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Sabato, 26 Giugno 2004 10:54

Cammino verso il perdono (Marie Romanens)

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Le religioni incoraggiano il perdono. Desiderarlo e realizzarlo, non può che essere positivo. Ma il rischio che si corre è di accelerare troppo il processo, saltando le tappe attraverso le quali è indispensabile passare.

Jacqueline, durante tutta la sua infanzia, era stata umiliata dai fratelli maggiori, che non avevano fatto altro che ridere di lei, della sua ingenuità e delle sue manchevolezze che erano dovute esclusivamente alla sua giovane età. Il rapporto poi, del tutto particolare che aveva avuto con il padre che idolatrava, aveva contribuito a segnarla profondamente. Fino alla morte di lui, Jacqueline era stata la sua "stampella". dedicandosi a lui in tutto e per tutto, anche nelle minime cose senza rendersi conto di essere rinchiusa in una prigione. Molto più tardi, quando ha potuto rendersi conto che la causa dei fallimenti della sua vita di donna risaliva ai rapporti con gli uomini della sua famiglia, si è sentita invadere da una rabbia immensa. Provava rancore nei confronti dei fratelli che l’avevano sbeffeggiata, e verso il padre che l’aveva utilizzata. Un giorno in cui non ne poteva più, cercò l’aiuto di un sacerdote, confidandosi con lui. Ma la risposta che ottenne, non fece che aumentare la sua irritazione, perché il suo interlocutore non trovò niente di meglio da dirle che: "Come, dopo tanti anni, lei serba ancora rancore, non è riuscita a perdonare?".

Un altro caso: Nicole aveva seguito un corso di sciamanesimo, prendendo parte a vari rituali. Uno tra essi, aveva lo scopo di simbolizzare il perdono che i partecipanti decidevano di accordare a tutti coloro che li avevano feriti. Nicole aveva recitato il suo ruolo, ma alcuni giorni dopo, ebbe una reazione violenta: "Durante la mia infanzia ho dovuto subire cose molto dure e mi rendo conto oggi, che conservo dentro di me una rabbia immensa, e che non sono per nulla pronta a perdonare. Sarebbe falso farlo ora, considerando ciò di cui ho veramente bisogno: far esplodere fuori di me, per prima cosa, la mia collera".

Le religioni incoraggiano il perdono. Desiderarlo e realizzarlo, non può che essere positivo. Ma il rischio che si corre è di accelerare troppo il processo, saltando le tappe attraverso le quali è indispensabile passare. Si perviene allora ad un perdono illusorio, fittizio, di superficie. Capita a volte di sentir dire: "I miei genitori non mi hanno certo trattato bene, ma ora, tutto è passato, ho perdonato". Queste parole, sono segno di una contraddizione, poiché, quando si è veramente in pace con coloro che ci hanno fatto dei torti, non vi è certamente bisogno di proclamarlo!

Il processo attraverso il quale si giunge al vero perdono, è lungo e doloroso, e spesso non si riesce ad arrivare alla fine del cammino, a causa della gravità delle offese subite. É il caso sia del bambino che è stato costretto a sopportare una situazione di abbandono, poiché non ha avuto nemmeno il minimo richiesto per lo sviluppo armonico del suo essere. sia delle persone adulte che si sono trovate in situazioni di fragilità estrema, a causa di condizioni di oppressione(torture, campi di sterminio, ecc. ).

Nel più profondo della psiche, nelle zone più arcaiche della sua struttura, esiste un neonato inerme, completamente vulnerabile che, per proteggere la sua stessa esistenza e per sopravvivere, non ha che da ricorrere a meccanismi bruti di difesa. Tali meccanismi si pongono in termini di vita o di morte, di tutto o di niente. Quando poi l’ambiente è particolarmente sfavorevole, l’essere umano non ha altra risorsa che dare l’avvio ad un processo che lo deve portare all’affermazione di sé a tutti i costi. Per evitare il rischio dell’ annientamento totale, ha bisogno assoluto di credersi il padrone della situazione. La realizzazione di questa esigenza, può portare a due attitudini diverse: da un lato, l’individuo fa pesare tutta la colpa sull’altro, lo accusa, con un rancore che non ha tregua, del male subito e resta così aggrappato alla sua posizione di vittima. Nell’altro caso, al contrario, assume su di sé tutte le responsabilità del male accaduto, tutti i torti, colpevolizzando solo se stesso e liberando gli altri da ogni responsabilità In queste condizioni, si capisce che il perdono esige niente di meno che rendersi capaci di tuffarsi nell’abisso della propria impotenza, affrontare il pericolo dell’ annichilimento, la sofferenza nuova che da ciò deriva e la vecchia che si è risvegliata. In questa fase, viene fuori con violenza la rabbia. Essa chiede di essere sentita in tutta la sua intensità, esige che si accetti la perdita dell’immagine favorevole di sé che si ricerca, qualunque sia la posizione adottata, di vittima o di colpevole. Mentre si prende coscienza di questa violenza che viene dal profondo, emerge in superficie un sentimento di commiserazione verso se stessi, ci si percepisce come esseri maltrattati. Contemporaneamente, si fa strada la compassione per l’altro, e si capisce che anche lui è un essere maltrattato, prigioniero delle sue difese. Allora, ma solo a questo momento, il perdono può finalmente arrivare

Marie Romanens

(Tradotto e adattato da M. Grazia Hamerl da Actualité des Religions n°49)
 

Letto 2587 volte Ultima modifica il Lunedì, 24 Febbraio 2014 17:24

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