XX Domenica del tempo ordinario - Anno C
Omelia di Paolo Scquizzato
Prima Lettura Ger 38,4-6.8-10
In quei giorni, i capi dissero al re: «Si metta a morte Geremìa, appunto perché egli scoraggia i guerrieri che sono rimasti in questa città e scoraggia tutto il popolo dicendo loro simili parole, poiché quest’uomo non cerca il benessere del popolo, ma il male». Il re Sedecìa rispose: «Ecco, egli è nelle vostre mani; il re infatti non ha poteri contro di voi».
Essi allora presero Geremìa e lo gettarono nella cisterna di Malchìa, un figlio del re, la quale si trovava nell’atrio della prigione. Calarono Geremìa con corde. Nella cisterna non c’era acqua ma fango, e così Geremìa affondò nel fango.
Ebed-Mèlec uscì dalla reggia e disse al re: «O re, mio signore, quegli uomini hanno agito male facendo quanto hanno fatto al profeta Geremìa, gettandolo nella cisterna. Egli morirà di fame là dentro, perché non c’è più pane nella città». Allora il re diede quest’ordine a Ebed-Mèlec, l’Etiope: «Prendi con te tre uomini di qui e tira su il profeta Geremìa dalla cisterna prima che muoia».
Salmo Responsoriale Sal 39 (40)
Signore, vieni presto in mio aiuto.
Ho sperato, ho sperato nel Signore,
ed egli su di me si è chinato,
ha dato ascolto al mio grido.
Mi ha tratto da un pozzo di acque tumultuose,
dal fango della palude;
ha stabilito i miei piedi sulla roccia,
ha reso sicuri i miei passi.
Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo,
una lode al nostro Dio.
Molti vedranno e avranno timore
e confideranno nel Signore.
Ma io sono povero e bisognoso:
di me ha cura il Signore.
Tu sei mio aiuto e mio liberatore:
mio Dio, non tardare.
Egli, di fronte alla gioia che gli era posta dinanzi, si sottopose alla croce, disprezzando il disonore, e siede alla destra del trono di Dio.
Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d'animo. Non avete ancora resistito fino al sangue nella lotta contro il peccato.
Alleluia, Alleluia
Le mie pecore ascoltano la mia voce, dice il Signore,
e io le conosco ed esse mi seguono.
Alleluia, Alleluia
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!
Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».
«C’era un uomo, che aveva inventato l’arte di accendere il fuoco. Prese i suoi attrezzi e si recò presso una tribù del nord, dove faceva molto freddo. Insegnò a quella gente ad accendere il fuoco. La tribù era molto interessata. L’uomo mostrò loro gli usi per i quali potevano sfruttare il fuoco – cuocere il cibo, tenersi caldi, ecc. .
Quelle persone erano molto grate all’uomo per quanto era stato loro insegnato sull’arte del fuoco, ma prima che potessero esprimergli la propria gratitudine, egli scomparve. Non gli importava ricevere il loro riconoscimento o la loro gratitudine: gli importava il loro benessere. Si recò in un’altra tribù, dove nuovamente iniziò a dimostrare il valore della sua invenzione. Anche quelle persone erano interessate, un po’ troppo però per i gusti dei loro sacerdoti, che iniziarono a notare che quell’uomo attirava la gente, mentre essi stavano perdendo popolarità. Così, decisero di liberarsene. Lo avvelenarono – o lo crocifissero, non ricordo più. Ora, però temevano che la gente si rivoltasse contro di loro, e così fecero una cosa molto saggia, persino astuta. Fecero eseguire un ritratto dell’uomo e lo montarono sull’altare principale del tempio. Gli strumenti per accendere il fuoco furono sistemati davanti al ritratto, e la gente fu invitata a venerare il ritratto e gli strumenti del fuoco, cosa che fece ubbidientemente per secoli.
L’adorazione e il culto continuarono, ma non fu mai usato il fuoco». (Anthony de Mello)
«Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso!» (Lc 12,49)
Il fuoco. Non quello che consuma e distrugge, ma quello che scalda, trasfigura, illumina. Il fuoco che è passione dell’anima e compassione per ogni essere; il fuoco che purifica le illusioni e dischiude l’essenziale. Gesù lo porta con sé. Lo getta sulla terra. Lo sogna già acceso. Eppure, sembra che duemila anni non siano bastati per vederne davvero la fiamma divampare.
Non è forse vero che, troppo spesso, ci siamo accontentati delle braci spente di un culto spento, mentre la vera brace — quella del Vangelo — attendeva di ardere nel cuore dell’umano?
Il fuoco delle Beatitudini, della vita povera, disarmata, libera dal bisogno di possesso e di potere, è stato soffocato da cenere di convenzioni, da riti senza più scintilla, da parole svuotate del loro incendio originario.
Eppure, come ci ricorda Anthony de Mello, il problema non è nella Tradizione, ma nel modo in cui la trattiamo. Tradizione infatti “Non il culto delle ceneri, ma la custodia del fuoco” (Gustav Mahler).
Il racconto del maestro del fuoco parla a noi. Parla alla Chiesa, alla spiritualità, a ogni ricerca umana. Quante volte abbiamo venerato il volto dell’uomo che portava il fuoco, senza più usare gli strumenti che ci aveva lasciato! Quante volte abbiamo eretto altari e codificato liturgie, dimenticando che il fuoco era destinato a essere acceso — non adorato.
Il dramma è tutto lì: la fiamma è stata trasformata in icona, e la Parola in dogma. Ma la Parola è fuoco vivo, non pietra scolpita. È urgenza, non istituzione.
Questo fuoco non si può rinchiudere nei recinti del potere o nelle stanze del consenso.
È fuoco che divampa dove trova un cuore disponibile, un’anima sveglia, una mano tesa.
È il fuoco del samaritano che si china, del pane spezzato, dell’ultimo posto scelto liberamente. È il fuoco che illumina i poveri in spirito e che svergogna ogni falsa sicurezza.
Allora, oggi più che mai, questa parola ci brucia dentro:
“Quanto vorrei che fosse già acceso!”. La domanda che ci resta è semplice e radicale: Lo accenderò io questo fuoco? O continuerò a venerarne le ceneri?