Famiglia Giovani Anziani

Attenzione

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2 - Il Problema è che alcuni filtri possono essere aggirati o disattivati

Il problema dei filtri, tuttavia, è
che possono migliorare la situazione in un singolo computer, in un
singolo momento. Ma, così come in spiaggia è possibile tuffarsi da
infiniti luoghi, allo stesso modo in Internet ormai si accede da
infinite postazioni: da scuola, da casa propria, dal compagno di classe
o dagli zii, dall' albergo o dalla pensione dove si è in vacanza, dal
bar dell' angolo, dalla libreria, dal cellulare e dal computer
palmare...

Per giunta alcuni filtri possono essere sbloccati, aggirati o
disattivati; alcuni fermano un certo tipo di informazioni e non altre;
altri ancora sono assai meno efficaci con i siti in lingue diverse
dall'inglese, e via dicendo.

Isolarsi dal mondo non è il modo migliore per conoscerlo; ma d'altra
parte tutti noi chiudiamo a chiave la porta di casa per impedire
intrusioni indesiderate. Internet è certamente una risorsa preziosa e
sempre più insostituibile per il lavoro, lo studio e il tempo libero.
Ma come fare se, oltre a informarci e divertirci, ci aggredisce?

Domenica, 20 Febbraio 2005 18:24

1- "COME GARANTIRSI SPAZI SICURI"

"COME GARANTIRSI SPAZI SICURI"

L’episodio, che risale
a qualche mese fa, è emblematico di alcuni connotati che, attualmente,
sono caratteristici di Internet. È per queste ragioni che la Rete delle
reti ci affascina e nello stesso tempo ci spaventa, ci attira e ci
respinge: come fare a orientarsi, a garantirsi spazi sicuri?

Purtroppo sul Web la parola "garantire" è fra le
meno gettonate. Internet è nata ed è dilagata come un enorme bacino, un
vero e proprio mare, dove in definitiva non esistono soglie e confini.
In linea di massima niente impedisce a uno squalo di nuotare
dall’oceano fino a una spiaggia assolata dove persone e famiglie
prendono il sole. Accade di rado, ma accade. Tanto più accade in
quest’altro mare digitale dove gli squali non hanno gli ostacoli di
temperatura e di profondità che li frenano in natura. L’esperienza nata
da frequenti incontri con genitori e insegnanti, per ragionare insieme
sulle tematiche educative in rapporto al nuovo mondo della
comunicazione, mi porta a pensare che il capitolo "Internet e famiglia"
sia tutt' altro che scritto.

Al di là dei luoghi comuni, infatti, si può
affermare che la grande maggioranza delle famiglie italiane oggi è
coinvolta dalla Rete (quantomeno perché i figli ne sono incuriositi e
chiedono approfondimenti), e al tempo stesso non possiede gli strumenti
per navigare con sicurezza.

Esiste, ad esempio, un ampio dibattito sull'efficacia dei cosiddetti
"filtri": programmi da montare sul proprio computer per bloccare
intrusioni indesiderate e per impedire ai bambini l'accesso a siti
considerati inopportuni. In queste pagine, per esempio, si parla di
www.davide.it, che è la risposta italiana più felice in materia. (segue)

Giuseppe Romano

studioso di mass media

Domenica, 20 Febbraio 2005 18:18

La realizzazione sessuale della coppia

La realizzazione sessuale della coppia

di

Xavier Thèvenot

Teologo – Parigi

- Per la coppia la "riuscita" della vita sessuale è importante: per trovare un sens all’esistere.

- La vita sessuale non è un dato, ma un processo, un continuo "divenire" segnato da vari paradossi.

- Ma può acquisire un supplemento di senso se viene messa in relazione con l’Alleanza tra Dio e l’umanità.


Il vangelo di Giovanni può essere letto come una
lunga meditazione sul modo in cui il Verbo si è fatto carne (cf Gv
1,14). Ora, dopo il prologo del primo capitolo, questo vangelo inizia
con due racconti i quali riferiscono alcuni comportamenti del Cristo
che molti sarebbero tentati di considerare eccessivi: intanto, il
racconto delle nozze di Cana, dove la sovrabbondanza dei doni di Dio
viene espressa da un miracolo destinato a procurare dell’ottimo vino a
persone che hanno già bevuto troppo; poi, il racconto dei mercanti
cacciati dal tempio che presenta un Cristo "fuori di sé", quasi
stravolto da una giusta collera. Così, in modo indiretto, questi due
testi ci danno un’indicazione: ciò che sembra un eccesso non dev’essere
necessariamente percepito come segno di un comportamento scorretto o di
un cedimento della volontà: e dunque se ne può trarre una bella
testimonianza della logica del Regno di Dio.

Ora, come tutti sanno, si pensa che la chiesa
cattolica voglia proteggere i suoi membri da ogni eccesso, mantenendoli
in un costante atteggiamento di giusto mezzo. È questa una delle
ragioni, sostengono alcuni, che la convincono a diffidare della
sessualità: non è forse vero che questa fa perdere il controllo della
volontà e induce ad eccedere?

E tuttavia ogni persona sposata è intimamente
convinta che la "riuscita" della vita sessuale nella coppia sia
importante per trovare un senso all’esistere. Nella nostra società si
arriva addirittura ad affermare che tale riuscita è un passaggio
obbligato per giungere alla felicità. Ma è vero questo? E, intanto, che
cosa si intende per realizzazione sessuale nella vita coniugale?


UN "DIVENIRE"

Una coppia non può essere che una
realtà in divenire. Dev’essere questa la convinzione di fondo per
cercare di rispondere alle domande precedentemente poste. In effetti,
un unione coniugale è l’incontro sempre in movimento e talvolta anche
"movimentato" di due diverse modalità di assumere il passato, il
presente e l’avvenire; è l’alleanza di due esseri che , appoggiandosi
all’esperienza primaria, in un certo senso fusionale e fuori del tempo,
del sentimento amoroso, si dispongono – per rimanere fedeli l’un
l’altro – a dar prova di creatività, di memoria e di coerenza. Di
creatività, in quanto la vita si prospetta come un’ avventura densa di
peripezie. Di memoria, perché ogni progetto che voglia essere ricco di
senso esige che non venga dimenticato il passato, con i suoi scacchi ed
i suoi successi. E infine di coerenza, perché ogni divenire, proprio in
quanto eccessivamente frammentato, rende molto difficile la ricerca di
senso.

Ora, un tale esercizio della fedeltà coniugale non
è possibile, soprattutto nell’ambito sessuale, se la coppia non prende
risolutamente coscienza di due fattori.


DUE MODALITÀ DI ASSUMERE IL TEMPO


Il primo di essi concerne le rispettive relazionidell’uomo e della donna nei confronti del tempo: non possono che essere
sostanzialmente diverse in ragione delle caratteristiche particolari
del loro corpo. La donna interiorizza gli anni che passano segnata da
vari decenni da una realtà ciclica, quella delle sue mestruazioni, poi
dall’esperienza di una o più gravidanze, nel corso delle quali ha visto
modificarsi il rapporto con se stessa, con il suo coniuge, con coloro
che le stanno accanto, ed infine dall’entrata in menopausa che inaugura
un periodo di definitiva infecondità fisica. Sono tutte esperienze che
il corpo maschile ignora: il che induce il soggetto a credere – salvo
essere smentito da parte di qualcuna delle varie sintomatologie
genitali come l’impotenza o la sterilità clinicamente diagnosticate –
di poter conservare intatti fino alla morte sia la sua potenza sessuale
che la sua fecondità; ne deriva la propensione del marito a cogliere in
modo eccessivamente semplicistico il divenire sessuale della coppia e
talvolta stupirsi di fronte alla reazione della sua sposa che gli
sembrano "inutilmente complicate".

È dunque importante che ognuno, soprattutto durante
i primi anni della vita in comune, presti attenzione al modo in cui il
proprio coniuge interiorizza la temporalitàche si manifesta attraverso tutta una serie di segni corporei (rughe,
aumento di peso, capelli bianchi), e che non può non segnare il suo
modo di ricercare e di vivere i piaceri sessuali.

Per fare ciò, è bene che tra i coniugi si instauri un dialogocostante e regolare: ma non è facile, in quanto la cosa fa emergere
paure infantili a livello conscio ed inconscio. E in più, ognuno deve
evitare di entrare nel giardino segreto dell’altro: non è del tutto
corretto ricercare la trasparenza totale. Ma quando questo rapporto
dialogico viene fatto con discrezione e nel rispetto della giusta
distanza, per esempio in occasione di un confronto sulla regolazione
della fecondità, diventa allora possibile superare le difese
psicologiche ed esprimere qualcosa in ordine alle proprie esigenze
erotiche ed affettive. È una bella occasione offerta a ciascuno dei
coniugi per comprendere, a livello esistenziale e non solo più
intellettuale , che indubbiamente il corpo sessuato dell’altro non è
strutturato come il proprio, che ritmi e desideri sono differenti, e
che di conseguenza occorre manifestare un rispetto ancora più grande
nei confronti dell’essere amato: "Sei così vicino a me che credevo di
conoscerti, ma ecco che oggi mi appari sotto una luce nuova. Sì, sei
veramente sempre al di là dell’idea che mi faccio di te!"


UN "SISTEMA" CARATTERIZZATO DA UN DIVENIRE COMPLESSO


La creatività di ciascuno dei coniugi deve recepire un secondo fatto:
la sessualità di una persona non è mai una realtà rigidamente unitaria,
con un tracciato di maturazione caratterizzato da una continua
crescita. La visione freudiana lo ha dimostrato in modo chiaro: la
sessualità è una unità plurale e mutevole, un sistema1 complesso di pulsioni molteplici e diversificate (pulsioni orali, anali…)2 in una ricerca permanente di equilibrio.

Un tale sistema, inoltre, è esso stesso elemento di
un "sistema" assai più esteso: quello rappresentato dalla persona
umana, quell’essere che disponendo di molteplici facoltà ed
inclinazioni (intelletto, memoria, aggressività, ecc.) viene
attraversato da linee di forza e di fragilità, sfruttate dalla sua
libertà sia per alienarsi che per realizzarsi sempre più.

È evidente che un tale insieme sistematico non può
non conoscere, nel corso degli anni, delle trasformazioni, se non
addirittura delle profonde modificazioni, in quanto sottoposto a
innumerevoli pressioni, quali l’invecchiamento del corpo, i problemi di
salute, la nascita dei figli, gli avvenimenti gratificanti o
frustranti, i cambiamenti imprevisti del coniuge, gli sconvolgimenti
sociali… Ogni trasformazione del sistema pulsionale sollecita dunque la
responsabilità della persona. Questa, invece di consentire alle
richieste sessuali di ogni genere che si manifestano al suo interno, è
chiamata a mettervi la misura della ragione. Deve stare attenta che
tale divenire contribuisca alla propria maturazione personale e a
quella dell’altro. Compito quanto mai difficile, in quanto il piacere
sessuale è sempre imparentato con l’eccesso e il paradosso, e si rivela
spesso ribelle quando la volontà cerca di ordinarlo verso il bene.
Proviamo a chiarire.


PARADOSSI


Intanto, l’incontro genitale che porta
all’orgasmo appare segnato da vari paradossi. Esso radica il soggetto
nella profondità in qualche misura oscura o misteriosa della sua
condizione corporea; e tuttavia procura il sentimento di una certa
leggerezza3.

Possiede una dimensione ludica, al punto che se la
si vive unicamente per dovere perde tutta la sua attrattiva, ma al
contempo tale dimensione si carica di una certa pesantezza e richiede
un minimo di serietà poiché coinvolge fortemente le persone e può
addirittura comportare l’arrivo improvviso di un figlio. Segna una
comunione corporea riuscita tra due esseri, ma allo stesso tempo porta
a prendere coscienza in modo più approfondito della loro
incomunicabilità: "Che cosa conosco veramente del tuo modo di vivere il
piacere? E dunque, chi sei tu?".


L’USCITA DAL SÉ

L’orgasmo, inoltre, possiede un qualche legame con
l’esperienza dell’eccesso: fa vivere una sorta di "estasi", vale a dire
– letteralmente – un’uscita dal sé: Può allora comportare la sensazione
d’essere in procinto di superare i limiti della condizione umana: "È
divino!". Ne deriva l’impressione fugace di raggiungere, al limite, una
sorta di onnipotenza, e il desiderio di perpetuarla dimenticando che il
corpo non è fatto per essere idolatrato, ma dev’essere accolto come uno
dei segni privilegiati dell’amore gratuito del Creatore.


UNA PERDITA DI DOMINIO


E tuttavia, al momento stesso in cui è
estasi, il piacere induce a vivere un altro tipo di eccesso, in quanto
è altresì esperienza di perdita di dominio e rappresenta dunque per il
soggetto un richiamo fortemente esistenziale della sua condizione
creaturale segnata dal limite. Lo obbliga a prendere coscienza del
fatto che per vivere il piacere in modo adeguato occorre accettare di
fidarsi non solo del proprio corpo, ma anche di quello del proprio
partner che provoca il desiderio. Una tale fiducia tronca le
aspirazioni innate di non dipendere da alcuno. Si tratta di una ferita
narcisistica per chi cerca di conservare l’illusione d’essere l’unico
padrone di sé, in qualche misura un piccolo dio per se stesso. E allora
potrebbe nascere la tentazione di scegliere una modalità di vita troppo
ascetica, in cui il piacere è quello di astenersi da ogni piacere,
anche quando questo fosse moralmente buono.


UN POTERE LIMITATO


Infine, se il potere della volontà
sull’evoluzione sessuale è del tutto reale, ciò non toglie che appaia
segnato da limiti di origini diverse. Per esempio, se il soggetto ha
vissuto in un contesto educativo che ha determinato in lui l’insorgere
di una specifica tendenza patologica (nevrosi, situazioni – limite [border-line],
psicosi, perversioni…), nell’ambito genitale ed affettivo si
manifesteranno alcune turbe… impotenza, frigidità, eiaculazione
precoce, ecc. O ancora, se ha vissuto l’infanzia in modo globalmente
positivo, può capitare che, posto di fronte a prove troppo forti, veda
insorgere, in lui e suo malgrado, alcuni meccanismi di difesa dei quali
uno dei più frequenti è la "regressione". Si mette allora a ricercare i
piaceri sperimentati nella sua infanzia e nella sua adolescenza: Il che
lo "umilia" e non manca di avere un riflesso sulla relazione nei
confronti del coniuge che ne resta profondamente sorpreso: "Non avrei
mai immaginato che potesse accadere una cosa simile!".


UN SEGNO DELLA PRESENZA DELLO SPIRITO

Di fronte al richiamo di così numerosi paradossi e
condizionamenti, qualcuno si chiederà : c’è ancora posto per la
libertà? La risposta è sicuramente positiva.

In primo luogo, le molteplici peripezie del divenire coniugale non sono tutte, grazie a Dio, da classificare tra il "peggio"4cui fanno riferimento alcuni riti matrimoniali! Quando i coniugi hanno
celebrato il matrimonio avendo entrambi una sufficiente maturità, le
sorprese che la vita coniugale e familiare comporta fanno parte, e
anche di frequente, del "meglio". I rapporti sessuali si rivelano
allora molto gratificanti, e il piacere dei sensi sostiene la ricerca
positiva del senso e del gusto di vivere. "Fare l’amore" è sentito come
il fatto di dare carne al desiderio di gratuità che travaglia l’essere
umano; e questa comunione con l’essere amato, lungi dal portare alla
perdita della propria personalità, approfondisce il desiderio di
ciascuno per ciò che ha di unico e di misterioso. In esso, l’incontro
affettivo e genitale, che esprime qualcosa della sovrabbondanza
dell’amore, si fa segno di un superamento dell’incontro stesso. È come
una traccia della presenza vivificante dello Spirito Santo che non
cessa d’unire differenziando e che in ogni coniuge fa memoria del
Cristo per aprire il presente all’avvenire che viene da Dio (cf Gv
14,26; Gv 16,13).

In secondo luogo,
il corpo umano non è composto solo di elementi biochimici; prima e
soprattutto è una realtà significante, vale a dire "lavorata" dalla
parola. Ecco perché la complessità del divenire coniugale può trovare
un supplemento di senso quando viene messa in relazione con l’alleanza
tra Dio e l’umanità. Questa alleanza, di cui il matrimonio cristiano
cerca di essere la parabola vivente (cf Ef 5,32), appare come una
storia fatta di miserie e di grandezze , di idolatria e di fedeltà, di
violenza e d’amore. Ora, è proprio in questa miscela "di meglio e di
peggio" che il Verbo di Dio prende carne (cf Gv 1,14) e si inscrive nel
tempo di questa terra per farsi portatore di Salvezza. D’un tratto,
ogni coniuge può considerare con uno sguardo carico simultaneamente di
lucidità e di speranza, non solo la propria storia ma anche quella
dell’essere amato. Comprenderà allora in modo nuovo che "Dio è amore" (1 Gv 4,8) e che l’amore "si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta" ( 1 Cor 13,6-7).

Xavier Thévenot

da "Famiglia domani"

Aprile-Giugno 2000/2


1 Tale
termine deve essere inteso nel senso che gli viene attribuito dalle
scienze sistemiche: un insieme di elementi che interagiscono fra loro,
in modo tale che, se un elemento si modifica, tutti gli altri elementi
si riadattano così da conservare l’equilibrio dell’insieme.

2 Freud
denomina queste pulsioni: "pulsioni parziali", elementi della
sessualità che si specificano attraverso un determinato orifizio [zone erogene diverse]
( per es., l’ano) ed un impulso (vale a dire una determinata
influenza). Queste pulsioni in un primo tempo funzionano
indipendentemente, poi tendono a collegarsi attraverso diversi stadi (
orale, anale, fallico…) in una organizzazione o sistema libidico.

3 In
Francia, il linguaggio popolare per designare un piacere forte ha
forgiato l’espressione: "s’envoyer en l’air" (lett.: "mandarsi in
aria").

4 È
nota la celebre formula di alcuni rituali matrimoniali secondo cui gli
sposi si impegnano reciprocamente " per il meglio e per il peggio"
(nella buona e nella cattiva sorte).

Domenica, 20 Febbraio 2005 18:16

Costruire e custodire la libertà dell'altro

Costruire e custodire la libertà dell’altro

- La libertà è lo spazio indispensabile che consente alla persona di essere persona.

- La libertà è un valore evangelico, biblico.

- Ed è un valore importante e grande per la coppia, perché amare significa porre al centro la libertà dell’altro.

- Ed è così anche per la responsabilità. Ma nessuno può essere responsabile se non vive la libertà.

1 - INTERROGATIVI

1. È sorto,
specialmente in questi ultimi anni, nella nostra cultura il senso
spiccatissimo della libertà. Di fronte a persone e a situazioni che la
minacciano o che sembrano minacciarla, si reagisce con accanita
asprezza. Anche quando vengono riportati fatti che, pur non ferendoci
personalmente, riferiscono lesioni della libertà altrui, come la
libertà di parola, di pensiero, di religione, scalpita in noi un senso
di tagliente ribellione perché si avverte che la libertà è lo spazio
indispensabile che consente alla persona di essere persona. Non c’è
dignità senza libertà. In nome di questa libertà sono emerse molte
rivendicazioni quali la parità uomo-donna, la possibilità di
divorziare, di decidere personalmente nei riguardi della fecondazione
assistita, la pretesa di interrompere la maternità. Ci si domanda: la
libertà è un valore assoluto o è il modo per raggiungere degli
obiettivi? E questi eventuali obiettivi restringono la libertà o la
inverano?

Sono domande che non avranno in questa riflessione
una risposta diretta. Forse questa potrà uscire dall’insieme o
dall’intreccio dei pensieri che si susseguiranno.

Questo primo sguardo, anche se interrogante, è per
dire che anche il matrimonio rischia di essere visto come una realtà
che compromette o ferisce la libertà personale. Oggi, infatti, alcuni o
molti lo guardano con sospetto o lo rifiutano in nome della propria
libertà: Si può essere liberi da soli o è l’altro che ci rende liberi? Questa è la domanda nodale da cui dovremmo lasciarci penetrare.

2.Vorrei affermare, forse andando controcorrente, che oggi la coppia sta
vivendo una grande opportunità. Serpeggia, invece, una tendenza
pessimistica che valuta negativamente, dal punto di vista cristiano,
l’attuale momento storico e parla di epoca "post-cristiana" e, inoltre,
giudica negativamente la vocazione matrimoniale come un fuori epoca. È
vero che c’è una tendenza a non sposarsi più, che ci si separa, che ci
si sposa senza troppa convinzione. Questo getta una grandissima ombra e
determina una forte demotivazione. Però, senza nascondere alcuna di
queste difficoltà, mi sembra di scorgere un momento storico di
straordinaria fecondità per il Vangelo e anche per la vita di coppia.

Quasi viene voglia di dire : "È bello essere
cristiani oggi". Perché? Perché lo si può essere senza essere costretti
e perché la cultura attuale rende più luminose le proposte e la
mentalità del Vangelo. È bello, per esempio, vivere oggi l’avventura
sponsale, perché proprio in essa emerge una delle grandi luci del messaggio cristiano: la piena parità dell’uomo e della donna.

Solo oggi, dopo secoli di storia, attestiamo in
pienezza la parità tra uomo e donna. Quest’attestazione è limpida nel
Vangelo, ma rimase nascosta o annebbiata nella vita della Chiesa. Ora
sta esplodendo in tutta la sua forza. Questa parità si fonda sulla
comune e condivisa responsabilità, ma la responsabilità è resa
possibile dalla libertà. Nessuno può essere responsabile se non vive la libertà.

3. La libertà è
un valore evangelico, biblico. Certo è stata tematizzata dalla
filosofia illuminista ed esistenzialista che spinge la persona ad
essere creatrice di se stessa e ad inseguire liberamente il proprio
progetto, ma nella Bibbia essa trova il suo senso fondante. Scrive
Martin Buber, assiduo e acuto frequentatore della Bibbia: "Dio
è il Dio della libertà. Egli che possiede tutti i poteri per
costringermi, non mi costringe. Egli mi ha fatto partecipe della sua
libertà. Io la tradisco se mi lascio costringere". Anche Gesù è su questa linea quando afferma: "I veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità, perché il padre cerca tali adoratori" (Gv 4,23).


2 - MA…CHE COS’È LA LIBERTÀ?

 

Che cosa s’intende per libertà? Qui nascono
le divergenze. C’è chi la considera un valore assoluto nel senso che la
libertà non deve avere alcun limite né interno né esterno, e c’è chi
pensa che il fine della libertà sia la promozione della persona e che,
dunque, amare la libertà sia il modo per conseguirla. La libertà in
questa seconda visione è più mezzo che fine. Per questo alcuni parlano
di "libertà" e "libertà per": libertà da condizionamenti e per
raggiungere alcuni obbiettivi personali e sociali.

È pure vero che la persona, sviluppando se stessa e
sprigionando le sue virtualità recondite, diventa più libera: si libera
da limitazioni, da istintività che le impediscono di crescere. Solo
allora, pienamente realizzata, è anche pienamente libera, cioè
liberata, e solo pienamente libera è anche realizzata. C’è un intreccio
intrinseco, anche se l’obiettivo primario è la promozione della persona.

Ma, a mio parere, la domanda vera è: "Può una
persona diventare se stessa da sola? Oppure è l’altro che la risveglia,
la identifica, la disgela? L’uomo si libera da solo o si libera
insieme?". Qui sta il punto che può chiarire le varie posizioni. C’è
chi è geloso della propria libertà e vede nell’altro o negli altri una
minaccia; c’è, invece, chi scopre che solo nella relazione di dialogo,
di confronto può diventare libero.

C’è ancora chi pensa la libertà come una realtà
senza limiti da vivere spontaneisticamente senza porsi punti di
riferimento o criteri: è la libertà istintiva, emotiva, nella quale
ciascuno diventa norma di se stesso; è la libertà dell’io che conduce
al più impietoso e disgregante individualismo nel quale il centro è
solo l’io, la propria libertà.

C’è da domandarsi se uno che vive così la libertà
sia pienamente libero, o non piuttosto dipendente dall’istintività e
dalla ricerca di gratificazioni immediate. Ma c’è da considerare,
soprattutto, che questo modo d’intendere e di vivere la libertà è
devastante, perché rende impossibile la vita sociale e ostacola in
maniera decisiva la comunione sponsale. Se ciascuno pensa alla sua
libertà e si chiude nei suoi interessi o nelle sue emozioni, vivrà
l’altro come un ostacolo e non come una sollecitante opportunità.


3 - QUAND’ È CHE UNA PERSONA È LIBERA?

1.Oggi ci si domanda se la persona sia libera o sia così condizionata da
non potersi autodeterminare. Ci sono state e ci sono a questo riguardo
teorie, pur nobili nei loro intenti, che hanno negato e negano che
l’uomo sia libero. Esse affermano che l’uomo è pienamente condizionato
fisicamente, psicologicamente e socialmente. Il negare, però, la
libertà dell’uomo vuol dire negare la sua stessa persona e la sua
responsabilità. L’uomo non sarebbe più costruttore di storia, ma suo
"prodotto", privato della capacità di discernere e di decidere e,
quindi, non più responsabile di alcun avvenimento e di alcuna scelta.

La scienza di per se non può provare il
condizionamento assoluto dell’uomo, anzi può registrare lungo il
percorso storico la sua imprevedibile fantasia.

Il messaggio biblico, poi, non solo sostiene la
libertà dell’uomo, ma vede, legato ad essa, il destino del mondo. Il
peccato originale, a parte il linguaggio simbolico della descrizione,
esprime la capacità dell’uomo di porsi di fronte a Dio anche con il
rifiuto e con l’intenzione di impossessarsi del segreto del mondo.

Anche Gesù, con forza, afferma che è "dal di
dentro , cioè dal cuore degli uomini, che escono tutte le intenzioni
cattive: fornicazioni, furti, omicidi, malvagità. Tutte queste cose
vengono dal di dentro a contaminare l’uomo
" (cf Mc 7,20-23). Il
"cuore" nella concezione biblica indica l’interiorità dell’uomo, dove
esiste il potere di scegliere, quindi dove esiste la libertà dell’uomo
e di conseguenza la sua responsabilità.

Il fatto che l’uomo sia libero non vuol dire che non
sia condizionato. È condizionato ma non predeterminato. Egli è
potenzialmente libero, ma per esserlo "definitivamente" dovrà farsi
libero, liberarsi dai vari condizionamenti. La libertà, infatti, è un
progetto in continua espansione.

 

2.Quando si parla di libertà, è facile fraintendersi. Libera è una
persona, non quando fa quello che vuole (questa è istintività), ma
quando fa delle scelte che la rendono se stessa, che sprigionano cioè
le sue autentiche aspirazioni.

Come si accennava prima, ogni persona non nasce
libera, ma condizionata a livello fisico (corpo), psicologico
(educazione), intellettuale (cultura del tempo), religioso (ambiente).
Una persona si fa libera. E questa liberazione avviene quando
si prende coscienza del perché delle cose e del senso dei fatti. Da
soli non ci si libera, o meglio, ci si libera solo parzialmente e
faticosamente. L’espressione: "Non è bene che l’uomo sia solo, gli farò un aiuto che gli corrisponda"
(Gn 2,18) sottintende che l’uomo non si fa da solo. Si costruisce
insieme con gli altri, e il primo "altro" è il partner. Il far coppia,
allora, è un mettersi insieme per liberarsi l’uno con l’altra. Non è il
soffocamento della libertà, ma il suo ritrovamento e il suo ampliamento.

Spesso, nel passato, lo sposarsi era finalizzato
solo alla procreazione. Questo rimane uno degli obiettivi, ma non il
primo: il primo è fare una "comunità di vita e d’amore" (GS48) e questa
comunità è a servizio delle due persone perché possano insieme
sollecitarsi e crescere nelle proprie originarie virtualità e insieme
procedere alla ricerca della verità. La persona, nella vita di coppia,
non viene sacrificata o mutilata, ma trova la prodigiosa possibilità di
svelarsi nella sua piena identità.

4 - PRIMA LA LIBERTÀ O LA RESPONSABILITÀ?

Per
poter meglio cogliere il senso autentico della libertà , vorrei legarlo
a quello di responsabilità e, per delineare qualche risposta, mi
servirò del pensiero di Lèvinas, un filosofo ebreo vissuto in Francia e
morto pochi anni fa. La storia del mondo occidentale ha girato, secondo
Lèvinas, principalmente attorno al valore della libertà e ha messo meno
in luce il valore della responsabilità.

La libertà è sempre stata intesa
come lo spazio dell’io per esprimersi, realizzarsi, affermarsi;
essendone privo, egli non potrebbe sprigionare le sue potenzialità: La
lotta dell’uomo si è indirizzata quindi ad affrontare e superare tutti
gli ostacoli che potevano limitare questa libertà. C’è stata e c’è una
lotta immane contro i condizionamenti esterni, quali il potere
politico, quello religioso, le strutture economiche e sociali che
possono impedire la persona nella sua autorealizzazione; si è innescata
la lotta contro i condizionamenti interni quali l’ignoranza, da sempre
ritenuta il principale freno e blocco nel cammino emancipatore della
coscienza.

Questo sforzo dell’uomo nel
rivendicare la propria libertà, non potrebbe trasformarsi in schiavitù?
Forse le lotte e le guerre non sono nate e non nascono da questa nobile
aspirazione dell’uomo ad essere libero? La ricerca della mia libertà
non può diventare indifferenza o, peggio, soffocazione della libertà
altrui? La storia dell’umanità non è intessuta di scontri di diverse
libertà che tentano di competere? Questo scontro non può risolversi
nella vittoria del più forte, con l’emarginazione o l’eliminazione del
più debole? E la mia libertà può esistere senza quella dell’altro o
degli altri?

Queste domande costituiscono il
tormento e l’inquietudine di Lèvinas. Egli ha scoperto che la libertà
poggia sull’io, è una caratteristica che tende ad essere e ad emergere
senza preoccuparsi e interessarsi dell’altro. Ecco perché l’io opera
uno spostamento che alcuni chiamano "spaesamento": lascia il terreno
della libertà (il terreno suo) per addentrarsi nel territorio della
responsabilità (il territorio dell’altro). Questo spostamento di
attenzione non vuole porsi contro la libertà dell’uomo, ma vuole porsi
come liberazione della libertà o come "disubriacatura" di essa. Questa
"disubriacatura" è chiamata appunto da Lèvinas "responsabilità".

Ma anche il termine
"responsabilità" abbisogna di chiarificazioni. Esso non indica tanto il
rispetto dei diritti altrui o dell’altrui libertà: Questo rispetto ci
deve essere, ma non come punto di partenza, bensì come punto di arrivo.
Riconoscere i diritti dell’altro è importante, ma non rivoluzionario.
La responsabilità nasce quando l’io depone la sua soggettività
padronale per una relazione dis-inter-essta con l’altro. Il centro non
è l’io, bensì l’Altro. Allora responsabilità vuol dire prendersi cura
dei problemi dell’altro, della sua libertà, della sua dignità; per
farlo, occorre che l’io rinunci alla sua pretesa dominatrice. Ma
prendendosi cura dei problemi o bisogni dell’altro, la persona accende
anche la propria libertà e la propria identità. L’appello che viene
dall’altro, o la sua accusa è il risveglio: viene a risvegliare la
persona.

La ricerca della propria libertà
toglie l’attenzione all’altro. Quando penso più a me, o prima a me,
divento per ciò stesso incapace di cogliere l’altro, di riconoscerlo,
di promuoverlo. Divento già usurpativo e invasivo.

Porre al centro la propria
libertà, è creare nell’umanità e anche nella coppia scontri,
lacerazioni, lotte con conseguenze deleterie per i più deboli. Porre al
centro la responsabilità, consentire la libertà altrui, è piantare nel
mondo quel germe di umanità da cui nascono la comunione e la pace. Non
è l’altro che limita la libertà, ma l’egoismo, e questo viene superato
nella relazione con l’altro. La libertà non è punto di partenza, un
dato già acquisito da difendere, è un progetto, un’utopia verso cui
tendere e da far germogliare. Essere liberi significa costruire un
mondo in cui poter essere liberi. Allora questa "libertà" è un
"avvenire" che si costruisce progressivamente, eliminando
l’aggressività spontanea dell’io e rispondendo agli appelli che
provengono dalla relazione con l’altro e gli altri. La relazione di
coppia è il terreno primo e più importante in cui può avvenire questa
reciproca liberazione, questa "liberazione della libertà".

5 - AMARE È PORRE AL CENTRO LA LIBERTÀ DELL’ALTRO

 

Oggi uno dei problemi
fondamentali è la libertà nella coppia. Essa dovrebbe essere il
convivere di due libertà e di due differenze, anzi questo convivere
dovrebbe accendere la libertà dei due.

Quando si annuncia questo tema,
soprattutto ai fidanzati nei quali l’amore è visto e vissuto più come
fusione che come comunione, emerge la paura: la paura che la libertà
distrugga l’amore e il matrimonio. È una paura comprensibile, perché la
libertà è ancora collocata sul versante privatistico: ciascuno pensa
alla sua persona e quindi si accasa dentro il proprio io, per cui può
nascere l’indifferenza e anche il conflitto con l’altro. Intesa così,
la libertà diventa certamente un pericolo, perché porre al centro la
propria libertà crea nella coppia e anche nella società lo scontro, la
lacerazione, la lotta.

Nella coppia, invece (in questo
senso la coppia è segno sacramentale delle relazioni sociali), ciascuno
dei due dovrebbe sentirsi responsabile della libertà dell’altro,
permettendo e provvedendo che egli possa esprimere così la sua dignità,
i suoi diritti, le sue capacità.

In questo modo nella coppia si
innalvea il germe del rispetto da cui nascono il dialogo e la pace. Per
questo si dice che il matrimonio è la comunione di due "tu" e non di
due "io".

Il "tu" indica il primato della
libertà e delle attese dell’altro. L’ "io", invece, sottolinea il
primato della propria libertà e delle proprie attese.

Quando questa attenzione a
costruire la libertà dell’altro è reciproca, si attua il cammino di
amore: un cammino di continua liberazione l’uno con l’altro, l’uno
dall’altro. Ed è un cammino di autentica e radicale promozione
dell’uomo e della donna.

6 - ALCUNE INDICAZIONI ESISTENZIALI

1.Coltivare un attento ascolto dell’altro, per individuare e discernere
le sue attitudini profonde così da indurlo, accompagnandolo, a
manifestarle e svilupparle in modo che egli possa costruire la sua
identità e la sua personalità. Questa "costruzione" potrebbe alla fine
rivelarsi difforme dalle proprie attese: si vivrebbe così un amore
generoso e gratuito che non può non riversarsi sulla crescita della
coppia. Una persona che si sente amata per se stessa e non più in
funzione di un’attesa, non potrà che vivere la gratitudine che è
l’atteggiamento fondante la comunione sponsale.

2.Diventare liberi è l’impegno di tutti. E si diventa liberi con gli
altri. Il dialogo, il confronto, l’ascolto sono decisivi nel far
crescere la libertà. Per troppo tempo si è identificata la libertà con
l’istintività. L’amore istintivo è possessivo, catturante. Cerca il
proprio piacere e interesse. È un uscire per compensarsi: è un amore
avido. Come liberarsi da questa "istintività" catturante? Come superare
l’atteggiamento mortale del voler possedere l’altro e di conseguenza di
non essere persona libera? La relazione di coppia è l’ambiente umano
più adatto per questa avventura di reciproca liberazione. La complicità
che vi esiste consente quell’apertura e anche quel "dirsi" che portano
al cambiamento e al superamento del proprio egocentrismo. Bisogna voler
trovare il tempo per dialogare, la disponibilità a dire e a ricevere
ammonimenti. Si devono vincere le naturali autodifese che impediscono
di ascoltare e di mettersi in discussione.

3.Una persona diventa realmente libera quando il fine , l’obiettivo non è
la ricerca di sé, il conseguimento della propria affermazione. Quando
una persona ricerca la propria affermazione è schiava: dei giudizi
degli altri, di ciò che giova in quel momento per affermarsi. Se essa
dice la verità, ciò che pensa realmente, non potrà certo affermarsi,
perché andrà contro corrente. Solo assecondando le strutture vigenti o
la cultura dominante può avvenire la propria affermazione. Quando si
dissente, si mette a rischio la propria carriera. Gesù ne è l’esempio
storicamente più rilevante. I suoi parenti ne erano consapevoli, ed è
per questo che vanno a prenderlo per portarlo a casa dicendo: "È fuori di sé".
Gesù, invece, è un uomo libero perché pone il suo obiettivo non dentro
la sua persona, ma nel bene della gente. Si sente responsabile degli
uomini e degli esclusi in modo particolare. La sua vita è segnata dalla
responsabilità ed è questa che lo rende libero anche di fronte al
potere ed alle sbagliate attese della gente. Egli non cerca se stesso,
per questo è libero.

Nella coppia sposata nel Signore
dovrebbe accadere questa novità rivoluzionaria: aiutarsi a porre il
proprio obiettivo non nell’affermazione di sé e nella ricerca della
propria libertà, ma nell’affermazione dei diritti, delle speranze degli
altri. In questo modo i coniugi diventano persone libere, perché
liberate da sé.

Il cambiamento dell’acqua in
vino sta principalmente in questo: il passare dall’io all’altro. Se uno
pensa al suo io rimarrà freddo e non creerà niente di nuovo nel mondo,
anzi, contribuirà a peggiorarlo; se penserà all’altro positivamente
avrà un calore e un entusiasmo che invaderà un po’ alla volta tutta
l’umanità. È il simbolo del vino. È il simbolo del non pensare a sé, ma
a costruire e custodire la libertà dell’altro. Quando
quest’atteggiamento è reciproco, avviene la meraviglia della comunione
sponsale.

TRACCIA PER LA REVISIONE DI VITA

Vedere

L’Autore,
dando per acquisita la consapevolezza che la libertà è lo spazio
indispensabile che consente alla persona di essere persona, si chiede
come questa affermazione possa applicarsi al matrimonio, luogo che
sembra, a prima vista, limitare pesantemente la libertà dei coniugi.

Per superare l’apparente
contraddizione, l’A. suggerisce di accostare la libertà al concetto di
responsabilità come espresso da E. Lèvinas. Cerchiamo di comprendere le
implicazioni di questa impostazione, eventualmente con l’aiuto delle
seguenti domande:

  • Concordo con
    l’affermazione dell’ A. che la libertà è un valore biblico? Qual’è il
    senso della libertà che emerge dalla mia conoscenza della Bibbia? In
    particolare, come leggo l’episodio della creazione della donna?
  • L’ A. afferma che libera è una persona non
    quando fa quello che vuole, ma quando fa delle scelte che la rendono
    pienamente se stessa, e che il raggiungere la propria libertà profonda
    è possibile solo se si lascia il terreno della libertà egoistica per
    accettare la libertà dell’altro. Alla luce della mia esperienza è
    questa una tesi sostenibile? Posso affermarlo sulla base di qualche
    episodio o magari anche solo di qualche aspirazione poi non realizzata?
    In rapporto al coniuge, ai figli, ad esterni alla famiglia? Ritengo
    comunque che la coppia sia il luogo più favorevole dove potersi sentire
    responsabili della libertà dell’altro?
  • Utilizzando le indicazioni esistenziali dell’ultima parte dell’articolo, mi chiedo:

 

  1. mi sono applicato ad ascoltare l’altro per aiutarlo a costruire la sua libertà?
  2. ho accettato che eventualmente crescesse in modo difforme dalle mie attese?
  3. In caso affermativo, ho constatato la gratitudine dell’altro, o sono entrato in conflitto con lui?
  4. Ho tentato di superare il desiderio di possesso dell’altro? Con quali strategie?
  5. Per quel tanto che sono
    riuscito a vincere il mio egoismo posso dire di essermi sentito più
    libero? E se lo sforzo è stato fatto dall’altro, l’ho in qualche modo
    riconosciuto e apprezzato?

Giudicare

Apriamoci all’ascolto
della voce dello Spirito che parla dentro di noi. Richiamiamo
situazioni e brani evangelici, e lasciamoci giudicare e illuminare.

Agire

A quale cammino di conversione sento che Dio, oggi, mi chiama?

Battista Borsato

Vicenza

Da Famiglia Domani -aprile /giugno 2000/2

Domenica, 20 Febbraio 2005 18:13

COPPIA - Essere COPPIA ieri e oggi

COPPIA

"Essere <>, ieri e oggi"

Articolo di Angelo Scivoletto su "Rivista di sessuologia", 2002, 26 (4)

Report a cura di SIMONA CUDINI - Psicologa

Concordo con l’analisi di Scivoletto
sull’evoluzione "ambigua" nella società, almeno quella occidentale,
della considerazione che la coppia è venuta ad assumere: da un lato si
amplia il riconoscimento istituzionale alla coppia, estendendone le
tutele al di la’ del confine sancito dal matrimonio (riconoscimento
delle coppie di fatto, estensione dei diritti /doveri anche alle coppie
omosessuali, almeno in alcuni Paesi), dall’altra crescono le tutele al
singolo rispetto alla coppia stessa: il nuovo diritto di famiglia, per
esempio, che in Italia ha tracciato nuovi "rapporti di forza"
all’interno del nucleo famigliare, e così la legge sul divorzio e
sull’interruzione volontaria di gravidanza. E’ innegabile che
comportamenti in passato ritenuti altamente riprovevoli se non
illegali, oggi sono riconosciuti come legittimi fino a diventare
oggetto di norme che li disciplinino.

Indubbiamente la chiave di lettura che si può dare
di tali fenomeni può essere totalmente negativa, o pienamente positiva,
a seconda dell’ottica di chi ne esprime il giudizio; in ogni caso il
rapporto di coppia, così come quello fra genitori e figli è stato
palesemente influenzato dai cambiamenti socioeconomici e culturali,
primo fra tutti la laicizzazione della società occidentale: ciò che
prima veniva regolato completamente dalla Chiesa, e costituiva un
vincolo sacro e inscindibile, almeno come norma morale, oggi è oggetto
di scelta personale fra cittadini credenti e non, che possono
riconoscere e rispettare determinati vincoli dettati dalla loro
religione, e liberamente accettarli, oppure attenersi unicamente alle
leggi del proprio Paese che quasi dovunque non stabiliscono
l’indissolubilità della coppia, ma anzi prevedono e regolano la
possibilità della separazione fra i coniugi e lo scioglimento del
nucleo famigliare, così come la sua ricostituzione con nuovi partner.
Anche questo può essere interpretato come una nefasta "caduta di
valori" o, come io penso, come un’evoluzione positiva, che tiene conto
della libertà individuale (pur regolamentandola al meglio per evitare o
limitare danni sociali) di regolare i propri comportamenti su scelte
religiose o laiche.

Concordo anche con l’osservazione di Scivoletto che tale libertà non ha portato, automaticamente la "felicità promessa":
non credo però che chi ha combattuto per veder riconoscere al singolo
la possibilità di vivere la propria sessualità e i rapporti di coppia
non necessariamente adeguandosi a dettami religiosi ( e primo fra
questi il movimento delle donne) si illudesse che nuove norme sociali e
nuove leggi liberassero l’uomo e la donna dalla fatica, e talvolta
dalla sofferenza che la relazione di coppia comporta, e la possibilità
di scelta (di rimanere coppia, di procreare…) è forse un tassello in
più alla complessità . Non si tratta quindi di inseguire, attraverso
scorciatoie, una "felicità promessa", quanto, a mio parere, di cercare,
con onestà, lontano dall’ipocrisia, da dettami non condivisi, da regole
che finiscono per essere solo formali, la propria strada, con
autenticità.

Sono d’accordo con l’autore: al di laà dei mutamenti
e delle normative l’idea di coppia, intesa come incontro Io - Tu è
comunque "nodo vitale dell’intera famiglia umana", che ogni individuo,
nella sua limitatezza umana e nella sua unicità cerca di interpretare
come sa e come può.

Simona Cudini

Domenica, 20 Febbraio 2005 18:12

GENITORIALITA' - "Prendersi cura della vita"

GENITORIALITA'

"Prendersi cura della vita"

Articolo di Emanuela Di Gesù su "Famiglia Oggi" , 2/2003

Report a cura di SIMONA CUDINI - Psicologa

Il convegno "Prendersi cura della nascita e dei primi anni di vita: verso un approccio biopsicosociale"
organizzato lo scorso novembre dalla ASL Città di Milano, ha cercato di
fare il punto sulle caratteristiche che segnano la genitorialità oggi
nella nostra società, e le conseguenze che, sul piano psicologico e
sociale ne possono scaturire.

Numerose ricerche e studi hanno da tempo messo in
luce le caratteristiche del passaggio alla genitorialità sia nei
singoli, soprattutto nella madre, che nella coppia. Sappiamo quindi che
la donna, durante la gravidanza, deve costruire quell’identità materna
che le permetterà, dopo la nascita, di prendersi cura adeguatamente del
proprio bambino, così come sappiamo che, in gran parte, la costruzione
di un’identità materna positiva deriva da un’esperienza a sua volta
positiva nel rapporto con la propria madre, in cui gli inevitabili
conflitti siano stati risolti soddisfacentemente. La nascita del
bambino comporta comunque un momento di crisi, dovuta al confronto fra
l’immagine che la donna nutriva di se’ come madre e del bambino
presente dentro di lei, e la realtà fatta di concreti bisogni e ritmi
del neonato, cui la donna deve rapidamente sintonizzarsi per sentirsi
una mamma competente: la depressione presente normalmente qualche
giorno dopo il parto scaturisce proprio dall’enorme sforzo che la donna
deve fare nel passaggio tra la maternità immaginata e quella realmente
agita, e si risolve tanto più rapidamente e positivamente quanto più la
neo mamma riceve sostegno e rassicurazione sulla sua capacità di
prendersi cura adeguatamente del bambino.

Anche per la coppia il periodo dell’attesa è
importante, poiché serve a "fare spazio", non solo fisico, al nuovo
venuto, che si inserisce nella relazione fra due adulti, trasformandola
nel rapporto tra due genitori.

Gli studiosi intervenuti al convegno hanno messo in
luce alcune caratteristiche della società odierna che incidono
particolarmente, e in negativo, su questo evento. Innanzitutto la
composizione sempre più ristretta della famiglia contemporanea, almeno
nel nostro Paese, spesso non permette alla donna esperienze di maternagenei confronti di fratelli o cugini più piccoli, impedendole quindi di
sperimentarsi già prima della maternità nella cura di neonati; la vita
nelle metropoli, e l’esigenza di abbandonare per lavoro la residenza
della famiglia d’origine, inoltre, fa sì che spesso la neomamma si
trovi ad affrontare la nascita di un figlio senza il sostegno di donne
della famiglia esperte e disponibili: le nuove famiglie vivono l’evento
della nascita, sempre più spesso, nell’isolamento sociale. Ciò
significa che se la madre, e la coppia, non sono più che pronte e
capaci di affrontare questo evento, se c’è fragilità emotiva o senso di
inadeguatezza, la depressione può cronicizzarsi, il rapporto entrare in
crisi, fino a conseguenze estreme, rare ma meno di quanto si pensi,
quali il maltrattamento, l’abuso, o addirittura l’infanticidio.

Un’altra situazione critica è data dall’immagine
stessa della genitorialità diffusasi nella nostra cultura: mentre
apparentemente il bambino ha sempre maggiore attenzioni e si è
sviluppata una cultura dell’accoglienza ( in realtà sembra trattarsi
più di un bussiness commerciale) tutta centrata sui suoi
bisogni, troppo spesso il figlio è visto non più come qualcuno da
accogliere e a cui dare, ma come qualcosa da ottenere a tutti i costi
(si vedano le tecniche di fecondazione assistita portate a volta
all’inverosimile), come soluzione ai problemi di coppia, come un
investimento (affettivo, ma anche economico) che deve dare un ritorno,
in termini di capacità ed adeguatezza ai modelli sociali: il bambino in
questi casi non è più una persona a se stante, libera di crescere e
sviluppare le proprie potenzialità e soddisfare la proprie personali
esigenze, ma l’estensione dei desideri e delle aspettative dei suoi
genitori, sempre più influenzate da modelli sociali tanto perfetti
quanto irraggiungibili. Ciò influirà negativamente sul bambino, sulla
sua educazione e su un corretto e felice sviluppo sociale.

Per prevenire queste situazioni di disagio, che
possono sfociare nella sofferenza psicologica anche molto profonda, già
da alcuni anni diverse istituzioni, e in primo luogo i Servizi Materno
– Infantili delle ASL, hanno attivato una serie di servizi che
accompagnano la oppia nel cammino verso la genitorialità, informano sui
cambiamenti che intervengono durante la gravidanza e alla nascita del
bambino, forniscono supporto psicologico favorendo anche lo scambio e
il confronto con altre coppie per rompere l’isolamento in cui troppe
famiglie oggi vivono, soprattutto nelle grandi città.

Alcuni esempi sono stati portati dagli operatori della ASL Città di Milano, e vanno dal "percorso nascita", centrato sulle dinamiche della gravidanza e del parto, al servizio di dimissione precoce assistita,
che consente a puerpera e neonato di rientrare a casa due / tre giorni
dopo il parto per favorire la creazione immediata del rapporto madre -
padre – bambino, fornendo però tutta l’assistenza , non solo sanitaria,
necessaria. Per rafforzare il rapporto nel primo anno di vita è stato
attivato dal Centro di Psicologia del Bambini e dell’Adolescente il
servizio Coccole e giochi, uno spazio di incontro per genitori
e bambini in cui affrontare tematiche relazionali e affettive per
rinforzare nei genitori la fiducia nelle proprie capacità educative;
sempre a questo scopo, ma per la fascia d’età 0-6 è stato istituita la Scuola per genitori, a carattere prettamente preventivo, basata sullo scambio di esperienze, di opinioni e di idee, mentre lo Sportello mamma – papà offre brevi consulenze psicologiche per affrontare specifiche difficoltà.

Tutti questi servizi, come altri similari presenti
in molte comunità, mirano a creare intorno alla famiglia una rete di
sostegno capace di attivare le risorse personali ma anche di
intervenire in momenti di difficoltà per prevenire future situazioni di
rischio.

Simona Cudini

Domenica, 20 Febbraio 2005 18:11

ABSTRACT tratti da "FAMIGLIA OGGI" n° 3 / 2003

ABSTRACT tratti da "FAMIGLIA OGGI" n° 3 / 2003

L’ESPERIENZA DELL’ "ATTESA" NEL PADRE

La ricerca, che s'inserisce in un
articolato filone di studi sul tema della genitorialità, focalizza le
modalità rappresentative e narrative di un gruppo di futuri padri,
analizzando l'esperienza dell'attesa del primo figlio nel confronto tra
il prima e il dopo la nascita. L'indagine ha esplorato soprattutto le
fantasie, i vissuti emotivi della dimensione paterna specificatamente
alla sfera individuale, di sé come figlio e di sé nella coppia. I
risultati hanno evidenziato osservazioni legate alle differenze di
genere, al diverso livello di complessità emotiva, riconoscendo anche
la "fragilità maschile", ai legami trigenerazionali con i propri
genitori.

Angela Maria Di Vita e Alette Merenda

 

ESSERE GENITORE, QUANDO…?

Il panorama demografico europeo è
caratterizzato da un progressivo calo delle nascite e un generale
innalzamento dell'età alla maternità/paternità, che proprio in Italia
hanno trovato le manifestazioni più evidenti. Le donne finiscono gli
studi più tardi, entrano nel mercato del lavoro in età più avanzata,
posticipano il matrimonio e, di conseguenza, affrontano la nascita del
primo figli o in età più matura rispetto alle generazioni delle loro
madri, o anche delle loro sorelle maggiori. Pure la prima paternità
subisce un salto in avanti e nel profilo medio delle biografie maschili
l'immagine del neopadre ultratrentenne va sempre più con figurandosi
come una realtà.

Marta Blangiardo

 

COSTRUIRE SPAZI COERENTI

Il grande mutamento del concetto di
paternità avviene nel ventennio 1965-1985. Prima, al padre erano
assegnate le funzioni legate all'autorità e al procacciamento delle
risorse. Ma la denatalità, il divorzio, la contestazione giovanile, il
femminismo e l'entrata della donna nel mondo occupazionale mettono in
discussione il vecchio ruolo paterno. Tuttavia quello nuovo non è
ancora chiaro dato che oscilla tra lo stereotipo ottimista dei "nuovi
padri", giocosi e accudenti, e la realtà di padri che poco condividono
la gestione dei figli se non decisamente assenti. A tale incertezza di
ruolo spingono il ridisegno dell'identità maschile nonché i processi
che valorizzano la relazione "certa", quella madre-figlio.

Vittorio Filippi

 

PADRI PER FORZA IN FUGA

Anche il ruolo del padre è in
trasformazione. È un percorso difficile e complesso, nel quale trovano
spazio carenze e fughe dalla responsabilità, che per essere comprese,
vanno riportate sia alle storie e alle sofferenze personali e
familiari, sia alla pressione dell'ecosistema culturale e agli
stereotipi diffusi. Le aspettative sociali nei confronti di una
presenza paterna forte e protettiva appaiono oggi elevate, come il
ruolo del padre nella crescita psicologica dei figli, che si può
rilevare dall'orientamento degli studi di psicologia dello sviluppo
sulle relazioni triadiche precoci e sul sistema famiglia. Richiedono
perciò risposte collettive di impegno e di educazione.

Emanuela Bittanti

 

PORTARE MOGLIE E FIGLIO NELLA MENTE

Per molti secoli il padre è stato escluso dalla
gravidanza e dall'accudimento dei figli, perché ritenuti un affare di
donne. Oggi invece si sta riscoprendo la sua importanza nelle diverse
fasi della crescita del bambino. Il coinvolgimento attivo dei padri
nell'accudimento del bambino passa attraverso le madri, che
rappresentano il tramite tra padre e figlio. In particolare, la
partecipazione paterna nell'esperienza della gestazione si articola a
tre livelli: accudimento, sostegno della partner, legame con il figlio.
Il padre durante la gravidanza comunica con il bambino attraverso il
canale sonoro, psicotattile, empatico.

Gino Soldera e Mara Frare

NON BASTA NASCERE PER VIVERE

Il cambiamento culturale degli ultimi
decenni ha messo in crisi le figure di padre e di madre che, irrigidite
nei ruoli precostituiti da un ordine sociale, sono finite in ruoli
incerti e confusi. Ampi quesiti nascono sulle possibilità di una nuova
immagine della coppia e della famiglia. Quale padre oggi in relazione a
una madre che ha già attuato un suo percorso trasformativo per
riconoscersi in una sua identità personale e collettiva? Le riflessioni
propongono un itinerario a due che passi dal ruolo dell'interdipendenza
operativa passata al recupero di una soggettività che evidenzi un
abbraccio di reciproco rispetto e di una più serrata collaborazione
educativa per sé e per i figli.

Franco Cecchin

Domenica, 20 Febbraio 2005 18:10

ABSTRACT tratti da "FAMIGLIA OGGI" n° 2/2003

ABSTRACT tratti da "FAMIGLIA OGGI" n° 2/2003

DI MAMMA NON CE N’È UNA SOLA

Una neo-mamma non può stare contigua al
suo neonato ventiquattro ore su ventiquattro! Prendiamo le distanze
dall’idillio che ci porta a pensare che mamma e neonato costituiscano
una sorta di simbiosi autocentrata e autosufficiente. Per dare
consistenza al loro assunto, gli autori conducono l’analisi in due
momenti: con riferimento agli studi sull'attaccamento che guidano alla
costruzione della "madre responsiva" e con riferimento alla
rivisitazione e ricostruzione della "comunità delle madri".

Mariateresa Zattoni e Gilberto Gillini

GLI ERRORI DI UNA MADRE DELUSA

Il passaggio da figlia a madre rappresenta per la
donna un momento cruciale della sua esistenza, che prevede cambiamenti,
l'assunzione di responsabilità e ruoli inediti. A tutto ciò si
aggiungono le molte aspettative che accompagnano questo evento tanto
desiderato e temuto. Il bambino, e il rapporto che la futura madre
instaurerà con lui, finisce per avere caratteristiche per lo più
dettate da messaggi falsamente ottimistici provenienti dai mezzi di
comunicazione. Ma, ovviamente, la realtà è sempre diversa e quando lo è
in senso peggiorativo insorgono delusioni, frustrazioni e incapacità di
affrontare le difficoltà.

Anna Oliviero Ferrarsi

L’AMORE CHE FA CRESCERE IL FIGLIO

Non basta un amore umano per educare il
figlio. Il bambino è persona già dal concepimento e ciò significa che
ha tratto il suo essere da Dio e può relazionarsi con Lui. Il figlio,
dunque, non dipende dalla madre come comunemente si crede perché prima
d'essere figlio suo è figlio di Dio. È un dato di fatto. Ma la
concezione culturale materialista ha tutt'altra considerazione e
rischia di ridurre il figlio a solo corpo.

Gioia Viola Bartolo

INCORAGGIARE IL BENESSERE DI CONTATTO

Il rapporto di coppia tra due futuri
genitori dev'essere saldo ed equilibrato ancora prima della nascita del
bambino. In caso contrario, spesso, questo evento scatena il
peggioramento di una crisi già esistente. Alla serenità di una famiglia
contribuisce un più sollecito comportamento paterno, che tuttavia, non
va letto come risposta all'emancipazione femminile. L'etologia e
l'antropologia, infatti, hanno ampiamente dimostrato che da sempre il
maschio si è occupato della prole attraverso quei gesti che
ingiustamente vengono ritenuti tipicamente materni.

Fulvio Scarparro

IL BAMBINO PROGIONIERO

L'articolo sottolinea l'efferatezza del
figlicidio e l'incredulità che suscita nella pubblica opinione. E
ricorda che esistono segni e sintomi come campanelli di allarme. C'è
sempre un motivo che scuote la base sicura rappresentata dal rapporto
madre-bambino. Ma va ribadito che "fare del male" a un bambino resta un
caso raro perché la regola è la vita e la vita si riproduce e chiama
altra vita.

Franca Do

NOVE MESI DI UTILE COMUNICAZIONE

La tecnologia sviluppata negli ultimi
decenni ha consentito alle numerose ricerche scientifiche di esplorare
la vita prenatale e permesso di scoprire che il nascituro ha una vita
intrauterina ricca e complessa. Egli è dotato di una specifica
individualità, in cui le precoci abilità sensoriali trovano il loro
naturale sviluppo in un rapporto di continua interazione con l'ambiente
esterno. L'educazione prenatale ottiene molteplici vantaggi nel
processo di crescita della famiglia.

Oriana Franceschin

MANTENERE ALTO IL VALORE DELLA VITA

Negli ultimi anni sta emergendo sempre
più il bisogno di promuovere una psicologia che si occupi non solo
delle patologie, ma anche della qualità della vita della persona, sia
essa malata o non. Nell'ottica della psicologia applicata alla
ostetricia ciò assume un ruolo molto importante. Come affrontare i
problemi psicologici che la gestante vive quando entra in una struttura
ospedaliera è oggetto vari studi e i ricerche ma è solo di recente che
si sta attivando l'interdisciplinarietà per un miglioramento della
qualità dell'assistenza.

Dario Casadei

L’OSSERVAZIONE PSICOANALITICA DEL NEONATO

L’Associazione italiana di psicoterapia
psicoanalitica infantile (Aippi) ha organizzato a Milano (30 novembre
2002) un convegno dal titolo "L'osservazione psicoanalitica del neonato
e del bambino". Le diverse relazioni che si sono succedute hanno preso
in esame l'Infant Observation nella sua caratteristica di fondamentale strumento formativo per tutti gli operatori che lavorano con bambini.

In questa particolare situazione l'osservatore
diventa testimone del divenire della relazione di una madre col suo
bambino e allo stesso tempo, questa esperienza emotiva significativa,
lo porta a fare un incontro inaspettato con un altro bambino, il
proprio bambino interno, e con le correlate esperienze precoci nella
relazione madre-bambino.

Le due funzioni principali che deve essere in grado di gestire durante l'Infant Observationsono contenere e differenziare. Deve infatti, da una parte, essere in
grado di accogliere, conservare ed elaborare, senza agire, stati
emotivi primitivi intensi proiettati dalla famiglia osservata,
tollerandone il loro carattere confuso. Dall'altra è fondamentale che
sviluppi la capacità di trovare la giusta distanza emotiva,
distinguendo tra stati mentali proiettati in lui dall'esterno e le
reazioni emotive suscitate dal riattivarsi di stati mentali primitivi
propri, mantenendo così il senso della propria integrità e separatezza.

L'Infant Observation è quindi una modalità di
apprendimento particolare, durante la quale l'osservatore entra in
contatto con emozioni intense e primitive che gli consentono
d'incontrare anche le proprie emozioni.

Emanuela Di Gesù

Domenica, 20 Febbraio 2005 18:08

La vera famiglia tipica italiana

La vera famiglia tipica italiana

Si
torna a parlare di famiglia. Eterno ritorno. La scusa è un film di
successo dell'italiano Gabriele Muccino. Dice cose che si sentono da
tempo anche alla televisione o si leggono sui giornali. Le dice con
bravura, riuscendo a far identificare tanta gente.

Quella madre? Sembra proprio me. E la figlia che vuol fare la velina? La tipica ragazza italiana.

Cose che sanno tutti: la famiglia vive la crisi di
genitori impreparati, di padri che sembrano più fratelli, di madri che
faticano a tirare avanti e spesso non si realizzano affatto, tra vita
personale e vita familiare. I figli vanno via di casa sempre più tardi,
solo il Sud conserva un po' del vecchio sentimento patriarcale che
caratterizzò l'Italia. Si sa. Come si sa che la criminalità è in
aumento o che i Governi centrali sono corrotti e quelli locali più
pragmatici e onesti. Il fatto è che, se qualcuno avesse la pazienza di
dare un occhiata ai dati statistici e sociologici, saprebbe che la
criminalità in Italia, non è mai stata tanto bassa. Sono diminuiti in
modo costante le rapine e gli scippi, i sequestri, e il numero degli
omicidi è il più basso dal 1860 (prima non si può dire: non c'era
l'Italia). La corruzione? Roma ladrona? Un altro luogo comune. Tutti
gli studi dei sociologi più avvertiti spiegano che il tasso di
corruzione cresce man mano che ci si sposta dal centro alla periferia.
Basta citare i casi estremi dell'autonoma Sicilia e dell'autonoma Val
d'Aosta, le più libere di fare in proprio, le meno influenzate da Roma.
Con quale risultato? Rari esempi di malcostume, privilegi e spreco di
denaro pubblico. Dunque, attenti al federalismo (ma chi lo dice,
questo?), e non solo per le nuove differenze ed ingiustizie che potrà
creare.

Ed eccoci alla famiglia. Un sociologo serio, Marzio
Barbagli, che sulla famiglia ha scritto una decina di libri (per
l'editrice "Il Mulino" di Bologna), che per abitudine parla dopo aver
guardato e riguardato i dati che la realtà ci fornisce, mi ha spiegato
cortesemente: non è affatto vero che i figli vanno via di casa sempre
più tardi. Se si escludono i 15 anni tra la fine degli anni Sessanta e
i Settanta, i figli italiani sono andati via di casa anche dopo. Anzi,
spesso non andavano via di casa affatto, sostituendosi, dopo una
convivenza tra famiglie, ai genitori che li lasciavano (per ragioni
naturali). Solo dice Barbagli che molti osservatori, commentatori o
giornalisti si sono formati proprio in quei quindici anni anomali e,
inevitabilmente, fanno della loro esperienza la regola. Ma non è vero.
E non è vero neppure che la nostra famiglia meridionale fosse unita e
patriarcale. Proprio al Sud, anzi, c'era il tasso più alto di
separazione obbligata tra parenti, dovuto ad un'economia che richiedeva
braccianti e garzoni, spesso lontano da casa. E mancando la proprietà
piccola o media, difficilmente i campi potevano sfamare intere
famiglie. La famiglia patriarcale c'è stata eccome, ma piuttosto a
Nord-Est, nel centro più civile e ricco d'Italia, dove era imposta
dall'economia del podere. Ancora oggi i figli stanno più vicini ai
genitori (anche emotivamente) in quel Centro-Nord piuttosto che nel
Sud. Lo dicono i dati dell'ISTAT, è un fatto.

Quanti fatti sono ignorati dai mass-media e formano
opinioni false che poi producono risultati reali? Quanta intolleranza,
quanti giudizi infondati e superficiali? È il frutto dì un Paese che
disprezza le statistiche e la ricerca, lo studio. E, anche per questo,
parla sempre più, spesso di nulla.

Attilio Giordano

da "L'Ancora" - aprile 2003

Domenica, 20 Febbraio 2005 18:07

DARE GUSTO ALLA VITA

DARE GUSTO ALLA VITA

· Si può vivere senza pensare e senza riflettere, ma è come mangiare cibo senza sale e senza sapori. · Si può vivere ugualmente, ma qual è il senso della vita? ·
Ponendoci le classiche domande: Chi? Come? Dove? Quando? Perché?
vogliamo capire come cucinare una Ricetta-Vita personale, ricca,
corposa e capace di donare felicità e realizzazione.

Prima parte

Perché dare gusto alla vita?

Una
vita spenta e senza luce è sicuramente una strada piana e senza scosse,
i problemi ci sfiorano, ma non ci coinvolgono, la sofferenza è lontana
e ce ne sentiamo protetti. Possiamo vivere così e sentirci al sicuro,
senza paure ed incertezze, ma corriamo il rischio di perderci la parte
migliore, quella fatta di gioie intense, soddisfazioni personali,
capacità di andare oltre i propri limiti. Ci si nega la possibilità di
scoprirsi capaci di cose grandi. Dare gusto alla vita ha senso nella
misura in cui si desidera vivere in pienezza, godendo e gustando le
meraviglie che il Signore ha seminato sul nostro cammino.

I bambini vanno stimolati a scoprire la bellezza
del ricercare la gioia, l'amicizia, l'impegno per camminare e costruire
senza quella terribile noia, quel vuoto che spesso sembra
caratterizzare le giornate.

Quando si arriva a capire perché dare gusto alla
propria vita, si è pronti a fare un ulteriore salto di qualità e
scoprire che la vita ha ancora più gusto quando condividiamo queste
grandi scoperte con gli altri che ci stanno accanto. Da buongustai
della vita si diventa così "cuochi" capaci di cucinare per gli altri,
piatti di vita saporiti e abbondanti.

Si può scoprire così che ci sono cose belle nella
vita che ci realizzano, ma anche che ci sono cose più belle, anche se
più faticose, che ci permettono di vivere bene e di aiutare gli altri a
vivere bene.

Come dare gusto alla vita?

Non esiste una ricetta da seguire
uguale per tutti, esiste la ricetta che ognuno deve scoprire vera per
sé. Vivere veramente significa scoprire la strada che maggiormente dona
gioia e felicità, senso di pienezza e completezza.

I bambini devono essere aiutati a riflettere su
cosa davvero desiderano e su cosa sono disposti a sacrificare per
raggiungere ciò che desiderano.

Si può proprio cercare di far costruire loro la Ricetta della Vita Gustosa con:


· ingredienti,

· modalità di esecuzione,

· tempi di cottura,

· grado di difficoltà,



  • presentazione del piatto,

ricordando che le ricette migliori richiedono tempi lunghi e
difficoltà maggiori, ingredienti numerosi e capacità di progettare le
modalità di esecuzione. Si possono anche cercare quali sono gli
ingredienti che non si amalgamano con gli altri, e che alterano i
sapori fino a rendere immangiabile il cibo.

Quando dare gusto alla vita?

Ci
sono ricette che si tengono da parte per le feste e le ricorrenze
particolari, ce ne sono altre che vengono preparate ogni giorno. Così è
anche nella vita: ci sono momenti forti in cui siamo chiamati a fare
scelte importanti (quale scuola frequentare, quale cammino
intraprendere), e altri in cui siamo chiamati a vivere la quotidianità
con un impegno continuo a realizzare i progetti che ci siamo proposti.
L'impegno di rendere saporita la vita è quotidiano, perché ogni giorno
dobbiamo essere attivi, attenti, propositivi e generosi. Ogni giorno
incontriamo altre persone e possiamo scegliere di diventare per loro la
spezia che dà colore e gusto alla loro vita.

Roberta Guastamacchia

Giovanna Bettiol

da "L'Ancora" - marzo 2003

 

DARE GUSTO ALLA VITA

Seconda parte

Chi dà gusto alla vita?

Sicuramente
ognuno è chiamato a scoprire il gusto della propria vita e può decidere
come aumentarne il gusto e come amalgamare gli ingredienti.

Dobbiamo anche ricordare che non siamo i padroni e
gli arbitri assoluti della nostra vita. Questa è un dono che riceviamo
abbondante dal Signore e dobbiamo esserne responsabili. Dio vuole che
noi viviamo in pienezza perché possiamo essere felici, contenti di noi,
esprimendoci al massimo delle nostre possibilità, avendo a cuore la
nostra vita e quella degli altri.

Sa che abbiamo limiti e difetti, che spesso non
riusciamo ad andare oltre il nostro egoismo e a donarci agli altri. Per
questo ci ha insegnato come sì fa a cucinare una vita perfetta
nell'amore e nell'amicizia: Gesù è venuto sulla terra ed ha vissuto
pienamente.

Si possono fare dei paralleli tra la vita di Gesù
e quella dei bambini per far scoprire quali sono i valori che Gesù ci
vuole trasmettere e come è soprattutto nell'amore che realizziamo la
nostra umanità.

Quando impariamo a usare gli ingredienti: fede,
amore, speranza, amicizia, allora sì che la nostra Ricetta-Vita assume
un aspetto gradevolissimo e un gusto delicato e corposo insieme.

Come noi dobbiamo essere cuochi per la vita degli
altri, così dobbiamo accogliere i doni che gli altri ci fanno con la
loro presenza, con la disponibilità, con l'ascolto l'amicizia e l'amore
che ci dimostrano. Quando si organizza una festa e ognuno porta
qualcosa allora la tavola è completa.

Dove dare gusto alla vita?

Se ogni momento della vita siamo
chiamati a cucinare, questo significa che la nostra cucina è ovunque
noi ci troviamo. E un'attività mai finita e mai conclusa, che ci
accompagna e ci impegna in ogni luogo. Impariamo anche che gli
ingredienti non buoni, che talvolta ci portiamo dentro, possiamo
deporli nelle mani di Dio nel sacramento della Riconciliazione e lui è
capace di trasformarli e riutilizzarli rendendoli ingredienti buoni per
la nostra vita.

Nel CVS si può anche scoprire come utilizzare un
ingrediente che può sembrare spiacevole ed in contrasto col gusto che
vogliamo dare alla vita: il dolore. Si può comprendere che è un sapore
che fa parte della vita di ognuno e che, se vissuto con Gesù e
trasformato, dona un sapore speciale perché diventa semplicemente amore
donato. Questo è il gusto più bello, quello che fa brillare gli occhi,
che dona gioia a chi lo offre e a chi lo riceve.

In conclusione, possiamo dire che alla scuola di Dio ognuno è chiamato a diventare un grande "chef" e un grande uomo.

Sicuramente sarà venuta una gran fame a tutti... Sì
può pensare di organizzare un momento di festa, invitando i bambini a
dare anche un nome alle ricette-vita che hanno preparato e finalmente
mangiare e gustare tante cose buone

Roberta Guastamacchia

Giovanna Bettiol

da "L'Ancora" - marzo 2003