Ecumene

Domenica, 10 Luglio 2005 19:32

Chiesa e Islam in Italia (Giovanni Paolo Tasini)

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Chiesa e Islam in Italia
di Giovanni Paolo Tasini


 


La presenza mussulmana in Italia è destinata a crescere in modo rilevante. Essa, motivata essenzialmente da ragioni economiche e dalla ricerca di un lavoro, è fonte di un dibattito non solo a livello politico (con le conseguenti scelte legislative) ma anche all’interno delle comunità ecclesiali. La preoccupazione è quella del mantenimento dell’identità cristiana dei popoli europei e del carattere cristiano dei valori dell’Europa e della sua cultura.

Il dibattito sulla presenza mussulmana in Italia, sul significato e le caratteristiche di questa presenza, sui problemi che essa apre e sempre più aprirà per la società italiana, è ormai uscito dal gruppo ristretto di pochi interessati e sta diventando un dibattito pubblico destinato a coinvolgere e a dividere i diversi ambienti, civili e religiosi, del nostro paese.

Nel panorama plurale della comunità mussulmana in Italia emerge la minoranza "islamista", molto attiva e sostenuta da alcuni paesi mussulmani, che dà vita ad associazioni, moschee, sale di preghiera, istituti culturali, ecc.

Gli "islamisti" rifiutano una concezione privatizzata della religione, si propongono come rappresentanti della comunità mussulmana presso lo Stato italiano, e il loro obiettivo principale, nei paesi mussulmani come in Europa, è quello di "reislamizzare" i mussulmani, riportarli cioè alla "fede autentica", all’Islam originario, in cui la sharìa, la legge di ispirazione religiosa, domina tutta la vita, privata e pubblica, religiosa e politica, della comunità mussulmana.

La situazione in Italia e la posizione ecclesiale

A motivo della massiccia e inevitabile immigrazione mussulmana (la demografia, il mercato del lavoro e la posizione geopolitica dell’Italia rendono non evitabile l’immigrazione dei paesi mussulmani che si affacciano sulla sponda meridionale del Mediterraneo) la presenza mussulmana in Italia è destinata a crescere in modo rilevante, a organizzarsi sempre più, e a porre in modo sempre più visibile le questioni relative alla propria identità.

Di fronte a questa prospettiva, e nel quadro dell’attuale contesto internazionale, anche i rappresentanti della Chiesa italiana hanno iniziato ad esprimersi. (Per una panoramica dell’Islam in Italia e una discussione delle principali posizioni nella società e nella Chiesa italiana si veda: R. GUOLO, Xenofobi e xenofili, Laterza 2003).

Se è vero che dalla metà degli anni Ottanta alla metà degli anni Novanta, il rapporto della Chiesa con l’immigrazione è stato guidato da organizzazioni come Caritas e Migrantes, e che da queste gli immigranti mussulmani sono stati guardati – alla stregua degli altri immigrati – come "fratelli" e bisognosi, tuttavia una parte significativa del corpo ecclesiale non condivideva questa linea di apertura e di dialogo verso i mussulmani.

Il dissenso verso la linea del dialogo, proveniente dall’ala del clero più tradizionalista e dai vescovi più legati all’idea di cristianità come tradizione europea, ha trovato negli ultimi anni espressione in alcune voci autorevoli dell’episcopato italiano.

Pur nella diversità dei giudizi e delle posizioni, si può forse dire che buona parte delle argomentazioni gira attorno all’idea dell’identità cristiana della società europea e del carattere cristiano dei valori e della cultura dell’Europa.

Questa insistenza sullo stretto legame fra l’identità cristiana e l’identità dell’Europa o dell’Occidente avviene nel momento storico nel quale da un lato il "modello di cristianità", in crisi da almeno due secoli, è in piena dissoluzione; dall’altro, l’"Occidente cristiano" affronta con la forza delle armi la protesta del mondo povero e in particolare la sfida del mondo mussulmano.

L’insistenza sull’identità cristiana rischia perciò di essere sempre più una insistenza sull’Occidente e i suoi valori e la sua cultura: la cui difesa, quindi, diverrebbe al contempo anche la difesa della Chiesa e della fede cristiana.

Quanto il discorso sull’identità cristiana possa essere problematico lo si vede se si allarga lo sguardo al di là dell’Europa e dell’Occidente, e si considera la crisi delle missioni della Chiesa nel mondo, particolarmente nelle aree mussulmane del mondo e nella grande Asia.

Cristianesimo o cristianità? Un dibattito antico e sempre nuovo...

Si tratta di una crisi che non è spiegabile soltanto come l’effetto di un "calo o mancanza di fede" all’interno della Chiesa – come da alcune parti si va ripetendo.

Essa fa parte di quella crisi epocale nella storia della Chiesa che si ha ormai la consuetudine di chiamare fine della "cristianità" o del "modello di cristianità".

Proprio le missioni sono la verifica più importante di questa crisi; proprio là diventa evidente la problematicità dell’identificazione o dell’insistenza sullo stretto legame fra identità cristiana e cultura europea o occidentale.

I cristiani pakistani uccisi dalla Messa domenicale nell’imminenza dell’intervento anglo-americano in Afganistan, sono stati uccisi indubbiamente perché cristiani: ma chi li ha uccisi, li ha uccisi perché cristiani, o li ha uccisi perché – essendo cristiani – potevano rappresentare per lui l’"Occidente cristiano"?

Uno sguardo più universale sulla Chiesa mostrerebbe alle Chiese di Europa che esse hanno bisogno di ripensare a fondo il modo di concepire la propria presenza nella società della futura Europa multi-etnica e multi-religiosa: invece di insistere sul legame fra identità cristiana e cultura europea, invece di vagheggiare un’ "Europa cristiana" che non ci sarà, le comunità ecclesiali europee hanno bisogno di educarsi a distinguere la propria appartenenza alla cultura europea dall’appartenenza al Corpo del Cristo, appartenenza per sua natura universale, e che non può coincidere con alcun popolo e alcuna cultura.

La fine della "Cristianità" non è la fine della Chiesa: e la prevedibile futura condizione di "minorità", un’effettiva "marginalità storica", potrà aiutare la Chiesa a comprendere e ad esprimere in modo rinnovato la sua natura più profonda, che è una natura essenziale anti-identitaria o sovra-identitaria:
"dove non c’è greco e giudeo, circoncisione e incirconcisione, barbaro, Scita, schiavo, libero, ma tutto e in tutti Cristo" (Col 3,11).

A partire da una simile prospettiva, a un tempo liberante e capace di guardare al futuro con realismo e speranza evangelica, si comprende quanto siano equivoche le varie "guerre dei crocifissi" che già si manifestano nel nostro paese; o quanto sia improprio, dal punto di vista cristiano da parte della Chiesa, invocare un principio di reciprocità rispetto ai paesi mussulmani: cadendo oltre tutto in un doppio paradosso: quello di presupporre una larga coincidenza fra Chiesa e società europea, che oggi più non esiste e sempre meno esisterà; e quello di pensare che uno Stato, laico per definizione, dovrebbe o potrebbe svolgere un tipo di funzione corrispettiva a quella che nei paesi mussulmani svolge lo Stato, che per definizione è uno Stato mussulmano.

Infine, l’acquisizione da parte delle comunità ecclesiali di un senso profondo, purificato e sovra-identitario della natura della Chiesa è condizione indispensabile sia per il dialogo che per la testimonianza nei confronti della comunità mussulmana.

Se è vero che coloro che criticano l’apertura e il dialogo con il mondo mussulmano possono cogliere effettive ingenuità e impreparazione in chi conduce il dialogo, è ancor più vero che è necessaria una radicale purificazione e riformulazione del senso dell’identità cristiana, da essi tanto insistentemente sottolineata.



Letto 2605 volte Ultima modifica il Mercoledì, 07 Dicembre 2005 00:57
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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