Esperienze Formative

Fausto Ferrari

Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

Prima di tutto vorrei condividere con voi un episodio del mio passato, vissuto nella Chiesa Ortodossa Russa, della quale faccio parte come presbitero. Dico subito: davanti alla sfida della pace penso che questa Chiesa si trova attualmente in una grave crisi spirituale. Come dice il Salmo: “di pace essi parlano ai loro vicini, mentre malizia c’è nel loro cuore” (28,3). Adesso non parlano nemmeno. La Teologia della pace esiste ancora, ma la pace non c’è. Per cominciare propongo la mia testimonianza.

Quando ero giovane, la parola “pace” faceva parte del discorso indispensabile della Chiesa ortodossa Russa, nella quale sono stato battezzato nel lontano 1971. Questa Chiesa mi ha spalancato le porte della fede cristiana. Ho avuto la sfortuna di venire in un mondo che era costretto, la mia famiglia inclusa, quasi condannato, all’ateismo di Stato, ma io ho avuto anche la fortuna di trovare la fede nell’età adulta, con una scelta cosciente. Poi ho riflettuto tutta la vita su questa svolta, chiedendomi : perché il Signore mi ha mandato un invito improvviso a questo banchetto? E sono diventato sacerdote proprio per non lasciarlo mai più.

La Chiesa ortodossa nell’Unione Sovietica, come tutti sanno, esisteva su di un territorio ideologico dove era incluso tutto ciò che esisteva e dal quale nessuno poteva uscire. Se tu occupaviun posto più che modesto nella gerarchia sociale, potevi almeno tacere. La Chiesa, come ogni struttura religiosa giuridicamente legale, era sempre sospettata e non aveva questo diritto. In quel tempo, parlo degli anni brezneviani, la memoria delle persecuzioni subite, sanguinarie sotto Stalin, oppure senza effusione di sangue, ma con la chiusura massiccia dei luoghi di culto sotto Kruscev, era ancora molto viva e dolorosa nella Chiesa. Dagli anni venti del secolo scorso il suo organismo ha imparato la scienza dell’adattamento, del conformismo, senza frontiere. Peggio ancora: la Chiesa si è inserita con comodità in questa posizione declassata e degradata. L’ha anche amata, in un certo senso, perché il conformismo era pieno di privilegi per le persone importanti, per i vescovi, i metropoliti. Uno dei privilegi era il permesso di uscire dal mondo ermeticamente chiuso, invalicabile per i cittadini semplici, ed andare all’estero, in Occidente in primo luogo. Certo, non per turismo personale, ma per parteciparealle varie conferenze teologiche con i colleghi occidentali. Per fare la teologia della pace prima di tutto.

Cosa dicevano questi teologi alle conferenze internazionali? Oltreai problemi degli addetti ai lavori, due motivi emergevano ed erano sempre presenti negli incontri all’estero e che andavano benissimo anche insieme ai discorsi più sublimi. Il primo: nell’Unione Sovietica non c’erano mai e non potevano neanche esserci una qualche persecuzione della fede cristiana (o di un’altra religione) per mano del regime poiché la sua Costituzione garantiva la libertà di coscienza per tutti i suoi cittadini. Qualunque chiacchiera su questo argomento non era altro che propaganda antisovietica e non poteva nemmeno essere discusso. Un altro motivo, più permanente ed insistente,durante i colloqui di quel tenore, era la lotta per la pace. Se con i diritti dei credenti non tutto era chiaro per gli interlocutori occidentali, con la lotta per la pace le cose procedevano più liscie e nel reciproco compiacimento.

Ma la lotta con chi? I due mondi usavano un linguaggio quasi comune e tuttavia con un messaggio diverso. “Siete per la pace in tutto il mondo?” - chiedevano gli inviati sovietici agli interlocutori occidentali. “Certo!”. “Siete contro la bomba atomica?”- “Come tutto il mondo”. “Siete contro l’imperialismo occidentale e soprattutto americano?”. “Senza dubbio”. “Siete contro i vostri governi venali al soldo del padrone d’oltreoceano?” “In gran parte sì, siamo decisamente contro”... e così via. Questo era il piatto principale, tutto il resto era, direi, il contorno. Una piena compressione reciproca si stabilisce tra due teologie della pace quando ambedue manifestano una nobile volontà per il trionfo del bene sul male dappertutto. Era assolutamente inopportuno e maleducato parlare in questo contesto dei diritti dei credenti in Oriente e della libertà di coscienza, oppure menzionare l’invasione di un altro paese, come la Cecoslovacchia o l’Afghanistan. Sotto questi discorsi patetici, molto simili ai discorsi cristiani, nella parte ortodossa si poteva leggere il programma chiaramente politico di uno Stato apertamente anticristiano. Le parole, però, spesso coincidevano e sembravano quasi identiche. Lo slogan della pace, anche se solo slogan, era più importante della realtà – assai poco pacifista. Pochi, anzi pochissimi, potevano indovinare che tutte queste belle parole facevano parte di un compito speciale, dato a ciascuno dei partecipanti, i quali dopo ogni riunione avrebbero dovuto scrivere un rapporto segreto alla polizia che aveva dato il permesso di partecipare a questi colloqui, con il resoconto di ogni cosa, inclusi i contatti privati, soprattutto quelli avvenuti fuori aula.

In Russia queste cose non facevano un gran mistero. Tutto ciò che all’interno e fuori del Paese si chiamava “lotta per la pace” ha avuto per noi un suo prezzo, per dire la verità, a buon mercato. Bisogna aggiungere che all’epoca la lotta per la pace andava avanti anche con lo stesso ecumenismo ortodosso. Ma appena è arrivata la libertà, i vecchi amici ecumenici sono rimasti perplessi: perché dopo il crollo del regime è quasi crollato anche l’ecumenismo? Semplice: perché un’attività del genere non era più obbligatoria, la scena internazionale era cambiata. In quel momento la stessa parola “pace”, abusata e compromessa, si è svuotata di qualsiasi contenuto specifico, al pari di un vecchio dettaglio del discorso ideologico. La Chiesa Russa non è più minacciata e non ha più bisogno di giustificare la propria esistenza all’interno di uno Stato che era, confessionalmente e aggressivamente, ateo. Invece il discorso sulle persecuzioni, proibitissimo qualche anno fa, dagli anni ‘90 in poi è diventato non soltanto lecito, ma quasi ufficiale. La parola “pace” piano piano è sparita dallo spazio pubblico. Poi, trent’anni dopo, un’altra svolta inaspettata: lo Stato, più che ortodosso e diventato autoritario, dichiara l’Operazione Speciale contro l’Ucraina. E la parola “pace” ha cambiato rotta. Proprio nel senso orwelliano: la “pace” ormai significa guerra. Ma come? In che modo la lotta per la pace si è trasformata nella benedizione del massacro?

Non si può spiegare tutto solo con l’ubbidienza cieca allo Stato. Questa Operazione Speciale che sostituisce la parola guerra ha una sua dimensione non soltanto ideologica, ma anche psicologica, perfino spirituale. Naturalmente, la Chiesa Russa non dice apertamente: “andate tutti alla guerra, uccidere è una gioia per il cristiano”. Ella chiama il suo gregge alla difesa della patria. Difesa contro chi? Qui troviamo il momento più drammatico, emozionante: l’invenzione del nemico. Il nemico dello Stato nella guerra con l’Ucraina coincide, nel nostro caso, con il nemico ecclesiale. Chi è questo nemico? È lo stesso, il nemico da secoli, raramente anche amico, cioè l’Occidente collettivo – ma con qualche sfumatura in più. Nel caso politico tutto è semplice: l’Occidente è l’aggressore, colui che fa la guerra contro la Russia sulla terra ucraina. Tutto qui. Ma nella prospettiva ecclesiale questa battaglia si riveste dei vestiti teologici, come il sacro dovere della difesa della patria contro l’invasione straniera. La guerra, parola non pronunciabile, è ormai sacra perché l’invasore possiede i tratti apocalittici dell’Anticristo. Anzi, infernali come Satana. Satana: proprio questa parola gira negli ambienti ecclesiali ed esce dalla bocca dello stesso patriarca.

Non cerchiamo le tracce del senso comune in questa posizione, sia politica, sia teologica; di solito l’ideologia prevale sul sano ragionamento. Ma dal punto di vista ecclesiale con quali “versetti satanici” l’Occidente conduce la guerra contro la Russia? Prima di tutto, si tratta della caduta morale: l’Occidente è accusato della corruzione totale: come modo di vivere, dell’omosessualità onnipresente, dei matrimoni tra persone dello stesso sesso, delle lezioni di educazione sessuale cominciando dalla più tenera età, e così via. Di più. L’Occidente che ha tradito se stesso vuole imporre la sua corruzione anche a noi, puliti e sani, aspira a rubare l’Ucraina dalla sua salute morale. Non è tanto chiaro come queste accuse possano giustificare le bombe che cadano sulla gente pacifica che non è omosessuale, bambini inclusi, ma à la guerre come à la guerre, nella lotta totale contro l’Occidente le vittime non si contano e non hanno i tratti individuali. L’invenzione di qualsiasi nemico va sempre insieme all’invenzione della sua controparte, alla personificazione del bene, anche inventato, nell’incarnazione della patria stessa. Oggi questo bene s’incarna nel “mondo russo”, nel cosiddetto “russkij mir”.

Il “mondo russo” è progettato come il simbolo, la bandiera, la fortezza della moralità, cominciando dall’opposizione della sessualità sana a quella perversa. Da testimone di due mondi, russo e occidentale, potrei affermare che in questo campo non ci sia una grande differenza. Nell’orrore della guerra i soldati occupanti stuprano anche le bambine. Lo slogan “il mondo russo” serve per l’orgoglio nazionale, ma soprattutto per la ricerca della propria identità. Dal punto di vista ecclesiale, espresso da tanti teologi della Chiesa ortodossa, ma al di fuori della Russia, il concetto stesso di “mondo russo” introdotto nel vocabolario spirituale della Chiesa rappresenta una pura eresia. Ma questa eresia non è da ieri. Come non è da ieri è la confusione degli interessi dello Stato con la vita propria della Chiesa. Questo tipo di confusione esiste da tanto tempo; nel 1872 il concilio locale di Costantinopoli ha condannato la confusione di questo genere con il nome di etnofiletismo. La condanna è ancora valida, ma essa, come la libertà di coscienza garantita nella Costituzione, serve piuttosto da decorazione; quasi tutte le Chiese ortodosse sono alquanto ripiegate su se stesse. Tra le innumerevoli ricchezze e virtù della Chiesa ortodossa l’universalismo del messaggio cristiano non occupa il primo posto. La psicosi militarista dopo aver infettato il “russkij mir”, ha rubato i cervelli, danneggiando la fede stessa. Coinvolge la gente semplice nella follia della guerra non soltanto socialmente, ma anche spiritualmente.

Mi ricordo un’immagine quasi commovente che ho trovato sulla pagina FB di un sacerdote ortodosso italiano: una pia vecchietta al momento del voto per lo zar-presidente fa il segno della croce benedicendo l’urna elettorale. Credo che l’autore della fotografia non abbia sospettato che in questo modo lui ci offre un ritratto perfetto della dittatura. Non quella di una tirannia primitiva e violenta, ma quella della padronanza vera e onnipresente che agisce nelle anime. Sotto l’apparenza di una “sancta simplicitas” il televisore-Putin, insieme a tutti i mezzi della comunicazione dei quali egli ha il controllo totale, con le mani del manipolatore-mafioso-Putin vota per il dittatore-Putin. Non a caso il sistema totalitario preferisce chiamarsi democrazia popolare, perché il capo (oppure il partito) unico e il suo popolo fanno in questo tipo di democrazia la stessa cosa. Almeno nel mondo virtuale. Nel mondo reale il padrone non chiede a nessuno il permesso di gettare il proprio popolo nelle fiamme della guerra, ma la guerra si fa sempre nel nome del valore supremo, con un coinvolgimento della sua popolazione non solo sul piano politico (dove la gente non è mai ammessa), ma su quello prima di tutto verbale, dottrinale, appassionato e anche religioso. Proprio l’omogeneità ideologica della società costituisce il nucleo del regime totalitario, sia sovietico, sia attuale, basato sull’identità comune dell’Uno e degli altri. Il “russkij mir” produce oggi questa identità comune.Chi non vuole iscriversi in questa personalità collettiva va defenestrato, emarginato, esiliato, eliminato in un modo o nell’altro.

I giornali parlano della guerra di Putin, è vero o no? Direi, sì e no nello stesso tempo. Certo, solo lui, capo delle forze armate, ha potuto dare l’ordine per iniziare l’Operazione militare speciale che, secondo i suoi progetti, avrebbe dovuto essere breve e trionfante. Tre giorni per prendere Kiev. Tre settimane per schiacciare tutta l’Ucraina. Poi fare il bagno nell’osanna della Russia-vincitrice, come fu dopo la presa della Crimea, e l’umiliazione dell’Occidente che si morderà le mani nel suo rancore impotente. Dopo il restauro graduale dell’impero russo, detto storico, di cui l’Unione Sovietica era solo una tappa provvisoria. Moldova, Georgia, preparatevi! Paesi Baltici, perché no? Se l’Occidente lascia l’Ucraina, lascerà anche la Finlandia che fino al 1918 faceva parte dell’impero russo. L’Europa avrà paura di opporsi alla superpotenza nucleare. Tutti si ricordano la dichiarazione di Putin che la caduta dell’URSS rappresenta la tragedia più grande del XX secolo. Non la Seconda guerra Mondiale con l’Olocausto, non il Gulag. Chi riesce a capovolgere questa tragedia riceverà il gran premio dalla storia.

L’operazione, però, non è andata secondo i progetti iniziali. Essa non è diventata la guerra-lampo, ma un fango di sangue in cui si è trovato tutto il paese. Non soltanto militarmente, ma soprattutto ideologicamente. Nella Federazione Russa attuale non c’è più un’ideologia di Stato di tipo classico (proibita tra l’altro anche dalla Costituzione, ancora eltsiniana) ma c’è un’ideologia in atto, il cui pilastro più importante è la vittoria nel passato. La vittoria sovietica nella Guerra patriotica è festeggiata il 9 maggio ogni anno con una solennità liturgica crescente mentre la partecipazione degli Alleati è sempre più oscurata. Questa festa non fa più accenno alle vittime incalcolabili (nessuno sa la cifra esatta, ma non meno di 30 milioni), ma si basa sempre sulla gloria, sull’eterna invincibilità della Russia. Proprio la vittoria del 1945 è ormai la parte principale di una religione di Stato; tanti bambini nell’età della scuola materna portano con orgoglio l’uniforme militare, mentre mamme sorridenti fanno spesso la gita usando carrozzelle costruite come piccoli carri armati. Nelle strade si possono vedere automobili con sopra l’iscrizione “A Berlino!”. In questo anno nelle tante scuole materne ed elementari sono state introdotte le lezione obbligatorie del patriottismo. Adesso, alla fine del 2024, una decina di conferenze ecclesiali è programmata per festeggiare la gloria degli 80 anni dalla vittoria del 1945. Certo, non tutta la popolazione è tentata da quest’ossessione (di una “vittoria indemoniata”, secondo l’espressione di un sacerdote ortodosso), ma il vento impetuoso che soffia sulle acque russe è così.

Quel vento soffia sulla Chiesa ortodossa perché la guerra in corso ha anche una sua dimensione teologica. Secondo una formula famosa, la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi. Tra questi mezzi il primo posto è occupato dalla demonizzazione del nemico, anche se inventato. Ripeto, non eravamo noi ad aver attaccato il paese vicino, ma l’Occidente l’ha fatto con le mani ucraine. Noi difendiamo la nostra patria dall’aggressione occidentale, ma anche dalla sua corruzione, dalla loro democrazia falsa e ipocrita. Ci difendiamo dai missili che nel futuro, forse, sarebbero stati messi ai nostri confini. Se le nostre bombe cadono sugli ospedali, sui teatri, le chiese ed i sistemi energetici in Ucraina (soprattutto sulle città russofone Kharkiv, Odessa, ma anche Kiev) e se lasciamo le città rase al suolo, lo facciamo, come ho detto, per difendere la Santa Rus’ dall’Anticristo.

Di più: difendiamo gli ucraini stessi dal loro ucrainismo testardo, perché la difesa della patria in un caso si chiama patriottismo, nellaltro nazismo. Come se gli ucraini fossero soltanto dei russi smarriti che vanno puniti per aver ceduto all’appello delle sirene occidentali. Il nome stesso Ucraina è sbagliato, il vero nome suo è Novorossia, la vecchia Russia Nuova che faceva sempre parte di quella vecchia. Tutto questo è stato apertamente scritto e proclamato dal Concilio Mondiale Popolare Russo che non è un organo ecclesiale, ma il cui presidente è il patriarca Kirill in persona. Per chi ha un po’ di chiarezza cartesiana nello spirito, si tratta di una povera leggenda politica che comunque funziona. Le guerre non si fanno con le chiarezze, ma con i miti.

Si può capire che sotto un regime dittatoriale la posizione pubblica del capo della confessione più grande del paese non possa essere completamente indipendente. Leggendo i numerosissimi interventi pubblici del patriarca si vede come egli, una persona comunque intelligente, davvero creda alla giusta causa di questo massacro di due popoli, ucraino e russo. Nessun dittatore ha affermato quella recente novità teologica secondo cui i caduti russi di questa guerra siano già liberati da tutti i loro peccati e vadano subito nel Regno dei Cieli. Ciò è molto simile all’assoluzione dei peccati garantita una volta ai crociati. I dittatori non inventano cose del genere. Nello stesso tempo Sua Santità non ha pronunciato nemmeno una parola di compassione nei confronti delle vittime ucraine che rimangono ancora, almeno dal suo punto di vista, nel suo ovile ecclesiale.

La mitologia politica della guerra va avanti e si riveste della teologia. Oggi la Russia si proclama il Katechon (2 Ts. 2,6-7), colui che trattiene (l’ordine divino). La Russia trattiene, si oppone, fa d’ostacolo all’Anticristo collettivo e la Chiesa partecipa per prima in questa battaglia cosmica. Senza nessuna esitazione, a questa battaglia per il Katechon sono mandati anche i criminali comuni. A tutti paesi belligeranti mancano i soldati e la Russia chiede che i carcerati - con qualsiasi crimine sulle spalle - prendano le armi, più uno stipendio oltre le stelle, in cambio di un servizio di sei mesi al fronte, per poi essere liberi. La metà di loro ha già perso la vita. Un’altra metà torna in libertà e uccide di nuovo. È un grande flagello per la società civile quando decine di migliaia di assassini professionisti sono rimessi in libertà senza nessun controllo. Di più: qualsiasi protesta in Russia, anche un semplice “no alla guerra”, pronunciato pubblicamente, può costare qualche anno di galera. Per quale motivo? Per calunnia alle forze armate o addirittura per terrorismo. Ma il fatto più drammatico è che la stessa logica agisce anche nella Chiesa; il patriarca personalmente ha composto la preghiera per la vittoria della mitica “Santa Rus” e l’ha imposta come obbligatoria a tutti i chierici della Chiesa Russa. La devono leggere tutti. Chi si rifiuta è sospeso o anche ridotto allo stato laicale. La maggior parte dei sacerdoti la legge con una buona fede “patriotica”, ma altri - non si sa quanti - col cuore spezzato. Essi sono messi di fronte ad una scelta insopportabile: andare contro la propria coscienza o perdere tutto, rompere con la parrocchia che, a volte, loro stessi hanno costruito, condannando la propria famiglia alla miseria. A tutti i crimini della guerra se ne aggiunge un altro: la confusione totale delle anime, la violenza sulla coscienza, l’asservimento della verità.

La verità da sempre è la prima vittima della guerra, come anche la nostra capacità di compassione, di empatia, di partecipazione al dolore di un altro essere umano si trovano paralizzate. Un’altra vittima è la nostra facoltà di guardare le cose in faccia: un male demografico; le perdite russe sono davvero terribili (spesso i cadaveri dei soldati russi sono abbandonati sui campi di battaglia), una rovina economica imminente, una macchia di sangue sullo stesso nome “Russia” nel mondo. Gli sforzi enormi che la guerra chiede alla Federazione Russa minacciano la sua esistenza stessa come paese unito e multinazionale; bisogna essere ciechi per non accorgersi di questo pericolo.

Immaginiamo: dopo aver sacrificato un milione dei suoi soldati, che ormai non daranno figli, dopo aver provocato un’emigrazione di massa dei migliori specialisti, scienziati, scrittori, dopo aver mandato migliaia e migliaia di giovani che non volevano uccidere in prigione, dopo aver speso mille miliardi di euro per la vittoria militare, dopo aver imposto al paese conquistato un governo fantoccio e la bandiera russa sventolare a Kiev e dappertutto, la Russia finalmente avrà vinto. Con quale guadagno? La conquista di uno spazio completamente rovinato e imbevuto d’odio fino alla gola verso gli invasori che durerà per secoli? Questa guerra non si fa per un guadagno reale, ma per sconfiggere un nemico inventato. La sagoma di questo nemico cresce ogni giorno, chiude la nostra facoltà di riflettere. Una capacità di giudizio sobrio, però, è la virtù più apprezzata nell’Ortodossia.

Qui sta il punto: l’infezione della fede in Cristo con la follia dell’ideologia statale. La confusione della fede ortodossa con la menzogna e gli orrori del regime. Non si tratta di una semplice collaborazione o obbedienza alle circostanze che non si possono cambiare, ma proprio del danno portato all’Ortodossia stessa, del miscuglio del Vangelo con la macchina della propaganda putiniana, ben ingrassata con i soldi dello Stato e che lavora senza sosta. La trasformazione della fede ortodossa in una sorta di religione civile con la sua Santa Rus’, un concetto immaginato nel XIX secolo, contro il mondo anglosassone, come nemico da sempre e così via?... E per questa religione i soldati russi che tornano a migliaia a casa nelle bare di zinco?

Questa guerra si fa non per i soldi che sono buttati via in quantità enorme, ma per il mito nazionale inserito nella stessa vita religiosa. Per il territorio imperiale che è diventato un vero feticcio nella spiritualità perversa. Per provare al mondo corrotto che siamo i più forti, i più veri, i più perfetti. Ma chiediamo: cosa può fare la teologia della pace di cui abbiamo provato a descrivere il suo passato miserabile e il suo presente ingannevole per tornare alla pace vera in futuro? Cristo disse “Abbiate pace in me” (Gv.16,33). Non abbiate l’orgoglio che la vostra fede sia migliore di quella degli altri, che la vostra patria sia più bella e virtuosa, ma abbiate pace in comunione con Cristo – cosa che la Chiesa ortodossa insegna da sempre. Ma che insegna rivolgendosi ad un quadro strettamente personale, che non esce mai fuori dalla pratica ascetica, dal combattimento invisibile. L’Ortodossia ha tutti i mezzi spirituali per liberarsi dalla gabbia ideologica perché la via d’uscita si trova nel suo patrimonio. Questa via è il pentimento. Ho sentito tanti discorsi e prediche sul pentimento e mi chiedevo sempre: perché la spiritualità adatta per una singola persona non è compatibile con la comunità, con la Chiesa di Cristo nel suo insieme? Perché il pentimento per un singolo e l’orgoglio nazionale per il gregge? Se la Chiesa un giorno trova la strada per passare da una spiritualità isolata di tipo monastico alla spiritualità comune, e condivisa con tanti, essa troverebbe anche una vera teologia della pace con gli altri. Dopo essere usciti dalla gabbia dorata del “mondo russo”, possiamo aprirci anche al mondo creato da Dio che Cristo è venuto a salvare. L’unico vantaggio che possiamo avere in questo disastro è il risveglio d‘una nuova vocazione spirituale che crede nell’uomo e che ha aperto le porte a Cristo non soltanto nella cella dell’anima di un monaco solitario, ma nella solidarietà con l’umanità sofferente.

La “Santa Rus’” del lontano passato è un’icona di un paese che esisteva solo nell’immaginario o nel subconscio collettivo e che si è nascosta sotto il nome del “russkij mir”, oggi è opposta alla fede cristiana e davvero ortodossa. Questo è il compito della teologia della pace che consiste non nelle belle citazioni e buone intenzioni, ma anche nella scoperta del pericolo penetrato nella stessa eredita cristiana. Bisogna saper tracciare una linea di demarcazione proprio spirituale tra il messaggio politico e quello ecclesiale, tra la fedeltà a Cesare e la fedeltà a Dio. Nel “mondo russo” (vi ricordo tra l’altro che un centinaio di popoli di etnie diverse vivono sul territorio della federazione Russa) riconosciamo la faccia del fariseo evangelico, in questa pretesa d’essere portatoridi valori eccezionali nei confronti degli altri popoli. Questa è la nuova versione dell’ideologia della terza Roma del XV secolo. Questa ideologia si riduce ai tre formule; la Prima Roma è caduta per eresia, la seconda Roma, Costantinopoli è caduta sotto gli infedeli, la Terza Roma è rimasta come unica guardiana della vera fede con il suo zar ortodosso e rimarrà per sempre.

Credo che le vie della speranza e della pace vera non sono esaurite ancora. Oltre l’Ortodossia nazionale e cosiddetta patriottica c’è anche l’Ortodossia cristiana che non si esaurisce mai. La Tradizione ortodossa che proviene dai Padri della Chiesa, dai Padri del deserto nasce dalla radice spirituale che istruisce a distinguere il bene e il male dentro noi stessi giudicando noi stessi. In questa scienza del stare davanti al giudizio di Dio l’Ortodossia ha sviluppato una profondità eccezionale ma la sua spiritualità rimane nei muri dei monasteri, nell’intimità di una singola anima. È arrivato il tempo in cui il senso del pentimento dovrebbe uscire fuori, per entrare nel campo sociale confessando i nostri peccati davanti il mondo intero. Questo tipo di pentimento sarebbe perfettamente ortodosso senza consolazioni celeste e metafisiche, senza chiacchere sulla “Santa Rus”, senza nascondersi dietro il “mondo russo”, dietro il Katechon, ecc. “Ho peccato davanti al cielo e davanti a te”, come dice il figlio prodigo, sono diventato il complice dei peccatori coperti del sangue dei fratelli; una vera teologia della pace inizia con la confessione della colpa, una teologia che resta ancora da scoprire.

Le Chiese occidentali hanno un grande esperienza nella confessione della colpa non soltanto personale, ma anche collettiva. Mi ricordo il primo paragrafo della Dichiarazione di Barmen del 1934: “Gesù Cristo, così come ci viene testimoniato nella Sacra Scrittura, è la sola Parola di Dio che noi dobbiamo ascoltare, cui dobbiamo affidarci in vita e in morte e cui dobbiamo obbedire”. Come manca una fermezza simile alla Chiesa d’oggi! La fermezza del metropolita Filippo di Mosca che cinque secoli fa aveva proclamatoin faccia dell’ortodossissimo Ivan il Terribile - e poi fu da lui ucciso. “Noi cristiani facciamo immolazione senza sangue sull’altare, ma fuori delle nostre chiese è versato dappertutto il sangue cristiano”. Perché un giorno qualcuno di alto rango ecclesiale non potrebbe dire: noi imploriamo il Signore per il perdono dei nostri peccati e perché il nostro esercito, anche se super ortodosso, con la nostra piena benedizione ed i suoi cappellani militari uccide i nostri fratelli in Ucraina con il pretesto ideologico inventato da un altro zar?

Si può ricordare anche la confessione di colpa di Stoccarda dopo la Seconda Guerra Mondiale, come anche numerosissime confessioni simili nella Chiesa cattolica all’epoca di Giovanni Paolo II e così via. Il riconoscimento comune della colpa, anche se le colpe sono diverse, non è la strada giusta per una vera teologia della pace? Anzi, non si tratterebbe soltanto della pace nella prospettiva dell’unità di tutti noi, cristiani colpevoli?

Anche da noi, nel nostro piccolo, nel marzo di 2022, subito dopo l’inizio della guerra, circa 300 sacerdoti della Chiesa Russa hanno firmatouna protesta. Il tono di questa lettera era molto pacifico, ma comunque una trentina di questi sacerdoti ha già subito un contraccolpo da parte della Chiesa ufficiale, con la sospensione a divinis o anche la riduzione allo stato laicale. Certamente, una trentina di sacerdoti sono una minima parte del clero che non è d’accordo con la guerra, ma i firmatari si rendevano conto del pericolo che potevano subire. Senza dubbio, questa la lettera non ha avuto nessun effetto pratico, ma è importante per la coscienza che le parole chiave fossero pronunciate. Ogni voce di protesta ha il suo peso, perché si tratta del futuro della Chiesa. Fuori di internet, parole simili non esistono, naturalmente, nello spazio pubblico all’interno della Russia, ma un giorno la Chiesa potrà ricordarle. Anzi, trovare in queste parole la sorgente della propria rinascita, come dopo il crollo del regime sovietico la Chiesa ha ritrovata nelle testimonianze dei suoi martiri, negati prima, la forza della propria identità.

Vladimir Zelinskij

 

 

Domenica, 19 Gennaio 2025 10:11

Seconda domenica del tempo ordinario. Anno C

Seconda domenica del tempo ordinario. Anno C

Omelia di Paolo Scquizzato

Prima Lettura Is Is 62, 1-5

Dal libro del profeta Isaia
 
Per amore di Sion non tacerò,
per amore di Gerusalemme non mi concederò riposo,
finché non sorga come aurora la sua giustizia
e la sua salvezza non risplenda come lampada.
Allora le genti vedranno la tua giustizia,
tutti i re la tua gloria;
sarai chiamata con un nome nuovo,
che la bocca del Signore indicherà.
Sarai una magnifica corona nella mano del Signore,
un diadema regale nella palma del tuo Dio.
Nessuno ti chiamerà più Abbandonata,
né la tua terra sarà più detta Devastata,
ma sarai chiamata Mia Gioia
e la tua terra Sposata,
perché il Signore troverà in te la sua delizia
e la tua terra avrà uno sposo.
Sì, come un giovane sposa una vergine,
così ti sposeranno i tuoi figli;
come gioisce lo sposo per la sposa,
così il tuo Dio gioirà per te.
 

Salmo Responsoriale Sal 95

Annunciate a tutti i popoli le meraviglie del Signore.

Cantate al Signore un canto nuovo,
cantate al Signore, uomini di tutta la terra.
Cantate al Signore, benedite il suo nome.

Annunciate di giorno in giorno la sua salvezza.
In mezzo alle genti narrate la sua gloria,
a tutti i popoli dite le sue meraviglie.

Date al Signore, o famiglie dei popoli,
date al Signore gloria e potenza,
date al Signore la gloria del suo nome.

Prostratevi al Signore nel suo atrio santo.
Tremi davanti a lui tutta la terra.
Dite tra le genti: "Il Signore regna!".
Egli giudica i popoli con rettitudine.

Seconda Lettura 1 Cor 12, 4-11


Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi

Fratelli, vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti.
A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune: a uno infatti, per mezzo dello Spirito, viene dato il linguaggio di sapienza; a un altro invece, dallo stesso Spirito, il linguaggio di conoscenza; a uno, nello stesso Spirito, la fede; a un altro, nell'unico Spirito, il dono delle guarigioni; a uno il potere dei miracoli; a un altro il dono della profezia; a un altro il dono di discernere gli spiriti; a un altro la varietà delle lingue; a un altro l'interpretazione delle lingue.
Ma tutte queste cose le opera l'unico e medesimo Spirito, distribuendole a ciascuno come vuole.
 
Canto al Vangelo (2Ts 2,14)


Alleluia, alleluia.

Dio ci ha chiamati mediante il Vangelo,
per entrare in possesso della gloria
del Signore nostro Gesù Cristo.

Alleluia.

Vangelo Gv 2,1-12


Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c'era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli.
Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: "Non hanno vino". E Gesù le rispose: "Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora". Sua madre disse ai servitori: "Qualsiasi cosa vi dica, fatela".
Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: "Riempite d'acqua le anfore"; e le riempirono fino all'orlo. Disse loro di nuovo: "Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto". Ed essi gliene portarono.
Come ebbe assaggiato l'acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto - il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l'acqua - chiamò lo sposo e gli disse: "Tutti mettono in tavola il vino buono all'inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora".
Questo, a Cana di Galilea, fu l'inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.

OMELIA

La festa della vita langue. Manca il ‘superfluo necessario’, ciò che nel nostro brano – alle nozze di Cana – viene identificato col vino, metafora di ciò che rende la vita, Vita.
Ci accontentiamo di vite vuote, esistenze trascinate nella distrazione e nella coazione a ripetere, anestetizzate col narcotico del fare.
Abbiamo tutti bisogno di una voce che ci raggiunga e dica: attingete! O se vogliamo: ‘Vieni fuori’ come Gesù disse all’amico Lazzaro. Che è come dire svegliati, diventa consapevole di ciò che ti abita. Sappi chi sei, di quale sostanza sei fatto, della tua natura autentica. Tu-Sei. Semplicemente sei Essere, e non ciò che fai e hai fatto, ciò hai costruito, edificato, posseduto, professato e creduto. Attingi a questa verità, abbi fede in questa tua sorgente interiore. D’altronde cos’altro significa ‘credere in Dio’ se non questo?
Tu-Sei-Ciò che rimane quando tutto il resto decade.
‘Non andare fuori di te. Rientra in te stesso. È nell’interiorità dell’essere umano che abita la verità’ (Agostino).
Una vita consumata ‘fuori di sé’ è mera esistenza.
Dunque svegliati e attingi alla Vita che ti abita pare dirci il Maestro, indipendentemente dall’anfora che sei o credi d’essere. E quindi diventa creativo, generativo, metti in circolo l’amore facendo germogliare ciò che tocchi e chi incontri.
Perché questa nostra avventura terrena possa trasformarsi in una festa-senza-fine ha in fondo bisogno di molto poco: uscire dall’illusione e cominciare a sbocciare investendo sulla parte migliore di sé.

 
Paolo Scquizzato
 
Domenica, 19 Gennaio 2025 10:02

Battesimo di Gesù. Anno C

Battesimo di Gesù. Anno C

Omelia di Paolo Scquizzato

Prima Lettura Is 40, 1-5. 9-11

Dal libro del profeta Isaia
 
«Consolate, consolate il mio popolo –
dice il vostro Dio.
Parlate al cuore di Gerusalemme
e gridatele che la sua tribolazione è compiuta
la sua colpa è scontata,
perché ha ricevuto dalla mano del Signore
il doppio per tutti i suoi peccati».
Una voce grida:
«Nel deserto preparate la via al Signore,
spianate nella steppa la strada per il nostro Dio.
Ogni valle sia innalzata,
ogni monte e ogni colle siano abbassati;
il terreno accidentato si trasformi in piano
e quello scosceso in vallata.
Allora si rivelerà la gloria del Signore
e tutti gli uomini insieme la vedranno,
perché la bocca del Signore ha parlato».
Sali su un alto monte,
tu che annunci liete notizie a Sion!
Alza la tua voce con forza,
tu che annunci liete notizie a Gerusalemme.
Alza la voce, non temere;
annuncia alle città di Giuda: «Ecco il vostro Dio!
Ecco, il Signore Dio viene con potenza,
il suo braccio esercita il dominio.
Ecco, egli ha con sé il premio
e la sua ricompensa lo precede.
Come un pastore egli fa pascolare il gregge
e con il suo braccio lo raduna;
porta gli agnellini sul petto
e conduce dolcemente le pecore madri».
 

Salmo Responsoriale Sal 103

Benedici il Signore, anima mia.

Sei tanto grande, Signore, mio Dio!
Sei rivestito di maestà e di splendore,
avvolto di luce come di un manto,
tu che distendi i cieli come una tenda.

Costruisci sulle acque le tue alte dimore,
fai delle nubi il tuo carro,
cammini sulle ali del vento,
fai dei venti i tuoi messaggeri
e dei fulmini i tuoi ministri.

Quante sono le tue opere, Signore!
Le hai fatte tutte con saggezza;
la terra è piena delle tue creature.
Ecco il mare spazioso e vasto:
là rettili e pesci senza numero,
animali piccoli e grandi.

Tutti da te aspettano
che tu dia loro cibo a tempo opportuno.
Tu lo provvedi, essi lo raccolgono;
apri la tua mano, si saziano di beni.

Nascondi il tuo volto: li assale il terrore;
togli loro il respiro: muoiono,
e ritornano nella loro polvere.
Mandi il tuo spirito, sono creati,
e rinnovi la faccia della terra.

Seconda Lettura Tt 2, 11-14; 3, 4-7


Dalla lettera di san Paolo apostolo a Tito

Figlio mio, è apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini e ci insegna a rinnegare l'empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà, nell'attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo.
Egli ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le opere buone.
Ma quando apparvero la bontà di Dio, salvatore nostro,
e il suo amore per gli uomini,
egli ci ha salvati,
non per opere giuste da noi compiute,
ma per la sua misericordia,
con un'acqua che rigenera e rinnova nello Spirito Santo,
che Dio ha effuso su di noi in abbondanza
per mezzo di Gesù Cristo, salvatore nostro,
affinché, giustificati per la sua grazia,
diventassimo, nella speranza, eredi della vita eterna.
 
Canto al Vangelo (Cf. Lc 3,16)


Alleluia, alleluia.

Viene colui che è più forte di me, disse Giovanni;
egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco.

Alleluia.

Vangelo Lc 3, 15-16. 21-22


Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco».
Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l'amato: in te ho posto il mio compiacimento».

OMELIA

Ciascuno possiede un proprio Giordano personale, una sorgente interiore da cui scaturisce il ‘fiume d’acqua viva’.
In quest’acqua, in questo luogo vivificante si è invitati a scendere ed immergersi come pratica quotidiana, in Silenzio e con fiducia.
È questo il luogo sacro al centro di sé, dove il Sé autentico dimora. Spazio in cui mi scopro puro, senza sensi di colpa, originale e autentico, e dove il giudizio degli altri è interdetto e le ferite non lasciano il segno. Luogo dove non è più necessario difendersi, mostrare qualcosa e vivere di prestazioni.
Dentro di me esiste una profondità tale dove son uno-con-me-stesso, con la natura e con Dio.
Nel deserto della vita è importante imparare a scendere nel proprio Giordano interiore e lì dimorare. Stare, stare, stare. E poi il cielo si aprirà, perché abbandonato l’io e il mio ciò che rimane è semplicemente il Tutto che si dà come ‘soffio’, vento, quella ruah femminile (Spirito Santo nel vangelo) che feconda la vita, trasformandola in un nuovo inizio, e perciò in una ri-creazione (la colomba del testo).
Ogni volta che ci siederemo praticando l’attenzione, il silenzio, il respiro torneremo a casa, luogo da cui in verità non ci siamo mai allontanati ma che per disastrosa distrazione abbiamo troppo ignorato. E qui, in questo cielo infinito di cui partecipiamo impareremo ad ascoltare le parole che affiorano e dicono: ‘Tu sei il Figlio mio, l’amato’.

 
Paolo Scquizzato
 
Domenica, 19 Gennaio 2025 09:53

Seconda domenica dopo Natale. Anno C

Seconda domenica dopo Natale. Anno C

Omelia di Paolo Scquizzato

Prima Lettura  Sir 24, 1-4. 8-12

Dal libro del Siracide
 
La sapienza fa il proprio elogio,
in Dio trova il proprio vanto,
in mezzo al suo popolo proclama la sua gloria.
Nell'assemblea dell'Altissimo apre la bocca,
dinanzi alle sue schiere proclama la sua gloria,
in mezzo al suo popolo viene esaltata,
nella santa assemblea viene ammirata,
nella moltitudine degli eletti trova la sua lode
e tra i benedetti è benedetta, mentre dice:
«Allora il creatore dell'universo mi diede un ordine,
colui che mi ha creato mi fece piantare la tenda
e mi disse: "Fissa la tenda in Giacobbe
e prendi eredità in Israele,
affonda le tue radici tra i miei eletti" .
Prima dei secoli, fin dal principio, egli mi ha creato,
per tutta l'eternità non verrò meno.
Nella tenda santa davanti a lui ho officiato
e così mi sono stabilita in Sion.
Nella città che egli ama mi ha fatto abitare
e in Gerusalemme è il mio potere.
Ho posto le radici in mezzo a un popolo glorioso,
nella porzione del Signore è la mia eredità,
nell'assemblea dei santi ho preso dimora».
 

Salmo Responsoriale Sal 83

Il Verbo si è fatto carne e ha posto la sua dimora in mezzo a noi.

Celebra il Signore, Gerusalemme,
loda il tuo Dio, Sion,
perché ha rinforzato le sbarre delle tue porte,
in mezzo a te ha benedetto i tuoi figli.

Egli mette pace nei tuoi confini
e ti sazia con fiore di frumento.
Manda sulla terra il suo messaggio:
la sua parola corre veloce.

Annuncia a Giacobbe la sua parola,
i suoi decreti e i suoi giudizi a Israele.
Così non ha fatto con nessun'altra nazione,
non ha fatto conoscere loro i suoi giudizi.

Seconda Lettura Ef 1, 3-6. 15-18


Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini

Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo,
che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo.
In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo
per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità,
predestinandoci a essere per lui figli adottivi
mediante Gesù Cristo,
secondo il disegno d'amore della sua volontà,
a lode dello splendore della sua grazia,
di cui ci ha gratificati nel Figlio amato.
Perciò anch'io [Paolo], avendo avuto notizia della vostra fede nel Signore Gesù e dell'amore che avete verso tutti i santi, continuamente rendo grazie per voi ricordandovi nelle mie preghiere, affinché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi.
 
Canto al Vangelo


Alleluia, alleluia.

Gloria a te, o Cristo, annunciato a tutte le genti;
gloria a te, o Cristo, creduto nel mondo.

Alleluia.

Vangelo Gv 1,1-18


Dal Vangelo secondo Giovanni

In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l'hanno vinta.
Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
Era nel mondo
e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come del Figlio unigenito
che viene dal Padre,
pieno di grazia e di verità.
Giovanni gli dà testimonianza e proclama:
«Era di lui che io dissi:
Colui che viene dopo di me
è avanti a me,
perché era prima di me».
Dalla sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto:
grazia su grazia.
Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio, nessuno lo ha mai visto:
il Figlio unigenito, che è Dio
ed è nel seno del Padre,
è lui che lo ha rivelato.

OMELIA

«In principio era il Verbo,/e il Verbo era presso Dio/e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui/e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste».

Così comincia l’immenso Prologo di san Giovanni.

Il termine originale – e tradotto qui con Verbo – è: Lógos, che trae origine dal verbo léghein che significa ‘mettere insieme – unire – raccogliere’, e poi anche parlare dato che parlando si mettono insieme parole.

Il Prologo ci fa memoria che ‘a fondamento, alla base, a sostrato di tutto ciò che esiste’ (così dovrebbe essere inteso ‘in principio’ e non tanto come ‘all’inizio’) vi è un ‘principio-relazionale’, unificante, una straordinaria forza, un’energia che tiene insieme i singoli minuscoli costituenti della materia, le onde e le particelle, in modo tale che da questa unione emergano livelli di ‘essere’ sempre più complessi e organizzati.

A fondamento della realtà vi è un Amore che aggrega e aggregando fa emergere vita; gli atomi si uniscono in associazioni armoniose, le particelle si uniscono a formare molecole, e le molecole si aggregano a formare organelli e poi cellule e poi tessuti, e poi organi, e così organismi, società, famiglie, sistemi. E poi ancora coscienza e autocoscienza.

In principio – a fondamento’ della realtà vi è dunque un’energia cosciente e amante (‘il Verbo era Dio’) in dialogo costante e fecondo con le forze del caos necessarie anch’esse alla vita, perché il disordine e l’errore sono necessari al prosieguo della vita.

Tutto è stato fatto per mezzo di lui’, ci ricorda ancora il Prologo. Tutto ha fatto e continua a fare questo principio amante che ‘non agisce accanto o al posto delle cose o delle persone, ma le alimenta – come dal di dentro – in modo che esse siano e possano operare’, perché ‘nel cosmo e nella storia Dio non fa nulla in più di ciò che operano le creature» (Carlo Molari).

L’Amore-Logos non è cosa da raggiungere: essendo appunto ‘a fondamento’, sostanza, ‘Essere dell’essere’ (Tommaso), possiamo solo diventarne consapevoli, accoglierlo, aprirci ad esso: ci stiamo già navigando dentro, ne siamo già inzuppati: «In lui viviamo, ci muoviamo, esistiamo» (At 17, 28). Noi, esseri-coscienti possiamo – potenzialmente – farlo, e facendolo prendiamo consapevolezza d’essere della medesima realtà: divini!


 
Paolo Scquizzato
 
Domenica, 29 Dicembre 2024 09:40

Sacra Famiglia. Anno C

Sacra Famiglia. Anno C

Omelia di Paolo Scquizzato

Prima Lettura  1Sam 1,20-22.24-28

Dal primo libro di Samuele
 
Al finir dell’anno Anna concepì e partorì un figlio e lo chiamò Samuèle, «perché – diceva – al Signore l’ho richiesto». Quando poi Elkanà andò con tutta la famiglia a offrire il sacrificio di ogni anno al Signore e a soddisfare il suo voto, Anna non andò, perché disse al marito: «Non verrò, finché il bambino non sia svezzato e io possa condurlo a vedere il volto del Signore; poi resterà là per sempre».
Dopo averlo svezzato, lo portò con sé, con un giovenco di tre anni, un’efa di farina e un otre di vino, e lo introdusse nel tempio del Signore a Silo: era ancora un fanciullo. Immolato il giovenco, presentarono il fanciullo a Eli e lei disse: «Perdona, mio signore. Per la tua vita, mio signore, io sono quella donna che era stata qui presso di te a pregare il Signore. Per questo fanciullo ho pregato e il Signore mi ha concesso la grazia che gli ho richiesto. Anch’io lascio che il Signore lo richieda: per tutti i giorni della sua vita egli è richiesto per il Signore». E si prostrarono là davanti al Signore.
 

Salmo Responsoriale Sal 83

Beato chi abita nella tua casa, Signore.

Quanto sono amabili le tue dimore,
Signore degli eserciti!
L’anima mia anela
e desidera gli atri del Signore.
Il mio cuore e la mia carne
esultano nel Dio vivente.

Beato chi abita nella tua casa:
senza fine canta le tue lodi.
Beato l’uomo che trova in te il suo rifugio
e ha le tue vie nel suo cuore.

Signore, Dio degli eserciti, ascolta la mia preghiera,
porgi l’orecchio, Dio di Giacobbe.
Guarda, o Dio, colui che è il nostro scudo,
guarda il volto del tuo consacrato.

Seconda Lettura 1Gv 3,1-2.21-24


Dalla prima lettera di san Giovanni apostol

Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui.
Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è.
Carissimi, se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio, e qualunque cosa chiediamo, la riceviamo da lui, perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quello che gli è gradito.
Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui. In questo conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato.
 
Canto al Vangelo (At 16,14)


Alleluia, alleluia.

Apri, Signore, il nostro cuore
e accoglieremo le parole del Figlio tuo.

Alleluia.

Vangelo Lc 2,41-52


Dal vangelo secondo LucaI genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme.
Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte.
Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro.
Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.

OMELIA

La domenica dopo Natale, per la Chiesa Cattolica, prende il nome di ‘Sacra famiglia’.
Sfogliassimo il vangelo rimarremmo un po’ delusi riguardo l’idea di famiglia che ne viene fuori. Gesù ne frantuma il fondamento, rompendo quei legami così stretti da essere coercitivi e quelle dipendenze così totalizzanti da risultare mortali.
Egli stesso s’è dovuto liberare dalle pastoie famigliari che rischiavano di rivelarsi monopolizzanti. Marco, all’inizio del suo scritto, ci ricorda che mentre Gesù parla ai ‘suoi’ gli vengono a riferire che ‘là fuori’ si trovano sua madre e i suoi fratelli giunti fin lì a prenderlo credendolo fuori di testa. E a questi Gesù risponde: lasciatemi qua, devo fare la mia strada, devo portare a compimento ciò che ‘io sono’ e non quello che voi desiderate io sia.
Gesù non perde l’occasione di ricordarci che la famiglia di sangue non è l’ultima istanza sulla vita di una persona.
«È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla» (Gv 6, 63).
In fondo aveva ragione il poeta: «Non è la carne e il sangue, ma il cuore a renderci padri e figli» (Friedrich Schiller).
Si dà ‘famiglia’ solo laddove ci si ama.
«Mia madre e i miei fratelli son quelli che ascoltano e mettono in pratica la mia parola», ossia vivono la modalità dell’amore, ripete Gesù. Perché solo l’amore è fecondo, in quanto la sola forza in grado di portare avanti la vita. E fecondità non coincide con generatività, partorire figli. Significa piuttosto vivere qui ed ora in modo da portarsi alla luce.
A dodici anni, nel pellegrinaggio a Gerusalemme, Gesù non tornerà “a casa” coi suoi. Non può.
Ognuno deve trovare il proprio luogo esistenziale, non indicato e preparato da altri – tanto meno dai genitori – e poi abitarlo con ostinazione. Ma per far questo occorre rompere, lasciare tane e nidi, zone di confort caldi come uteri materni, e lasciar morire i propri ‘padri’, sganciarsi da legami troppo direttivi di personalità forti cui abbiamo concesso uno smisurato potere su di noi (cfr. Lc 9, 57-61).
Gesù deve occuparsi delle “cose del Padre suo” (cfr. v. 49b). La via obbligata per portare a compimento la propria vita è anzitutto quella che si prende cura del Padre interiore, quella «Presenza vivente, immanente nel creato e nelle creature che guida verso il compimento del loro specifico e personale destino» (G. Vannucci).

 
Paolo Scquizzato
 
Domenica, 29 Dicembre 2024 09:32

Terza domenica del tempo di Avvento. Anno C

Terza domenica del tempo di Avvento. Anno C

Omelia di Paolo Scquizzato

Prima Lettura  Sof 3,14-18

Dal libro del profeta Sofonìa
 
Rallègrati, figlia di Sion,
grida di gioia, Israele,
esulta e acclama con tutto il cuore,
figlia di Gerusalemme!
Il Signore ha revocato la tua condanna,
ha disperso il tuo nemico.
Re d’Israele è il Signore in mezzo a te,
tu non temerai più alcuna sventura.
In quel giorno si dirà a Gerusalemme:
«Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia!
Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te
è un salvatore potente.
Gioirà per te,
ti rinnoverà con il suo amore,
esulterà per te con grida di gioia».
 

Salmo Responsoriale Is 12

Canta ed esulta, perché grande in mezzo a te è il Santo d’Israele.

Ecco, Dio è la mia salvezza;
io avrò fiducia, non avrò timore,
perché mia forza e mio canto è il Signore;
egli è stato la mia salvezza.

Attingerete acqua con gioia
alle sorgenti della salvezza.
Rendete grazie al Signore e invocate il suo nome,
proclamate fra i popoli le sue opere,
fate ricordare che il suo nome è sublime.

Cantate inni al Signore, perché ha fatto cose eccelse,
le conosca tutta la terra.
Canta ed esulta, tu che abiti in Sion,
perché grande in mezzo a te è il Santo d’Israele.

Seconda Lettura Fil 4,4-7

Dalla  lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi

Fratelli, siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino!
Non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti.
E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù.
 
Canto al Vangelo (Is 61,1)


Alleluia, alleluia.

Lo Spirito del Signore è sopra di me,
mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio.

Alleluia.

Vangelo Lc 3,10-18

Dal vangelo secondo Luca

In quel tempo, le folle interrogavano Giovanni, dicendo: «Che cosa dobbiamo fare?». Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto».
Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato».
Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe».
Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».
Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.

OMELIA

“Che cosa dobbiamo fare?” domandano a Giovanni Battista.
Ed egli risponde: ‘date, non esigete, non trattenete, non maltrattate, non estorcete’.
C’è solo un compito cui sono chiamato: diventare più umano. Scoprendo chi sono, e vivendo di conseguenza. Per potermi così accorgere che l’altro viene prima di me e che la sua povertà è il prezzo che sta pagando per assicurare la mia ricchezza. La sua fame qualcosa di necessario per la mia sazietà.
C’è solo un modo per stemperare il male dentro e fuori di noi: opporgli gesti di bene. Coltivare là dove è possibile relazioni di pace, gesti di luce, atteggiamenti d’accoglienza, investendo sulla giustizia. Sarà il momento in cui daremo volto al Dio senza volto, e saremo la sua carne nel quotidiano vivere. Il Natale non sarà più dunque reminiscenza d’un evento passato, ma stupore d’un mondo rinnovato.
A noi dunque il compito di essere presenza di Dio qui ed ora, ma con una consapevolezza altra rispetto a quella raggiunta da Giovanni nel brano evangelico odierno. Egli promette che ‘verrà uno che battezzerà in spirito santo. E pulirà la sua aia per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile’. A parlare qui è il profeta che richiama ad una giustizia radicale ma orfana della misericordia. E noi sappiamo come la giustizia senza l’amore risulta il peggiore dei mali. Come l’amore senza giustizia è il più banale dei sentimenti.
Gesù alla sua venuta non avrebbe provveduto di fatto ad alcuna pulizia, dividendo tra grano e paglia, buoni e cattivi, santi e peccatori. Semplicemente perché il suo Dio non distrugge nessuno, e non premia alcuno. Come il roveto ardente da cui il Mistero si comunicò a Mosè, l’amore incarnato brucia e non consuma, ama e non trattiene, perdona e lascia liberi.

 
Paolo Scquizzato
 
Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria. Anno 2024

Omelia di Paolo Scquizzato

Prima Lettura  Gn 3,9-15.20

Dal libro della Genesi
 

[Dopo che l’uomo ebbe mangiato del frutto dell’albero,] il Signore Dio lo chiamò e gli disse: «Dove sei?». Rispose: «Ho udito la tua voce nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto». Riprese: «Chi ti ha fatto sapere che sei nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?». Rispose l’uomo: «La donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato». Il Signore Dio disse alla donna: «Che hai fatto?». Rispose la donna: «Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato».
Allora il Signore Dio disse al serpente:
«Poiché hai fatto questo,
maledetto tu fra tutto il bestiame
e fra tutti gli animali selvatici!
Sul tuo ventre camminerai
e polvere mangerai
per tutti i giorni della tua vita.
Io porrò inimicizia fra te e la donna,
fra la tua stirpe e la sua stirpe:
questa ti schiaccerà la testa
e tu le insidierai il calcagno».
L’uomo chiamò sua moglie Eva, perché ella fu la madre di tutti i viventi.

Salmo Responsoriale Dal Salmo 97

Cantate al Signore un canto nuovo, perché ha compiuto meraviglie.

Cantate al Signore un canto nuovo,
perché ha compiuto meraviglie.
Gli ha dato vittoria la sua destra
e il suo braccio santo.

Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza,
agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia.
Egli si è ricordato del suo amore,
della sua fedeltà alla casa d’Israele.

Tutti i confini della terra hanno veduto
la vittoria del nostro Dio.
Acclami il Signore tutta la terra,
gridate, esultate, cantate inni!

Seconda Lettura Ef 1,3-6.11-12

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni

Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo,
che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo.
In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo
per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità,
predestinandoci a essere per lui figli adottivi
mediante Gesù Cristo,
secondo il disegno d’amore della sua volontà,
a lode dello splendore della sua grazia,
di cui ci ha gratificati nel Figlio amato.
In lui siamo stati fatti anche eredi,
predestinati – secondo il progetto di colui
che tutto opera secondo la sua volontà –
a essere lode della sua gloria,
noi, che già prima abbiamo sperato nel Cristo.
 
Canto al Vangelo (Lc 1,28)


Alleluia, alleluia.

Rallègrati, piena di grazia,
il Signore è con te,
benedetta tu fra le donne.

Alleluia.

Vangelo Lc 1,26-38

Dal vangelo secondo Luca

In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te».
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio».
Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.

OMELIA

“L’anima è sempre vergine, saperlo e vivere di conseguenza è ciò che chiamiamo spiritualità” (P. d’Ors).
La questione è che non lo sappiamo, o se vogliamo, ce ne siamo dimenticati.
Dovremmo dedicarci del tempo – il tempo del silenzio – per prendere coscienza che dentro di noi vi è un luogo immacolato e vergine, puro e originale. Un luogo sacro, incontaminato, dove siamo pienamente noi stessi, autentici, dove non abbiamo bisogno di giustificarci o vivere di prestazioni per essere riconosciuti e accolti.
Un luogo sacro dove non può entrare il giudizio altrui e le parole degli altri non possono ferirci.
Un luogo immacolato e vergine, puro e originale dove non è dato vivere sensi di colpa, perché al nostro giudice interiore che sempre ci giudica non è dato entrarvi.

Abbiamo bisogno di qualcuno, d’un ‘angelo’ che come a Maria, ci faccia memoria di essere pieni di grazia, ossia di essere abitati da questo spazio ‘altro’ dove ‘la grazia accade senza sforzo’ (S. Weil), al di là del nostro fare, e che la nostra identità più profonda – come quella di Maria – è appunto vergine e feconda, vuota e piena. Feconda perché vergine, piena perché vuota.
Solo se siamo vuoti possiamo essere raggiunti; rinunciando a ‘fare’ conosciamo la fecondità del vivere.
Perché svuotati da ogni interesse personale siamo aperti a ciò che gratuitamente può raggiungerci.
La pratica meditativa credo sia il momento in cui con un atto di consapevole attenzione viviamo tutto ciò: il momento dell’abbandono, della consegna di sé, in quanto «La Meditazione è un non-fare basato sulla fiducia» (F. Fabbro).
Maria dice sì – s’affida – a ciò che capita al di là del suo com-prendere, del suo capire.
«Cominceremo a vivere quando rinunceremo a voler capire» (Ch. Candiani). La vita comincerà a farsi carne in noi nella misura in cui cesseremo di commentarla.

«Ritorna dentro,
nel luogo dove non c’è nulla,
e bada che nulla entri.
Penetra nelle profondità di te stesso,
nel luogo dove il pensiero non esiste più,
e bada che nessun pensiero vi sorga!
Lì dove non esiste nulla,
Pienezza!
Lì dove non si vede nulla,
la Visione dell’Essere!
Lì dove non appare più nulla,
l’improvvisa apparizione del Sé!
Meditazione è questo!» (Sri Gnanananda)
 
Paolo Scquizzato
 
Domenica, 01 Dicembre 2024 10:02

Prima domenica del tempo di Avvento. Anno C

Prima domenica del tempo di Avvento. Anno C

Omelia di Paolo Scquizzato

Prima Lettura  Ger 33,14-16

Dal libro del profeta Geremia
 
Ecco, verranno giorni - oràcolo del Signore - nei quali io realizzerò le promesse di bene che ho fatto alla casa d’Israele e alla casa di Giuda.
In quei giorni e in quel tempo farò germogliare per Davide un germoglio giusto, che eserciterà il giudizio e la giustizia sulla terra.
In quei giorni Giuda sarà salvato e Gerusalemme vivrà tranquilla, e sarà chiamata: Signore-nostra-giustizia.
 

Salmo Responsoriale Dal Salmo 24

A te, Signore, innalzo l’anima mia, in te confido.

Fammi conoscere, Signore, le tue vie,
insegnami i tuoi sentieri.
Guidami nella tua fedeltà e istruiscimi,
perché sei tu il Dio della mia salvezza.

Buono e retto è il Signore,
indica ai peccatori la via giusta;
guida i poveri secondo giustizia,
insegna ai poveri la sua via.

Tutti i sentieri del Signore sono amore e fedeltà
per chi custodisce la sua alleanza e i suoi precetti.
Il Signore si confida con chi lo teme:
gli fa conoscere la sua alleanza.

Seconda Lettura 1Ts 3,12-4,2

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicési

Fratelli, il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell’amore fra voi e verso tutti, come sovrabbonda il nostro per voi, per rendere saldi i vostri cuori e irreprensibili nella santità, davanti a Dio e Padre nostro, alla venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi.
Per il resto, fratelli, vi preghiamo e supplichiamo nel Signore Gesù affinché, come avete imparato da noi il modo di comportarvi e di piacere a Dio – e così già vi comportate –, possiate progredire ancora di più. Voi conoscete quali regole di vita vi abbiamo dato da parte del Signore Gesù.
 
Canto al Vangelo (Sal 84,8)


Alleluia, alleluia.

Mostraci, Signore, la tua misericordia
e donaci la tua salvezza.

Alleluia.

Vangelo Lc 21,25-28.34-36

Dal vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte.
Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria.
Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina.
State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo».

OMELIA

Avvento, tempo d’attesa.
Con “uno sguardo attento, in cui l’anima si svuota di contenuto proprio per accogliere in sé quella realtà che solo così essa vede nel suo aspetto vero” (Simone Weil). Questa attesa-attenzione suppone la fine di ogni nostro pregiudizio, desiderio, libertà da ogni opinione, e fine di ogni immaginazione riempitrice di vuoti.
Tempo di fede, ovvero apertura tale da non prevedere nulla se non l’imprevedibile e da non attendere niente se non l’insperato.
«State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano …» (v. 34). Un cuore appesantito, ossia ingombro d’altro, non può far spazio all’Altro che desidera compiersi in noi.
Il contrario di ‘appesantito’ non è ‘leggero’ ma ‘vuoto’, ossia libero da pensieri, immagini, attese, libero dal veleno del desiderio e dell’avversione. Un cuore giunto allo ‘stato di quiete’ per aver mollato la presa ed essere finalmente libero e aperto all’accadere di ciò che deve accadere.
È interessante che Gesù faccia riferimento in particolare a tre possibili malattie del cuore: la dissipazione, l’ubriachezza e l‘affanno (v. 34).
‘Dissipare’ significa disperdere, svanire, rendere inconsistente. C’è il rischio di vivere come fumo, nebbia, in maniera inconsistente appunto, e al primo bagliore del sole costatare che di tutto ciò che si pensava si fosse edificato, non rimane nulla.
‘Vivere da ubriachi’ significa consumare i giorni nell’inconsapevolezza, lasciar accadere le cose senza viverle veramente, mai ‘in sé’, non da protagonisti avendo delegato ad altri il mestiere di vivere.
‘Affannarsi’ poi, è come correre a perdifiato, in continua agitazione, sempre alla ricerca di qualcosa, di una meta, di un orizzonte che – come in un incubo – è destinato a rimanere sempre aldilà, irraggiungibile.
L’Avvento è invito a fermarsi, o perlomeno a rallentare.
La tradizione orientale ci ricorda: «Rimani fermo, e ciò che è destinato a te ti raggiungerà»; «Quando vai nello spazio del nulla, tutto diventa noto».
Avvento come tempo di attesa dunque ma soprattutto di purificazione. Purificarsi soprattutto dalle immagini di Dio che ci portiamo dentro, perché egli è e sarà sempre al di là di ciò che possiamo immaginare e pensare, e potrà farci visita nella misura in cui cessiamo di immaginarlo e cercarlo.
«Dio è una negazione della negazione», dice Meister Eckhart. Va negato come oggetto ‘altro da noi’, perché possa manifestarsi come lo Spirito vivente in noi.

 
Paolo Scquizzato
 
Trentaquattresima domenica del Tempo Ordinario. Anno B
Nostro Signore Gesù Cristo Re dell'Universo

Omelia di Paolo Scquizzato

Prima Lettura  Dn 7,13-14

Dal libro del profeta Daniele
 
Guardando nelle visioni notturne,
ecco venire con le nubi del cielo
uno simile a un figlio d’uomo;
giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui.
Gli furono dati potere, gloria e regno;
tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano:
il suo potere è un potere eterno,
che non finirà mai,
e il suo regno non sarà mai distrutto.
 

Salmo Responsoriale Dal Salmo 92

Il Signore regna, si riveste di splendore.

Il Signore regna, si riveste di maestà:
si riveste il Signore, si cinge di forza.

È stabile il mondo, non potrà vacillare.
Stabile è il tuo trono da sempre,
dall’eternità tu sei.

Davvero degni di fede i tuoi insegnamenti!
La santità si addice alla tua casa
per la durata dei giorni, Signore.

Seconda Lettura Ap 1,5-8

Dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo

Gesù Cristo è il testimone fedele, il primogenito dei morti e il sovrano dei re della terra.
A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen.
Ecco, viene con le nubi e ogni occhio lo vedrà,
anche quelli che lo trafissero,
e per lui tutte le tribù della terra
si batteranno il petto.
Sì, Amen!
Dice il Signore Dio: Io sono l’Alfa e l’Omèga, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente!
 
Canto al Vangelo (Mc 11,9.10)


Alleluia, alleluia.

Benedetto colui che viene nel nome del Signore!
Benedetto il Regno che viene, del nostro padre Davide!

Alleluia.

Vangelo Gv 18,33-37

Dal vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?».
Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù».
Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».

OMELIA

Pilato, plenipotenziario per conto di Roma in Palestina, domanda a Gesù, tra l’ironico e il sorpreso: «Tu sei re?» (v. 33b).
Tu, che hai le mani legate? Tu che non hai messo nelle tue mani nessuno me ti sei dato nelle mani di tutti? Tu l’innocente che non dichiari guerra senza urlare: ‘vendetta’?
Tu che doni la vita a chi fa fuori la tua, insegnando così che non si vince se non perdonando?
Tu che hai avuto solo un desiderio, quello di prenderti cura e liberare chi ha sempre faticato a stare al mondo, come i poveri, i miseri, gli esclusi, gli sbagliati, le vittime della religione: tu saresti re?
Tu che lavi i piedi a dei poco di buono, che entri in Gerusalemme a dorso d’un asino rifiutando di salire sui carri e i cavalli dei potenti?
Tu che non dai la morte per salvarti la vita, ma accetti di morire perché l’altro possa tornare a vivere?
Tu che non usi armi, ma inviti Pietro a riporre nel fodero la sua?
Sì, caro Pilato, “Io sono re” (cfr. v. 37). Ma lo sono non ‘secondo il mondo’, secondo quella vostra modalità che sa di morte, ma nel senso profondo di questa parola. Il termine re ha come origine la parola sanscrita ‘rags’, da cui deriva anche raggio. Io sono re di luce. Sono l’essere luminoso che illumina e dà la vita. Per questo ho insegnato che l’unico modo per vivere in maniera regale è servire e il solo modo per essere potenti è fare il bene; l’unico modo di possedere è donare ed è solo immettendo luce nel buio che lo si dirada.
‘Sì, sono re’, perché ho compreso che l’unico trono su cui merita salire è la croce, vivendo un amore che sa andare fino alla fine.
E l’unico nemico a cui merita dichiarare guerra è il proprio ego.
«Una pace futura potrà essere veramente tale solo se prima sarà stata trovata da ognuno in sé stesso – se ogni uomo si sarà liberato dall’odio contro il prossimo, di qualunque razza o popolo, se avrà superato quest’odio e l’avrà trasformato in qualcosa di diverso, forse alla lunga in amore se non è chiedere troppo». (Etty Hillesum, 19 giugno 1942)

 
Paolo Scquizzato
 
Trentatreesima domenica del Tempo Ordinario. Anno B

Omelia di Paolo Scquizzato

Prima Lettura  Dn 12,1-3

Dal libro del profeta Daniele
In quel tempo, sorgerà Michele, il gran principe, che vigila sui figli del tuo popolo.
Sarà un tempo di angoscia, come non c’era stata mai dal sorgere delle nazioni fino a quel tempo; in quel tempo sarà salvato il tuo popolo, chiunque si troverà scritto nel libro.
Molti di quelli che dormono nella regione della polvere si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna.
I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre.

Salmo Responsoriale Dal Salmo 15

Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio.

Il Signore è mia parte di eredità e mio calice:
nelle tue mani è la mia vita.
Io pongo sempre davanti a me il Signore,
sta alla mia destra, non potrò vacillare.

Per questo gioisce il mio cuore
ed esulta la mia anima;
anche il mio corpo riposa al sicuro,
perché non abbandonerai la mia vita negli inferi,
né lascerai che il tuo fedele veda la fossa.

Mi indicherai il sentiero della vita,
gioia piena alla tua presenza,
dolcezza senza fine alla tua destra.

Seconda Lettura Eb 10,11-14.18


Dalla lettera agli Ebrei

Ogni sacerdote si presenta giorno per giorno a celebrare il culto e a offrire molte volte gli stessi sacrifici, che non possono mai eliminare i peccati.
Cristo, invece, avendo offerto un solo sacrificio per i peccati, si è assiso per sempre alla destra di Dio, aspettando ormai che i suoi nemici vengano posti a sgabello dei suoi piedi. Infatti, con un’unica offerta egli ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati.
Ora, dove c’è il perdono di queste cose, non c’è più offerta per il peccato.
 
Canto al Vangelo (Lc 21,36)


Alleluia, alleluia.

Vegliate in ogni momento pregando,
perché abbiate la forza di comparire davanti al Figlio dell’uomo.

Alleluia.

Vangelo Mc 13,24-32

Dal vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«In quei giorni, dopo quella tribolazione,
il sole si oscurerà,
la luna non darà più la sua luce,
le stelle cadranno dal cielo
e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte.
Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo.
Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte.
In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.
Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre».

OMELIA

La cronaca quotidiana ci fa memoria di violenze, distruzioni continue e di un male che pare non avere fine.
Anche la primitiva comunità cristiana s’è trovata avvolta in un male indicibile. Roma, la comunità di cristiani cui Marco si rivolge col suo vangelo, è stata messa a ferro e fuoco da Nerone. Gerusalemme da lì a poco verrà rasa al suolo. E Marco riprende le parole del Maestro per infondere pace e serenità ai suoi. “Non abbiate timore, perché questo dolore è paragonabile a quello che precede il parto (cfr. Gv 16. 21): qualcosa di nuovo sta per nascere”.
Il Vangelo ci ricorda che non stiamo andando verso ‘la fine’, ma verso ‘un fine’.
Non siamo fatti per ‘disfarci’, ma per ‘trasfigurarci’.
Purché ci giochiamo la vita non dietro le stars del momento (nel nostro brano i potenti della storia del Medioriente identificati con il Sole, la Luna e le stelle, considerati in quel tempo dèi), destinate ad eclissarsi (vv. 24-25), ma nei valori proclamati nel vangelo: la condivisione, la cura, la giustizia… Se s’investe sul potere, l’avere, il successo del proprio ego, ci si ecclisserà, mentre se si esce dal proprio io per il bene, la giustizia, la pace, si vivrà in pienezza.
Ci s’illumina solo illuminando gli altri.
Il Vangelo di oggi ci ricorda inoltre che quando il male parrà avere trionfato, quando si assisterà alla manifestazione massima del male, allora contempleremo appieno la gloria di Dio: «Vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria» (v. 26). Perché? Semplicemente perché in un venerdì, l’unico santo della storia, è accaduto proprio questo: dinanzi al male assoluto, alla croce di Cristo, alla ‘morte di Dio’, un uomo ha gridato: «davvero quest’uomo era figlio di Dio» (Mc 15, 39): riconoscimento di un amore. Memoria che l’amore riporterà la vittoria solo quando verrà ferito, e che la tenebra, alla fine rivelerà sempre una luce.
 
Paolo Scquizzato
 
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