Esperienze Formative

Fausto Ferrari

Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

Domenica, 28 Settembre 2025 08:28

XXVI Domenica del tempo ordinario - Anno C

XXVI Domenica del tempo ordinario - Anno C

Omelia di Paolo Scquizzato

Prima Lettura Am 6,1a.4-7

Dal libro del profeta Amos
 

Guai agli spensierati di Sion
e a quelli che si considerano sicuri
sulla montagna di Samaria!
Distesi su letti d’avorio e sdraiati sui loro divani
mangiano gli agnelli del gregge
e i vitelli cresciuti nella stalla.
Canterellano al suono dell’arpa,
come Davide improvvisano su strumenti musicali;
bevono il vino in larghe coppe
e si ungono con gli unguenti più raffinati,
ma della rovina di Giuseppe non si preoccupano.
Perciò ora andranno in esilio in testa ai deportati
e cesserà l’orgia dei dissoluti.


Salmo Responsoriale Sal 145 (146)

Loda il Signore, anima mia.

Il Signore rimane fedele per sempre
rende giustizia agli oppressi,
dà il pane agli affamati.
Il Signore libera i prigionieri.
 
Il Signore ridona la vista ai ciechi,
il Signore rialza chi è caduto,
il Signore ama i giusti,
il Signore protegge i forestieri.
 
Egli sostiene l’orfano e la vedova,
ma sconvolge le vie dei malvagi.
Il Signore regna per sempre,
il tuo Dio, o Sion, di generazione in generazione.

 
Seconda Lettura  1Tm 6,11-16
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo a Timòteo
 
Tu, uomo di Dio, evita queste cose; tendi invece alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza. Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni.
Davanti a Dio, che dà vita a tutte le cose, e a Gesù Cristo, che ha dato la sua bella testimonianza davanti a Ponzio Pilato, ti ordino di conservare senza macchia e in modo irreprensibile il comandamento, fino alla manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo,
che al tempo stabilito sarà a noi mostrata da Dio,
il beato e unico Sovrano,
il Re dei re e Signore dei signori,
il solo che possiede l’immortalità
e abita una luce inaccessibile:
nessuno fra gli uomini lo ha mai visto né può vederlo.
A lui onore e potenza per sempre. Amen.
 
 
Canto al Vangelo (2Cor 8,9)


Alleluia, Alleluia

Gesù Cristo da ricco che era, si è fatto povero per voi,
perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà.

Alleluia, Alleluia

 

Vangelo Lc Lc 16,19-31

Dal Vangelo secondo Luca
 

In quel tempo, Gesù disse ai farisei:
«C'era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe.
Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: "Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma".
Ma Abramo rispose: "Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi".
E quello replicò: "Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento". Ma Abramo rispose: "Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro". E lui replicò: "No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno". Abramo rispose: "Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti"».

 

OMELIA
 
«Si hanno due vite. La seconda comincia il giorno in cui ci si rende conto che non se ne ha che una» (Confucio).
La vita ci è data ora. Non domani e non altrove. Ed è qui che possiamo trasformarla in paradiso o in inferno. Dipende solo da noi. Infatti, paradiso e inferno non sono luoghi futuri, ma modi di abitare il presente, la storia e le relazioni.
La parabola evangelica di oggi, detta del ‘ricco epulone’, ce lo ricorda con forza. Questo personaggio è descritto come ricco e solo, talmente solo da non avere neppure un nome. Solo in seguito verrà chiamato “epulone”, ma non è un nome proprio: è la definizione di ciò che possiede e ostenta, non di chi egli è. Mangia, veste, gode… ma resta anonimo, sconosciuto persino a sé stesso. Come a dire che son le cose a definirlo.
Lazzaro invece ha un nome proprio di persona. Certo, è povero, mendicante, piagato, eppure ha un nome e con questo nome è ‘chiamato’. Accanto a lui compaiono persino dei cani, che gli lambiscono le ferite: più compassionevoli degli uomini, custodi silenziosi di un briciolo di paradiso.
Il ricco, oltre a non possedere un nome, ad essere anonimo è anche cieco. Non vede infatti chi giace alla sua porta. Ha occhi solo per “la sua roba”, direbbe Verga. E proprio la sua roba l’ha ingannato, convincendolo che fosse l’assoluto, il tutto per cui meritasse giocarsi la vita. Ma alla sua porta c’è sempre stato un altro “assoluto”: un altro sé, che chiede solo d’essere visto, accolto, e sfamato.
La roba acceca, ottunde il cuore ci suggerisce oggi il maestro di Nazareth. Ci illude che la vita sia solo ciò che si consuma, ciò che si difende coi denti. E così ingrassiamo i nostri idoli, coccoliamo illusioni, custodiamo inganni. Ma a ben vedere, di vite ne abbiamo due. La seconda è quella che scartiamo, che resta affamata e ferita ai margini, e chiede solo di essere riconosciuta. È il nostro vero Sé, la matrice da cui siamo generati. Ciò che verrebbe alla luce se l’ego si dissolvesse. È il divino che palpita dentro la nostra fragile carne.
Oggi siamo chiamati a prenderci cura anzitutto di quel povero Lazzaro che abita in noi, sorgente interiore dimenticata. Non domani. Domani sarebbe già troppo tardi. Oggi va nutrito l’essere spirituale, lasciato morire di fame mentre ci preoccupavamo solo della “roba” che passa.
C.G. Jung nel Libro rosso scrive parole che ci trafiggono:
«Per quale ragione il mio Sé è un deserto? Ho forse vissuto troppo al di fuori di me, nelle persone e nelle cose? Perché ho evitato il mio Sé? Non ero forse caro a me stesso? Eppure ho evitato il luogo della mia anima. Dopo che non ero più le cose e le altre persone, ero i miei pensieri. Non ero però il mio Sé, che si contrappone ai miei pensieri. Dovrei dunque elevarmi anche al di sopra dei miei pensieri per raggiungere il mio proprio Sé. Lì conduce il mio viaggio. Esso conduce dunque lontano da persone e cose, nella solitudine. Ma è solitudine restare con sé stessi? Solitudine probabilmente solo se il Sé è un deserto» (Libro rosso).
Ecco il cammino: ritrovare quel Lazzaro interiore, ridargli nome, nutrimento, dignità. Altrimenti il Sé resta deserto, e la vita scivola via anonima, come quella dell’epulone.

 
Paolo Scquizzato
 
Domenica, 21 Settembre 2025 08:21

XXV Domenica del tempo ordinario - Anno C

XXV Domenica del tempo ordinario - Anno C

Omelia di Paolo Scquizzato

Prima Lettura Am 8,4-7

Dal libro del profeta Amos
 

Il Signore mi disse:
«Ascoltate questo,
voi che calpestate il povero
e sterminate gli umili del paese,
voi che dite: “Quando sarà passato il novilunio
e si potrà vendere il grano?
E il sabato, perché si possa smerciare il frumento,
diminuendo l’efa e aumentando il siclo
e usando bilance false,
per comprare con denaro gli indigenti
e il povero per un paio di sandali?
Venderemo anche lo scarto del grano”».
Il Signore lo giura per il vanto di Giacobbe:
«Certo, non dimenticherò mai tutte le loro opere».


Salmo Responsoriale Sal 112 (113)

Benedetto il Signore che rialza il povero.

Lodate, servi del Signore,
lodate il nome del Signore.
Sia benedetto il nome del Signore,
da ora e per sempre.
 
Su tutte le genti eccelso è il Signore,
più alta dei cieli è la sua gloria.
Chi è come il Signore, nostro Dio,
che siede nell’alto
e si china a guardare
sui cieli e sulla terra?
 
Solleva dalla polvere il debole,
dall’immondizia rialza il povero,
per farlo sedere tra i prìncipi,
tra i prìncipi del suo popolo.

 
Seconda Lettura  1Tm 2,1-8
 
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo a Timòteo
 
Figlio mio, raccomando, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio. Questa è cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità.
Uno solo, infatti, è Dio e uno solo anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti. Questa testimonianza egli l’ha data nei tempi stabiliti, e di essa io sono stato fatto messaggero e apostolo – dico la verità, non mentisco –, maestro dei pagani nella fede e nella verità.
Voglio dunque che in ogni luogo gli uomini preghino, alzando al cielo mani pure, senza collera e senza contese.
 
 
Canto al Vangelo (2Cor 8,9)


Alleluia, Alleluia

Gesù Cristo da ricco che era, si è fatto povero per voi,
perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà.

Alleluia, Alleluia

 

Vangelo Lc Lc 16,1-13

Dal Vangelo secondo Luca
 

In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli:
«Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”.
L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”.
Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”.
Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce.
Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne.
Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?
Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».

 

OMELIA
 
La ricchezza, per Gesù, non è mai neutra: porta con sé il peso di un’ombra. È frutto di accumulo e, alla fine, di esclusione. L’opulenza non nasce dal nulla: chiede il sacrificio di qualcuno che resta ai margini, invisibile. In fondo vivere significa essere già dentro questa trama, in cui nessuno può chiamarsi fuori. «Siamo tutti responsabili di tutto», scrive Dostoevskij, e l’economia non è che il nome di questo legame che ci attraversa, anche quando crediamo di esserne estranei.
L’amministratore infedele della parabola evangelica porta con sé una domanda che è anche la nostra: “Io, che cosa posso fare?”. Gesù non invita a fuggire dal mondo né a rinunciare alle cose, ma a viverle con lucidità, con creatività, con quella scaltrezza che nasce dalla libertà interiore.
Forse tutto inizia con un gesto semplice: condividere. Non il dare dall’alto verso il basso, ma il mettere in comune, perché la vita non resti chiusa nel recinto di ciascuno. Le prime comunità cristiane lo sperimentarono: non era il rito a generare pienezza, ma la mensa condivisa, dove nessuno restava nel bisogno e il poco diventava sufficiente per tutti. Il pane moltiplicato non era magia, ma il miracolo della comunione.
È facile pensare che sia utopia, un sogno irrealizzabile. Ma qualcuno, a partire da Gesù di Nazareth, ci ha creduto, e la sua vita testimonia che questa via non è illusione: è l’unico cammino capace di aprire una storia più forte della morte. Una storia dal sapore dell’amore, l’unico nutrimento che non finisce e che continua a generare vita.

 
Paolo Scquizzato
 
Domenica, 14 Settembre 2025 08:28

Esaltazione della Santa Croce - Festa

Esaltazione della Santa Croce - Festa

Omelia di Paolo Scquizzato

Prima Lettura Nm 21, 4-9

Dal libro dei Numeri

In quei giorni, il popolo non sopportò il viaggio. Il popolo disse contro Dio e contro Mosè: «Perché ci avete fatto salire dall'Egitto per farci morire in questo deserto? Perché qui non c'è né pane né acqua e siamo nauseati di questo cibo così leggero».
Allora il Signore mandò fra il popolo serpenti brucianti i quali mordevano la gente, e un gran numero d'Israeliti morì.
Il popolo venne da Mosè e disse: «Abbiamo peccato, perché abbiamo parlato contro il Signore e contro di te; supplica il Signore che allontani da noi questi serpenti». Mosè pregò per il popolo.
Il Signore disse a Mosè: «Fatti un serpente e mettilo sopra un'asta; chiunque sarà stato morso e lo guarderà, resterà in vita». Mosè allora fece un serpente di bronzo e lo mise sopra l'asta; quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente di bronzo, restava in vita.


Salmo Responsoriale Sal 77 (78)

Non dimenticate le opere del Signore!

Ascolta, popolo mio, la mia legge,
porgi l'orecchio alle parole della mia bocca.
Aprirò la mia bocca con una parabola,
rievocherò gli enigmi dei tempi antichi.

Quando li uccideva, lo cercavano
e tornavano a rivolgersi a lui,
ricordavano che Dio è la loro roccia
e Dio, l'Altissimo, il loro redentore.

Lo lusingavano con la loro bocca,
ma gli mentivano con la lingua:
il loro cuore non era costante verso di lui
e non erano fedeli alla sua alleanza.

Ma lui, misericordioso, perdonava la colpa,
invece di distruggere.
Molte volte trattenne la sua ira
e non scatenò il suo furore.

 
Seconda Lettura  Fil 2, 6-11
 
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi
 
Cristo Gesù,
pur essendo nella condizione di Dio,
non ritenne un privilegio
l'essere come Dio,
ma svuotò se stesso
assumendo una condizione di servo,
diventando simile agli uomini.
Dall'aspetto riconosciuto come uomo,
umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte
e a una morte di croce.
Per questo Dio lo esaltò
e gli donò il nome
che è al di sopra di ogni nome,
perché nel nome di Gesù
ogni ginocchio si pieghi
nei cieli, sulla terra e sotto terra,
e ogni lingua proclami:
«Gesù Cristo è Signore!»,
a gloria di Dio Padre.
 
 
Canto al Vangelo


Alleluia, Alleluia

Noi ti adoriamo, o Cristo, e ti benediciamo,
perché con la tua croce hai redento il mondo.

Alleluia, Alleluia

 

Vangelo Gv 3, 13-17
 
Dal Vangelo secondo Giovanni
 

In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo:
«Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell'uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.
Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».

 

OMELIA
 

La croce è il segno radicale dell’umana avventura: accoglienza della finitezza senza vie di fuga, stare fino in fondo e dentro il limite senza avversione.
Punto d’incrocio dove si sfiorano gli opposti: terra e cielo, materia e spirito, tempo e infinito, solitudine e abbraccio. In questo centro pulsa tutta la condizione umana: sospesa tra il peso del finito e la vertigine dell’oltre.
Gesù sulla croce non è l’ultima vittima offerta a un dio crudele, ma l’uomo nella sua verità più nuda. Egli non evade dalla violenza, non risponde con l’odio, non si sottrae al dolore. Resta. Sta. Esposto, inerme, eppure sovrano.
In lui la sventura estrema diventa grandezza estrema, la ferita si apre come varco d’infinito. La croce si fa allora icona di dignità: non chi cede al male, ma chi lo attraversa s’apre a spazi inimmaginabili.

La croce è dunque sosta dentro il negativo. Non per amore del dolore, ma perché soltanto nel varcarlo può nascere l’oltre. Nel nulla più buio può trasparire il Tutto. Rivelando così quel Mistero che non è un dio tra gli dèi, ma la profondità stessa dell’essere, che si rivela quando crollano tutte le immagini e gli appigli.

La resurrezione, va da sé, non è magia proveniente dall’esterno, ma vita che risorge dal cuore stesso della perdita, forza che non si lascia seppellire, fiducia che nessuna morte potrà mai avere l’ultima parola.
In un tempo che fugge il dolore come scandalo, la croce resta segno ostinato. Ci dice che non c’è vita senza ferita, né amore senza esposizione, né relazione senza vulnerabilità. Ma dice anche che nessuna ferita è chiusura: ogni piaga nasconde un varco di luce.
Così la croce parla ancora oggi, oltre le religioni e oltre il teismo: come simbolo universale dell’umano, della capacità di trasfigurare il dolore in amore, la sconfitta in apertura, il limite in possibilità.


 
Paolo Scquizzato
 
Mercoledì, 10 Settembre 2025 10:16

Fragilità e menzogna (Faustino Ferrari)

È diffusa la convinzione che la menzogna sia causata da una qualche debolezza e che si menta perché non si è in grado di affrontare la realtà con le dovute capacità. Si tratta di un’idea che troviamo sviluppata nella nostra cultura, non solo a livello popolare. Secondo questa logica, nell’antica fiaba del lupo e dell’agnello dovrebbe essere quest’ultimo a mentire. Ma la fiaba ci ricorda che è la prepotenza del più forte ad avvalersi della menzogna mentre le risposte del debole (ingenuo?) agnello non tendono ad occultare la realtà.

A ben considerare, sono le immagini di forza, di potenza e di durezza ad essere foriere di menzogna. Poiché già in quanto tali sono originate da processi d'occultamento. È soprattutto la sapienza orientale ad insistere che sotto la potenza si cela, in realtà, la debolezza. Si mente quando non si vuole ammettere, di fronte agli altri, la parte della propria responsabilità in ciò che si è agito. Si mente perché il ruolo che si riveste è diventato più importante di ciò che si è. Si mente quando ci si presenta diversi da quello che si è… Si viene così ad alterare la realtà. Consapevolmente e intenzionalmente. Certo, spesso si mente per paura o timore, per cercare di non soccombere, ma è un mentire originato dal bisogno di sopravvivenza e non a causa della prevaricazione.

C'è una menzogna che nasce quando si vuole occultare la propria debolezza. Imparare a fare i conti con la fragilità vuol dire, allora, intraprendere un percorso di verità. La persona che si misura con la propria debolezza e fragilità – né rifiutandole né nascondendole –, non ha paura a mostrarsi per quello che è. In fondo, l'etologia c'insegna che si tratta di una strategia adottata anche da alcune specie d'animali che hanno maggiori chance di sopravvivere proprio quando si mostrano totalmente disarmati e rimessivi nei confronti dei loro avversari.

La bibbia adopera per Satana l’appellativo di menzognero. E si può leggere il testo della tentazione edenica come il primo tentativo operato nella storia umana d'occultamento della fragilità: “Voi sarete dei”. Un tentativo che si rivela ben presto fallimentare. Il serpente aveva insinuato una prospettiva veramente allettante: quella di non fare più i conti con la caducità dell’esistenza, con la sua fragilità e con l’incombere del tempo. E sull’onda di questa prima menzogna il racconto biblico prosegue rivelandone altre, volte tutte nel tentativo di nascondere una serie di debolezze personali. Aldilà del falso allettamento – un sogno? – di vivere oltre la fragilità umana si fa strada la consapevolezza della fatica e del travaglio. Si è sempre propensi a leggere il testo come una sorta di punizione divina operata nei confronti della coppia primordiale disobbediente. E quanta letteratura si è fatto a riguardo! In realtà, possiamo leggere il capitolo 3 di Genesi come un racconto simbolico – per nulla indolore – della presa di coscienza della fragilità umana. Mentre il Menzognero insinua l’illusione di poter dimenticare i limiti della contingenza, Dio consegna all’umanità la consapevolezza che fragilità e debolezza non sono estranee, ma costitutive dell’esistenza. Che questo sia per nulla scontato da accettare è accentuato dal fatto che il racconto risuona nelle nostre orecchie essenzialmente nei termini di una condanna. La tentazione del serpente gioca su un aspetto centrale, fondamentale dell’esistenza umana. Di fatto il serpente avanza l’idea che l'umanità non possa vivere nel(la) fragilità. Ogni volta che si opera questo processo di rimozione o d'occultamento, sembra metterci in guarda il racconto biblico, ci s'incammina in percorsi dagli sviluppi tragici e problematici.

Da un punto di vista psicologico – e spirituale – s’inizia a cambiare quando si accoglie ciò che siamo. Nella consapevolezza del proprio sé. Dei propri limiti come delle proprie capacità. Mentre il rimosso, puntualmente ritorna. E le diverse situazioni della vita, prima o poi, portano allo svelamento di ciò che veramente siamo.

La via degli stolti è una via di menzogna (Salmo 1). Il cammino sulla via della vita diventa saggezza quando anche la fragilità e la debolezza sono comprese e vissute come risorse e possibilità. Accogliere la fragilità della nostra vita vuol dire intraprendere un percorso che tende a liberarsi dai vincoli dell’ipocrisia. Menzogna e saggezza, infatti, sono due termini che non abitano sotto lo stesso tetto.

 

Faustino Ferrari

 

 

Domenica, 07 Settembre 2025 08:46

XXIII Domenica del tempo ordinario - Anno C

XXIII Domenica del tempo ordinario - Anno C

Omelia di Paolo Scquizzato

Prima Lettura Sap 9,13-18

Dal libro della Sapienza
 

Quale uomo può conoscere il volere di Dio?
Chi può immaginare che cosa vuole il Signore?
I ragionamenti dei mortali sono timidi
e incerte le nostre riflessioni,
perché un corpo corruttibile appesantisce l’anima
e la tenda d’argilla opprime una mente piena di preoccupazioni.
A stento immaginiamo le cose della terra,
scopriamo con fatica quelle a portata di mano;
ma chi ha investigato le cose del cielo?
Chi avrebbe conosciuto il tuo volere,
se tu non gli avessi dato la sapienza
e dall’alto non gli avessi inviato il tuo santo spirito?
Così vennero raddrizzati i sentieri di chi è sulla terra;
gli uomini furono istruiti in ciò che ti è gradito
e furono salvati per mezzo della sapienza».


Salmo Responsoriale Sal 89 (90)

Signore, sei stato per noi un rifugio
di generazione in generazione.

Tu fai ritornare l’uomo in polvere,
quando dici: «Ritornate, figli dell’uomo». 
Mille anni, ai tuoi occhi,
sono come il giorno di ieri che è passato, 
come un turno di veglia nella notte.

Tu li sommergi:
sono come un sogno al mattino, 
come l’erba che germoglia;
al mattino fiorisce e germoglia, 
alla sera è falciata e secca.

Insegnaci a contare i nostri giorni 
e acquisteremo un cuore saggio. 
Ritorna, Signore: fino a quando? 
Abbi pietà dei tuoi servi!

Saziaci al mattino con il tuo amore:
esulteremo e gioiremo per tutti i nostri giorni. 
Sia su di noi la dolcezza del Signore, nostro Dio: 
rendi salda per noi l’opera delle nostre mani, 
l’opera delle nostre mani rendi salda.

 
Seconda Lettura  Fm 1,9b-10.12-17
 
Dalla lettera di san Paolo apostolo a Filèmone
 
Carissimo, ti esorto, io, Paolo, così come sono, vecchio, e ora anche prigioniero di Cristo Gesù. Ti prego per Onèsimo, figlio mio, che ho generato nelle catene. Te lo rimando, lui che mi sta tanto a cuore.
Avrei voluto tenerlo con me perché mi assistesse al posto tuo, ora che sono in catene per il Vangelo. Ma non ho voluto fare nulla senza il tuo parere, perché il bene che fai non sia forzato, ma volontario.
Per questo forse è stato separato da te per un momento: perché tu lo riavessi per sempre; non più però come schiavo, ma molto più che schiavo, come fratello carissimo, in primo luogo per me, ma ancora più per te, sia come uomo sia come fratello nel Signore.
Se dunque tu mi consideri amico, accoglilo come me stesso.
 
 
Canto al Vangelo (Sal 118,135)


Alleluia, Alleluia

Fa' risplendere il tuo volto sul tuo servo
e insegnami i tuoi decreti.

Alleluia, Alleluia

 

Vangelo Lc 14,25-33
Dal Vangelo secondo Luca
 

In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro:
«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.
Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.
Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”.
Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace.
Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».

 

OMELIA
 
Trasformarsi da servi a discepoli, da marionette mosse da fili invisibili a esseri umani liberi, richiede un atto radicale: imparare a “odiare” ogni potere che tenta di soffocare il nostro vero Sé. Non si tratta di odio distruttivo, ma di un distacco, di una disidentificazione da ciò che pretende di definire la nostra identità.
È necessario sciogliere i legami con tutto ciò che appartiene alla dimensione storica: nascita e morte, successi e fallimenti, inizi e conclusioni. Solo così, liberandoci dalle identificazioni che ci imprigionano, potremo conoscere ciò che sta al fondamento del nostro essere: la realtà suprema, il nostro Sé più vero.
Il grande maestro Thich Nhat Hanh ci offre un’immagine luminosa:
«Sulla superficie dell’oceano ci sono molte onde, alcune alte, altre basse, alcune belle, altre meno. Tutte hanno un inizio e una fine. Ma quando entrate in profondo contatto con le onde, realizzate che le onde sono fatte soltanto d’acqua, e dal punto di vista dell’acqua non ci sono inizio e fine, alti e bassi, nascita e morte».
Noi siamo onde, ma ci illudiamo di essere soltanto questo: la forma fragile, la cresta che appare e scompare. Dimentichiamo d’essere acqua, la sostanza che costituisce l’onda. Ci attacchiamo alla superficie, investiamo energie e speranze in ciò che è destinato a dissolversi. E così smarriamo il contatto con la nostra realtà profonda: l’acqua infinita, senza principio né fine, che non conosce nascita né morte.
Gesù stesso invita a questa liberazione. Chiede di rompere con ogni illusione che scambia per vita ciò che è solo apparenza, anche quando si tratta di realtà preziose come gli affetti più cari — padre, madre, figli, fratelli, sorelle — e persino la nostra stessa vita biologica. Perché in verità esistono due vite:
• la vita che conosciamo, fragile e consumata dal tempo, nutrita di ciò che nasce e muore;
• e la Vita che ci attraversa, senza inizio e senza fine, che ci unisce al Tutto e ci fa partecipi dell’Uno.
Non siamo chiamati a trattenere l’onda, ma a riconoscerci acqua. Non a difendere ciò che passa, ma ad abitare ciò che resta.
Ogni distacco che ci è chiesto – dagli affetti, dai ruoli, persino dal nostro stesso volto – non è perdita, ma iniziazione: un varco verso l’essenza.
In fondo la vita autentica non si misura nei battiti del tempo, ma nell’intensità con cui partecipiamo all’Infinito che ci attraversa. Lì, dove non c’è nascita né morte, non c’è servo né padrone, ma solo il silenzioso splendore del Sé che è Uno con tutto.
Riconoscerlo è il vero atto di libertà. È allora che cessiamo di essere marionette e diventiamo esseri umani: non più prigionieri della superficie, ma trasparenti all’abisso da cui veniamo e verso cui siamo continuamente richiamati.

 
Paolo Scquizzato
 
Martedì, 02 Settembre 2025 11:10

XXII Domenica del tempo ordinario - Anno C

XXII Domenica del tempo ordinario - Anno C

Omelia di Paolo Scquizzato

Prima Lettura Sir 3,19-21.30-31 (NV) [gr. 3,17-20.28-29]

Dal libro del Siracide
 

Figlio, compi le tue opere con mitezza,
e sarai amato più di un uomo generoso.
Quanto più sei grande, tanto più fatti umile,
e troverai grazia davanti al Signore.
Molti sono gli uomini orgogliosi e superbi,
ma ai miti Dio rivela i suoi segreti.
Perché grande è la potenza del Signore,
e dagli umili egli è glorificato.
Per la misera condizione del superbo non c'è rimedio,
perché in lui è radicata la pianta del male.
Il cuore sapiente medita le parabole,
un orecchio attento è quanto desidera il saggio.


Salmo Responsoriale Sal 67 (68)

Hai preparato, o Dio, una casa per il povero.

I giusti si rallegrano,
esultano davanti a Dio
e cantano di gioia.
Cantate a Dio, inneggiate al suo nome:
Signore è il suo nome.
 
Padre degli orfani e difensore delle vedove
è Dio nella sua santa dimora.
A chi è solo, Dio fa abitare una casa,
fa uscire con gioia i prigionieri.
 
Pioggia abbondante hai riversato, o Dio,
la tua esausta eredità tu hai consolidato
e in essa ha abitato il tuo popolo,
in quella che, nella tua bontà,
hai reso sicura per il povero, o Dio.

 
Seconda Lettura  Eb 12,18-19.22-24a
 
Dalla lettera agli Ebrei
 
Fratelli, non vi siete avvicinati a qualcosa di tangibile né a un fuoco ardente né a oscurità, tenebra e tempesta, né a squillo di tromba e a suono di parole, mentre quelli che lo udivano scongiuravano Dio di non rivolgere più a loro la parola.
Voi invece vi siete accostati al monte Sion, alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a migliaia di angeli, all’adunanza festosa e all’assemblea dei primogeniti i cui nomi sono scritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti resi perfetti, a Gesù, mediatore dell’alleanza nuova.
 
 
Canto al Vangelo (Mt 11,29ab)


Alleluia, Alleluia

Prendete il mio giogo sopra di voi, dice il Signore,
e imparate da me, che sono mite e umile di cuore.

Alleluia, Alleluia

 

Vangelo Lc 14,1.7-14
 
Dal Vangelo secondo Luca
 

Avvenne che un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo.
Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cèdigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato».
Disse poi a colui che l’aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».

 

OMELIA
 

Il Vangelo ci consegna una legge nascosta, che attraversa la vita e la natura: ciò che si innalza troppo, cade; ciò che si abbassa, trova slancio e sostegno.

La sapienza orientale, nel Tao Te Ching ce lo ricorda con un’immagine limpida: «Il santo pone il suo corpo nell’ultima fila, eppure viene messo davanti. Egli pone il suo corpo ai margini, eppure è protetto» (VII). E ancora: «Il mare è il re di cento fiumi perché sta più in basso di essi. Perciò può regnare su di loro» (LXVI). L’acqua insegna: non compete, non resiste, ma nel suo fluire porta e sostiene.

Accade qualcosa quando smettiamo di agitarci, di lottare per il primo posto. Gesù stesso ci invita: «Imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime» (Mt 11,29). È come imparare a nuotare: finché ci dimeniamo affondiamo; solo nella resa, nella fiducia alla corrente, scopriamo di essere portati.

«Chi si innalza sarà abbassato, e chi si abbassa sarà innalzato»: non perché vi sia un Dio che punisce o premia, ma perché il reale stesso funziona così. È una sorta di legge di natura, inscritta nel cuore delle cose. Simone Weil scriveva: «L’umiltà è l’occhio limpido che non si fissa su di sé» (La pesanteur et la grâce). Quando non siamo più centrati sul nostro io, la vita stessa ci sostiene.

Il bambino, che non rivendica posti d’onore, è l’immagine scelta da Gesù: «Se non diventerete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 18,3). Quando cesseremo di giocare la nostra vita sul potere, il successo, l’avere, scopriremo una leggerezza nuova. È una morte paradossale, che in realtà è vita. Dostoevskij lo chiamava «la forza tremenda dell’umiltà, che nulla può vincere» (da I fratelli Karamazov).

Essere umili non significa altro che ricordarsi d’essere fatti di terra, humus: silenziosa, accogliente, feconda.

La terra non compete, eppure tutto fiorisce da lei.

 
 
Paolo Scquizzato
 
Domenica, 24 Agosto 2025 09:05

XXI Domenica del tempo ordinario - Anno C

XXI Domenica del tempo ordinario - Anno C

Omelia di Paolo Scquizzato

Prima Lettura Is 66,18b-21

Dal libro del profeta Isaia
 

Così dice il Signore:
«Io verrò a radunare tutte le genti e tutte le lingue; essi verranno e vedranno la mia gloria.
Io porrò in essi un segno e manderò i loro superstiti alle popolazioni di Tarsis, Put, Lud, Mesec, Ros, Tubal e Iavan, alle isole lontane che non hanno udito parlare di me e non hanno visto la mia gloria; essi annunceranno la mia gloria alle genti.
Ricondurranno tutti i vostri fratelli da tutte le genti come offerta al Signore, su cavalli, su carri, su portantine, su muli, su dromedari, al mio santo monte di Gerusalemme – dice il Signore –, come i figli d’Israele portano l’offerta in vasi puri nel tempio del Signore.
Anche tra loro mi prenderò sacerdoti levìti, dice il Signore».


Salmo Responsoriale Sal 116 (117)

Tutti i popoli vedranno la gloria del Signore.

Genti tutte, lodate il Signore, 
popoli tutti, cantate la sua lode.

Perché forte è il suo amore per noi
e la fedeltà del Signore dura per sempre.

 
Seconda Lettura  Eb 12,5-7.11-13
 
Dalla lettera agli Ebrei
 
Fratelli, avete già dimenticato l’esortazione a voi rivolta come a figli:
«Figlio mio, non disprezzare la correzione del Signore
e non ti perdere d’animo quando sei ripreso da lui;
perché il Signore corregge colui che egli ama
e percuote chiunque riconosce come figlio».
È per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non viene corretto dal padre? Certo, sul momento, ogni correzione non sembra causa di gioia, ma di tristezza; dopo, però, arreca un frutto di pace e di giustizia a quelli che per suo mezzo sono stati addestrati.
Perciò, rinfrancate le mani inerti e le ginocchia fiacche e camminate diritti con i vostri piedi, perché il piede che zoppica non abbia a storpiarsi, ma piuttosto a guarire.
 
 
Canto al Vangelo (Gv 14,6)


Alleluia, Alleluia

Io sono la via, la verità e la vita, dice il Signore,
nessuno viene al Padre se non per mezzo di me.

Alleluia, Alleluia

 

Vangelo Lc 13,22-30
 
Dal Vangelo secondo Luca
 

In quel tempo, Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?».
Disse loro: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno.
Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”.
Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori.
Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».

 

OMELIA
 
Il dramma di un certo cristianesimo è credere che il compimento della vita – se vogliamo la salvezza – si raggiunga accumulando pratiche e meriti: l’ascolto della Parola proclamata «tu hai insegnato nelle nostre piazze» (v. 26b), la partecipazione all’eucaristia: «abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza» (v. 26), o una condotta morale irreprensibile, irrobustita da sacrifici e da sforzi.
Ma è proprio qui che Gesù spiazza. A chi crede tutto ciò egli dice: «Non so di dove siete. Allontanatevi da me» (Lc 13, 25.27). Come a dire: non è questa la via. La porta resta chiusa per chi pretende di bussare con le credenziali del proprio io.
Paradosso divino: saranno accolti alla mensa del Regno quelli che vengono da lontano, dagli orizzonti impuri e nemici — gli scartati, i dimenticati, coloro che la storia ha sempre marchiato come perduti. L’esperienza del compimento è ad appannaggio di chi non se l’è mai nemmeno immaginato.
È il perduto che si salva, non il giusto che si vanta.
Gesù ci chiede una rivoluzione dello sguardo: non è l’ego a conquistare il cielo. Non è lo sforzo a edificare la salvezza. Possiamo dire che è come dono che precede, grazia che avvolge, presenza che non si merita. Simone Weil lo disse con parole taglienti: «La grazia è senza sforzo».
Ogni logica del merito, ogni tentativo di comprarsi la salvezza, svuota la croce del suo senso. La croce non è premio, ma gratuità offerta ai ladroni di ogni tempo, a chi non ha nulla da esibire.
Ma allora, che cosa significa il grido di Gesù: «Lottate per entrare per la porta stretta» (Lc 13,24)? Non certo lottare per essere buoni, per meritare. Il testo greco parla di agōnízesthe: combattete. Ma contro che cosa? Contro le maschere religiose che ci avvolgono, contro l’illusione di essere dalla parte giusta, contro la presunzione dei meriti. È questa presunta ricchezza spirituale a impedirci di essere raggiunti dall’Amore.
La porta resta chiusa a chi vive come servo davanti a un Dio padrone; si spalanca invece a chi riconosce di essere povero, smarrito, ferito. Perché è da quella ferita che scorre il fiume della misericordia.
Eppure, non si tratta di un quietismo passivo, di attendere con inerzia che un dio venga a salvarci. No. Per questo Gesù insiste: «Lottate!». Ci vuole più forza ad accogliere di quanta ne serva a conquistare. Ci vuole più coraggio a tendere le mani vuote che a stringerle nel pugno della conquista.
È più difficile vivere da figli liberi che da schiavi religiosi. Più arduo aprire il cuore all’amore gratuito, che piegare la schiena per guadagnarselo.
La porta stretta è allora il passaggio dalla conquista all’accoglienza, dal possesso al dono, dalla paura al lasciarsi amare.
 
 
Paolo Scquizzato
 
Domenica, 24 Agosto 2025 08:57

XX Domenica del tempo ordinario - Anno C

XX Domenica del tempo ordinario - Anno C

Omelia di Paolo Scquizzato

Prima Lettura Ger 38,4-6.8-10

Dal libro del profeta Geremia
 

In quei giorni, i capi dissero al re: «Si metta a morte Geremìa, appunto perché egli scoraggia i guerrieri che sono rimasti in questa città e scoraggia tutto il popolo dicendo loro simili parole, poiché quest’uomo non cerca il benessere del popolo, ma il male». Il re Sedecìa rispose: «Ecco, egli è nelle vostre mani; il re infatti non ha poteri contro di voi».
Essi allora presero Geremìa e lo gettarono nella cisterna di Malchìa, un figlio del re, la quale si trovava nell’atrio della prigione. Calarono Geremìa con corde. Nella cisterna non c’era acqua ma fango, e così Geremìa affondò nel fango.
Ebed-Mèlec uscì dalla reggia e disse al re: «O re, mio signore, quegli uomini hanno agito male facendo quanto hanno fatto al profeta Geremìa, gettandolo nella cisterna. Egli morirà di fame là dentro, perché non c’è più pane nella città». Allora il re diede quest’ordine a Ebed-Mèlec, l’Etiope: «Prendi con te tre uomini di qui e tira su il profeta Geremìa dalla cisterna prima che muoia».


Salmo Responsoriale Sal 39 (40)

Signore, vieni presto in mio aiuto.

Ho sperato, ho sperato nel Signore,
ed egli su di me si è chinato,
ha dato ascolto al mio grido.
 
Mi ha tratto da un pozzo di acque tumultuose,
dal fango della palude;
ha stabilito i miei piedi sulla roccia,
ha reso sicuri i miei passi.
 
Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo,
una lode al nostro Dio.
Molti vedranno e avranno timore
e confideranno nel Signore.
 
Ma io sono povero e bisognoso:
di me ha cura il Signore.
Tu sei mio aiuto e mio liberatore:
mio Dio, non tardare.

 
Seconda Lettura  Eb 12,1-4
 
Dalla lettera agli Ebrei
 
Fratelli, anche noi, circondati da tale moltitudine di testimoni, avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento.
Egli, di fronte alla gioia che gli era posta dinanzi, si sottopose alla croce, disprezzando il disonore, e siede alla destra del trono di Dio.
Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d'animo. Non avete ancora resistito fino al sangue nella lotta contro il peccato.
 
 
Canto al Vangelo (Gv 10,27)


Alleluia, Alleluia

Le mie pecore ascoltano la mia voce, dice il Signore,
e io le conosco ed esse mi seguono.

Alleluia, Alleluia

 

Vangelo Lc 12,49-53
 
Dal Vangelo secondo Luca
 

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!
Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».

 

OMELIA
 

«C’era un uomo, che aveva inventato l’arte di accendere il fuoco. Prese i suoi attrezzi e si recò presso una tribù del nord, dove faceva molto freddo. Insegnò a quella gente ad accendere il fuoco. La tribù era molto interessata. L’uomo mostrò loro gli usi per i quali potevano sfruttare il fuoco – cuocere il cibo, tenersi caldi, ecc. .

Quelle persone erano molto grate all’uomo per quanto era stato loro insegnato sull’arte del fuoco, ma prima che potessero esprimergli la propria gratitudine, egli scomparve. Non gli importava ricevere il loro riconoscimento o la loro gratitudine: gli importava il loro benessere. Si recò in un’altra tribù, dove nuovamente iniziò a dimostrare il valore della sua invenzione. Anche quelle persone erano interessate, un po’ troppo però per i gusti dei loro sacerdoti, che iniziarono a notare che quell’uomo attirava la gente, mentre essi stavano perdendo popolarità. Così, decisero di liberarsene. Lo avvelenarono – o lo crocifissero, non ricordo più. Ora, però temevano che la gente si rivoltasse contro di loro, e così fecero una cosa molto saggia, persino astuta. Fecero eseguire un ritratto dell’uomo e lo montarono sull’altare principale del tempio. Gli strumenti per accendere il fuoco furono sistemati davanti al ritratto, e la gente fu invitata a venerare il ritratto e gli strumenti del fuoco, cosa che fece ubbidientemente per secoli.

L’adorazione e il culto continuarono, ma non fu mai usato il fuoco». (Anthony de Mello)

 «Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso!» (Lc 12,49)

Il fuoco. Non quello che consuma e distrugge, ma quello che scalda, trasfigura, illumina. Il fuoco che è passione dell’anima e compassione per ogni essere; il fuoco che purifica le illusioni e dischiude l’essenziale. Gesù lo porta con sé. Lo getta sulla terra. Lo sogna già acceso. Eppure, sembra che duemila anni non siano bastati per vederne davvero la fiamma divampare.

Non è forse vero che, troppo spesso, ci siamo accontentati delle braci spente di un culto spento, mentre la vera brace — quella del Vangelo — attendeva di ardere nel cuore dell’umano?
Il fuoco delle Beatitudini, della vita povera, disarmata, libera dal bisogno di possesso e di potere, è stato soffocato da cenere di convenzioni, da riti senza più scintilla, da parole svuotate del loro incendio originario.

Eppure, come ci ricorda Anthony de Mello, il problema non è nella Tradizione, ma nel modo in cui la trattiamo. Tradizione infatti “Non il culto delle ceneri, ma la custodia del fuoco” (Gustav Mahler).

Il racconto del maestro del fuoco parla a noi. Parla alla Chiesa, alla spiritualità, a ogni ricerca umana. Quante volte abbiamo venerato il volto dell’uomo che portava il fuoco, senza più usare gli strumenti che ci aveva lasciato! Quante volte abbiamo eretto altari e codificato liturgie, dimenticando che il fuoco era destinato a essere acceso — non adorato.

Il dramma è tutto lì: la fiamma è stata trasformata in icona, e la Parola in dogma. Ma la Parola è fuoco vivo, non pietra scolpita. È urgenza, non istituzione.

Questo fuoco non si può rinchiudere nei recinti del potere o nelle stanze del consenso.
È fuoco che divampa dove trova un cuore disponibile, un’anima sveglia, una mano tesa.
È il fuoco del samaritano che si china, del pane spezzato, dell’ultimo posto scelto liberamente. È il fuoco che illumina i poveri in spirito e che svergogna ogni falsa sicurezza.

Allora, oggi più che mai, questa parola ci brucia dentro:
“Quanto vorrei che fosse già acceso!”. La domanda che ci resta è semplice e radicale: Lo accenderò io questo fuoco? O continuerò a venerarne le ceneri?

 
 
Paolo Scquizzato
 
Domenica, 24 Agosto 2025 08:44

XIX Domenica del tempo ordinario - Anno C

XIX Domenica del tempo ordinario - Anno C

Omelia di Paolo Scquizzato

Prima Lettura Sap 18,6-9

Dal libro della Sapienza
 

La notte [della liberazione] fu preannunciata
ai nostri padri,
perché avessero coraggio,
sapendo bene a quali giuramenti avevano prestato fedeltà.
Il tuo popolo infatti era in attesa
della salvezza dei giusti, della rovina dei nemici.
Difatti come punisti gli avversari,
così glorificasti noi, chiamandoci a te.
I figli santi dei giusti offrivano sacrifici in segreto
e si imposero, concordi, questa legge divina:
di condividere allo stesso modo successi e pericoli,
intonando subito le sacre lodi dei padri.


Salmo Responsoriale Sal 32 (33)

Beato il popolo scelto dal Signore.

Esultate, o giusti, nel Signore;
per gli uomini retti è bella la lode.
Beata la nazione che ha il Signore come Dio,
il popolo che egli ha scelto come sua eredità.
 
Ecco, l’occhio del Signore è su chi lo teme,
su chi spera nel suo amore,
per liberarlo dalla morte
e nutrirlo in tempo di fame.
 
L’anima nostra attende il Signore:
egli è nostro aiuto e nostro scudo.
Su di noi sia il tuo amore, Signore,
come da te noi speriamo.

 
Seconda Lettura  Eb 11,1-2.8-12
 
Dalla lettera agli Ebrei
 
Fratelli, la fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede. Per questa fede i nostri antenati sono stati approvati da Dio.
Per fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava.
Per fede, egli soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa. Egli aspettava infatti la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso.
Per fede, anche Sara, sebbene fuori dell’età, ricevette la possibilità di diventare madre, perché ritenne degno di fede colui che glielo aveva promesso. Per questo da un uomo solo, e inoltre già segnato dalla morte, nacque una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia che si trova lungo la spiaggia del mare e non si può contare.
Nella fede morirono tutti costoro, senza aver ottenuto i beni promessi, ma li videro e li salutarono solo da lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sulla terra. Chi parla così, mostra di essere alla ricerca di una patria. Se avessero pensato a quella da cui erano usciti, avrebbero avuto la possibilità di ritornarvi; ora invece essi aspirano a una patria migliore, cioè a quella celeste. Per questo Dio non si vergogna di essere chiamato loro Dio. Ha preparato infatti per loro una città.
Per fede, Abramo, messo alla prova, offrì Isacco, e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unigenito figlio, del quale era stato detto: «Mediante Isacco avrai una tua discendenza». Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe anche come simbolo.
 
 
Canto al Vangelo (Mt 24,42a.44)


Alleluia, Alleluia

Vegliate e tenetevi pronti,
perché, nell’ora che non immaginate,
viene il Figlio dell’uomo.

Alleluia, Alleluia

 

Vangelo Lc 12,32-48
Dal Vangelo secondo Luca
 
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno.
Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.
Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito.
Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!
Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».
Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?».
Il Signore rispose: «Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi.
Ma se quel servo dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire”, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli.
Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche.
A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più».
 
OMELIA
 

Siamo tutti amministratori di un tesoro fragile e luminoso: la nostra vita.
Il Vangelo di questa domenica è un appello accorato a vegliare, a essere presenti, a custodire il capitale più prezioso che ci è dato — non l’oro né il tempo, ma la nostra essenza, il Sè autentico che cresce donandosi.

I verbi si susseguono come un canto di risveglio: essere pronti, attendere, aprire, vigilare, agire… Ogni verbo è un richiamo all’attenzione, all’arte del vivere desti, non assopiti nel torpore del consumo o del calcolo.

Il vangelo ci ricorda che vi sono due modi per amministrare la propria vita:
accumulare grano, come nella parabola di domenica scorsa, e illudersi di possedere l’essenziale, oppure donare grano, nutrire altri, condividere ciò che fa vivere, e così scoprire che è nel donarsi che si riceve la pienezza.

«Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così» (Lc 12,43). Felice chi si scopre intento a far felici gli altri. Perché allora — dice il Vangelo — Dio stesso gli affiderà tutti i suoi averi (v. 44). Ma che cosa possiede Dio da poter affidare agli uomini? Null’altro che sé stesso ovviamente. Va da sé che colui che ama, partecipando della medesima vita di Dio ne diventa trasparenza vivente.

«Dio è amore, e chi sta nell’amore dimora in Dio» ci ricorda Giovanni (1Gv 4,16).
Non un amore sentimentale o astratto, ma quello che si traduce in pane spezzato, in cura prestata, in presenza che solleva. Chi invece vive solo per possedere, centrato sul proprio piccolo io, conoscerà una vita lacerata. E il testo è duro, spiazzante: «Il padrone […] lo dividerà in due» (Lc 12,46). Non è punizione dall’alto, ma l’effetto naturale di una vita egoista: ci si disgrega. L’egoismo manda in pezzi.
Si vuole la felicità, ma si scelgono le vie del consumo e del narcisismo. Si desidera amare, ma si finisce per difendersi. E il cuore si fa campo di battaglia.

Occorre dunque vegliare, stare attenti a come ci giochiamo l’esistenza. Non domani. Non altrove. Ma qui e ora. Ogni gesto, ogni parola, ogni scelta è seme nel campo del tempo.

E Gesù, uomo del risveglio, ci ricorda che dire “io” non è affermare sé stessi contro l’altro, ma dire all’altro: eccomi, perché «Dire “io”, significa dire – all’altro – “eccomi”» (E. Lévinas)

 
 
Paolo Scquizzato
 
Domenica, 24 Agosto 2025 08:38

XVIII Domenica del tempo ordinario - Anno C

XVIII Domenica del tempo ordinario - Anno C

Omelia di Paolo Scquizzato

Prima Lettura Qo 1,2; 2,21-23

Dal libro del Qoèlet
 

Vanità delle vanità, dice Qoèlet,
vanità delle vanità: tutto è vanità.
Chi ha lavorato con sapienza, con scienza e con successo dovrà poi lasciare la sua parte a un altro che non vi ha per nulla faticato. Anche questo è vanità e un grande male.
Infatti, quale profitto viene all’uomo da tutta la sua fatica e dalle preoccupazioni del suo cuore, con cui si affanna sotto il sole? Tutti i suoi giorni non sono che dolori e fastidi penosi; neppure di notte il suo cuore riposa. Anche questo è vanità!


Salmo Responsoriale Sal 89 (90)

Signore, sei stato per noi un rifugio 
di generazione in generazione.

Tu fai ritornare l’uomo in polvere,
quando dici: «Ritornate, figli dell’uomo». 
Mille anni, ai tuoi occhi,
sono come il giorno di ieri che è passato, 
come un turno di veglia nella notte.

Tu li sommergi:
sono come un sogno al mattino, 
come l’erba che germoglia;
al mattino fiorisce e germoglia, 
alla sera è falciata e secca.

Insegnaci a contare i nostri giorni 
e acquisteremo un cuore saggio. 
Ritorna, Signore: fino a quando? 
Abbi pietà dei tuoi servi!

Saziaci al mattino con il tuo amore:
esulteremo e gioiremo per tutti i nostri giorni. 
Sia su di noi la dolcezza del Signore, nostro Dio: 
rendi salda per noi l’opera delle nostre mani, 
l’opera delle nostre mani rendi salda.

 
Seconda Lettura  Col 3,1-5.9-11
 
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossesi
 
Fratelli, se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra.
Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio! Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria.
Fate morire dunque ciò che appartiene alla terra: impurità, immoralità, passioni, desideri cattivi e quella cupidigia che è idolatria.
Non dite menzogne gli uni agli altri: vi siete svestiti dell’uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo, che si rinnova per una piena conoscenza, ad immagine di Colui che lo ha creato.
Qui non vi è Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro, Scita, schiavo, libero, ma Cristo è tutto e in tutti.
 
 
Canto al Vangelo (Mt 5,3)


Alleluia, Alleluia

Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.

Alleluia, Alleluia

Vangelo Lc 12,13-21
 
Dal Vangelo secondo Luca
 
In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?».
E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».
Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».
 
OMELIA
 
Accumulare tesori per sé: ecco dove comincia la sofferenza.
Ogni grande tradizione spirituale lo grida in mille modi: chi s’illude di costruire sé stesso edificando sul potere, il successo, le sicurezze ha già perso la partita della vita.
T.S. Eliot si domanda con struggente lucidità: «Dov’è la vita che abbiamo perduto vivendo?»
Sì, dov’è? Gesù ce lo ricorda senza ambiguità. C’è un solo modo per venire alla luce di Sé: morire a sé stessi. Non è un cupo invito al sacrificio, ma un richiamo al risveglio.
È la fine del sonno, l’inizio della Vita autentica. Sta qui l’evangelico ‘arricchirsi presso Dio’: spendere la vita non secondo le logiche del possesso, ma della verità; impegnarsi per ciò che non passa, nutrendo l’anima e non l’ego.
C’è una Vita oltre la vita: è questa che merita la nostra attenzione, la nostra dedizione, il nostro coraggio. Attenti però, non s’intende qui la vita dopo la morte, ma ciò che ora sta dietro il velo dell’illusione, dietro le quinte di quel palcoscenico sul quale stiamo recitando la nostra avventura umana. La Vita autentica è quella del Sé, e non del piccolo io egoico che ci muove e ci comanda.
Va da sé che l’unico vero ‘peccato mortale’ che esista è quello di vivere illudendoci che ciò che dà senso e fecondità alla vita siano ‘i granai pieni’, ovvero i traguardi raggiunti, le carriere fatte, gli oggetti e i corpi accumulati, l’essersi fatti un nome, il potere esercitato, il successo conseguito. In una parola il proprio io messo all’ingrasso. Tutte che cose magari anche belle, dice il Vangelo, ma incapaci di toccare la Vita.

Esistere non è ancora vivere. Gesù lo ha mostrato con tutta la sua esistenza.
«La sua morte non è l’esaltazione del nulla, della vanità,
ma è la negazione della vanità,
perché abbiamo capito, una volta per sempre,
che si può anche morire non morendo.
Chi muore perché c’è qualcosa di più grande della dialettica vita-morte – cioè l’amore – costui non muore» (Ernesto Balducci).
C’è una via di Vita che è metamorfosi continua. Sì, il corpo si consuma, si sfibra. Ma intanto, dentro, qualcosa cresce. Un’essenza segreta che matura, una presenza che si fa pienezza. Come ha intuito Paolo scrivendo ai Corinzi: «Non ci scoraggiamo, ma, se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore invece si rinnova di giorno in giorno» (2Cor 4,16).
La vera Vita è nascosta, come un seme che lavora nella notte.
E chi la scopre, non trova pace nelle sue provviste. Come scrive Saint-Exupéry: «Vivono solo coloro che non hanno trovato pace nelle provviste fatte» (Cittadella).
 
 
Paolo Scquizzato
 
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