti - con speciale riguardo ai tre sacramenti dell'iniziazione cristiana - e l'unità della Chiesa (cf. Documento di Bari, 1987). Successivamente, studiando il sacramento dell'ordine nella struttura sacramentale della Chiesa, la Commissione aveva indicato chiaramente il ruolo della successione apostolica quale garante della koinonia di tutta la Chiesa, e la sua continuità con gli apostoli, in ogni tempo e in ogni luogo (cf. Documento di Valamo, 1988). Dal 1990 al 2000, il principale argomento discusso dalla Commissione è stato «l'uniatismo» (Documento di Balamand, 1993; Documento di Baltimora, 2000), argomento che la Commissione mista considererà ulteriormente in un prossimo futuro. Essa affronta attualmente il tema sollevato nella conclusione del Documento di Valamo, e riflette sulla comunione ecclesiale, la conciliarità e l'autorità.

3. Sulla base di tali affermazioni comuni della nostra fede, dobbiamo trarre ora le conseguenze ecclesiologiche e canoniche derivanti dalla natura sacramentale della Chiesa. Poiché l'eucaristia, alla luce del mistero trinitario, costituisce il criterio della vita ecclesiale nella sua interezza, in che modo le strutture istituzionali riflettono visibilmente il mistero di questa koinonia? Poiché la Chiesa una e santa è realizzata in ciascuna Chiesa locale che celebra l'eucaristia e, allo stesso tempo, nella koinonia di tutte le Chiese, in che modo la vita delle Chiese manifesta tale struttura sacramentale?

4. Unità e molteplicità, la relazione tra la Chiesa una e le molte Chiese locali, tale relazione costitutiva della Chiesa pone anch'essa la questione della relazione tra l'autorità, inerente a ogni istituzione ecclesiale, e la conciliarità, che deriva dal mistero della Chiesa come comunione. Poiché i termini «autorità» e «conciliarità» abbracciano uno spazio molto vasto, inizieremo con il definire il modo secondo il quale noi li comprendiamo.1

I. I fondamenti della conciliarità e dell'autorità

1. Conciliarità

5. Il termine conciliarità o sinodalità deriva dalla parola «concilio» (synodos in greco, concilium in latino), che denota soprattutto un raduno di vescovi che esercitano una particolare responsabilità. Tuttavia è anche possibile comprendere il termine in un'accezione più ampia, nel senso di tutti i membri della Chiesa (cf. il vocabolo russo sobornost). Di conseguenza parleremo dapprima di «conciliarità» nel suo significato secondo il quale ciascun membro del corpo di Cristo, in virtù del battesimo, ha il suo spazio e la sua propria responsabilità nella koinonia (communio in latino) eucaristica. La conciliarità riflette il mistero trinitario e ha il suo fondamento ultimo in tale mistero. Le tre persone della santa Trinità sono «enumerate», come afferma san Basilio il Grande (Sullo Spirito Santo, 45), senza che la designazione come «seconda» o «terza» persona implichi una diminuzione o una subordinazione. Analogamente esiste anche un ordine tra le Chiese locali, che tuttavia non implica disuguaglianza nella loro natura ecclesiale.

6. L'eucaristia manifesta la koinonia trinitaria attualizzata nei fedeli come un'unità organica di molteplici membri, ciascuno dei quali ha un carisma, un servizio o un ministero proprio, i quali sono necessari, nella loro varietà e nella loro diversità, all'edificazione di tutti nell'unico corpo ecclesiale di Cristo (cf. 1Cor 12,4-30). Tutti sono chiamati, sono impegnati e sono resi responsabili - ciascuno in modo diverso, ma tuttavia non meno effettivo - nel comune compimento delle azioni che, per mezzo dello Spirito Santo, rendono presente nella Chiesa il ministero di Cristo, «via, verità e vita» (Gv 14,6). Così è realizzato nel genere umano il mistero della koinonia salvifica con la santa Trinità.

7. L'intera comunità e ciascuna persona che ne fa parte ha la «consapevolezza della Chiesa» (ekklesiastike syneidesis), come essa è definita dalla teologia greca, ovvero il sensus fidelium secondo la terminologia latina. In virtù del battesimo e della cresima (o crismazione), ciascun membro della Chiesa esercita una forma di autorità nel corpo di Cristo. In questo senso, tutti i fedeli (e non soltanto i vescovi) sono responsabili per la fede professata all'atto del loro battesimo. Secondo l'insegnamento che dispensiamo in comune, l'insieme del popolo di Dio, avendo ricevuto «l'unzione dal Santo» (1Gv 2,20.27), in comunione con i loro pastori, non può errare in materia di fede (cf. Gv 16,13).

8. Nel proclamare la fede della Chiesa e nel chiarire le norme del comportamento cristiano, i vescovi, per istituzione divina, hanno un compito specifico. «Quali successori degli apostoli, i vescovi sono responsabili della comunione nella fede apostolica e della fedeltà alle esigenze di una vita secondo l'Evangelo» (Documento di Valamo, n. 40; EO 3/1851).

9. I concili costituiscono il principale modo di esercizio della comunione tra i vescovi (cf. Documento di Valamo, n. 52). In effetti, «il raccordo alla comunione apostolica collega l'insieme dei vescovi che assicurano l'episkope delle Chiese locali al collegio degli apostoli. Anch'essi formano un collegio radicato dallo Spirito Santo nell'"una volta per sempre" del gruppo apostolico, testimone unico della fede. Questo significa non solo che devono essere uniti tra loro nella fede, nella carità, nella missione, nella riconciliazione, ma anche che comunicano nella stessa responsabilità e nello stesso servizio alla Chiesa» (Documento di Monaco, III, 4; EO 1/2197).

10. Tale dimensione conciliare della vita della Chiesa appartiene alla sua natura più profonda. Ciò equivale a dire che essa è fondata sulla volontà di Cristo per i suoi seguaci (cf. Mt 18,15-20), sebbene le sue realizzazioni canoniche siano necessariamente determinate anche dalla storia e dal contesto sociale, politico e culturale. Definita in questo modo, la dimensione conciliare della Chiesa dev'essere presente nei tre livelli della comunione ecclesiale, locale, regionale e universale: a livello locale della diocesi affidata al vescovo; a livello regionale di un insieme di Chiese locali con i loro vescovi che «riconoscono colui che è il primo tra loro» (Canoni degli apostoli, n. 34); e a livello universale, coloro che sono i primi (protoi) nelle varie regioni, insieme con tutti i vescovi, collaborano per ciò che riguarda la totalità della Chiesa. Inoltre a questo livello i protoi debbono riconoscere chi è il primo tra di loro.

11. La Chiesa esiste in molti luoghi diversi, ciò che manifesta la sua cattolicità. Essendo «cattolica», essa è un organismo vivente, il corpo di Cristo. Ciascuna Chiesa locale, se essa è in comunione con le altre Chiese locali, è una manifestazione della Chiesa di Dio, una e indivisibile. Essere «cattolica» significa pertanto essere in comunione con l'unica Chiesa di tutti i tempi e in ogni luogo. Per questo motivo rompere la comunione eucaristica significa ferire una delle caratteristiche essenziali della Chiesa, la sua cattolicità.

2. Autorità

12. Quando parliamo di autorità, ci riferiamo all'exousia, così come il Nuovo Testamento la descrive. L'autorità della Chiesa deriva dal suo capo e Signore, Gesù Cristo. Avendo ricevuto la sua autorità da Dio Padre, Cristo, dopo la sua risurrezione, l'ha condivisa, per mezzo dello Spirito Santo, con gli apostoli (cf. Gv 20,22). Attraverso di loro essa è stata trasmessa ai vescovi, ai loro successori e, attraverso di loro a tutta la Chiesa. Nostro Signore Gesù Cristo ha esercitato questa autorità in vari modi attraverso i quali, e fino al suo compimento escatologico (cf. 1Cor 15,24-28), il regno di Dio si manifesta al mondo: ammaestrando (cf. Mt 5,2, Lc 5,3); compiendo miracoli (cf. Mc 1,30-34; Mt 14,35-36); scacciando gli spiriti impuri (cf. Mc 1,27; Lc 4,35-36); rimettendo i peccati (cf. Mc 2,10; Lc 5,24); e guidando i suoi discepoli sulla via della salvezza (cf. Mt 16,24). In conformità al mandato ricevuto da Cristo (cf. Mt 28,18-20), l'esercizio dell'autorità propria agli apostoli e successivamente ai vescovi comprende la proclamazione e l'insegnamento del Vangelo, la santificazione attraverso i sacramenti, in particolare l'eucaristia, e la guida pastorale di coloro che credono (cf. Lc 10,16).

13. L'autorità nella Chiesa appartiene a Gesù Cristo stesso, l'unico capo della Chiesa (cf. Ef 1,22; 5,23). Per mezzo del suo Spirito Santo, la Chiesa, in quanto suo corpo, partecipa alla sua autorità (cf. Gv 20,22-23). Scopo dell'autorità nella Chiesa è radunare tutta l'umanità in Gesù Cristo (cf. Ef 1,10; Gv 11,52). L'autorità, connessa alla grazia ricevuta nell'ordinazione, non è possesso privato di coloro che la ricevono né è un qualcosa che la comunità dà in delega; al contrario, è un dono dello Spirito Santo destinato al servizio (diakonia) della comunità e mai esercitato al di fuori di essa. Il suo esercizio comporta la partecipazione di tutta la comunità, essendo il vescovo nella Chiesa e la Chiesa nel vescovo (cf. Cipriano, Ep. 66, 8).

14. L'esercizio dell'autorità compiuto nella Chiesa, in nome di Cristo e per mezzo della potenza dello Spirito Santo, deve essere - in ogni sua forma e a tutti i livelli - un servizio (diakonia) d'amore, al pari di quello che fu di Cristo (cf. Mc10,45; Gv 13,1-16). L'autorità di cui parliamo, in quanto esprime l'autorità divina, può sussistere nella Chiesa soltanto nell'amore tra colui che la esercita e coloro che sono soggetti a essa. Pertanto si tratta di un'autorità senza dominazione, senza coercizione sia essa fisica o morale. In quanto partecipazione all'exousia del Signore crocifisso ed esaltato, al quale è stata data ogni autorità in cielo e sulla terra (cf. Mt 28,18), essa può e deve esigere obbedienza. Allo stesso tempo, a causa dell'incarnazione e della croce, essa è radicalmente diversa da quella esercitata dai capi delle nazioni e dai grandi di questo mondo (cf. Lc 22,25-27). Sebbene sia fuori dubbio che l'autorità è affidata a persone, le quali - a causa della debolezza e del peccato - sono spesso tentate di abusarne, non di meno per sua natura stessa l'identificazione evangelica dell'autorità con il servizio costituisce una norma fondamentale per la Chiesa. Per i cristiani, governare equivale a servire. Ne consegue che l'esercizio e l'efficacia spirituale dell'autorità ecclesiale sono assicurati attraverso il libero consenso e la collaborazione volontaria. A un livello personale ciò si traduce nell'obbedienza all'autorità della Chiesa per seguire Cristo, il quale è stato amorevolmente ubbidiente al Padre fino alla morte e alla morte di croce (cf. Fil 2,8).

15. L'autorità nella Chiesa si fonda sulla parola di Dio, che è presente e viva nella comunità dei discepoli. La Scrittura è la parola di Dio rivelata, così come la Chiesa - per mezzo dello Spirito Santo presente e attivo in essa - l'ha percepita nella Tradizione vivente ricevuta dagli apostoli. Il fulcro di questa Tradizione è l'eucaristia (cf. 1Cor 10,16-17; 11,23-26). L'autorità della Scrittura deriva dal fatto che è la parola di Dio che, letta nella Chiesa e dalla Chiesa, trasmette il Vangelo di salvezza. Attraverso la Scrittura, Cristo si rivolge alla comunità radunata e al cuore di ciascun credente. La Chiesa, attraverso lo Spirito Santo presente in lei, interpreta autenticamente la Scrittura, rispondendo ai bisogni dei tempi e dei luoghi. La consuetudine costante nei concili d'intronizzare i Vangeli al centro dell'assemblea attesta la presenza di Cristo nella sua Parola, la quale costituisce il necessario punto di riferimento per tutti i loro dibattiti e decisioni, e afferma nel contempo l'autorità esercitata dalla Chiesa nell'interpretare tale parola di Dio.

16. Nella sua divina economia, Dio vuole che la sua Chiesa abbia una struttura orientata alla salvezza. A tale essenziale struttura appartengono la fede professata e i sacramenti celebrati nella successione apostolica. L'autorità nella comunione ecclesiale è legata a questa struttura essenziale: il suo esercizio è regolato dai canoni e dagli statuti della Chiesa. Alcune di queste regole possono essere differentemente applicate, secondo i bisogni della comunione ecclesiale, in tempi e luoghi diversi, a patto però che la struttura essenziale della Chiesa sia sempre rispettata. Pertanto, come la comunione nei sacramenti presuppone la comunione nella stessa fede (cf. Documento di Bari, nn. 29-33), allo stesso modo, perché vi sia la piena comunione ecclesiale, dev'esserci, tra le nostre Chiese, il reciproco riconoscimento delle legislazioni canoniche nelle loro legittime diversità.

II. La triplice attualizzazione della conciliarità e dell'autorità

17. Avendo evidenziato i fondamenti sui quali poggiano la conciliarità e l'autorità nella Chiesa, e dopo aver rilevato la complessità del contenuto di tali termini, dobbiamo ora rispondere alle seguenti domande: in che modo gli elementi istituzionali della Chiesa esprimono visibilmente e sono a servizio del mistero della koinonia? In che modo le strutture canoniche della Chiesa esprimono la loro vita sacramentale? Per rispondere abbiamo distinto tre livelli delle istituzioni ecclesiali: il livello della Chiesa locale attorno al suo vescovo; il livello di una regione che comprende un certo numero di Chiese locali limitrofe; e il livello dell'intera terra abitata (oikoumene), che abbraccia tutte le Chiese locali.

1. Il livello locale

18. La Chiesa di Dio esiste laddove vi è una comunità radunata dall'eucaristia, presieduta, direttamente o attraverso i suoi presbiteri, da un vescovo legittimamente ordinato nella successione apostolica, il quale insegna la fede ricevuta dagli apostoli, in comunione con gli altri vescovi e con le loro Chiese. Il frutto di questa eucaristia e di questo ministero consiste nel radunare in un'autentica comunione di fede, di preghiera, di missione, di amore fraterno e di reciproco aiuto tutti coloro che hanno ricevuto lo Spirito di Cristo nel battesimo. Tale comunione è il quadro entro il quale è esercitata tutta l'autorità ecclesiale. La comunione è il criterio di tale esercizio.

19. Ciascuna Chiesa locale ha per missione di essere, per grazia di Dio, un luogo dove Dio è servito e onorato, dove è annunciato il Vangelo, sono celebrati i sacramenti, un luogo dove il fedele si adopera ad alleviare le miserie del mondo, e dove ogni credente può trovare la salvezza. Essa è la luce del mondo (cf. Mt 5,14-16), il lievito (cf. Mt 13,33), la comunità sacerdotale di Dio (cf. 1Pt 2,5.9). Le norme canoniche che la governano hanno lo scopo di garantire tale missione.

20. In virtù dello stesso battesimo, che fa di loro le membra di Cristo, ciascuna persona battezzata è chiamata, secondo i doni dell'unico Spirito Santo, al servizio nella comunità (cf. 1Cor 12,4-27). Pertanto, attraverso la comunione, che pone tutti i membri a servizio gli uni degli altri, la Chiesa locale appare già «sinodale» o «conciliare» nella sua struttura. Questa «sinodalità» non risulta soltanto nella relazione di solidarietà, nell'assistenza reciproca e nella complementarità, che i vari ministri ordinati hanno tra di loro. Senza dubbio il presbiterio è il consiglio del vescovo (cf. sant'Ignazio d'Antiochia, Ai Tralliani, 3), e il diacono è la sua «mano destra» (Didascalia apostolorum, 2, 28, 6), in modo che, secondo la raccomandazione di sant'Ignazio d'Antiochia, ogni cosa si faccia di concerto (cf. Ef. 6). La sinodalità, tuttavia, come esige la comunione ecclesiale, riguarda anche tutti i membri della comunità nell'obbedienza al vescovo, il quale è il protos e il capo (kephale) della Chiesa locale. Conformemente alle tradizioni orientale e occidentale, la partecipazione attiva del laicato, uomini e donne, degli appartenenti a comunità monastiche e delle persone consacrate si attua nella diocesi e nella parrocchia attraverso svariate forme di servizio e di missione.

21. I carismi dei membri della comunità hanno origine nell'unico Spirito Santo, e sono orientati al bene di tutti. Questo fatto mette in luce sia le esigenze sia i limiti dell'autorità di ciascuno nella Chiesa. Non dovrebbero esistere né passività né sostituzione di funzioni, né negligenza né sopraffazione dell'uno sull'altro. Tutti i carismi e i ministeri della Chiesa convergono nell'unità sotto il ministero del vescovo, il quale serve la comunione della Chiesa locale. Tutti sono chiamati dallo Spirito Santo a rinnovarsi nei sacramenti e a rispondere in una costante conversione (metanoia), di modo che sia garantita la loro comunione nella verità e nella carità.

2. Il livello regionale

22. Poiché la Chiesa rivela la sua cattolicità nella synaxis della Chiesa locale, tale cattolicità deve effettivamente manifestarsi in comunione con le altre Chiese che professano la stessa fede apostolica e condividono la stessa struttura ecclesiale fondamentale, a cominciare da quelle che sono vicine tra loro in virtù della loro comune responsabilità per la missione nella regione di cui fanno parte (cf. Documento di Monaco, III, 3 e Documento di Valamo, nn. 52 e 53). La comunione tra le Chiese è espressa nell'ordinazione dei vescovi. Tale ordinazione è conferita secondo l'ordine canonico da tre o più vescovi, e almeno da due (cf. Concilio di Nicea, canone 4), i quali agiscono in nome del corpo episcopale e del popolo di Dio, avendo essi stessi ricevuto il loro ministero dallo Spirito Santo per il tramite dell'imposizione delle mani nella successione apostolica. Quando ciò è compiuto in conformità ai canoni, è garantita la comunione tra le Chiese nella retta fede, nei sacramenti e nella vita ecclesiale, così come è garantita la comunione vivente con le generazioni precedenti.

23. Una tale comunione effettiva tra Chiese locali, ciascuna delle quali è la Chiesa cattolica in un determinato luogo, è stata espressa da alcune pratiche: la partecipazione dei vescovi delle sedi limitrofe all'ordinazione di un vescovo per la Chiesa locale; l'invito rivolto a un determinato vescovo di un'altra Chiesa a concelebrare nella synaxis della Chiesa locale; l'accoglienza estesa a fedeli di tali Chiese a condividere la mensa eucaristica; lo scambio di lettere in occasione di un'ordinazione; nonché l'offerta di assistenza materiale.

24. Un canone accettato in Oriente e in Occidente esprime la relazione tra le Chiese locali in una determinata regione: «I vescovi di ciascuna nazione (ethnos) debbono riconoscere colui che è il primo (protos) tra di loro, e considerarlo il loro capo (kephale), e non fare nulla di importante senza il suo consenso (gnome); ciascun vescovo può soltanto fare ciò che riguarda la sua diocesi (paroikia) e i territori che dipendono da essa. Ma il primo (protos) non può fare nulla senza il consenso di tutti. Poiché in questo modo la concordia (homonoia) prevarrà, e Dio sarà lodato per mezzo del Signore nello Spirito Santo» (Canoni degli apostoli, n. 34).

25. Tale norma, che riaffiora in svariate forme nella tradizione canonica, si applica a tutte le relazioni tra i vescovi di una regione, sia quelli di una provincia, che i vescovi di una metropolia, o di un patriarcato. La sua pratica applicazione può rilevarsi nei sinodi o concili di una provincia, regione o patriarcato. Il fatto che un sinodo regionale sia sempre composto essenzialmente di vescovi, anche quando esso comprende altri membri della Chiesa, rivela la natura dell'autorità sinodale. Soltanto i vescovi hanno voce deliberativa. L'autorità di un sinodo si basa sulla natura del ministero episcopale stesso, e manifesta la natura collegiale dell'episcopato a servizio della comunione delle Chiese.

26. Un sinodo (o concilio) implica in sé la partecipazione di tutti i vescovi di una regione. Esso è governato dal principio del consenso e della concordia (homonoia), che è espressa dalla concelebrazione eucaristica, così come si evince dalla dossologia finale del citato canone apostolico 34. Resta comunque il fatto che ciascun vescovo, nell'esercizio della cura pastorale, è giudice e responsabile davanti a Dio per le questioni che riguardano la sua propria diocesi (cf. Cipriano, Ep. 55, 21); pertanto egli è il custode della cattolicità della sua Chiesa locale, e deve sempre attentamente adoperarsi a promuovere la comunione cattolica con le altre Chiese.

27. Ne deriva che un sinodo o un concilio regionale non hanno autorità alcuna su altre regioni ecclesiastiche. Non di meno lo scambio d'informazioni e le consultazioni tra rappresentanti di diversi sinodi sono una manifestazione della cattolicità, come anche di quella fraterna e reciproca assistenza e carità che debbono costituire la regola tra tutte le Chiese locali a maggiore vantaggio di tutte. Ogni vescovo è responsabile dell'intera Chiesa assieme a tutti i suoi colleghi nella stessa e unica missione apostolica.

28. In questo modo alcune province ecclesiastiche sono pervenute a rafforzare i loro legami di responsabilità comune. Ciò costituisce uno dei fattori che, nella storia delle nostre Chiese, hanno condotto alla costituzione dei patriarcati. I sinodi patriarcali sono governati dagli stessi principi ecclesiologici e dalle stesse norme canoniche dei sinodi provinciali.

29. Nei secoli successivi, sia in Oriente che in Occidente si sono sviluppate alcune nuove configurazioni della comunione tra Chiese locali. Nuovi patriarcati e Chiese autocefale sono stati istituiti nell'Oriente cristiano, e recentemente nella Chiesa latina è emerso un tipo particolare di raggruppamento dei vescovi, le conferenze episcopali. Queste ultime, da un punto di vista ecclesiologico, non sono mere suddivisioni amministrative: esse esprimono lo spirito di comunione nella Chiesa, rispettando allo stesso tempo la diversità delle culture umane.

30. In effetti, indipendentemente dal profilo e dalle regole canoniche della sinodalità regionale, quest'ultima dimostra che la Chiesa di Dio non è una comunione di persone o di Chiese locali estirpate dalle loro radici umane. In quanto comunità di salvezza e poiché questa salvezza è «la restaurazione della creazione» (cf. Ireneo, Adv. Haer. 1, 36, I), essa ingloba la persona umana in ogni cosa che la lega all'umana realtà così come essa è stata creata da Dio. La Chiesa non è una congerie di individui; è fatta di comunità con culture, storie e strutture sociali diverse tra loro.

31. Nelle Chiese locali raggruppate tra loro a livello regionale, la cattolicità appare sotto la sua vera luce. Essa è espressione della presenza della salvezza non in un universo indifferenziato, ma in un'umanità che Dio ha creato e che egli viene a salvare. Nel mistero della salvezza, la natura umana è assunta nella sua pienezza e, allo stesso tempo, è guarita da ciò che il peccato ha introdotto in essa con l'autosufficienza, l'orgoglio, l'incapacità di aver fiducia negli altri, l'aggressività, la gelosia, l'invidia, la falsità e l'odio. La koinonia ecclesiale è il dono per mezzo del quale tutta l'umanità è radunata insieme, nello Spirito del Signore risorto. Questa unità, creata dallo Spirito, lungi dallo scadere nell'uniformità, esige e dunque preserva - e in una certa maniera, accresce - la diversità e la particolarità.

3. Il livello universale

32. Ciascuna Chiesa locale non è soltanto in comunione con le Chiese vicine, ma anche con la totalità delle Chiese locali, con quelle attualmente presenti nel mondo, quelle che esistevano sin dall'inizio, quelle che esisteranno in futuro, e con la Chiesa già nella gloria. In conformità con la volontà di Cristo, la Chiesa è una e indivisibile, è la stessa, sempre e in ogni luogo. Cattolici e ortodossi confessano entrambi, nel Credo di Nicea-Costantinopoli, che la Chiesa è una e cattolica. La sua cattolicità abbraccia non soltanto la diversità delle comunità umane, ma anche la loro fondamentale unità.

33. Di conseguenza, è chiaro che una sola e unica fede dev'essere confessata e vissuta in tutte le Chiese locali, ovunque dev'essere celebrata la stessa e unica eucaristia, e un solo e unico ministero apostolico dev'essere all'opera in tutte le comunità. Una Chiesa locale non può modificare il Credo formulato dai concili ecumenici, sebbene essa debba sempre dare «a nuovi problemi (...) risposte appropriate, fondate sulla Scrittura, in armonia e continuità essenziali con i precedenti enunciati dei dogmi» (Documento di Bari, n. 29; EO 3/1790). Allo stesso modo una Chiesa locale non può modificare, con una decisione unilaterale, un punto fondamentale che riguardi la forma del ministero, né essa può celebrare l'eucaristia in volontario isolamento dalle altre Chiese locali senza nuocere alla comunione ecclesiale. Tutte queste cose riguardano il vincolo stesso di comunione e dunque l'essere stesso della Chiesa.

34. Proprio in ragione di tale comunione tutte le Chiese, per mezzo dei canoni, regolano tutto ciò che riguarda l'eucaristia e i sacramenti, il ministero e l'ordinazione, la trasmissione (paradosis) e l'insegnamento (didaskalia) della fede. Si comprende chiaramente il motivo per il quale sono necessarie in questo campo delle regole canoniche e delle norme disciplinari.

35. Nell'evolversi della storia, quando sono sorti seri problemi circa la comunione universale e la concordia tra le Chiese - a riguardo dell'autentica interpretazione della fede, o ai ministeri e alla loro relazione all'intera Chiesa, o alla disciplina comune che la fedeltà al Vangelo esige - si è fatto ricorso ai concili ecumenici. Tali concili erano ecumenici non soltanto per il fatto che essi radunavano insieme i vescovi di tutte le regioni e in particolare quelli delle cinque maggiori sedi secondo l'antico ordine (taxis): Roma, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme. Essi erano ecumenici anche perché le loro solenni decisioni dottrinali e le loro comuni formulazioni di fede, specialmente su argomenti cruciali, erano vincolanti per tutte le Chiese e per tutti i fedeli, per tutti i tempi e tutti i luoghi. Tale è il motivo per il quale le decisioni dei concili ecumenici restano normative.

36. La storia dei concili ecumenici evidenzia quelle che debbono essere considerate le loro caratteristiche speciali. Tale questione dev'essere ulteriormente studiata nel nostro futuro dialogo, tenendo in considerazione l'evoluzione di strutture ecclesiali verificatasi nei secoli più recenti sia in Oriente sia in Occidente.

37. L'ecumenicità delle decisioni di un concilio è riconosciuta attraverso un processo di ricezione di durata lunga o breve, per il cui tramite il popolo di Dio nel suo insieme - attraverso la riflessione, il discernimento, il dibattito e la preghiera - riconosce in tali decisioni l'unica fede apostolica delle Chiese locali, che è stata sempre la stessa e di cui i vescovi sono i maestri (didaskaloi) e i custodi. Tale processo di ricezione è diversamente interpretato in Oriente e in Occidente, secondo le loro rispettive tradizioni canoniche.

38. Pertanto la conciliarità o sinodalità implica molto di più dei vescovi radunati in assemblea. Essa coinvolge anche le loro Chiese. I primi sono i depositari della fede e danno voce alla fede delle seconde. Le decisioni dei vescovi devono essere ricevute nella vita delle Chiese, specialmente nella loro vita liturgica. Ciascun concilio ecumenico accettato come tale, nel significato proprio e pieno del termine, è, di conseguenza, una manifestazione della comunione di tutta la Chiesa e un servizio reso a essa.

39. Contrariamente ai sinodi diocesani e regionali, un concilio ecumenico non è un'«istituzione» la cui frequenza può essere regolata da canoni; piuttosto esso è un «evento», un kairos, ispirato dallo Spirito Santo, che guida la Chiesa affinché essa generi al suo interno le istituzioni di cui ha bisogno e che corrispondono alla sua natura. Tale armonia tra la Chiesa e i concili è così profonda da far sì che entrambe le Chiese - anche dopo la rottura tra Oriente e Occidente, che rendeva impossibile la convocazione di concili ecumenici nel senso stretto del termine - abbiano continuato a tenere dei concili ogni volta che insorgevano serie crisi. Tali concili radunavano i vescovi di Chiese locali in comunione con la Sede di Roma o, rispettivamente, e sebbene compresi in modo diverso, con la Sede di Costantinopoli. Nella Chiesa cattolica romana, alcuni di tali concili tenuti in Occidente erano considerati ecumenici. Questa situazione, che ha costretto le due parti della cristianità a convocare concili propri a ciascuna di esse, ha favorito i dissensi che hanno contribuito al reciproco estraniamento. Debbono essere ricercati i mezzi che permetteranno di ristabilire il consenso ecumenico.

40. Durante il primo millennio, la comunione universale delle Chiese, nel normale svolgersi degli eventi, fu mantenuta attraverso le relazioni fraterne tra i vescovi. Tali relazioni dei vescovi tra di loro, tra i vescovi e i loro rispettivi protoi, e anche tra gli stessi protoi nell'ordine (taxis) canonico testimoniato dalla Chiesa antica, ha nutrito e consolidato la comunione ecclesiale. La storia registra consultazioni, lettere e appelli alle principali sedi, specialmente la Sede di Roma, che esprimono palesemente la solidarietà creata dalla koinonia. Disposizioni canoniche quali l'inserimento nei dittici dei nomi dei vescovi delle sedi principali e la comunicazione della professione di fede agli altri patriarchi in occasione di elezioni erano espressioni concrete di koinonia.

41. Entrambe le parti concordano sul fatto che tale taxis canonica era riconosciuta da tutti all'epoca della Chiesa indivisa. Inoltre concordano sul fatto che Roma, in quanto Chiesa che «presiede nella carità», secondo l'espressione di sant'Ignazio d'Antiochia (Ai Romani, Prologo), occupava il primo posto nella taxis, e che il vescovo di Roma è pertanto il protos tra i patriarchi. Tuttavia essi non sono d'accordo sull'interpretazione delle testimonianze storiche di quest'epoca per ciò che riguarda le prerogative del vescovo di Roma in quanto protos, questione compresa in modi diversi già nel primo millennio.

42. La conciliarità a livello universale, esercitata nei concili ecumenici, implica un ruolo attivo del vescovo di Roma, quale protos tra i vescovi delle sedi maggiori, nel consenso dell'assemblea dei vescovi. Sebbene il vescovo di Roma non abbia convocato i concili ecumenici dei primi secoli, e non li abbia mai presieduti, egli fu non di meno strettamente coinvolto nel processo decisionale di tali concili.

43. Primato e conciliarità sono reciprocamente interdipendenti. Per tale motivo il primato ai diversi livelli della vita della Chiesa, locale, regionale e universale, dev'essere sempre considerato nel contesto della conciliarità e, analogamente, la conciliarità nel contesto del primato.

Per quanto riguarda il primato ai diversi livelli, desideriamo affermare i seguenti punti:

1. Il primato, a tutti i livelli, è una pratica fermamente fondata nella tradizione canonica della Chiesa.

2. Mentre il fatto del primato a livello universale è accettato dall'Oriente e dall'Occidente, esistono delle differenze nel comprendere sia il modo secondo il quale esso dovrebbe essere esercitato, sia i suoi fondamenti scritturali e teologici.

44. Nella storia dell'Oriente e dell'Occidente, almeno fino al IX secolo, e sempre nel contesto della conciliarità, era riconosciuta una serie di prerogative, secondo le condizioni dei tempi, per il protos o kephale, in ciascuno dei livelli ecclesiastici stabiliti: localmente, per il vescovo in quanto protos della sua diocesi rispetto ai suoi presbiteri e ai suoi fedeli; a livello regionale, per il protos di ciascuna metropoli rispetto ai vescovi della sua provincia, e per il protos di ciascuno dei cinque patriarcati rispetto ai metropoliti di ciascuna circoscrizione; e universalmente, per il vescovo di Roma come protos tra i patriarchi. Tale distinzione di livelli non diminuisce né l'eguaglianza sacramentale di ogni vescovo né la cattolicità di ciascuna Chiesa locale.

Conclusione

45. Resta da studiare in modo più approfondito la questione del ruolo del vescovo di Roma nella comunione di tutte le Chiese. Qual è la funzione specifica del vescovo della «prima sede» in un'ecclesiologia di koinonia, in vista di quanto abbiamo affermato nel presente testo circa la conciliarità e l'autorità? In che modo l'insegnamento sul primato universale dei concili Vaticano I e Vaticano II può essere compreso e vissuto alla luce della pratica ecclesiale del primo millennio? Si tratta di interrogativi cruciali per il nostro dialogo e per le nostre speranze di ristabilire la piena comunione tra di noi.

46. Noi membri della Commissione internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica romana e la Chiesa ortodossa nel suo insieme siamo convinti che la dichiarazione di cui sopra sulla comunione ecclesiale, la conciliarità e l'autorità rappresenta un positivo e significativo progresso nel nostro dialogo, e che essa fornisce una solida base per la discussione futura sulla questione del primato nella Chiesa a un livello universale. Siamo consapevoli delle molte questioni difficili che restano da chiarire, ma è nostra speranza che, sostenuti dalla preghiera di Gesù «perché tutti siano una cosa sola (...) perché il mondo creda» (Gv 17,21), e in obbedienza allo Spirito Santo, ci sarà possibile avanzare sulla base dell'accordo già raggiunto. Riaffermando e confessando «un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo» (Ef 4,5), rendiamo gloria a Dio Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, che ci ha riuniti insieme.

1 Alcuni dei partecipanti ortodossi considerano importante sottolineare che l'uso dei termini «Chiesa», «Chiesa universale», «Chiesa indivisa» e «corpo di Cristo», nel presente documento e negli altri documenti elaborati dalla Commissione mista, non sminuiscono in alcun modo la comprensione che la Chiesa ortodossa ha di se stessa quale Chiesa una, santa, cattolica e apostolica, di cui parla il Credo di Nicea. Dal punto di vista cattolico, la stessa consapevolezza di sé implica che: la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica sussiste nella Chiesa cattolica (Lumen gentium, n. 8); ciò non esclude il riconoscimento che elementi della vera Chiesa siano presenti al di fuori della comunione cattolica.