XV Domenica del tempo ordinario - Anno C
Omelia di Paolo Scquizzato
Prima Lettura Dt 30,10-14
Mosè parlò al popolo dicendo:
«Obbedirai alla voce del Signore, tuo Dio, osservando i suoi comandi e i suoi decreti, scritti in questo libro della legge, e ti convertirai al Signore, tuo Dio, con tutto il cuore e con tutta l’anima.
Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te. Non è nel cielo, perché tu dica: “Chi salirà per noi in cielo, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?”. Non è di là dal mare, perché tu dica: “Chi attraverserà per noi il mare, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?”. Anzi, questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica».
Salmo Responsoriale Sal 18
I precetti del Signore fanno gioire il cuore.
La legge del Signore è perfetta,
rinfranca l’anima;
la testimonianza del Signore è stabile,
rende saggio il semplice.
I precetti del Signore sono retti,
fanno gioire il cuore;
il comando del Signore è limpido,
illumina gli occhi.
Il timore del Signore è puro,
rimane per sempre;
i giudizi del Signore sono fedeli,
sono tutti giusti.
Più preziosi dell’oro,
di molto oro fino,
più dolci del miele
e di un favo stillante.
primogenito di tutta la creazione,
perché in lui furono create tutte le cose
nei cieli e sulla terra,
quelle visibili e quelle invisibili:
Troni, Dominazioni,
Principati e Potenze.
Tutte le cose sono state create
per mezzo di lui e in vista di lui.
Egli è prima di tutte le cose
e tutte in lui sussistono.
Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa.
Egli è principio,
primogenito di quelli che risorgono dai morti,
perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose.
È piaciuto infatti a Dio
che abiti in lui tutta la pienezza
e che per mezzo di lui e in vista di lui
siano riconciliate tutte le cose,
avendo pacificato con il sangue della sua croce
sia le cose che stanno sulla terra,
sia quelle che stanno nei cieli.
Alleluia, Alleluia
Le tue parole, Signore, sono spirito e vita;
tu hai parole di vita eterna.
Alleluia, Alleluia
In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».
Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».
OMELIA
Gesù spezza lo schema. Non risponde con una definizione, ma con una narrazione, con un gesto, con un rovesciamento: la parabola del buon samaritano. E così, con radicale semplicità, cambia la domanda: non “chi è il mio prossimo?” ma “a chi posso io farmi prossimo?”
Come se ci dicesse: non domandarti chi è da amare, ma disponiti a diventare tu risposta per chiunque chieda amore. È qui che inizia il cristianesimo.
L’amore autentico non nasce da una strategia morale, da una selezione ponderata, da un criterio di reciprocità. Non dice: “mi prenderò cura di lui perché se lo merita” o “perché la pensa come me”. No. L’amore, come dice Simone Weil, “è attenzione pura”. È una risposta che precede il giudizio. È la gratuità che sconfigge la logica della reciprocità.
Gesù racconta di un uomo mezzo morto ai bordi della strada. Gli passano accanto un sacerdote e un levita: figure religiose, osservanti, rispettabili. Ma tirano dritto. Toccare il sangue gli avrebbero resi impuri e reso vano il loro servizio al Tempio. Giunge infine un samaritano, per l’establishment religioso un eretico e uno scomunicato. E questi si ferma. Sì, perché l’amore comincia proprio col fermarsi.
Il samaritano, anonimo e senza titoli, diventa così figura del Cristo. E con lui viene inaugurata una nuova Torah, non più fatta di dieci comandamenti scolpiti nella pietra, ma di dieci verbi scolpiti nella carne: Lo vide/Ne ebbe compassione/Gli si fece vicino/Gli fasciò le ferite/Gli versò olio e vino/Lo caricò sulla cavalcatura/Lo portò in albergo/Si prese cura di lui/Pagò per lui/Ritornò da lui.
Questi dieci verbi non sono una morale. Sono una teofania, incarnano il medesimo volto di Dio. Gesù rompe così ogni forma di religione che serva solo a tracciare confini. Ai suoi occhi non conta il dogma, ma il gesto. Non l’appartenenza, ma la compassione. Non un ‘credo’ ma la fede, quella che – come dice Paolo – “opera per mezzo dell’amore” (Gal 5,6).
“Ho cercato la mia anima e non l’ho trovata. Ho cercato Dio e non l’ho trovato. Ho cercato mio fratello e ho trovato tutti e tre.” (Proverbio sufi)
Essere cristiani in fondo non significa tanto sapere chi è Dio, ma saper riconoscere il grido dell’altro che diventa luogo d’incontro col divino.
Chi ama, anche senza sapere, sta già pregando. Chi si ferma, anche senza credere, è già sulla via del Regno.
“Non chiederti mai se l’altro merita il tuo amore. Chiediti piuttosto se tu sei disposto a farti prossimo.” (Ernesto Balducci)