Ecumene

Martedì, 13 Marzo 2007 23:55

Mio fratello musulmano (Samir Khalil Samir)

Vota questo articolo
(0 Voti)
Mio fratello musulmano

di Samir Khalil Samir


Il dialogo con l’islam richiede amore sincero. Non gesti ambigui.

Subito dopo Natale è scoppiata una polemica a Cordoba, orchestrata dalla stampa internazionale: il vescovo Juan José Asenjo Pelegrina ha osato rigettare la richiesta della Giunta islamica di Spagna presieduta dal convertito Mansur Escudero, che chiedeva che i musulmani potessero pregare nella cattedrale. Il motivo è che otto secoli fa la cattedrale era una moschea, senza ricordare che tredici secoli fa era una basilica. Il vescovo ha spiegato che una cosa simile avrebbe «generato confusione tra i fedeli» e «non contribuirà a una coabitazione pacifica tra i credenti». «Noi, cristiani di Cordoba, desideriamo vivere in pace con i credenti di altre religioni, ma non vogliamo essere sottomessi a pressioni continue che non contribuiscono alla concordia». Allora Mansur ha steso il tappeto davanti alla cattedrale e vi ha pregato.

Poco prima, i musulmani di Colonia avevano chiesto di poter pregare nel famoso duomo della città, e il cardinale Joachim Meisner vi si era opposto. A novembre, lo stesso porporato aveva vietato ai professori di religione cattolica della diocesi di organizzare preghiere interreligiose, perché i bambini non erano in grado di fare le dovute distinzioni. È stato vivamente criticato da politici e insegnanti. A quando il prossimo scandalo europeo?

Nonostante questi casi, a me sembra che il dialogo con l’islam stia entrando in una fase più autentica. Questi due rifiuti si capiscono. Negli anni Settanta-Ottanta si è un po’ diffusa la pratica di prestare ai musulmani - non senza ambiguità - luoghi di culto cristiani, ma già il cardinale Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano, l’aveva vietato nella sua diocesi. Oggi tutte le città europee in cui ci sono musulmani hanno una moschea, e dunque questa pretesa non si capisce più. Un conto è pregare insieme in un’aula, su testi non sacri, un conto è farlo in una cattedrale.

Ma il Papa, si dirà, ha pregato con il gran muftì d’Istanbul nella moschea blu, il 30 novembre scorso. È stato un gesto bellissimo, spontaneo, su proposta dello stesso Mustafa Cagrici: ambedue si sono raccolti in preghiera per un minuto, orientati verso la Kaaba, e il Santo Padre ha adottato l’atteggiamento del muftì. Personalmente, quando mi succede di entrare in una moschea, la prima cosa che faccio è di pregare per i musulmani, affinché Dio li sostenga e li colmi di benedizioni. Dopo tutto, una moschea è un luogo dal quale salgono milioni di preghiere verso il Padre di tutta l’umanità.

Una cosa è un gesto personale e puntuale, un’altra è un atto collettivo e organizzato. E se, per qualche motivo legittimo, un altro vescovo decidesse di far cessare questa pratica, come ci riuscirebbe senza suscitare ancora più veleno? Nel 1974 Saddam Hussein, allora vicepresidente del Consiglio della Rivoluzione, in visita a Cordoba, pregò nella cattedrale: non fu un precedente, ma un’eccezione. Che i musulmani, entrati in un luogo cristiano, preghino discretamente e silenziosamente, è bello. Ma se si mettessero a compiere la salât, cioè la preghiera rituale musulmana, sarebbe irriverente. Lo stesso andrebbe detto se io celebrassi la nostra salât, cioè la Messa, in una moschea: sarebbe una provocazione!

Il dialogo richiede discernimento. Ogni gesto ambiguo porta più danno che beneficio, anche se l’intento è buono. Il dialogo richiede amore sincero. Il musulmano è mio fratello. L’islam può essere un progetto sociologico, culturale, politico o militare, oppure spirituale e religioso; ma il musulmano non è un progetto, è un uomo come me, che va rispettato nella sua dignità di persona e di credente, e amato con lo stesso amore che nutro verso il cristiano. Amore e verità, affetto e discernimento sono inseparabili e ci permettono di basare il dialogo interpersonale su fondamenta solide. Trattandosi di musulmani, il fondamento è Dio stesso. Anche per questo il vero dialogo non può fare a meno dell’annuncio del Vangelo, come d’altronde il musulmano sincero e pio che mi vuol bene mi annuncia Dio come l’intende lui. Lungi dall’essere un’aggressione, l’annuncio è amore servizievole. Noi cristiani ci sentiamo solidali con tutti coloro che, proprio in base alla loro convinzione religiosa di musulmani, s’impegnano contro la violenza e per la sinergia tra fede e ragione, tra religione e libertà. In questo senso, i dialoghi di cui ho parlato si compenetrano a vicenda.

(da Mondo e Missione, Febbraio 2007)

Letto 2721 volte Ultima modifica il Giovedì, 31 Maggio 2007 21:11
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

Search