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Mercoledì, 11 Ottobre 2006 19:58

Etica e politica: divorzio inevitabile (Franco Monaco)

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Il problema del matrimonio, piuttosto che del divorzio, con l’etica si pone per ogni sfera dell’ attività umana: famiglia, scuola, lavoro, cultura, politica. Chi non indulge a una visione meccanicistica o deterministica della vita e della storia, chi cioè le interpreta come poste sotto il segno della libertà (e della responsabilità), non può non porsi il problema di orientare giudizi, scelte e comportamenti alla verità e al bene.

Alla vita buona. Questa è l’etica. Ogni attività umana, appunto in quanto umana, cioè imputabile a un soggetto libero (e responsabile), implica una dimensione etica. Dunque, ogni attività umana è esposta al rischio dei ‘divorzio” dall’etica. Lo è evidentemente in ragione della originaria e intima debolezza dell’uomo (la dottrina del peccato originale), insidiata dalle umane concupiscenze (S. Giovanni), ma lo è anche a motivo di teorie, che hanno preso corpo nella modernità, ispirate all’idea della separazione tra etica e prassi o all’esasperazione della “specialità” di etiche regionali e tra loro separate a seconda dei rispettivi e molteplici campi di azione.Due esempi: in economia bene supremo, bussola e paradigma, secondo certe visioni angustamente economicistiche, sarebbe il profitto; in campo sanitario lo “stare bene” è spesso confuso con il salutismo, con la qualità di una vita giovane ed emotiva- mente gratificante. Che sono cosa diversa dal bene umano intero e globale.
La peculiarità di quella sfera dell’azione umana cui diamo nome politica è quella di avere ad oggetto e di maneggiare il potere, cioè di poter influire su altri, anzi sull’intera comunità. Un oggetto ambivalente, di cui si può fare uso buono (etico) o cattivo. Sbaglia chi demonizza il potere, perché esso rappresenta una risorsa-opportunità di influire positivamente su altri. Ma sbaglia anche chi ignora le sue insidie, la possibilità che esso si risolva in uno strumento di influenza negativa.Come si vede la “questione morale” in rapporto alla politica ha ben altro respiro rispetto a quello, limitato, della legalità. Penso a quando furono denominate “questione morale” Tangentopoli e Mani pulite. Molto di più essa ha a che fare con un’idea e una pratica della politica protese alla vita buona della comunità, di tutti e di ciascuno, al bene comune secondo un accezione personalistica. Sostenere che l’etica è dimensione immanente alla politica non significa misconoscere la relativa autonomia di essa. Così si esprime il Concilio: “Se per autonomia delle realtà terrene si vuole dire che le cose create e le stesse società hanno leggi e valori propri, che l’uomo gradatamente deve scoprire, usare e ordinare, allora si tratta di una esigenza d’autonomia legittima: non solamente essa è rivendicata dagli uomini del nostro tempo, ma è anche conforme al volere del Creatore. Infatti è dalla stessa loro condizione di creature che le cose tutte ricevono la loro propria consistenza, verità, bontà, le loro leggi proprie e il loro ordine; e tutto ciò l’uomo è tenuto a rispettare, riconoscendo le esigenze di metodo proprie di ogni singola scienza o tecnica” (G. S. 36). Anche la politica conosce le sue regole e i suoi dinamismi, di cui il buon politico deve impadronirsi. Come usa dire, la buona politica non si fa con i “pater noster”, con la mera proclamazione di buoni propositi- e buoni sentimenti. Il buon politico deve affinare competenza, “vera perizia”. Elaborare buona cultura, buoni progetti, buoni strumenti. Penso, per esempio, alla cultura storica, ma anche alla cultura economica o a quella giuridico-istituzionale. Provo a fornire qui una rassegna incompleta delle condizioni atte ad assicurare un sano, positivo rapporto tra etica e politica.


La Costituzione, legge fondamentale



Innanzitutto, servono le regole. A cominciare dalla regola più alta, la legge fondamentale, la Costituzione. Ad essa affidiamo quei beni-valori che è saggio sottrarre alle maggioranze politiche contingenti. Sono lì scolpiti il patto di convivenza, i principi e le regole che presiedono alla casa comune. Ecco perché deve esserci cara la Costituzione e si deve reagire a chi ne mina i fondamenti, attraverso riforme selvagge e unilaterali. Seguono le leggi ordinarie. In campo cattolico, più di frequente l’accento cade sui limiti della legge, sulla sua strutturale inadeguatezza nel rappresentare e corrispondere per intero ai nostri ideali, alle nostre istanze etiche. Sino al diritto all’obiezione di coscienza alle leggi ingiuste, contemplata negli ordinamenti liberali e democratici più avanzati. Meno spesso si pone mente all’altra faccia della medaglia: la valenza etica della legge, i concreti beni-valori che essa, e spesso essa sola, può difendere e promuovere, la sua cogenza per la nostra coscienza e i nostri comportamenti. Educare ed educarci alla legalità, al senso-valore dello Stato, delle istituzioni, della legge. Sarà anche un luogo comune, ma non è senza fondamento empirico e ragioni storico-culturali la tesi secondo la quale esso difetta nei paesi di tradizione cattolica e segnatamente in Italia.Ancora: decisive sono l’applicazione delle leggi e la buona amministrazione. Spesso le nostre leggi sono buone ed avanzate, ma incappano nelle maglie di una inadeguata burocrazia, Anche questa è una tara storica del nostro paese. Eppure di qui passa una parte cospicua della qualità etica della convivenza, il concreto soddisfacimento di libertà e diritti.C’è poi il capitolo dei controlli e delle garanzie. Il controllo di legalità affidato alla magistratura cui spetta accertare se, nei casi concreti, siano state violate leggi, conculcati diritti, recato danno a persone e beni. Nella storia italiana recente, la magistratura è stata al centro di vivaci discussioni e polemiche, specie nel suo rapporto con le classi dirigenti. Quale che sia il giudizio (si sono come formati due partiti: estimatori e detrattori), un po’ tutti convengono su un punto: la magistratura ha finito per surrogare la politica, per farsi carico delle sue inadempienze nel prevenire l’illegalità e per essere investita, in sede repressiva, di un sovraccarico di lavoro originato da un costume civico lasso, da una diffusa propensione a violare le leggi. Le garanzie sono quelle poste a tutela dei diritti dei cittadini e della democrazia se e quando il potere politico tende a prevaricare. Le forme nuove, sottili e più insidiose di “dispotismo dolce”, prodotte dalla spirale di leadership politiche populiste e autocratiche e di dominio sui media, suggerirebbero un rafforzamento degli istituti di garanzia. L’opposto - segnalo tra parentesi - di ciò che fa la riforma costituzionale discussa in tempi recenti.

 

La buona politica e i suoi nemici


Decisivo è il capitolo degli attori politici: partiti e coalizioni. Essi, nel bene o nel male, sono i protagonisti del nesso tra etica e politica. Basterebbe che essi facessero bene la loro parte. Che non è quella di ingerirsi nelle nomine in capo alle istituzioni, negli appalti, nelle commesse, nelle assunzioni, nelle scalate bancarie. Il terreno in cui fioriscono clientelismo e illegalità. Ai partiti spetta invece il compito, cruciale, alto e nobile, di elaborare progetti e proposte, di organizzare il consenso intorno ad essi, di selezionare una classe dirigente conforme a quei progetti e a quei programmi. Mi piace essere prosaico: ci sono due concretissimi problemi che oggi affliggono i partiti, che ne intaccano la qualità etica. Sono quello di una deficitaria democrazia interna cui corrisponde una loro deriva leaderista, sino alla figura sempre più diffusa del partito personale; e quello del loro finanziamento, della loro voracità. Difficile non vedere come entrambi tali problemi espongono i partiti al condizionamento e alla subalternità ai gruppi economici, alla commistione tra affari e politica, sino al caso- limite di un’azienda che si fa partito, che assume i moduli per definizione antidemocratici dell’impresa, che secerne il virus di una concezione proprietaria e patrimoniale dello Stato. Un balzo all’indietro verso i regimi assolutistici, precedenti alle democrazie costituzionali e agli Stati di diritto di matrice liberale.Ancora, il tema delle culture politiche, se si vuole delle ideologie. Parola che non gode di buona fama, ma sulla quale è bene intendersi. Certo, nessuna nostalgia per le ideologie chiuse e totalizzanti di matrice ottocentesca. Ma una buona politica non può che inscriversi dentro una visione eticamente orientata, dentro una figura di società giusta storicamente possibile. I programmi, cioè un carnet di impegni pratici gerarchicamente ordinati, scaturiscono da tale orizzonte culturale- ideologico. La stessa polarità destra-sinistra si determina a partire da quelle scelte di valore, dal modo cui si concepisce, si organizza e si articola il rapporto tra tensione all’uguaglianza e cura per le differenze (è la tesi di Bobbio). Rispetto a un passato neppure tanto lontano, oggi non disponiamo più di culture politiche organiche e autosufficienti, di famiglie ideologiche nitidamente riconoscibili a ciascuna delle quali corrisponda un partito. Il bipolarismo, che ha preso corpo anche in Italia, il declino delle vecchie ideologie, la fine della guerra fredda nei suoi riflessi interni, propiziano un più aperto dialogo tra le culture politiche. Partiti e coalizioni si raccolgono meno a partire da opzioni filosofiche o religiose (appannaggio delle coscienze) e più intorno a proposte-programmi di governo e a valori politici cui essi fanno rimando.Da ultimo, al fine di assicurare un raccordo tra etica e politica, è chiamata in causa la coscienza personale e collettiva, l’ethos della comunità. Qui più che la politica sono chiamate in causa le agenzie culturali ed educative. Forgiare persone e comunità eticamente strutturate è sfida decisiva, specie nei regimi democratici, ove la politica attinge risorse etiche e virtù civili da ciò che la precede e la trascende. Ce lo richiama la “Octogesima Adveniens” di Paolo VI: “Non spetta né allo Stato né ai partiti politici, che sarebbero chiusi su se stessi, di tentare di imporre una ideologia con mezzi che sboccherebbero nella dittatura degli spiriti, la peggiore di tutte. È compito dei raggruppamenti culturali e religiosi, nella libertà di adesione che essi presuppongono, di sviluppare nel corpo sociale, in maniera disinteressata e per le vie loro proprie, le convinzioni ultime sulla natura, l’origine e il fine dell’uomo e della società” (n. 25).Ma resto convinto che per dare tono morale alla politica l’educazione, la predicazione, l’esempio, pur decisivi, non bastano. Si richiede una gamma di impegni di cui qui ho solo fornito un’ esemplificativo indice, ispirato a un’idea-forza: leggi, istituzioni, partiti, società, ciascuno deve fare tutta intera la propria parte, corrispondere al finalismo suo proprio, al senso-valore che gli compete nell’ordine della creazione. In coerenza con il principio dell’autonomia della politica e della laicità delle istituzioni. La cui eticità sta, appunto, nell’essere ciò che devono essere: un servizio volto all’edificazione della città dell’uomo a misura d’uomo, secondo la definizione di politica cara a Giuseppe Lazzati.

Franco Monaco

da Rivista Servire/gennaio-marzo 2006

Letto 2283 volte Ultima modifica il Giovedì, 26 Aprile 2012 18:14

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