Ecumene

Domenica, 29 Ottobre 2006 15:32

Santificazione e deificazione (da uno studio di Pavel Evdokimov)

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Santificazione e deificazione *






“Il Signore Gesù Cristo trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che ha di sottomettere a sé tutte le cose” (Fil 3,21). Ciò comporta da una parte di stare “saldi nel Signore così come avete imparato” (ibidem, 4,1) e dall’altra che i credenti dimentichi del passato e protesi verso il futuro corrano “verso la meta per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere in Cristo Gesù” (ibidem, 3,14). E tutto ciò non in una fuga utopica, ma nella pesante esperienza del quotidiano, fatto di tentazione, di morte e di sofferenza, “diventando conforme a Cristo nella morte con la speranza di giungere alla risurrezione” (ibidem, 3,11). Questo pensiero che Paolo commenta, in base alla sua esperienza personale ai cristiani di Filippi, riassume un aspetto importante della intera esperienza cristiana che si fonda su questi elementi basilari, la vocazione, cioè l’essere ferrati da Cristo, l’essere conquistati da lui (katelệmptện ypộ Christoû), come si esprime S. Paolo, il conformarsi (symmorphizộmenos) a lui, ed essere da lui trasfigurati (metaschệmatizei to sộma).

Ciò implica un processo, una continua tensione. “Dal punto in cui siamo arrivati continuiamo ad avanzare sulla stessa linea” (ibidem, 3,16). Questa visione di cambiamento è pienamente assunta da S. Gregorio di Nissa, che nel proporre Mosè come tipo dell’uomo chiamato da Dio e della esperienza di ogni uomo di giungere alla conoscenza di Dio e al proprio rinnovamento, afferma: “Nessuno ignora che ogni essere soggetto per natura a mutamenti, non rimane identico a se stesso, ma passa continuamente da una condizione all’altra”.

Inoltre “nessun limite circoscrive la vita perfetta e può arrestare il progresso”. La perfezione è nel progresso. La santificazione che altro non è che la conformazione a Cristo, la perfetta immagine visibile di Dio, esprime questo misterioso processo di trasfigurazione che lo Spirito di Dio opera in ogni uomo, trasformandolo ad immagine di Dio.

I. Guarigione dell’uomo

S. Giovanni Damasceno (sec. VII), il cui pensiero rappresenta una solida corrente teologica e spirituale che ha fortemente influito sulla elaborazione del pensiero cristiano di oriente, presenta una visione antropologica di estremo interesse anche attuale. Egli parte dal dato biblico che ripropone sotto varie forme e ripetutamente, ma che costituisce il dato di fondo e inamovibile. L’uomo è “creato razionale, intelligente e libero, a immagine di Dio”. Seguire quindi questa natura è vivere secondo la volontà di Dio, è vivere secondo virtù. Egli è tuttavia bene attento a non attribuire la perfezione ad uno sforzo puramente umano, perché è Dio che ci sostiene in questo sforzo. “Senza il suo concorso e il suo aiuto noi né vogliamo né facciamo il bene”. Questa synergia, cooperazione umano-divina, garantisce l’autentico progresso dell’uomo, che libero, può sempre non cooperare e anche deviare dalla vocazione alla quale è chiamato: “Sta a noi rimanere nella virtù, di seguire Dio che ci invita, noi però possiamo rigettarla e così operare il male.

Se rimaniamo nella natura, siamo nella virtù; scivolando dalla natura, dunque dalla virtù, nella contronatura, noi penetriamo e restiamo nel male”.L’affermazione della libertà umana è quindi fondamentale per la comprensione del comportamento cristiano L’identificazione fra “agire secondo natura” e “seguire la virtù”, e di converso “agire contro natura” e “operare il male” presuppone la concezione biblica (Gen 1,26) dell’uomo creato a immagine e somiglianza di Dio. E’ una visione antropologica radicalmente positiva, nonostante la condizione di creatura dell’uomo e quindi soggetto a molteplici limitazioni di intelligenza e di volontà. Di conseguenza quando il Damasceno tratterà “dell’economia divina in vista della nostra salvezza” e deve spiegare in cosa consiste l’opera terapeutica (kệdemonia) di Dio in favore dell’uomo si pone su un piano di correzione etica e quindi di conversione, così come la “caduta” dell’uomo è posta sulla linea della “disubbidienza”. “Non avendo osservato l’ordine del creatore, l’uomo è spogliato della grazia (chậris), privato della familiarità (parrệsia) con Dio e rivestito della necrosi”.

Mantenuto il parallelismo natura-virtù, il Damasceno presenta la conversione come un passaggio dal diavolo a Dio, un cambiamento di tendenza, conseguentemente di comportamento. “La conversione,il passaggio dalla contronatura a ciò che è secondo natura, dal diavolo verso Dio, avviene per mezzo dell’ascesi e della sofferenza”.

Egli parla tuttavia di esigenza della natura “di essere rinnovata” (anakainisthệnai) collegandola immediatamente con l’altra esigenza di “essere istruita circa la via della virtù che allontana dalla corruzione e conduce alla vita eterna”.

Questo malessere tuttavia è misterioso e più oscuro di quanto non comprende la stessa ragione. “Bisognava che colui che ci doveva liberare dal peccato non avesse conosciuto il peccato”. L’uomo ha bisogno di una guarigione più profonda. Se questo primo atto è esclusiva opera di Dio che, attraverso Cristo redime l’umanità, il resto esige la piena partecipazione dell’uomo partendo da una ripresa di coscienza della propria alienazione dalla propria “naturale” vocazione. La “conversione” di conseguenza a questo cambiamento di rotta intellettuale (metànoia) e morale, si pone come atto primario ed essenziale della santificazione quale processo di assimilazione a Dio.

II. Partecipazione alla vita divina

“Uno solo è santo, uno solo è Signore, Gesù Cristo”. Questo inno si ripete in ogni celebrazione eucaristica nella Chiesa bizantina, mantiene nella giusta evidenza che la santità è la natura di Dio e che Gesù Cristo è Dio vero da Dio vero, come si professa nel Credo, e sottolinea anche l’unicità della natura di Dio Trino. La santità che si attribuisce all’uomo, ai santi non può essere che per partecipazione. S. Giovanni Damasceno, parlando dei santi e delle ragioni che permettono ed esigono la loro venerazione, applica loro per analogia i titoli di “dei, re e signori”, titoli che sono innanzitutto dovuti e in modo unico a Dio. “Io dico che sono “dei, re e signori” non per natura, ma perché hanno dominato e regnato sulle passioni, conservato inalterata la somiglianza dell’immagine divina secondo cui erano stati generati (perché si chiama re, anche l’immagine del re) e perché si sono uniti liberamente a Dio, offrendogli una dimora e divenendo, in questa partecipazione per grazia, ciò che Egli è per natura”. In questo pensiero del Damasceno si mantiene netta la necessaria distinzione fra Dio e l’uomo deificato, superando la permanente tentazione dell’uomo di sostituirsi a Dio (Gen 3,5.22, peccato dei progenitori; Gen 11,4 torre di Babele), di ogni umanesimo paganeggiante. La partecipazione è tuttavia reale. Il Damasceno nello stesso capitolo cita vari testi delle scritture per mostrare che Dio abita nell’uomo e lo trasforma. “Io farò la mia dimora in essi” (Lev 26,12); “Non sapete che i vostri corpi sono il tempio dello Spirito Santo che dimora in voi?” (2 Cor 3,6). E tutto ciò per l’antico progetto divino che ha destinato gli uomini ad essere a immagine di Cristo. Dio Padre “nella sua prescienza li aveva destinati a essere conformi all’immagine del suo Figlio”, vera immagine di Dio invisibile, “affinché il suo Figlio sia il primogenito fra tutti i redenti” (Rom 8,29).

Il processo di questa trasformazione avviene per partecipazione alla natura divina per benevolenza di Dio. “La divina potenza ci ha donato tutto ciò che giova per la vita e la pietà, avendoci fatto conoscere Dio Padre, che ci ha chiamati alla fede per manifestare la sua gloria, in grazia di cui ci ha messi in possesso dei preziosi e magnifici beni promessi, affinché per mezzo di questi voi diveniate partecipi della natura divina” (2Pt 1,3-4).

Questa partecipazione si realizza attraverso la fede e per mezzo della sacramentale inserzione in Cristo. S. Giovanni Damasceno nel De Fide orthodoxa parla soltanto di due sacramenti: il battesimo e l’eucaristia.

a) “Noi confessiamo un solo battesimo per la remissione dei peccati e per la vita eterna, perché il battesimo significa la morte del Signore. Noi siamo quindi seppelliti con il Signore, come afferma l’apostolo” L’immersione nell’acqua – morte di Cristo è un avvenimento radicale. “Così come il Signore non è morto che una sola volta, noi non dobbiamo essere battezzati che una sola volta”. E più avanti: “Il battesimo, con la triplice immersione, significa i tre giorni passati da Cristo nella tomba”. L’assimilazione alla morte ha anche di converso l’aspetto di resurrezione alla vita.

Se lo Spirito di Colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti, darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi” (Rom 8,11). Sulle tracce di S:Paolo, S:Giovanni Damasceno fa questa sintesi: “L’uomo è composto di anima e di corpo. Ci è data una duplice purificazione per mezzo dell’acqua e dello Spirito.

Lo Spirito ci rinnova “a immagine e somiglianza”; l’acqua per grazia dello Spirito purifica il corpo dal peccato e libera dalla corruzione; l’acqua esprime l’immagine della morte, lo Spirito dispensa le arre della vita”. Non è il rito religioso che opera questa “rigenerazione psichica” – come si esprime il Damasceno – come in un’operazione magica, ma l’azione misteriosa dello Spirito che agisce attraverso il rito, per l’opera redentivi e rigenerativa di Cristo.

“Egli si è fatto uomo come noi, ci libera dalla corruzione per mezzo della sua passione; fa calare dal suo costato santo e immacolato, una sorgente di liberazione, l’acqua che ci fa rinascere e ci lava dal peccato e dalla corruzione, il sangue bevanda che procura la vita eterna” Il battesimo inserisce in Cristo, con cui si forma un “corpo misterioso” attraverso cui si comunica la vita, la nuova vita, la vita divina.”Per mezzo del battesimo noi riceviamo le primizie dello Spirito e la nuova nascita diventa l’inizio, il sigillo, la salvaguardia e la luce di un’altra vita”. Siamo nel cuore del mistero cristiano: il ristabilimento della comunione tra Dio e l’uomo, attraverso l’incarnazione di Dio e la deificazione dell’uomo. Nello stesso capitolo il Damasceno parla dell’unzione che si riceve al battesimo e che rende conformi a Cristo. Non distingue dal battesimo questa “cresima” che fa parte dell’intero avvenimento battesimale (morte, resurrezione, conformazione a Cristo, vita nuova).

“L’olio (èlaion) nel battesimo è ricevuto per l’unzione (chrisin), facendo di noi dei cristi (christoûs) e proclamandoci la misericordia (éleon) di Dio per mezzo dello Spirito Santo; così come la colomba portava un ramo di ulivo a coloro che erano stati salvati dal diluvio”. Diluvio – battesimo – purificazione; olio – ulivo – salvezza; unzione che trasforma in cristi – unti conformi a Cristo. Il pensiero si coordina attraverso la concezione teologica e mistica dell’incorporazione a Cristo. Il rituale bizantino del battesimo fa cantare, a sua conclusione, un versetto dell’epistola di S:Paolo ai Galati che riassume questa concezione: “Quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo” (Gal 3,27). “Tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Gal 3,28).

b) Questo processo si completa nell’eucaristia. Partecipando all’eucaristia, purificati, “noi siamo uniti al corpo del Signore e al suo Spirito e diveniamo corpo di Cristo”. Il Damasceno spiega questo processo analizzando i termini di partecipazione e di comunione. “Si usa il termine partecipazione (metalệpsis) perché in essa, l’eucaristia, noi partecipiamo alla divinità di Gesù. Si dice anche comunione (koinonia) – e con ragione – perché in essa comunichiamo al Cristo e partecipiamo alla sua carne e alla sua divinità, comunichiamo e ci uniamo gli uni agli altri; poiché partecipiamo a un solo pane, tutti diventiamo un corpo e un sangue di Cristo e membri gli uni degli altri, inseriti in Cristo”.

Infine il Damasceno spiega perché il pane e il vino della eucaristia vengono talvolta detti anche “simboli, antitipi” (antitypa) dei beni futuri e afferma: “non perché non siamo veramente il corpo e il sangue di Cristo, ma perché da ora noi, attraverso di essi, partecipiamo alla santità di Cristo, mentre allora noi parteciperemo con l’intelletto alla visione diretta”. La partecipazione al sacramento è partecipazione al corpo di Cristo; per mezzo di essa si prende parte alla divinità stessa di Cristo.

Una tale partecipazione implica una interiore purificazione. S. Giovanni Damasceno usa l’immagine del carbone ardente, presa dal profeta Isaia. “Accostiamoci con ardente desiderio, con le palme delle mani in croce e riceviamo il corpo del Crocifisso. Volgendo verso di lui gli occhi, le labbra e il viso, prendiamo il carbone ardente divino perché il fuoco del nostro desiderio appropriandosi l’ardore del carbone divino bruci i nostri peccati, illumini i nostri cuori, e noi siamo deificati partecipando al fuoco divino”. Ricompare così la componente della purificazione. Il processo di santificazione nell’uomo ha permanentemente questi due poli: liberazione dal peccato e assimilazione a Cristo. Il santo è colui che ha raggiunto la condizione di “creatura nuova”, immagine vivente di Cristo; in più, il santo è colui che liberato dalla schiavitù del peccato ha raggiunto la “statura” di Cristo.

III. Creatura deificata e espressione etica

“Dio è vita e luce e in lui, i santi sono nella luce e nella vita”. Questo risultato definitivo implica quasi sempre il passaggio attraverso le tenebre e il timore della morte. La provvisorietà, l’ambiguità, l’avversità del quotidiano vissuto costituiscono il contesto in cui si sviluppa la “creatura nuova”, il santo.

La “novità” dell’uomo si deve esprimere nel comportamento etico. Questa novità, determinata dalla incorporazione a Cristo e dall’inabitazione dello Spirito nell’uomo, viene così descritta da S: Paolo: “Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé” (Gal 5,22); e sintetizza l’insieme con una espressione lapidaria: “Se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito” (ibidem, 25). In tal modo l’immagine di Dio, secondo cui l’uomo è stato creato, si aggiunge la somiglianza. E l’uomo stesso diventa per gli altri “luce e vita”. Il consiglio evangelico è categorico: “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli”.(Mt 5,16)

Osservazione conclusiva

Il santo è colui nel quale ha trovato realizzazione la redenzione, l’uomo deificato. Egli è quindi la testimonianza viva dell’opera salvifica di Dio operante ed efficace. Come tale il Santo può essere proposto come esempio da imitare e da venerare ed è segno di speranza perché egli certifica che ogni uomo può realizzare la sua vocazione e che l’intera convivenza umana può essere trasformata in nuova creazione. La comunità cristiana, chiamata alla santificazione e alla deificazione, già incorporata a Cristo è germe e strumento di questa trasformazione dell’intera umanità.

Romano il Melode (sec. VI) nel suo kontakion per la festa di tutti i santi, sintetizza così, nel canto, questa visione: “La terra si è fatta cielo. I luminari del firmamento e i martiri nel pleroma della chiesa rifulgono e illuminano tutto l’universo, cosicché Davide può dire con noi: “I fulgori tuoi sono stati riflessi sulla terra, o ricco di misericordia”.

* da uno studio di Pavel Evdokimov

Letto 1968 volte Ultima modifica il Domenica, 18 Febbraio 2007 12:03
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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