Il suicidio
di Maria Domenica Ferrari
“Dio è il creatore, la vita è un suo dono e nessuno ha il diritto di interromperla. Il suicidio è proibito nell'islam”.
Nel Corano non ci sono passaggi che proibiscono formalmente il suicidio e i versetti che spesso sono citati a tale riguardo (IV 29; II 85) in realtà esprimono un senso di reciprocità (1).
La parola araba usata: intihâr significa uccidersi sgozzandosi; col tempo si è estesa a tutti i tipi di suicidio e con questo senso è usato in arabo moderno, turco e persiano.
Gli hadîth riportano la condanna di Muhammad: il suicida sarà escluso dal Paradiso e all'Inferno avrà come castigo la ripetizione del suo gesto (2). Muhammad inoltre avrebbe rifiutato di pronunciare le orazioni funebri per un suicida.
Per questo motivo dal punto di vista giuridico i dotti musulmani dovettero esprimersi in caso di suicidio sull'ammissibilità delle preghiere funebri, e l'opinione più caritatevole fu quella che prevalse.
Il suicidio è considerato un peccato grave, talvolta è sentito più dell'omicidio.
I problemi coniugali sono poco presenti come motivo di suicidio, non si sa se per mancaza di informazioni o per il clima sociale. Vero è che un suicidio nella vita di tutti i giorni era ed è camuffato per non farlo apparire tale.
Dall'analisi delle fonti storiche a disposizione pare che il numero sia stato scarso.
Nei paesi musulmani, tranne Giordania e Turchia, non vengono riportati nelle statistiche i dati relativi al numero dei suicidi.
La sensazione, però, è che nell'ultimo decennio il numero sia aumentato tra i musulmani che vivono in paesi non-musulmani come Gran Bretagna e Nord America.
La riprobazione che accompagna questo gesto, tuttavia, non fa del suicidio un argomento proibito, nelle fonti storiche e in letteratura è presente.
L'intenzione di suicidarsi può essere usata come arma psicologica come dal celebre sûfî Abû al-yasan al-Nûri per costrigere Dio a confermare la sua santità con un piccolo miracolo, il fatto provocò la forte riprovazione di al-Junayd (3).
In senso figurato è molto usato per indicare comportamenti volontari che espongono al pericolo come nel caso di una guerra o di digiuno. Sotto forma di metafora indica uno sforzo straordinario.
Talvolta sono citati i suicidi dell'epoca pre-islamica più celebri come re Saul, Giuda Iscariota, Cleopatra. Il costume indiano del sacrificio delle vedove è visto come una propensione di questo popolo.
I casi di non-musulmani che per rimanere fedeli alle proprie opinioni scelgono il suicidio sono riportati tra il disgusto e l'ammirazione.
Nelle opere di adab (4) è la “giusta” conclusione di una storia d'amore non corrisposta o illecita. Nel romanzo Vìs u-Râmîn (5) per l'eroina è naturale giungere al suicidio.
Il sostrato filosofico-popolare ellenico aiutò l'accettazione dell'idea che la morte è preferibile a una vita senza amore o insopportabile, opinione inconcepibile per i dotti musulmani.
Nella seconda parte dell'articolo verrà trattato il concetto di martirio nell'Islam e il rapporto tra martirio e suicidio.
Note
(1) Bausani, traduce “ non uccidersi” ma mette in nota che dal contesto sarebbe più esatto tradurre “non uccidetevi tra voi”. I commentatori musulmani accettano entrambe. La traduzione francese di D. Masson sceglie la seconda e non parla della prima possibilità.
(2) Bukhârî Sahih, hadîth 2245-2246(3) Celebri sûfî al-Nûri (m. 907) Junayd (m.910) fu maestro di Hallâg; quasi tutte le confraternite lo includono nella loro catena di origine.
(4) Genere letterario adab è una parola che indica buone maniere, raffinatezza di pensiero, buon gusto. Testi tipici sono i manuali destinati all'educazione dei giovani di ceto elevato.
(5)
Primo poema cortese della letteratura persiana di circa 9000 versi scritto da Gurgâni (m. 1055 circa), godette di ampia popolarità influenzando l'epica cavalleresca giorgiana. Assomiglia al romanzo Tristano e Isotta.