Ecumene

Giovedì, 15 Luglio 2004 02:06

Bede Griffiths. Profeta del dialogo

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di Giovanni Belloni

Bede Griffiths nasce in Inghilterra nel 1906. Negli anni venti studia a Oxford. Terminata l'università, in un certo senso contestando la società d'allora (siamo nel periodo seguente la I Guerra mondiale) assieme a due compagni vive in un ambiente rurale. L'esperienza dura solo un mese, ma per Alan – questo è il nome che ha ricevuto al battesimo – è sufficiente per accostarsi alla Bibbia e "convertirsi" nel 1932 al cattolicesimo, essendo nato anglicano.

Si fa monaco benedettino presso l'abbazia di Prinknash e in seguito sarà priore dell'abbazia di Farnborough, sempre in Inghilterra.

Nel 1940 Griffiths inizia uno studio serio del pensiero induista e nel 1950 chiede ai superiori di potersi recare in India alla ricerca, come afferma, "dell'altra parte di se stesso". Egli crede fortemente che il modo di pensare dualistico delle religioni semitiche, che è stato responsabile di diverse guerre, abbia bisogno di essere completato da una più profonda esperienza "advaitica" (non dualistica) presente nelle religioni dell'Asia. E così nel 1955, all'età di 49 anni, sbarca a Bombay nell'India. Il suo intento è di continuare quanto i due preti francesi Jules Monchanin e Henry Le Saux avevano già iniziato nel Tamil Nadu.

Vive per qualche tempo a Bangalore e poi con un monaco belga, p. Francis, fonda un monastero a Kurisimala nello stato indiano del Kerala. Nel 1968, dopo la morte di Monchanin e il desiderio di Le Saux di portarsi al nord del paese sull'Himalaya, p. Bede, in compagnia di altri tre giovani monaci, si stabilisce a Shantivanam Ashram nel Tamil Nadu e qui rimane fino alla morte avvenuta il 13 maggio 1993.

Tannirpalli, il piccolo villaggio dove si fermano solo gli autobus locali, un luogo, come Nazaret ai tempi di Gesù, nemmeno menzionato sulla cartina geografica, diventa in seguito la meta di uomini e donne, giovani e ragazze che provengono da ogni parte del mondo.

L'ashram in India inizia a esistere per il fatto che vi si trova una persona, uomo o donna, che nella sua vita ha sperimentato Dio. Lentamente attorno a questa persona iniziano a "sedersi alcuni" ("upa-nisad") e costui (costei) diventa per loro il guru (il maestro), quell'"anello di congiunzione" che unisce l'uomo a Dio.

Con i grandi mutamenti avvenuti nella società, nella famiglia, nella scuola, nel vivere comune e nella chiesa alla fine degli anni sessanta, per molti sono venuti a mancare quei punti di riferimento, quelle "certezze", quel "binario" sul quale correva più o meno velocemente il "treno" della propria esistenza; di qui la necessità di mettersi alla ricerca di una persona che aiuti a far luce sui dubbi e incertezze, così da poter dare di nuovo un senso alla propria vita e un "cammino" sul quale procedere.

Bede Griffiths è stato capace di attraversare in modo decisivo il cammino di tante persone in ricerca. Uomo di cultura, aveva il dono di un parlare semplice. Educato a Oxford, aveva un inglese fatto di frasi brevi e comprensibili da tutti. Ma ciò che richiamava tante persone non erano tanto le sue parole, quando la sua "presenza". A volte era sufficiente trovarsi in quel luogo nel silenzio e il resto veniva da sé...

Non pochi occidentali erano colpiti anche dal suo modo di vivere in una semplice capanna; ma soprattutto ciò che lo faceva apprezzare era quella capacità di ascolto, di accettazione benevola e paziente di ognuno che chiedesse di poterlo incontrare personalmente. Davanti al suo sorriso semplice penso siano stati pochissimi a non sentirsi tanto a proprio agio da potersi aprire a un confronto sereno, senza la preoccupazione di venire giudicati, ma con la certezza di essere compresi e se necessario incoraggiati.

Vivendo in India e accostandosi alle scritture induiste, coltivò in sé un approccio benevolo verso la natura, capace di edificare un nuovo tipo di comunità umana. Fu presente in lui l'attenzione a un modo umano di esistere, dove l'uomo è colto nella sua totalità, come corpo, anima e spirito.

A Shantivanam in una delle sue ultime conferenze pomeridiane così si esprimeva: "Noi siamo condizionati dal nostro corpo e dal nostro mondo psicologico, eppure in ogni essere umano, al di là di tutto questo c'è quel luogo dello Spirito dove ogni uomo è aperto a Dio e all'amore. Lo Spirito è in ogni essere umano, indipendentemente dai suoi limiti, così che se gli si dà la capacità di crescere trasforma l'intera persona. Conseguentemente la persona peggiore e il peccatore incallito possono essere totalmente trasformati. Ognuno di noi può essere diverso, se scopriamo il nostro centro interiore dove Dio è presente in ogni essere umano. Al di là del nostro corpo, dei nostri sentimenti, pensieri, volontà, ecc. c'è la Presenza nascosta. La Realtà è sempre lì. Se noi siamo aperti a essa, allora la conversione è realizzata. Dobbiamo riflettere su questo e cercare di darci una risposta. Dobbiamo scoprire dove il nostro ego influisce, dove si trova il vero problema e come giudicare noi stessi, gli altri, e così via. Questo è ciò che conta nella vita" (Conferenza del 18.10.1992).

Abbandonare le pretese esclusivistiche

Nel suo ultimo libro, A new vision of reality, a pp. 286-87 troviamo: "Tutte le religioni sono fondate sulla filosofia perenne, sviluppatasi in situazioni e in circostanze diverse, tutte realizzano nelle loro espressioni diverse la sapienza antica e la pienezza della vita. Queste differenti tradizioni dovrebbero essere viste tutte come in relazione e interdipendenti, dando ognuna un'intuizione particolare e unica sulla verità e la realtà ultima. Infatti tutte si svilupparono separatamente e per diversi secoli senza contatti reciproci. E quando esse entrarono in contatto ci fu rivalità, acrimonia, conflitti. Di conseguenza abbiamo oggi tremende divisioni tra le religioni. (...) Per le religioni semitiche in particolare, l'ebraismo, il cristianesimo e l'islam, è importante che abbandonino le pretese esclusivistiche che le caratterizzano. Questo le libererebbe per riconoscere l'azione di Dio in tutta l'umanità dagli inizi della storia. Per le religioni semitiche questo è un problema particolarmente difficile. Tutte e tre tendono a un esclusivismo estremo e per questo motivo hanno portato nel mondo innumerevoli conflitti".

P. Griffiths è portatore di un sapere che si fonda sì sulla cultura umana, ma che trova il suo fondamento nel silenzio, nella riflessione, nella meditazione, cioè in quella pratica quotidiana che aiuta il soggetto ad andare oltre la mente, i sensi e i sentimenti per immergersi nel profondo di sé e, se Dio vuole, essere ammesso a quella Presenza che è luce, che unifica le nostre differenze religiose, culturali e razionali, senza tuttavia estinguerle.

 

Letto 2687 volte Ultima modifica il Venerdì, 06 Maggio 2011 23:06
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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