Il «pane spezzato» è il punto centrale e risolutivo dell’episodio narrato in Lc 24,13-35; i discepoli non hanno bisogno di toccare le piaghe del Risorto per riconoscerlo, è loro sufficiente il pane spezzato. L’episodio sembra la traduzione in termini cristiani, quindi di pienezza di rivelazione, della scena rituale culminante nella celebrazione dei misteri eleusini, dell’attesa della suprema rivelazione. La celebrazione dei misteri era preceduta dal digiuno, da riti austeri, che aiutavano gli iniziandi a sorpassare i limiti della loro coscienza ordinaria, a raggiungere una capacità percettiva ultrasensibile. Nell’ultima notte veniva celebrata l’epopteia, la visione soprasensibile; in essa il celebrante mostrava agli iniziandi una spiga matura di grano. Questo gesto non era la semplice allusione alla periodica morte-risurrezione del grano seminato nei solchi, ma faceva interiorizzare negli iniziati il processo della vegetazione del grano: essi sperimentavano di essere il seme che, caduto sulla terra, muore e risorge moltiplicato (Gv 12,24), non temevano più la morte avendo visto nascere il frutto eterno dell’anima, l’Io superiore, e acquistato la certezza dell’esistenza sempre nuova dell’Io umano.
«Beati quelli che, partecipando alla celebrazione dei misteri, vi trovano quella vita che altri inutilmente cercano» (Sofocle). Il grano, come l’olivo e la vite, hanno accompagnato ed espresso il divenire e le formulazioni della cultura spirituale e sociale dell’umanità mediterranea e occidentale in genere. Essi non sono stati soltanto i tre doni che la divinità ha fatto all’uomo, ma sono gli alimenti vitali che hanno richiesto un assiduo lavoro di generazioni di uomini. Il frumento ha richiesto, prima di raggiungere la forma del pane mediante la fermentazione e la cottura, un assiduo lavoro di generazioni. Dalle primitive elaborazioni dei nomadi, consistenti in farina spenta nell’acqua o in gallette cotte sulla pietra arroventata, al pane fermentato e cotto, l’umanità ha compiuto un lungo cammino di incivilimento. Osservando l’elaborazione della farina di frumento si possono cogliere le caratteristiche di un gruppo; un clan non ancora organizzato improvvisa la cottura in farinate o gallette, un gruppo invece strutturato elabora il suo pane ritualmente; quanto più una collettività si differenzia in famiglie e individui, tanto maggiore sarà la diversità di panificazione; quando invece una società subisce un processo di massificazione, prevale un unico tipo di pane imposto dall’autorità centrale. Cosicché il pane è il più sicuro simbolo per valutare la libertà personale esistente in una cultura.
Questa constatazione ci aiuta a comprendere il significato della spiga nelle celebrazioni misteriche e del pane spezzato nella religione cristiana. Cristo solleva non la spiga, pane in divenire, ma il pane che conclude il processo di morte-vita del grano, e infrange la forma finale della trasformazione del grano. Tenendo presente lo stretto nesso simbolico tra il grano-pane e il processo di individuazione della coscienza umana, ci è dato di comprendere il significato del gesto di Cristo: l’uomo-grano deve morire per raggiungere la sua maturazione nel pane, raggiunta la quale è chiamato, cristianamente, a frantumarsi perché un’onda di più potente vita erompa dalla maturità conquistata. E il pane spezzato rivela l’essenza del mistero cristiano che è consumazione per l’altrui vita, frantumazione delle forme perché la vita ascenda in ritmi più vasti e grandiosi. Il pane spezzato è l’icona che Cristo ha lasciato di se stesso e insieme la rivelazione del mistero ultimo dell’Essere increato e creato. Il mistero divino è pane che si spezza per la fame di tutti, il mistero di ogni vita è frantumazione di forme perché il fluire della vita non sia fermato. Tutto nasce da una forma che si frange. La gemma muore e risorge nel fiore, il fiore nel frutto, il frutto nel seme che, a sua volta, muore e risorge. La morte non esiste, solo la vita esiste e si afferma nella consumazione di tutte le forme raggiunte e nel passaggio ad altre più belle e vigorose. La bellezza della fanciulla sfiorisce nella maternità, si spezza per generare esseri nuovi. I figli migliori dell’umanità vengono perseguitati e abbandonati perché nella solitudine e nella consumazione creino cicli nuovi di umanità.
Il pane spezzato è la suprema rivelazione della vita, i discorsi sulle Sacre lettere possono commuovere il cuore, riscaldare la mente, il gesto della frazione del pane sconvolge l’essere totalmente. E il gesto del grano che ha raggiunto il compimento della sua natura nel pane, è il gesto del Figlio di Dio e del Figlio dell’Uomo, è il gesto di ogni io umano che ha raggiunto l’ultimo gradino dell’ascesa. Cristo è sempre dietro questo gesto vivente e pieno d’amore, nessun tradimento, nessuna delusione lo fanno desistere, il suo gesto rimarrà fino alla consumazione del tempo, essendo la legge profonda e stimolante della vita in ascesa. Non rifiuta il suo corpo a chi lo vuole consumare, anche quando l’uomo non vuol più saperne di lui.
La rivelazione del pane spezzato, di vivere la nostra personale vita amando, servendo, consumandoci, affrontando tutti i rischi e le morti che vi sono incluse, è il più grande dono che Cristo ci ha dato. In virtù di questo dono, anche noi possiamo dare. Legge severa della vita è il dare; nella natura il dare è necessità, nell’uomo è frutto di libera scelta. Chi getta la propria vita allo sbaraglio la troverà; dando la vita, il nostro piccolo io fiorisce nell’infinita vita di Dio.
Giovanni Vannucci, Il pane spezzato, in Risveglio della coscienza, ed. Centro studi ecumenici Giovanni XXIII, Sotto il Monte (BG) ed. CENS, Milano 1984. pp. 69-71.