Ecumene

Giovedì, 14 Giugno 2007 01:44

Dalla terra al cielo. Il Monte Athos (Jean-François Colosimo)

Vota questo articolo
(2 Voti)

IL MONTE ATHOS

Dalla terra al cielo

di Jean-François Colosimo


“Talanton, tatalanton, tatatatalanton…”. Nella notte fonda il martelletto urta, risalta, danza sul legno della simandra. È così, dice la tradizione, che Noè convocò gli animali nell’arca. È così, dice la regola, che i fratelli sono chiamati a riunirsi in chiesa.

 

Oggi come agli inizi, ai primi chiarori dell’alba, si eleveranno gli inni che celebrano la nuova Creazione. Ma là, per il momento, per rompere l’oscurità, non c’è che lo sciacquio delle onde, il mormorio della brezza, e la ronda silenziosa dei monaci che prende a prestito dagli angeli le loro geometria sacra. I padri, velo tirato, mantello flottante, rosario alla mano, vengono a inclinarsi davanti alle icone che sembrano moltiplicare, in un movimento immobile, l’ondeggiare delle lampade a olio. A meno che non sia l’occhio che già trabocca di contemplazione. Volute d’incenso, salmodie aeree. Sono le otto alla clessidra mistica del deserto, le tre all’orologio meccanico del mondo. Dovunque altrove si dorme. L’Athos veglia, prega perché il risveglio dell’uomo accompagni il risveglio della Terra, perché infine sorga in lui il sole senza tramonto.

Il mondo che ho abbandonato dietro di me, lasciando Uranupolis, la “città del cielo”, luogo di confine dove viene malinconicamente a finire la Grecia moderna, kitsch e cemento made in Bruxelles. Davanti a me, sull’orizzonte, il blu insondabile, cobalto del mare o azzurro del cielo. Più avanti, la sagoma di un’isola, o quasi. Aghion Oros, la “santa Montagna”. L’ultima repubblica monastica che abbia resistito ai poteri di dissoluzione e di oblio della storia, occupa una penisola della Calcidica, sulla via fra Tessalonica e Costantinopoli. Vi si giunge solo per mare, muniti di un lasciapassare dal nome bizantino, timbrato con sigilli medievali. Inutile rifugiarsi al bar o al bazar del traghetto. Acque della Genesi, acque matrici, battesimali, acque delle lacrime, questa immersione nel grande passato si annuncia come un viaggio sacramentale. Per indovinarlo basta tendere l’orecchio al silenzio che i monaci instaurano a poco a poco sul ponte quando si profila il loro regno. E mentre sfilano, in dolce litania, Dochiariu, Xenofontos, San Panteleimon, i primi grandi monasteri sulla costa.

A Dafni, il porto, mentre gli eremiti, frettolosi di ritrovare la loro solitudine, si intrufolano nel caos, eccomi preso in un turbine di sottane, clacson, pacchi, bagagli che ricopre l’imbarcadero.

Frontiere immateriali

L’Athos è una terra di contraddizioni. Un Oriente, ma piazzato nel cuore dell’Europa. Una teocrazia, ma che predilige l’anarchia. Un luogo di santificazione, ma dove la santità si nasconde. Mille anni dopo la sua fondazione, il “giardino della Madre di Dio” rimane vietato alle donne. I viaggiatori che vengono a cercarvi un “Tibet del cristianesimo”, se ne ripartono rimpinzati di leccornie da discreti asceti che li hanno intrattenuti su discorsi futili. I pellegrini che si credono in cerca di beatitudini, vi si trovano confrontati con l’aridità e il vuoto. Perché le vere frontiere dell’Athos sono immateriali. Esse si chiamano umiltà, follia. O anche dogma, ortodossia. A ignorarle si rischia di rompersi la testa, tanto l’ospitalità del cuore, qui, non eguaglia che l’intransigenza della fede.

Dove andare? A nord, a Chilandari il Serbo, devastato dalle fiamme come le chiese del Kosovo? Al centro, a Sografu il bulgaro, come addormentato nella foresta profonda? A est, a Stavronikita, sulla riva del mare, dove si trova l’icona di san Nicola dell’ostrica, perduta sulla sabbia? O a ovest, alla skite sant’Anna, più imponente e turbolenta che certi conventi? A sud, alla Grande Laura, simile a una magnifica città, dove tutto ha avuto inizio? O a Karulia, a picco sulle scogliere che ospitano reclusi anonimi?

Vi sono tanti Athos quanti sono gli Athoniti, ma non c’è pellegrinaggio perfetto se non nell’incontro. Mi tornano in mente le immagini del mio primo soggiorno, ventidue anni fa. Avevo conosciuto delle epifanie alla svolta di un sentiero, incrociando uno sguardo, un sorriso. Ma avevo anche imparato che qui il tempo ama rallentare per lasciare che si esprima in pieno una presenza, in volto, una voce. Affidarsi alla memoria che culla talora lo spirito. Salto nel battello che scende lungo la costa. Direzione Simonos Petra.

Contemplazione vertiginosa, ritrovata con gioia. Visto dal basso, dal sentiero lastricato che serpeggia faticosamente fra cedui e foreste, il monastero sembra scaturire dalla roccia, sfuggire alla pesantezza, giocare con i venti per partire all’assalto del cielo. La sua ala più spettacolare, fiancheggiata da sette balconate e terrazze, si avanza come una vedetta sui flutti. O quale un faro spirituale, tanto l’immagine della custodia e della protezione potrebbe servire da emblema a tutta la Santa Montagna, tanto la vocazione millenaria dell’Athos sarà stata quella di difendere l’ortodossia. Quando nel sec. XIV si profila la nascita dell’umanesimo, Gregorio Palamas afferma che l’esperienza di Dio è reale, che la comunione dell’uomo con la grazia increata è fonte di deificazione. Alla fine del sec. XVIII, quando l’Europa degli enciclopedisti sacralizza i Lumi umani, Nicodemo l’Agiorita si mette a compilare l’enciclopedia della luce divina, la Filocalia, che sarà pochi decenni dopo il libro de chevet di Dostoïevski. Dopo il 1968, quando scoppia l’Occidente, alcuni giovani intellettuali greci, rivenuti dalle illusioni del progresso, aderiscono alla vita monastica e partono per rivivificare l’Athos allora in agonia, dipinto con alacrità e tenerezza da Jacques Lacarrière. Ne seguirà l’attuale rinnovamento testimoniato dalla comunità di Simonos Petra. Con una insistenza singolare sull’intelligenza e la bellezza, ereditata dal suo abate, oggi emerito, il padre Aimilianos.

Calore. Sudore, Poi, all’ombra delle mura, il rituale del caffè forte e innaffiato di acquavite. Il padre Macario, avvertito dal portinaio, mi viene incontro. Più che conservarli. l’ascesi trasforma gli Athoniti. Essa li configura a quelle immagini immemoriali dei padre del deserto che adornano gli affreschi, e compongono una sorta di origine assoluta chiamata a ripetersi di generazione in generazione. Chi, d’altronde, vedrebbe in questo prete maturo, bibliotecario del monastero, autore di un sinassario che offre un raro panorama della santità attraverso i secoli, lo studente francese che fu, un tempo, alla Scuola pratica, quando si dedicava a una tesi monumentale sul significato teologico della grande quaresima? Erano allora gli anni di piombo fra rivoluzione e controrivoluzione. Dopo, l’edonismo universale ha trionfato. Imperturbabili, i padre dell’Athos continuano a prepararsi alla fine del mondo.

Un unico bisogno: la preghiera

Aspettando, è l’ora dell’ufficio. Ma all’Athos nulla è mai separato dalla chiesa. Se ne esce per recarsi in refettorio. Si esce dal refettorio per ritornarvi. Tra vespri e compieta, la tavola, un pasto frugale, continua e annuncia l’altare.

Cade la sera. Il padre Macario si fa per me il cronista del rinnovamento. Traccia i ritratti dei grandi anziani, Giuseppe l’esicasta († 1959) che restaurò la preghiera di Gesù, Païssios di Cappadocia († 1994) che soggiornò al Sinai, Papa Efrem († 1998) che incarnò la virtù dell’obbedienza, tutti e tre sprovvisti di istruzione, e tutti e tre taumaturgi. Evoca i figli spirituali di Giuseppe, divenuti capi dei monasteri di Filothéu, Dionissìu, Vatopedi. Racconta dei giovani abati, teologi e liturgisti, che seppero far fruttificare questo miracolo: i padri Basilio di Iviron, Giorgio di Grigorio, Alexis di Xenofontos, e naturalmente di Aimilianos. Poi Macario conclude sul vero bisogno dell’uomo contemporaneo, la preghiera, prima di lasciarmi di fronte al mare d’inchiostro, tempestoso.

E certamente dovevo ruminare il versetto del salmista “e tu rinnovi come aquila la tua giovinezza ”, quando poche ore più tardi ha cominciato a risuonare la simandra, che batte la chiamata dei figli di Dio perduti nella notte: “talanton, tatalanton…”

* Teologo e direttore letterario delle edizione de La Table Ronde

(in Le monde des religions, 15, pp. 50-54)

Letto 4414 volte Ultima modifica il Mercoledì, 20 Marzo 2013 16:45
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

Search