Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input
Comunicare in pace
di Claudia Padovani *
Alcune connessioni per ampliare la riflessione sulla cultura della pace e sul rapporto tra pace e comunicazione.
Mentre si va ampliando il senso dell’insicurezza globale ed è davanti a tutti la difficoltà di costruire alternative in un mondo segnato dalla conflittualità, mi chiedo di che cosa sia fatta quella “cultura della pace” che sentiamo così necessaria e che fatichiamo a portare nelle situazioni educative, comprese le aule universitarie. Come ricercatrice ed educatrice, ragiono sul ruolo e le responsabilità dell’informazione, e mi aiuta l’ultimo numero di Media Development, bella rivista dell’Associazione mondiale per la comunicazione cristiano (Wacc), incentrato su “Comunicare la pace”. Parto da qui per condividere alcuni tasselli del mosaico di riflessioni e azioni) che silenziosamente, ma caparbiamente, propongono un nexus fra pace e comunicazione.
Ecumenismo alla prova
di Mauro Castagnaro
Nel Paese latinoamericano il cammino ecumenico sta conoscendo un momento di stallo, dopo l’uscita dei metodisti dagli organismi interconfessionali. Ripercorriamo la storia del dialogo tra le varie confessioni cristiane in una nazione da sempre crocevia di culture e religioni.
L’uscita da «tutti gli organismi ecumenici in cui siano presenti la Chiesa cattolica e gruppi non cristiani» (cioè afrobrasiliani) decisa nel luglio 2006 dal Consiglio generale della Chiesa metodista ha aperto in Brasile una fase di profondo ripensamento tra i sostenitori dell’unità tra diverse confessioni cristiane. Lo choc è stato forte, perché la Chiesa metodista si era sempre distinta nell’impegno per l’unità (nel 1942 fu la prima in Sudamerica ad aderire al costituendo Consiglio ecumenico delle Chiese, Cec) e aveva due autorevoli rappresentanti nel Consiglio nazionale delle Chiese cristiane (Conic): il vescovo Adriel de Souza Maia e il pastore Clay Peixoto, rispettivamente presidente e segretario esecutivo.
Solo cinque mesi prima, a Porto Alegre, si era svolta la IX Assemblea generale del Cec, realizzata per la prima volta su invito di un Consiglio nazionale di Chiese comprendente anche quella cattolica romana e ospitata dalla Pontificia università cattolica del Rio Grande do Sul. Alla vigilia dell’evento, il segretario generale del Cec, Samuel Kobia, pastore metodista del Kenya, si era detto «impressionato dalla volontà della Chiesa cattolica di partecipare all’organizzazione dell’assemblea. Non era mai successo in passato» E l’arcivescovo di Porto Alegre, Dadeus Grings, aveva sottolineato una particolarità: «L’ecumenismo in Brasile ha una traiettoria singolare, con la partecipazione della Chiesa cattolica al Consiglio nazionale delle Chiese, il che è infrequente nel resto del mondo. Qual è la ragione? Viviamo in una società pluralista e, al contempo, molto violenta. Davanti a queste due realtà, i credenti hanno sentito il bisogno di fare qualcosa insieme. Rispettando le peculiarità di ciascuno, cerchiamo quanto abbiamo in comune, cioè la fede che salva».
UN LENTO PROCESSO
Per comprendere la portata e la difficoltà del cammino ecumenico in Brasile, occorre ricordare che, per un lungo periodo durante l’epoca coloniale, quella cattolica era considerata la religione ufficiale e l’ingresso nel Paese era vietato ai protestanti. Poi vennero ammessi anche i culti non cattolici, ma, fino al 1890, unicamente nell’ambito domestico. Solo nel XX secolo cominciò ad attenuarsi il conflitto tra chi giudicava «pagani» i seguaci della Riforma e chi riteneva il Brasile terra ancora da evangelizzare per eliminare le “superstizioni cattoliche”-
All’inizio, il movimento ecumenico si sviluppò all’interno del protestantesimo. Il coinvolgimento esplicito della Chiesa cattolica avvenne nel contesto del Concilio Vaticano II. Le relazioni si andarono intensificando grazie alla partecipazione, dal 1969, di rappresentanti delle Chiese anglicane, protestanti e ortodosse alle Assemblee generali e alle riunioni maggiori della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile (Cnbb). Questa, a sua volta, nel 1977 fu invitata per la prima volta al Sinodo nazionale della Chiesa episcopaliana anglicana del Brasile e nel 1978 al Concilio generale della Chiesa evangelica di confessione luterana del Brasile. Passi decisivi furono anche, dal 1975 al 1982, i cosiddetti «Incontri dei dirigenti delle Chiese», in cui le gerarchie ecclesiastiche delle diverse confessioni si confrontarono su vari temi teologici, pastorali e sociali. Nello stesso periodo nacquero nuovi organismi ecumenici, con l’obiettivo di promuovere il dialogo e la cooperazione interconfessionali, alcuni con appoggio ecclesiastico ufficiale, altri, invece, autonomi. Tutto ciò è sfociato nella costituzione del Conic nel 1982, che riuniva, oltre alla Chiesa metodista, le Chiese cattolica e ortodossa siriana, cattolica romana, cristiana riformata, episcopale anglicana, evangelica di confessione luterana, presbiteriana unita. Ma che cosa ha originato il ritiro dei metodisti dal Conic? Alcune avvisaglie si erano avute negli anni precedenti, ad esempio con il rifiuto di partecipare alla Campagna dl fraternità del 2005, consueto appuntamento quaresimale promosso dall’episcopato cattolico, che quell’anno era organizzata dal Conjc e non dalla Cnhb.
COMUNIONE O COMPETIZIONE?
Lo conferma la pastora metodista Nancy Cardoso, teologa: Non è stato un fatto improvviso. Il Concilio generale della Chiesa metodista si tiene ogni sette anni e da tre assemblee si era formato un gruppo che proponeva l’abbandono del movimento ecumenico. La minoranza si è via via rafforzata fino a diventare egemone. Dietro c’è un modello di Chiesa con elementi carismatici e spiritualisti, pensato per competere nello spazio religioso. I metodisti si sono sempre caratterizzati come una minoranza, che aveva molte università, ma non faceva proselitismo, per cui aveva buoni rapporti tanto con i pentecostali quanto con i cattolici. Dalla fine degli anni ’80 sono nati i movimenti carismatici, che non sono una novità nel metodismo, il quale fin dalle sue origini vive dell’alternarsi di ondate di “risveglio” e fasi di istituzionalizzazione. Tuttavia, oggi, questo settore ha preso il controllo dell’apparato istituzionale. La maggior parte delle comunità metodiste ormai non sono ecumeniche, non. amano i cattolici né gli afrobrasiliani, hanno una cultura “gospel”, in cui sono centrali la musica e la dimensione spettacolare. Le università metodiste sono molto aperte, ma ora i carismatici ne assumeranno il controllo e ci sarà uno scontro forte perchè lì ci sono potere e denaro. Il pastore Gottfried Brakemaier, già presidente della Chiesa evangelica di confessione luterana del Brasile e della Federazione luterana mondiale, inquadra questa crisi nel mutamento del panorama religioso brasiliano: Diverso ritmo di crescita delle Chiese pentecostali rispetto a quelle storiche, soggettivismo che diluisce la normatività dei valori, beni religiosi in offerta sul mercato, mistica alla ricerca di profitto spirituale o materiale sono solo alcuni segni dei tempi. Il mondo religioso del XXI secolo invece di ”comunione” vuole “competitività” in una società pluralista. Le Chiese vivono un momento di “ri-arroccamento” nelle proprie fortezze dogmatiche. Accentuano la propria identità, rivendicando un’esclusiva. Ciò indebolisce l’ecumenismo». Il cattolico Ehias Wolff, consulente della Commissione per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della Cnbb, amplia la lista delle difficoltà nel cammino verso l’unità: «Il numero limitato di persone e Chiese che in Brasile aderiscono all’ecumenismo, la diffidenza circa le vere motivazioni del dialogo, lo scarso impegno delle leadership ecclesiastiche, la poca disponibilità delle comunità pentecostali, dl alcuni settori del protestantesimo storico e dei movimenti ecclesiali cattolici, la divisione nel campo religioso brasiliano, l’intenso proselitismo pentecostale, la fragile unità interna di alcune confessioni, la perdita del senso di appartenenza ecclesiale, la privatizzazione della fede, il passaggio da una confessione all’altra nella ricerca di un’esperienza religiosa soddisfacente».
ECUMENISMO RURALE
L’assemblea del Conic di novembre - che ha eletto nuovo presidente il pastore luterano Carlos Moller - ha sottolineato la necessità di recuperare i fondamenti dell’ecumenismo in un nuovo contesto culturale, dando spazio non solo all’impegno della Chiesa a favore dei diritti umani, ma anche alla missione e all’evangelizzazione. E il segretario esecutivo ad interim, il cattolico Gabriele Cipriani, ha espresso l’auspicio del Conic di contare sull’adesione di alcune Chiese pentecostali storiche, come le Assemblee di Dio (secondo il censimento del 2000 la maggiore denominazione evangelica del Paese, con 8,5 milioni di Fedeli), di congregazioni battiste e di Chiese protestanti storiche, come la Chiesa evangelica luterana del Brasile e la Chiesa presbiteriana indipendente. Inoltre il Conic ha. chiesto alla Cnbb di rendere ecumenica la Campagna di fraternità del 2010.
«Queste relazioni istituzionali - commenta dubbiosa Nancy Cardoso -, pur importanti, non riescono a tradurre quella quotidianità in cui la gente vive la religione come festa e come dramma». La pastora appartiene tra l’altro alla Commissione pastorale della terra (Cpt, organismo legato alla Chiesa cattolica.
Da questa esperienza trae interessanti esempi di «ecumenismo quotidiano»: «Credo che l’ecumenismo più vitale sia quello che si esprime, per esempio, quando, durante un conflitto agrario molto aspro nel Rio Grande do Sul, io e un prete cattolico abbiamo celebrato insieme il battesimo di 17 bambini. Questi sono arrivati avvolti in una bandiera del Movimento dei senza terra, in braccio ai genitori che passavano tra due file di contadini con gli strumenti da lavoro alzati. Quindi abbiamo scavato un buco in terra, lo abbiamo riempito di acqua. e la gente ha calato ogni bambino nella terra e nell’acqua. Questa esperienza battesimale ha permesso ai braccianti di superare la frustrazione derivata dal fatto che i proprietari terrieri e la polizia avevano impedito loro di effettuare una marcia verso la capitale. Ancora, in occasione di un violentissimo sgombero di un’occupazione di terra, io e un prete cattolico abbiamo usato in una celebrazione le beatitudini di Luca, leggendo i “Beati voi rivolti ai contadini e i “Guai a voi,..” girati verso la brigata militare. Gli ufficiali hanno chiamato il vescovo della Cpt del Rio Grande do Sul per lamentarsi che erano stati maledetti dalla pastora e dal prete. Ovviamente questa “maledizione” non aveva alcuna efficacia, ma l’averla proclamata con la Bibbia in mano ha un enorme significato agli occhi del popolo».
(da Popoli, giugno-luglio 2007)
Il Mosaico Religioso
Cattolici | 73,6 |
Protestanti | 15,4 |
Spiritisti | 1,3 |
Testimoni di Geova | 0,7 |
Ebrei | 0,1 |
Buddhisti | 0,1 |
Altro | 1,4 |
Atei/agnostici | 7,4 |
Corea del Sud
A scuola di dialogo interreligioso
di Peter Njoroge Githaiga
«La religione è come il mago e la sibilla... Essa affronta le rovine del mondo e predice la restaurazione; di fronte al rosso-sangue del cielo, con i colori del tramonto che sprofondano nell’oscurità, profetizza l’aurora. Affronta la morte e annuncia la vita» (FelixAdler).
«La religione è come il mago e la sibilla... Essa affronta le rovine del mondo e predice la restaurazione; di fronte al rosso-sangue del cielo, con i colori del tramonto che sprofondano nell’oscurità, profetizza l’aurora. Affronta la morte e annuncia la vita» «La religione è come il mago e la sibilla... Essa affronta le rovine del mondo e predice la restaurazione; di fronte al rosso-sangue del cielo, con i colori del tramonto che sprofondano nell’oscurità, profetizza l’aurora. Affronta la morte e annuncia la vita» Mahatma Gandhi diceva che «uno studio amichevole delle religioni è un dovere sacro». Sono quindi contento di potermi dedicare allo studio comparato delle religioni, di avere l’opportunità non solo di assolvere a questo sacro dovere, ma di gustare, seppure come un semplice novizio, le ricchezze delle esperienze religiose del mondo al di fuori della sfera del cristianesimo. La realtà religiosa del mondo sta diventando sempre più pluralistica; perciò, qualsiasi religione venga professata, deve essere vissuta in un atteggiamento di incontro e dialogo con la fede del vicino. «E arrivato il tempo in cui i contatti interreligiosi basati sulla cortesia e una conoscenza generica non sono più sufficienti. È indispensabile conoscere in profondità la religione di colui con cui si vuole dialogare» (Card. .Arinze). Lo studio del mondo delle religioni non consiste puramente nel cercare possibili vie di armoniosa coesistenza o pacifica interazione, ma è molto di più: è un arricchimento reciproco.
Quando lo studio delle religioni è fatto avendo in mente il dialogo interreligioso, è importante accettare che la maggioranza di tali religioni sono «i modi di vita di immense porzioni di umanità…, l’espressione viva dell’anima di vasti gruppi umani. Esse portano in sé l’eco di millenni di ricerca di Dio, ricerca incompleta, ma realizzata spesso con sincerità e rettitudine di cuore. Posseggono un patrimonio impressionante di testi profondamente religiosi, di saggezza assimilata da popoli e culture. Sono tutte cosparse di innumerevoli “germi del Verbo” Hanno insegnato a generazioni di persone a pregare,come vivere e morire, come custodire i propri defunti» (cfr Evangelii nuntiandi 53).
Infatti, il nocciolo della questione nello studio delle religioni è proprio qui: al di là dei contenuti di fede che vengono professati, esiste una realtà vissuta che è stata espressa in molti e differenti termini, come «esperienza religiosa», «esperienza spirituale», «esperienza divina», «esperienza del sacro, del trascendente, delle potenze divine» ecc. Nella tradizione abramitica possiamo chiamarla «esperienza di Dio».
Questa vasta gamma di «esperienze religiose», senza ignorare la realtà dell’errore umano, è una profonda, autentica e onesta avventura spirituale, che costituisce il cuore della storia umana di tutte le generazioni che si sono succedute nel tempo e nelle differenti situazioni geografiche. E poiché nessuno può pretendere di avere una completa e perfetta esperienza di Dio, lo studio delle differenti tradizioni religiose non può che arricchire la nostra limitata esperienza.
Noi non comprendiamo a pieno l’universo; non possiamo parlare della morte senza conoscere la vita. Almeno finché esistiamo, c’è una ragione per cui siamo al mondo, E la nostra volontà di credere in questa ragione più ampia ci aiuta ad agire in compagnia delle «potenze divine». E per affrontare la morte bisogna diventare collaboratori di cielo e terra nella creazione di un universo migliore: un traguardo raggiungibile se siamo aperti alle esperienze religiose altrui.
Lo studio delle religioni è di grande importanza anche nella stessa teologia cristiana. Senza raggiungere una prospettiva comparativa mondiale, la teologia cristiana non può né conoscere totalmente le proprie forze, né corroborare le sue debolezze. Per questo, la teologia cristiana ha bisogno di essere fondata sullo studio comparato delle religioni.
Il dialogo interreligioso è uno dei principali traguardi dello studio delle religioni. E’ importante nel nostro tempo inculcare nella mente della gente la «cultura del dialogo». «Il dialogo come attività umana e umanizzante - afferma il gesuita Raimond Panikkar, uno dei più grandi filosofi e teologi viventi - non è mai stato cosi indispensabile in tutti gli ambiti della vita quanto nel nostro tempo di individualismo accademico. Tutto il nostro loquace parlare di ”villaggio globale” si effettua su paraventi artificiali sotto chiave». Pace e coesistenza armoniosa della gente sono minacciate da estremismo e terrorismo. Per questo in tutto il mondo c’è un risveglio tra le persone di buona volontà, impegnate in uno sforzo di creare un’atmosfera di amicizia e cordialità verso le religioni altrui.
Il traguardo da raggiungere nel dialogo interreligioso è, a sua volta, quello di rimuovere le nostre maschere religiose, che non hanno nulla a che fare con la vera esperienza religiosa. Il vero dialogo religioso ha luogo solo quando raggiunge le profondità delle intime credenze religiose e affronta gli interrogativi fondamentali sul senso della vita. Quando le maschere sono rimosse una ad una e siamo immersi nel dialogo con tutta la nostra persona, allora emerge qualcosa dal di dentro e comincia il «dialogo interreligioso». A conclusione, riporto un poetico sermone di Panikkar, che contiene alcune linee-guida fondamentali per il dialogo interreligioso: «Quando intraprendi un dialogo interreligioso, non pensare in anticipo ciò che devi credere. Quando testimoni la tua fede, non difendere te stesso o i tuoi interessi acquisiti, per quanto ti possano apparire sacri. Fai come gli uccelli de cielo: essi cantano e volano, e non difendono la loro musica o la loro bellezza. Quando dialoghi con qualcuno, guarda il tuo interlocutore come un’esperienza rivelatrice, come tu vorresti (e dovresti) guardare il giglio nei campi. Quando prendi parte a un dialogo interreligioso, cerca di rimuovere la trave dal tuo occhio prima di togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo prossimo. Beato te, quando non ti senti autosufficiente mentre stai dialogando. Beato te, quando hai fiducia dell’altro, perché confidi in Dio. Beato te, quando affronti incomprensioni dalla tua stessa comunità o da altri per amore della tua fedeltà alla verità. Beato te, quando non abbandoni le tue convinzioni e tuttavia non le poni come norme assolute».
(da MC, marzo 2008)
Non è il fatto che l’uomo ascenda a Dio che è importante, bensì quello che Dio discenda nell’uomo. Se l’uomo ascende a Dio, vedi tutti i genii religiosi di prima e dopo Cristo, Dio diventa simile all’uomo...
Viviano un’era contrassegnata dalla mobilitazione spirituale, che riequilibra una visione catastrofica del nostro tempo.
«Il cristianesimo ridotto a pura azione umanitaria nei vari campi dell’assistenza, della solidarietà, del filantropismo, della cultura; il messaggio evangelico identificato nell’impegno al dialogo tra i popoli e le religioni, nella ricerca del benessere e del progresso, nell’esortazione a rispettare la natura: la Chiesa del Dio vivente, colonna e fondamento della verità (cfr. 1Tm 3,15), scambiata per un’organizzazione benefica, estetica, socializzatrice: questa è l’insidia mortale che oggi va profilandosi per la famiglia dei redenti dal sangue di Cristo». In questo senso l’ex arcivescovo di Bologna, il cardinale Giacomo Biffi, ha parlato, anni or sono, dell’“ammonimento profetico” di Solov’ev, consegnato alle pagine del suo Breve racconto dell’Anticristo e lo ha visto attualizzato «nel pacifismo, nell’ecologismo e nell’ecumenismo di bassa lega, che fermentano non poca “cultura” contemporanea».
La speranza cristiana non è ingenua. Il credente è un uomo lucido, che discerne il potere del male del dolore, e della morte.
L’uomo è un essere di desiderio, anela a una pienezza di vita; tuttavia, nonostante sia orientato verso il futuro, è continuamente frustrato nelle sue speranze dall’esperienza del limite, della finitezza, della morte. Per la fede cristiana il desiderio dell’uomo viene colmato soltanto da Dio. Nell’elaborazione della dottrina della Chiesa la speranza è una delle tre virtù teologali (insieme alla fede e alla carità). Il Nuovo Testamento non soltanto inizia ricordando l’attesa del Messia, ma termina con le parole «Vieni, Signore Gesù! Maranà tha!». Qualunque sia la situazione che stiamo vivendo, possiamo sperare.
Ci possono essere vari motivi per visitare un monastero che vive secondo la Regola di San Benedetto Abate (= RB) e diversi modi per farlo. Il monastero può essere infatti una tappa o la destinazione finale del pellegrinaggio ad un luogo di fede, può essere la sosta in un percorso turistico, un luogo scelto per un ritiro o la meta di una vacanza alternativa, può suscitare interesse per i tesori di arte che racchiude, per la storia di cui è carico, per la tradizione del canto gregoriano o la solennità della liturgia. In ogni caso entrare in contatto con la realtà del monastero è sempre un’esperienza di comunione e di condivisione, almeno parziale, con la vita della comunità di consacrati che in esso dimora.
La maternità universale della Vergine.
Garanzia di speranza e di salvezza
di Sante Bianchi
Una riflessione mariana alla luce degli insegnamenti di S. Bernardo di Chiaravalle.
Bernardo è «l’eletto di Dio, la perla, lo specchio e il modello della fede, la colonna della Chiesa, il vaso prezioso, la bocca d’oro che inebriò il mondo intero col vino della sua dolcezza».
Così si esprime S. Tommaso nel sermone LIV per la festa di S. Bernardo. E davvero Bernardo resta un gigante nella storia della Chiesa, che sintetizzando il passato ci ha lasciato una calda esposizione della verità che serva a disporre l’anima alla preghiera e alla contemplazione
TEOLOGIA E SPIRITUALITÀ
Anche se per la sua dottrina teologico mistica attinge ripetutamente ai Padri (preferisce Gregorio di Nissa, Origene, Ambrogio, Agostino e Gregorio Magno), non è un semplice ripetitore, anzi è sempre personale e vivo
Fonti della sua dottrina rimangono la Scrittura e la Tradizione interpretate dal Magistero della Chiesa e rivissute in una analisi della propria esperienza monastica.
Nel pensiero di Bernardo occupa un posto privilegiato Maria. In realtà Bernardo ha scritto poco su Maria. Ricordiamo le opere più importanti: Le Laudi della Vergine, detti discorsi «super missus est»; la famosa lettera 174 ai canonici di Lione; il discorso per la festa della Natività della Beata Vergine Maria detto «de Aquaeductu ». In tutto abbiamo 4 omelie, 16 sermoni, 1 lettera, 18 tra estratti e frammenti.
Resta comunque il fatto che per l’affetto, la pietà, l’efficacia con cui Bernardo ha parlato della Madonna, per la densità della dottrina, la precisione delle formule e per la novità delle conclusioni con cui si è dimostrato come il dottore più completo in materia nel Medio Evo, divenne l’iniziatore di un vasto movimento di devozione e di profondi studi sulla Madre di Dio, tanto da essere chiamato Cantore di Maria.
Lo stesso Pourrat lo conferma: «La devozione di Bernardo verso la Madre di Dio era proverbiale nel Medio Evo» (La spiritualité chrétienne, t. Il, n. 5, Paris 1921, p. 77), e il Bartmann lo ribadisce: «Bernardo è il più ardente dei devoti di Maria nel Medio Evo» (Précis de Théologie dogmatique, t. I, Multhouse 1935, p. 482).
La concezione mariana di S. Bernardo non può essere certo compresa se non nel disegno completo della sua teologia della Salvezza di cui premettiamo una sintesi.
Dio infinita carità, crea per amore l’uomo e per amore lo riscatta. Prove di questo amore sono l’Incarnazione e la Redenzione. L’uomo peccatore si salverà dal peccato soltanto con l’adesione libera, ferma e totale, all’amore di Dio, mediante un processo di purificazione e di elevazione nel quale sua forza portante sarà lo stesso amore di Dio (grazia efficace) e suo aiuto la mediazione di Maria.
Maria per Bernardo, come del resto per tutti i padri, fu «scelta fin da principio, conosciuta dall’Altissimo che la preparò per sé; custodita dagli angeli, previamente annunziata ai Patriarchi, promessa dai Profeti» (Hom. Il Super Missus Est, n. 4). Nel realizzare il suo piano di Salvezza quindi, Dio volle seguire lo stesso ordine di cose, farlo nello stesso modo in cui il primo uomo Adamo era caduto per opera di una donna, ingannata dal serpente. Ci sarebbe stata allora un’altra Donna che avrebbe vinto il demonio con l’aiuto di un altro Uomo che fosse al tempo stesso Dio: il Verbo Incarnato.
MEDIAZIONE NECESSARIA NELL’ECONOMIA DELLA SALVEZZA
La missione alla quale Maria era stata predestinata, era di dare agli uomini l’Uomo-Dio per nostra salvezza. E’ una maternità universale, ci dice Bernardo, che le permette di stringere al seno il Creatore e le creature, Cristo e i cristiani, il Redentore e i redenti.
«Il Creatore degli uomini dovendo per farsi uomo nascere da una donna, dovette scegliere come madre o meglio prepararsi fra tutte, quella che già sapeva dovergli convenire, e che già conosceva gli sarebbe piaciuta, perciò volle che fosse vergine.., e volle anche. che fosse umile» (Hom. Il Super Missus Est, n. 2).
L’Incarnazione è evidentemente dovuta alla sola munificenza della Grazia divina che porterà Maria ad essere esaltata sopra tutti i cori degli angeli (Cfr. Sermone LXXXVIII). Maria diventa cosi la più perfetta realizzazione dell’Israele di Dio, è il modello e il simbolo di tutto il popolo eletto e riscattato, è l’esempio compiuto della santificazione verso la quale tendevano l’Antica e la Nuova Alleanza e che si realizza nella Chiesa.
Dal compito principale che Maria ha nell’Economia della Salvezza scaturisce necessariamente anche quello della sua «mediazione», e «come Eva aveva cooperato con Adamo alla nostra disgrazia, così Maria, seconda Eva, doveva cooperare con il Redentore alla nostra riabilitazione» (Serm. fra l’ottava dell’Assunzione nn. 1-2).
La sua “mediazione” fu prima di tutto la primissima intercessione della sua preghiera prima dell’Annunciazione; intercessione già materna, perché Maria meglio di Debora, meritava di essere chiamata «madre del popolo di Dio» (Gdc. 5,7). Infatti la mediazione che Israele aveva esercitato dopo Abramo in favore del mondo peccatore (On 18,17-23), raggiunse in Lei la sua più alta efficacia. Poi ci fu il compito di collegamento che Lei esercitò nell’incarnazione (mediazione ontologica e mediazione morale). Indubbiamente, ci dice Bernardo, «Cristo da solo sarebbe stato sufficiente, dal momento che anche ora, tutto ciò che noi possediamo nell’ordine della salvezza ci viene da Lui. Ma era bene per noi che l’uomo non rimanesse solo. Era sommamente conveniente che i due sessi prendessero parte alla nostra Redenzione, come avevano preso parte alla nostra rovina» (Serm. per la Dom. fra l’Ottava dell’Assunzione, n. 1). Dal suo «fiat» con l’introduzione del Verbo nel mondo, fino all’offerta della Vittima, Maria coopera col suo Figlio alla salvezza dell’uomo con libera fede e obbedienza, e se viene invocata quale madre degli uomini, è perché ha cooperato con la sua carità alla nascita dei fedeli nella Chiesa, i quali di quel capo sono le membra.
Oltre che lodare Maria con temi biblici, Bernardo loda Maria utilizzando anche il vocabolario feudale del suo tempo: è «regina», «avvocata», «mediatrice », «riconcilia», «rappresenta», «raccomanda» gli uomini a suo Figlio; presso il Giudice, è «madre di misericordia», tratta la «causa» della nostra salvezza, interviene nel «processo» che ci oppone a Dio. Maria è posta perciò nel mezzo tra Dio e noi come per facilitare i nostri rapporti con Dio; prendendoci per mano ci riunisce a Cristo, ci conduce a Lui, ed è questo il motivo per il quale noi possiamo avere in Lei una confidenza illimitata; tutti i nostri bisogni li presenta a suo Figlio, poi ci trasmette tutti i soccorsi che Egli ci manda. «Tale è la volontà di Colui il quale ha voluto che tutto noi avessimo, per mezzo di Maria. Questa, dico, è la volontà di Lui, ma per noi» (In Nat. E. V. M. n. 7).
SORGENTE DELLA GRAZIA
Il Signore dunque si è servito di Maria come di un « acquedotto» attraverso il quale fa giungere a noi le sue grazie, « non perché era impotente, senza un tale acquedotto, ma perché volle provvederci di un veicolo» (Serm. In Nat.B.M.V.n. 18).
L’acquedotto è necessario affinché l’acqua della grazia, dalla fonte (che è Cristo) arrivi fino a noi: «La Fonte doveva arrivare fino a noi... Quella vena celeste discende mediante l’acquedotto... E’ pieno l’acquedotto, affinché gli altri ricevano da questa pienezza, non però la stessa pienezza».
La carità, le verginità e l’umiltà, sono le tre virtù che principalmente hanno elevato Maria fino a farle raggiungere la sorgente che è Dio, la inclinano anche fino a farle raggiungere gli uomini, ai quali comunica la grazia dell’adozione, l’acqua attinta a quella sorgente.
MODELLO E PRIMIZIA DELLA NOSTRA GLORIFICAZIONE
Per mezzo della carità che è intensità di desiderio, fervore di devozione e purezza di preghiera, Maria è elevata a Dio che la colma di Grazie, e la stessa carità che è anche misericordia la spinge verso gli uomini per sovvenire con la sua pienezza alle necessità della miseria umana. Maria è così la via regale attraverso la quale Dio viene all’uomo e l’uomo può più facilmente raggiungere Dio, praticando col suo esempio le virtù che Ella ci ha insegnato: purezza e umiltà. Se l’uomo avesse timore di rivolgersi direttamente a Dio e al Verbo per le sue richieste, può con fiducia rivolgersi a Maria che le presenta al Figlio. Se la maestà di Dio ci abbaglia, se la gloria infinita di Gesù Cristo ci dà l’impressione che è troppo lontano da noi, Maria ci dà fiducia.
E’ Lei quindi la « scala dei peccatori, la mia fiducia, la ragione di ogni mia speranza. Perché, o fratelli, desideriamo altre cose? Cerchiamo la grazia e cerchiamola per mezzo di Maria, perché Ella trova ciò che cerca e non può restare delusa. Cerchiamo la grazia, quella presso Dio, non la grazia illusoria presso gli uomini» (In Nativ. B M V. nn 7-8)
Corollario della maternità di Maria sia verso il Creatore che verso le creature; nonché della mediazione universale fra il Creatore e le creature, ci ricorda Bernardo, è la Regalità universale di Maria. Dato che le vie del Redentore e le vie della “corredentrice” sono parallele, l’Assunzione di Maria per Bernardo fa riscontro all’Ascensione di Gesù, ed è come il modello e la primizia della nostra glorificazione. La regalità di Maria, soggiunge il «dottore mellifluo», non fa di Lei una principessa lontana. Il suo compimento sopraterreno non distrugge in Lei l’umiltà, la povertà, che sono la materia stessa della sua gloria.
Maria anche in cielo è l’icona escatologica della Chiesa. La glorificazione finale di Maria è una delle « grandi cose» con le quali Dio fa segno alla sua Chiesa. È un pegno di ciò che tutta la comunità dei credenti è chiamata a divenire: «Nemmeno noi abbiamo qui una residenza permanente, ma aspiriamo a quella alla quale è arrivata oggi Maria benedetta» (Serm. nell’Assunzione della E. M. V., n. 1).
La madre di Gesù glorificata in cielo, in anima e corpo, è immagine della Chiesa che avrà il suo compimento nell’età futura. Così sulla terra brilla innanzi al peregrinante popolo di Dio quale segno di sicura speranza e consolazione, fino a quando non verrà il «Giorno del Signore».
«La nostra Regina ci ha preceduto» ci ricorda Bernardo, «ci ha preceduto ed è stata ricevuta così festosamente, che con fiducia i servi possono seguire la loro Signora dicendo: “Portaci con te”, correremo dietro l’odore dei tuoi profumi (Ct, l,3).La nostra umanità pellegrina ha mandato innanzi la sua Avvocata, che, essendo madre del Giudice e madre di Misericordia, potrà trattare con devozione ed afficacia la causa della nostra salvezza» (Serm. I sulla Assunzione della B. V. M., n. 1).
Da questa breve riflessione sulla dottrina mariana di S. Bernardo, possiamo con certezza ribadire che egli fu e rimane l’ispiratore di chi dopo di lui vuole meditare sul «mistero di Maria». Lo stesso Papa Giovanni rilevò: «Egli ha detto le parole più soavi e più belle in onore di Maria», e Fénélon ci porta a dire, riferendoci al pensiero di Bernardo:
«Dolci e teneri scritti, nulla riuscirà ad oscurarvi, e la successione dei secoli ben lungi dall’offuscarvi, trarrà da voi la sua luce: voi vivrete per sempre, e Bernardo vivrà in voi».
Il Canto Gregoriano nella liturgia cattolica
P. Ildebrando Di Fulvio O. Cist.
Mi è stata chiesta l'esperienza sul Canto Gregoriano, quanto sia importante per la nostra vita spirituale e comunitaria, quanto esso ci aiuti nella preghiera, come in concreto lo usiamo oggi nella liturgia, sia nelle celebrazioni coi monaci sia con i laici. Divido il lavoro il tre momenti: Nobiltà del Gregoriano, canto liturgico per eccellenza; Struttura e composizione interna del Canto Gregoriano; Uso oggi nella liturgia.
Claude Geffré è unteologo francese, docente emerito di teologia fondamentale dell'Institute Catholique di Parigi.