Gli scambi sono sempre più possibili fra cristiani e buddisti. La conseguenza non è necessariamente una conversione, ma più spesso l'opportunità di vivificare la fede nella propria tradizione di origine.
Cristianesimo e buddismo offrono due vie universali di salvezza caratterizzate da un potente altruismo. Fino a dove arrivano le loro affinità e quali sono le loro incompatibilità?
“Buddha è l’ultimo genio religioso dell’umanità con il quale il cristianesimo dovrà confrontarsi”, affermava poco più di mezzo secolo fa il teologo cattolico Romano Guardini.
Idea chiave del buddismo è che tutti gli esseri viventi sono imprigionati in un ciclo infinito di reincarnazioni; il continuo nascere-e-morire è sperimentato come sofferenza; da qui lo scopo di questa religione: liberare l'uomo da tale ciclo di rinascite, culminante nell'“illuminazione”.
Se per il Buddha Shakyamuni, il nirvana è al di là di ogni concetto, dunque di ogni formulazione, le dispute interne hanno sempre animato gli ambienti religiosi. Allora, liberazione spirituale, totale, più ampia, più globale, o più ristretta?
Le origini del buddismo in Tibet risalgono addirittura a imprecisate epoche della preistoria, tanto da poter ipotizzare di trovarci di fronte alla più antica tra tutte le religioni mondiali tuttora praticate. La grande consapevolezza dei poteri della mente, tipica del buddismo tibetano, e la carismatica figura del Dalai Lama, sua massima autorità, rende attualissima questa religione. Le famose esperienze di “premorte”.
Per noi occidentali il Buddismo si presenta come un mondo difficile e complesso.
Tuttavia il Buddismo può avere una grande rilevanza per il nostro occidente che sta cercando di recuperare i valori della meditazione, della contemplazione, ma ancora poco la pratica di un’etica rigorosa.
Il Buddismo presenta delle ottime condizioni per un impegno morale e per una convivenza umana, in armonia e solidarietà con tutte le creature viventi e con il mondo naturale.