I Colori della Speranza

Attenzione

JUser: :_load: non è stato possibile caricare l'utente con ID: 85

Mercoledì, 21 Marzo 2012 14:39

La Speranza cristiana (Filippo Simone Zinelli)

Vota questo articolo
(4 Voti)

La Speranza cristiana

È impossibile vivere senza sperare. O quantomeno sarebbe difficile, se non impossibile, cogliere pienamente il senso della propria esistenza e la ragione per cui si nasce se non si spera in qualcuno o in qualcosa. Certo, già qui ci si potrebbe chiedere perché la speranza si dimostri essenziale per l’essere umano: che cos’è? Da dove viene? Quali sono le sue fondamenta?

Un’analisi etimologica potrebbe essere utile per introdurre l’argomentazione, che si intende proseguire attraverso dei riferimenti alle Sacre Scritture per svelare le radici teologiche della speranza. Ma ancora di più si intende dare un punto di vista personale alla definizione del concetto perché ciò di cui si scrive è stato innanzitutto esperito.  

Speranza, sperantia, come dicevano i nostri padri latini, è l’attesa fiduciosa di un futuro positivo e, in particolare, che si realizzi qualcosa che si desidera; è anche ciò che costituisce l’oggetto della speranza o, ancora, una cosa o una persona in cui si spera o si aveva sperato.

“La speranza è la virtù teologale per la quale noi desideriamo e aspettiamo da Dio la vita eterna come nostra felicità, riponendo la fiducia nelle promesse di Cristo e appoggiandoci all’aiuto della grazia dello Spirito Santo per meritarla e perseverare sino alla fine della vita terrena”. (Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica 387)

Non solo. “La speranza attende fiduciosamente la beata visione di Dio e il suo aiuto, evitando la disperazione e la presunzione”. (Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica 442)

Quindi la speranza è definita come l’attesa di qualcosa di bello, di desiderabile, ma è anche qualcosa in più: è una persona o qualcosa in cui si spera, cioè essa è caratterizzata da un tratto singolare, ovvero l’essere una realtà definibile concretamente. Il Catechismo della Chiesa Cattolica, in modo chiaro ed inequivocabile, ci offre la spiegazione della Speranza con la S maiuscola, la speranza prima ed ultima alla quale siamo chiamati: la Vita Eterna, pienezza assoluta, promessa da Cristo e donata da Dio, alla quale ci conduce lo Spirito Santo che ci accompagna lungo il pellegrinaggio terreno. Al di fuori di questo la disperazione, nelle forme più varie, dalle più superficiali ed impercettibili a quelle più profonde e manifeste.

Giunti a questo punto, il mio desiderio più intimo è quello di far cogliere, a coloro che dedicano del tempo alla lettura di questo articolo, quale sia il significato vero di speranza ma soprattutto rispondere alla domanda: tutti possono sperare? Ebbene credo che questa sia la questione principale per non andare alla deriva, formulando ipotesi che vedono possibile lo sperare soltanto nelle persone particolarmente ottimiste oppure dalla vita facile nella quale tutto è possibile.

No, non è così. Non è una questione caratteriale, non è un fatto determinato dall’indole o dall’istinto, dalla famiglia di provenienza o dal ceto sociale, è un qualcosa alla portata di tutti, universale. Se non fosse così, d’altra parte, saremmo in mano al greco fato, inermi, succubi, prigionieri. “A chi tocca nun se ‘ngrugna”, si dice a Roma. A me sì, a te no. Beh, non è affatto così. La Parola di Vita e di Speranza è per tutti, e tutti possono mettersi in gioco. Non ci sono restrizioni, vincoli, regole, status. È sufficiente aprirsi alla Parola.

La domanda, a questo punto, sorge spontanea, diceva un celebre e capace giornalista qualche anno fa: aprirsi al Vangelo? Quale credibilità ha questa Parola? Possiamo essere certi che la nostra felicità più grande sia la vita eterna donata da Dio? Perché i discorsi, le predicazioni, le promesse di Gesù sono credibili? E siamo sicuri che lo Spirito Santo ci guidi lungo il nostro cammino?

Si considerino le questioni una per volta. Le nostre vite sono piene di promesse: i nostri politici ci promettono cose che non manterranno o che non sono il vero bene del Paese, la pubblicità ci promette di essere più felici con un panno da spolvero all’avanguardia, le compagnie telefoniche ci promettono abbonamenti vantaggiosissimi (ci stiamo impoverendo a causa di queste offerte imperdibili). Ma perché la politica e la pubblicità sono ormai diventate una lotta, non di programmi o di prodotti validi, ma di pubblicitari e uffici stampa? Perché non sono credibili. Le promesse non vengono mantenute e quindi nessuno ci crede più. Ma quando si avvicinano le elezioni o viene lanciato un prodotto nuovo bisogna rimboccarsi le maniche per avere la poltrona o vendere cinquecentomila utilissime confezioni di crema antirughe pubblicizzate su ragazze ventenni. E possono raggiungere il loro obiettivo soltanto mettendoci del fumo negli occhi.

Così la speranza, giorno dopo giorno, cala inesorabilmente. E poi la crisi economica mondiale, la disoccupazione giovanile, i matrimoni che vanno a rotoli, la crisi della natalità, la delinquenza nelle nostre città, i nostri anziani abbandonati dai familiari dopo una vita di sacrifici per far crescere dignitosamente coloro i quali ora si scocciano di dedicare un po’ di tempo a chi gli ha dedicato una vita intera; per non parlare della crisi di valori, l’aborto, l’eutanasia, la scienza impazzita adulatrice di sé stessa come neanche il Narciso dei tempi migliori avrebbe saputo fare.

E allora, si può sperare? Mi capita ancora alcune volte di essere a pranzo fuori con mia madre e di leggere sul menù il nome di una pietanza che non ho mai mangiato e di cui non conosco il sapore. Mi viene spontaneo, in quei momenti, rivolgermi a lei e chiederle se tale cibo possa incontrare il mio gusto o meno. Perché chiederlo a lei? La risposta è scontata ed ovvia. Innanzitutto perché mi conosce bene, e questa è già una garanzia. E poi, dopo quasi ventotto anni, i fatti, gli eventi, i gesti concreti hanno fatto calare in me la consapevolezza che tutto quello che mi madre mi ha detto, consigliato, sconsigliato e promesso, si è avverato. Da ciò nasce la mia speranza che quello che lei mi dice si avveri: dal fatto che concretamente le sue parole in passato si sono realizzate, i suoi consigli non sono stati futili, le sue promesse mai venute meno.

Mi posso fidare solo di chi può mostrarmi che le sue parole si sono tramutate in fatti concreti.

Fatti, non parole. E allora si può sperare. L’esempio del ristorante, al quale accennavo sopra, a mio avviso ci introduce nella logica della speranza, che nasce da una parola, da una promessa, passa attraverso la nostra scelta di crederci e culmina nel suo avverarsi. La bellezza di tutto questo sta nel fatto che il nostro “compito” di credere e affidarci è reso più semplice dal fatto che chi ci promette qualcosa, e quindi genera una nostra speranza, si è già dimostrato credibile o no.

Quindi la speranza cristiana dove nasce?

«Dio allora pronunciò tutte queste parole: “Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla condizione di schiavitù: non avrai altri dèi di fronte a me”». Questo è il primo comandamento che Nostro Signore ha voluto dare a Mosè sul monte Sinai (Es 20, 1-3). Ciò che più colpisce è che il Signore quando si mette in relazione con noi lo fa sempre con un estremo tatto ed affetto, perché sa benissimo chi siamo e ci conosce alla perfezione. Intuisce che parlare a Mosè affidando a lui e a tutto il Popolo di Israele i Dieci Comandamenti poteva trovare la riluttanza da parte dei destinatari a fare qualcosa che Qualcuno diceva loro. Ma il Signore vuole assicurare a Mosè che ciò che gli sta affidando è per il bene di tutto il Popolo e per farglielo capire è come se gli dicesse “Mosè non temere! Io, che ti parlo ora e ti affido questo Decalogo, sono lo stesso Dio che ti ha liberato dalla secolare schiavitù in Egitto! Io ti sono stato sempre accanto, ti ho pensato, ti ho amato e ti ho fatto riacquistare la libertà!”. Così la speranza di Mosè nel Decalogo e nella Terra promessa è fondata sul sapere che chi gli ha promesso tutto questo ha già agito in suo favore ed è quindi realmente credibile.

Questo è successo molto tempo fa ma nel corso dei secoli la speranza nelle promesse (mantenute) da Nostro Signore ha quotidianamente trovato posto nella vita degli uomini di tutta la Terra. Duemila anni fa, quando Gesù Cristo girava in lungo e in largo per predicare, era un continuo promettere e mantenere. «Gesù andava attorno per tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe e predicando la buona novella del regno e curando ogni sorta di malattie e infermità nel popolo. La sua fama si sparse per tutta la Siria e così condussero a lui tutti i malati, tormentati da varie malattie e dolori, indemoniati, epilettici e paralitici, ed egli li guariva». ( Mt 4, 23-24). La speranza di chi Lo cercava e di chi Lo invocava da cosa nasceva? Dal fatto che le sue parole erano credibili, che le persone testimoniavano che Gesù realizzava sempre ciò che prometteva. Gli esempi sono davvero tanti e vale la pena citarne almeno alcuni: la guarigione di un lebbroso (Mt 8, 1-4), del servo del centurione (Mt 8, 5-13), di una donna affetta da emorragia (Mt 9, 20-22), di due ciechi (Mt 9, 27-31), di un infermo alla piscina di Betzaetà (Gv 5, 1-9). Gesù stesso nel Vangelo di Giovanni (5, 36) dice “(…) le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato.” Quindi, ancora una volta, abbiamo la possibilità di comprendere come la credibilità di ciò che Gesù dice e promette sia garantita dalla realizzazione di tutto questo concretamente.

La speranza cristiana che ci anima, inoltre, è quella che ci fa credere nelle parole del Messia quando dice “(…) In verità vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi a causa mia e a causa del vangelo, che non riceva già al presente cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni e nel futuro la vita eterna.” (Mc 10, 29-30). La sua promessa per ciò che avverrà in futuro nella vita eterna è anticipata, ancora una volta, da un qualcosa di concreto ed immediato. D’altra parte ognuno di noi, analizzando profondamente la propria vita, sicuramente può trovare cosa nel presente sia cento volte tanto in case, fratelli, sorelle, madri, figli, campi e persecuzioni.

Le promesse che Gesù Cristo ci fa, in merito alla nostra vita spirituale, alla nostra vocazione, alla nostra realizzazione personale, all’investimento dei nostri talenti, alla scelta della propria professione, al trovare la persona con la quale condividere una vita insieme, sono reali e credibili. Non dobbiamo mai stancarci di credere che si realizzeranno, e quando nella nostra esperienza personale non riusciamo a scorgere eventi che ci danno la sicurezza che tutto questo ci è promesso da Qualcuno che è davvero credibile, apriamo gli orizzonti del nostro cuore e dei nostri occhi e cerchiamo di leggere nella vita delle persone che ci stanno intorno se in loro queste promesse si sono realizzate per riprendere coraggio e fiducia e ritrovare la certezza che arriverà anche il nostro momento.

Personalmente posso dire che osservando gli altri e lasciandomi aiutare da un padre spirituale sono riuscito a leggere gli eventi della mia via tenendo come riferimento quella delle persone più care, riuscendo così a scoprire che se c’è un progetto per loro, allora ne esiste uno anche per me. E così è avvenuto: dopo aver scoperto la presenza del Signore nella mia vita, ho chiesto a Lui una luce sulla scelta lavorativa e sulla persona da avere accanto. Sono serviti tempo, fatica, dubbi, paure, incertezze, ma alla fine le risposte sono arrivate. E nonostante le irrinunciabili difficoltà quotidiane, ho trovato la gioia nella mia vita.

In ultima analisi, la speranza cristiana, con la “S” maiuscola, alla quale tutti aneliamo è animata dalla promessa, con la “P” maiuscola, che Gesù Cristo ci fa a proposito della Sua e nostra Resurrezione. Ed è qui che in modo inequivocabile Nostro Signore diventa credibile. Quando nel vangelo leggiamo «Passato il sabato, all'alba del primo giorno della settimana, Maria di Màgdala e l'altra Maria andarono a visitare il sepolcro. Ed ecco che vi fu un gran terremoto: un angelo del Signore, sceso dal cielo, si accostò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa. Il suo aspetto era come la folgore e il suo vestito bianco come la neve. Per lo spavento che ebbero di lui le guardie tremarono tramortite. Ma l'angelo disse alle donne: “Non abbiate paura, voi! So che cercate Gesù il crocifisso. Non è qui. E' risorto, come aveva detto; venite a vedere il luogo dove era deposto”. Presto, andate a dire ai suoi discepoli: “È risuscitato dai morti, e ora vi precede in Galilea; là lo vedrete. Ecco, io ve l'ho detto”». (Mt 28, 1-7). All’affermazione dell’angelo “È risorto, come aveva detto”, credo che sia impossibile non emozionarsi. L’aveva detto e lo ha fatto: aveva predicato la resurrezione, la Sua e la nostra, e così è stato. Le parole dell’angelo sono talmente semplici e spontanee che sembrano messe in bocca ad un bambino che racconta di una promessa fattagli (e mantenuta) dai propri genitori, di cui si fida incondizionatamente.

E infine le parole di speranza del Maestro: “Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l'avrei detto. Io vado a prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io. E del luogo dove io vado, voi conoscete la via.” (Gv 14, 1-4)

 

Filippo Simone Zinelli

titolare dello studio legale Persona e Giustizia

operatore presso il Centro d'Ascolto Mamre - Roma

Letto 72926 volte Ultima modifica il Venerdì, 27 Aprile 2012 10:07

Search