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Domenica, 26 Ottobre 2025 08:47

XXX Domenica del tempo ordinario - Anno C In evidenza

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XXX Domenica del tempo ordinario - Anno C

Omelia di Paolo Scquizzato

Prima Lettura Sir 35,15b-17.20-22a

Dal libro del Siracide
 

Il Signore è giudice
e per lui non c’è preferenza di persone.
Non è parziale a danno del povero
e ascolta la preghiera dell’oppresso.
Non trascura la supplica dell’orfano,
né la vedova, quando si sfoga nel lamento.
Chi la soccorre è accolto con benevolenza,
la sua preghiera arriva fino alle nubi.
La preghiera del povero attraversa le nubi
né si quieta finché non sia arrivata;
non desiste finché l’Altissimo non sia intervenuto
e abbia reso soddisfazione ai giusti e ristabilito l’equità.


Salmo Responsoriale Sal 33 (34)

Il povero grida e il Signore lo ascolta.

Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino.
 
Il volto del Signore contro i malfattori,
per eliminarne dalla terra il ricordo.
Gridano e il Signore li ascolta,
li libera da tutte le loro angosce.
 
Il Signore è vicino a chi ha il cuore spezzato,
egli salva gli spiriti affranti.
Il Signore riscatta la vita dei suoi servi;
non sarà condannato chi in lui si rifugia.

 
Seconda Lettura  2Tm 4,6-8.16-18
 
Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo a Timòteo
 
Figlio mio, io sto già per essere versato in offerta ed è giunto il momento che io lasci questa vita. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione.
Nella mia prima difesa in tribunale nessuno mi ha assistito; tutti mi hanno abbandonato. Nei loro confronti, non se ne tenga conto. Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché io potessi portare a compimento l’annuncio del Vangelo e tutte le genti lo ascoltassero: e così fui liberato dalla bocca del leone.
Il Signore mi libererà da ogni male e mi porterà in salvo nei cieli, nel suo regno; a lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen.
 
Canto al Vangelo (cf 2Cor 5,19)


Alleluia, Alleluia

Dio ha riconciliato a sé il mondo in Cristo,
affidando a noi la parola della riconciliazione.

Alleluia, Alleluia

 

Vangelo Lc 18,9-14

Dal Vangelo secondo Luca
 

In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri:
«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.
Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”.
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

 

OMELIA
 
Tra il fariseo e il pubblicano non v’è una differenza morale, ma di coscienza. Uno è pieno di sé, l’altro è semplicemente aperto. Uno si giustifica, l’altro si lascia attraversare.
Il primo si è costruito un’identità religiosa per potersi salvare dal vuoto; l’altro, proprio nel vuoto, ritrova sé stesso.
Se la religione promette un legame con l’alto, la fede è piuttosto uno sprofondare in sé stessi. La fede non chiede di osservare, ma piuttosto di essere, e non pretende che si compiano opere per raggiungere il divino, ma vivere della presenza del divino in sé.
Paolo ricorda che «Siamo giustificati per la fede, non per le opere della Legge» (Gal 2,16): cioè, siamo resi interi non dal fare, ma dal lasciare accadere; perché alla fine ciò che salva non è lo sforzo, ma la resa. Non la prestazione, ma la trasparenza.
Il “divino” — parola forse logora, ma ancora necessaria — non è un Essere che abita altrove. È la vita stessa che, quando smettiamo di afferrarla, ci abita. È ciò che resta quando crollano le difese dell’io. La Presenza senza nome che riempie l’assenza.
Il fariseo della parabola è un uomo che giudica, perché non ha mai guardato davvero sé stesso. Chi invece si riconosce fragile non potrà più escludere nessuno; infatti, la verità di sé è la fine di ogni giudizio.
Quando Dostoevskij fa dire al Cristo: “Venite anche voi, o ubriaconi, o dissoluti… se li accolgo è perché non si sono mai creduti degni” (Delitto e castigo), sta dicendo che solo chi ha toccato il fondo dell’umano può comprendere l’interezza della vita.
La vera giustizia non è morale ma ontologica: consiste nel non separare più. Nel sentire che tutto ciò che esiste — anche il nostro errore, la nostra notte — è già accolto dentro un respiro più grande.
Quando questo accade, non c’è più un Dio che salva, ma un silenzio che comprende. Non un cielo che premia, ma un cuore che finalmente si apre e tace.

 
Paolo Scquizzato
 
Letto 93 volte Ultima modifica il Domenica, 26 Ottobre 2025 08:53
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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