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Sabato, 28 Aprile 2012 15:10

«Salvare le cooperative che salvano l’Europa»?

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È un fatto, l’Europa tecnocratica e del rigore fatica a riconoscere il movimento cooperativo.

 

Che sarebbe invece una risorsa importante per risolvere il problema numero uno nel Vecchio continente, quello occupazionale, e dare una spinta per uscire dalla crisi con l’inossidabile formula del mutualismo, ovvero meno profitti per salvare i posti di lavoro. Le coop nel mondo contano 800 milioni di soci, 110 nell’Ue.
Si stanno mettendo in mostra in questi giorni a Venezia, che ospita la conferenza internazionale «Promuovere la comprensione delle cooperative per un mondo migliore» promossa dall’istituto Euricse, da International cooperatives alliance e dall’Alleanza delle cooperative italiane nell’anno dedicato dall’Onu a questa forma di economia sociale, sostenibile e democratica. Che resiste tra mille difficoltà, a partire dalla stretta creditizia cui, nel Belpaese, si sommano i ritardi dei pagamenti della pubblica amministrazione. Senza contare gli ostacoli creati alle Banche cooperative dalle nuove norme anti speculative pensate per i grandi istituti di credito transnazionali dopo la crisi del 2008.
In Italia il settore impiega 1.300.000 addetti con  45000 imprese e 12 milioni di soci.
«Per ora teniamo, pesiamo per il 7,7% sul Pil nazionale – spiega Luigi Marino, presidente di Confcooperative e dell’Alleanza delle cooperative italiane – contro il 2,6 di 10 anni fa, periodo in cui l’Italia ha avuto una crescita modesta. Come abbiamo fatto? Portando avanti l’impresa mutualistica e accettando una redditività minore. Certo, la crisi tocca anche noi, soprattutto dal punto di vista del credito. Ma a differenza di altri a noi serve manodopera giovane, quindi regole certe sull’apprendistato. Urge che il governo chiuda la partita sul mercato del lavoro».
In tutta Europa fioccano ricorsi contro gli aiuti di Stato, ovvero gli sgravi fiscali a imprese cooperative, segnale non positivo. «Ma una sentenza della corte di giustizia di Lussemburgo – ribatte Marino – ha sottolineato come le coop operino nell’interesse economico dei loro soci e intrattengano con questi ultimi una relazione non puramente commerciale, bensì personale. Insomma un passo avanti per affermare che il valore delle cooperative sta sempre nella forte interpretazione dell’impresa mutualistica».
Però solo sotto la presidenza di Romano Prodi la Commissione di Bruxelles promosse lo Statuto dell’impresa cooperativa, atto finora senza seguito. «Eppure per fare fronte alla crisi economica e sociale – afferma l’ex premier – in futuro si dovrà chiedere aiuto al mondo cooperativo. Non solo nei servizi sociali, ma anche nella riorganizzazione del lavoro, ispirandosi al suo modello diverso. Le coop battono la crisi grazie alla flessibilità derivante dal mutualismo».
Per Prodi, però, «l’inclusività del sistema cooperativo si scontra con il dramma della mancanza di risposte e coraggio della leadership politica europea». Le cooperative fanno paura ai leader?
«In tempo di crisi – risponde il professore bolognese – ogni novità terrorizza i politici. C’è poi un fattore culturale. Le cooperative nascono soprattutto dall’esperienza cattolica in Germania e nel Nord Italia, quindi dall’economia sociale di mercato, modello che il resto d’Europa fatica ad accettare. I paesi ex comunisti non ne vogliono sentir parlare e nel Regno Unito le banche di credito cooperativo sono fuorilegge».
Storicamente la forma di cooperazione che ha avuto più successo è quella degli utenti. «Credito, assicurazione, consumo – spiega la storica Vera Zamagni – perché offrono cose che il capitalismo non offre. Oggi impedisce lo sviluppo di questa forma d’impresa l’appiattimento del dibattito sulla dicotomia tra pubblico, inteso come statale, e privato inteso come capitale. Ci sono le vie della sussidiarietà, come appunto la cooperazione che e privata e non mira al profitto».
Infine per l’economista del non profit Stefano Zamagni, istituzioni e scienza economica continuano a snobbare la cooperazione. «Lo vediamo a livello di Banche centrali, di Commissione di Bruxelles. Il problema è che in economia l’unico indicatore resta l’efficienza, non l’etica. Oggi le cooperative non devono difendere interessi di gruppo, ma farsi carico delle sfide del bene comune».

Paolo Lambruschi

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